Topic aperto e dedicato a PierPaolo Pasolini

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ongii
00mercoledì 12 ottobre 2005 12:08

aperto, nel senso di considerare questa discussione come contenitore per tutto quel che riguarda questa formidabile persona.
lo dedico a lui, che mi sta rubando la coscienza, tutte le notti prima di addormentarmi.

Parliamo di lui come cineasta, come scrittore, come polemista, come poeta, come prosatore in forma poetica, come vogliamo.

Io volevo segnalare un documentario che ho visto ieri e che si chiama 12 dicembre.

E' stato organizzato da PPP insieme a LOTTA CONTINUA e realizzato il 12 dicembre 1970 ad un'anno dalla strage di piazza fontana.


Le prime immagini rievocano quel che era successo l'anno precedente, attraverso interviste a testimoni oculari (ad esempio,il tassista che e' stato considerato pochissimo dalla magistratura inquirente e che avrebbe portato dritti driti e molto veloci all'individuazione della matrice fascista)

quindi, un'indagine sugli aspetti giuridici della vicenda e delle incongruenze cui ha portato la scelta da parte della magistratura, di andare a pescare nel mondo anarchico i responsabili. Valpreda e Pinelli hanno subito di tutto in quei giorni e alcune persone testimoniano questa cosa durante interviste.

Poi l'occhio di pierpaolo si posa su esperienze lontane dalla milano di quegli anni:

operai di colonnata (il paese del lardo) che vengono intervistati sui problemi di sicurezza nei cantieri di estrazione e trasporto del marmo carrarese, sulle ingiustizie subite sull'orario di lavoro, per i rifiuti e le iniquita' ai danni di coloro che si manifestavano "comunisti"
ne muoiono in tanti, sui monti di carrara, ancora oggi.
ongii comincia a traballare sulla poltroncina

trento, 1970. all'uscita dal lavoro in fabbrica, una spedizione di fasci in doppiopetto fa violenza su compagni. ancora non ho capito, causa audio malmesso, se i fasci sono stati trascinati per 400 metri sull'asfalto in ginocchio (durante la manifestazione che segui' la violenza), oppure se la stessa sorte e' toccata agli operai di cui sopra.

napoli, e qui viene la commozione.
1970. ci sono i disoccupati che stanno incazzatissimi. un gruppo di loro, come nelle migliori tradizioni partenopee, accerchia pasolini mentre effettua l'intervista, e ognuno di loro, in napoletano spavaldo, racconta la lotta che stanno compiendo, inascoltata, per avere un lavoro e portare avanti famiglia.
commoventi le vite nei "vasci"(bassi) di napoli di quegli anni.

attorno al capannello creatosi attorno a ppp, una cinquantina di bambini cantano, girando in tondo, bandiera rossa la trionfera'.
a napoli, nel 1970. in bianco e nero.

mi sento sgretolato.

operai torinesi della fiat spiegano a ppp come si possa essere considerati uomini quando compi lo stesso gesto alla macchina per otto ore al giorno.
spiegano poi, che dopo alcuni anni, parte degli operai, si sentono alienati, estranei al mondo, incapaci di comunicare quando tornano a casa con la propria moglie e i figli. hanno blocchi mentali a comunicare.

si sentono arrabbiati nei cfr del PCI perche' aveva concesso alcuni appalti ad aziende private invece di occuparsene come partito di governo locale.

operai e famiglie poverissime dell'italia di allora esclamano: dobbiamo togliere il potere ai borghesi e mandarli via, riprenderci le fabbriche, lavorare tutti, cercare il benessere.

le rughe, la faccia scavata
la madre col figlio in braccio
la verita' testimoniata e mai dogmatica

e io che sbatto la testa sulla poltroncina davanti pensando che siamo ancora fermi li', a quel medesimo punto, e forse un po' piu' in la'.

p.s. ci sono anche alcune immagini delle barricate di reggio calabria.

qui, un link per poter scaricare il video in formato avi

[Modificato da ongii 12/10/2005 12.21]

bb2004
00mercoledì 12 ottobre 2005 13:52
Comune di Romanengo
TEATRO AUDITORIUM G. GALILEI 18a Stagione

sabato 22 ottobre alle ore 21,15 per la presentazione della Stagione con alcune anteprime in video degli spettacoli
e con l'imperdibile conferenza spettacolo di Luca Scarlini: UN SORRISO DOLCEAMARO: PASOLINI E IL COMICO.
L'ingresso sarà gratuito.
bradiporosso
00giovedì 13 ottobre 2005 11:42
"cominciamo dall'inizio": una biografia sufficientemente completa...
Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo del 1922 a Bologna. Primogenito di Carlo Alberto Pasolini, tenente di fanteria, e di Susanna Colussi, maestra elementare. Il padre, di vecchia famiglia ravennate, di cui ha dissipato il patrimonio sposa Susanna nel dicembre del 1921 a Casarsa. Dopodiche' gli sposi si trasferiscono a Bologna.

Lo stesso Pasolini dirà di se stesso: "Sono nato in una famiglia tipicamente rappresentativa della societa' italiana: un vero prodotto dell'incrocio... Un prodotto dell'unita' d'Italia. Mio padre discendeva da un'antica famiglia nobile della Romagna, mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano del ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, cio' non le impedi' affatto di avere egualmente legami con la Sicilia e la regione di Roma"

Nel 1925, a Belluno, nasce il secondogenito, Guido. Visti i numerosi spostamenti, l'unico punto di riferimento della famiglia Pasolini rimane Casarsa. Pier Paolo vive con la madre un rapporto di simbiosi, mentre si accentuano i contrasti col padre. Guido invece vive in una sorta di venerazione per lui, ammirazione che lo accompagnerà fino al giorno della sua morte.
Nel 1928 è l'esordio poetico: Pier Paolo annota su un quadernetto una serie di poesie accompagnate da disegni. Il quadernetto, a cui ne seguirono altri, andrà perduto nel periodo bellico.

Ottiene il passaggio dalle elementari al ginnasio che frequenta a Conegliano. Negli anni del liceo dà vita, insieme a Luciano Serra, Franco Farolfi, Ermes Parini e Fabio Mauri, ad un gruppo letterario per la discussione di poesie.

Conclude gli studi liceali e, a soli 17 anni si iscrive all'Università di Bologna, facoltà di lettere. Collabora a "Il Setaccio", il periodico del GIL bolognese e in questo periodo scrive poesie in friulano e in italiano, che saranno raccolte in un primo volume, "Poesie a Casarsa".
Partecipa inoltre alla realizzazione di un'altra rivista, "Stroligut", con altri amici letterati friulani, con i quali crea l' "Academiuta di lenga frulana".

L'uso del dialetto rappresenta in qualche modo un tentativo di privare la Chiesa dell'egemonia culturale sulle masse. Pasolini tenta appunto di portare anche a sinistra un approfondimento, in senso dialettale, della cultura.

Scoppia la seconda guerra mondiale, periodo estremamente difficile per lui, come si intuisce dalle sue lettere. Viene arruolato sotto le armi a Livorno, nel 1943 ma, all'indomani dell'8 settembre disobbedisce all'ordine di consegnare le armi ai tedeschi e fugge. Dopo vari spostamenti in Italia torna a Casarsa. La famiglia Pasolini decide di recarsi a Versuta, al di là del Tagliamento, luogo meno esposto ai bombardamenti alleati e agli assedi tedeschi. Qui insegna ai ragazzi dei primi anni del ginnasio. Ma l'avvenimento che segnerà quegli anni e' la morte del fratello Guido, aggregatosi alla divisione partigiana "Osoppo".

Nel febbraio del 1945 Guido venne massacrato, insieme al comando della divisione osavana presso le malghe di Porzus: un centinaio di garibaldini si era avvicinata fingendosi degli sbandati, catturando in seguito quelli della Osoppo e passandoli per le armi. Guido, seppure ferito, riesce a fuggire e viene ospitato da una contadina. Viene trovato dai garibaldini, trascinato fuori e massacrato. La famiglia Pasolini saprà della morte e delle circostanze solo a conflitto terminato. La morte di Guido avrà effetti devastanti per la famiglia Pasolini, soprattutto per la madre, distrutta dal dolore. Il rapporto tra Pier Paolo e la madre diviene così ancora più stretto, anche a causa del ritorno del padre dalla prigionia in Kenia.

Nel 1945 Pasolini si laurea discutendo una tesi intitolata "Antologia della lirica pascoliniana (introduzione e commenti) e si stabilisce definitivamente in Friuli. Qui trova lavoro come insegnante in una scuola media di Valvassone, in provincia di Udine.

In questi anni comincia la sua militanza politica. Nel 1947 si avvicina al PCI, cominciando la collaborazione al settimanale del partito "Lotta e lavoro". Diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa, ma non viene visto di buon occhio nel partito e, soprattutto, dagli intellettuali comunisti friulani. Le ragioni del contrasto sono linguistiche. Gli intellettuali "organici" scrivono servendosi della lingua del novecento, mentre Pasolini scrive con la lingua del popolo senza fra l'altro cimentarsi per forza in soggetti politici. Agli occhi di molti tutto ciò risulta inammisibile: molti comunisti vedono in lui un sospetto disinteresse per il realismo socialista, un certo cosmopolitismo, e un'eccessiva attenzione per la cultura borghese.

Questo, di fatto, è l'unico periodo in cui Pasolini si sia impegnato attivamente nella lotta politica, anni in cui scriveva e disegnava manifesti di denuncia contro il costituito potere demoscristiano.

Il 15 ottobre del 1949 viene segnalato ai Carabinieri di Cordovado per corruzione di minorenne avvenuta, secondo l'accusa nella frazione di Ramuscello: è l'inizio di una delicata ed umiliante trafila giudiziaria che cambierà per sempre la sua vita. Dopo questo processo molti altri ne seguirono, ma è lecito pensare che se non vi fosse stato questo primo procedimento gli altri non sarebbero seguiti.

E' un periodo di contrapposizioni molto aspre tra la sinistra e la DC, e Pasolini, per la sua posizione di intellettuale comunista e anticlericale rappresenta un bersaglio ideale. La denuncia per i fatti di Ramuscello viene ripresa sia dalla destra che dalla sinistra: prima ancora che si svolga il processo, il 26 ottobre 1949.

Pasolini si trova proiettato nel giro di qualche giorno in un baratro apparentemente senza uscita. La risonanza a Casarsa dei fatti di Ramuscello avra' una vasta eco. Davanti ai carabinieri cerca di giustificare quei fatti, intrinsecamente confermando le accuse, come un'esperienza eccezionale, una sorta di sbandamento intellettuale: ciò non fa che peggiorare la sua posizione: espulso dal PCI, perde il posto di insegnante, e si incrina momentaneamente il rapporto con la madre. Decide allora di fuggire da Casarsa, dal suo Friuli spesso mitizzato e insieme alla madre si trasferisce a Roma.

I primi anni romani sono dificilissimi, proiettato in una realtà del tutto nuova e inedita quale quella delle borgate romane. Sono tempi d'insicurezza, di povertà, di solitudine.

Pasolini, piuttosto che chiedere aiuto ai letterati che conosce, cerca di trovarsi un lavoro da solo. Tenta la strada del cinema, ottenendo la parte di generico a Cinecittà, fa il correttore di bozze e vende i suoi libri nelle bancarelle rionali.

Finalmente, grazie al poeta il lingua abbruzzese Vittori Clemente trova lavoro come insegnante in una scuola di Ciampino.

Sono gli anni in cui, nelle sue opere letterarie, trasferisce la mitizzazione delle campagne friulane nella cornice disordinata della borgate romane, viste come centro della storia, da cui prende spunto un doloroso processo di crescita. Nasce insomma il mito del sottoproletariato romano.

Prepara le antologie sulla poesia dialettale; collabora a "Paragone", una rivista di Anna Banti e Roberto Longhi. Proprio su "Paragone", pubblica la prima versione del primo capitolo di "Ragazzi di vita".

Angioletti lo chiama a far parte della sezione letteraria del giornale radio, accanto a Carlo Emilio Gadda, Leone Piccioni e Giulio Cartaneo. Sono definitivamente alle spalle i difficili primi anni romani. Nel 1954 abbandona l'insegnamento e si stabilisce a Monteverde Vecchio. Pubblica il suo primo importante volume di poesie dialettali: "La meglio gioventu'".

Nel 1955 viene pubblicato da Garzanti il romanzo "Ragazzi di vita", che ottiene un vasto successo, sia di critica che di lettori. Il giudizio della cultura ufficiale della sinistra, e in particolare del PCI, è però in gran parte negativo. Il libro viene definito intriso di "gusto morboso, dello sporco, dell'abbietto, dello scomposto, del torbido.."

La Presidenza del Consiglio (nella persona dell'allora ministro degli interni, Tambroni) promuove un'azione giudiziaria contro Pasolini e Livio Garzanti. Il processo da' luogo all'assoluzione "perche' il fatto non costituisce reato". Il libro, per un anno tolto alle librerie, viene dissequestrato. Pasolini diventa però uno dei bersagli preferiti dai giornali di cronaca nera; viene accusato di reati al limite del grottesco: favoreggiamento per rissa e furto; rapina a mano armata ai danni di un bar limitrofo a un distributore di benzina a S. Felice Circeo.
La passione per il cinema lo tiene comunque molto impegnato. Nel 1957, insieme a Sergio Citti, collabora al film di Fellini, "Le notti di Cabiria", stendendone i dialoghi nella parlata romana, poi firme sceneggiature insieme a Bolognini, Rosi, Vancini e Lizzani, col quale esordisce come attore nel film "Il gobbo" del 1960.
In quegli anni collabora anche alla rivista "Officina" accanto a Leonetti, Roversi, Fortini, Romano', Scalia. Nel 1957 pubblica i poemetti "Le ceneri di Gramsci" per Garzanti e, l'anno successivo, per Longanesi, "L'usignolo della Chiesa cattolica". Nel 1960 Garzanti pubblica i saggi "Passione e ideologia", e nel 1961 un altro volume in versi "La religione del mio tempo".

Nel 1961 realizza il suo primo film da regista e soggettista, "Accattone". Il film viene vietato ai minori di anni diciotto e suscita non poche polemiche alla XXII mostra del cinema di Venezia. Nel 1962 dirige "Mamma Roma". Nel 1963 l'episodio "La ricotta" (inserito nel film a più mani "RoGoPaG"), viene sequestrato e Pasolini e' imputato per reato di vilipendio alla religione dello Stato. Nel '64 dirige "Il vangelo secondo Matteo"; nel '65 "Uccellacci e Uccellini"; nel '67 "Edipo re"; nel '68 "Teorema"; nel '69 "Porcile"; nel '70 "Medea"; tra il '70 e il '74 la triologia della vita, o del sesso, ovvero "Il Decameron", "I racconti di Canterbury" e "Il fiore delle mille e una notte"; per concludere col suo ultimo "Salo' o le 120 giornate di Sodoma" nel 1975.

Il cinema lo porta a intraprendere numerosi viaggi all'estero: nel 1961 e', con Elsa Morante e Moravia, in India; nel 1962 in Sudan e Kenia; nel 1963 in Ghana, Nigeria, Guinea, Israele e Giordania (da cui trarrà un documentario dal titolo "Sopralluoghi in Palestina").

Nel 1966, in occasione della presentazione di "Accattone" e "Mamma Roma" al festival di New York, compie il suo primo viaggio negli Stati Uniti; rimane molto colpito, soprattutto da New York. Nel 1968 e' di nuovo in India per girare un documentario. Nel 1970 torna in Africa: in Uganda e Tanzania, da cui trarrà il documentario "Appunti per un'Orestiade africana".

Nel 1972, presso Garzanti, pubblica i suoi interventi critici, soprattutto di critica cinematografica, nel volume "Empirismo eretico".
Essendo ormai i pieni anni settanta, non bisogna dimenticare il clima che si respirava in quegli anni, ossia quello della contestazione studentesca. Pasolini assume anche in questo caso una posizione originale rispetto al resto della cultura di sinistra. Pur accettando e appoggiando le motivazioni ideologiche degli studenti, ritiene in fondo che questi siano antropologicamente dei borghesi destinati, in quanto tali, a fallire nelle loro aspirazioni rivoluzionarie.

Tornando ai fatti riguardanti la produzione artistica, nel 1968 ritira dalla competizione del Premio Strega il suo romanzo "Teorema" e accetta di partecipare alla XXIX mostra del cinema di Venezia solo dopo che, come gli viene garantito, non ci saranno votazioni e premiazioni. Pasolini è tra i maggiori sostenitori dell'Associazione Autori Cinematografici che si batte per ottenere l'autogestione della mostra. Il 4 settembre il film "Teorema" viene proiettato per la critica in un clima arroventato. L'autore interviene alla proiezione del film per ribadire che il film è presente alla Mostra solo per volontà del produttore ma, in quanto autore, prega i critici di abbandonare la sala, richiesta che non viene minimamente rispettata. La conseguenza è che Pasolini si rifiuta di partecipare alla tradizionale conferenza stampa, invitando i giornalisti nel giardino di un albergo per parlare non del film, ma della situazione della Biennale.

Nel 1972 decide di collaborare con i giovani di Lotta Continua, ed insieme ad alcuni di loro, tra cui Bonfanti e Fofi, firma il documentario 12 dicembre. Nel 1973 comincia la sua collaborazione al "Corriere della sera", con interventi critici sui problemi del paese. Presso Garzanti, pubblica la raccolta di interventi critici "Scritti corsari", e ripropone le poesia friulana in una forma del tutto peculiare sotto il titolo di "La nuova gioventu'".

La mattina del 2 novembre 1975, sul litorale romane ad Ostia, in un campo incolto in via dell'idroscalo, una donna, Maria Teresa Lollobrigida, scopre il cadavere di un uomo. Sarà Ninetto Davoli a riconoscere il corpo di Pier Paolo Pasolini. Nella notte i carabinieri fermano un giovane, Giuseppe Pelosi, detto "Pino la rana" alla guida di una Giulietta 2000 che risulterà di proprietà proprio di Pasolini. Il ragazzo, interrogato dai carabinieri, e di fronte all'evidenza dei fatti, confessa l'omicidio. Racconta di aver incontrato lo scrittore presso la Stazione Termini, e dopo una cena in un ristorante, di aver raggiunto il luogo del ritrovamento del cadavere; lì, secondo la versione di Pelosi, il poeta avrebbe tentato un approccio sessuale, e vistosi respinto, avrebbe reagito violentemente: da qui, la reazione del ragazzo.

Il processo che ne segue porta alla luce retroscena inquietanti. Si paventa da diverse parti il concorso di altri nell'omicidio ma purtroppo non vi sarà arriverà mai ad accertare con chiarezza la dinamica dell'omicidio. Piero Pelosi viene condannato, unico colpevole, per la morte di Pasolini.

Il corpo di Pasolini è sepolto a Casarsa.

(biografie.leonardo.it)
Agrumica
00giovedì 13 ottobre 2005 12:51
Re: "cominciamo dall'inizio": una biografia sufficientemente completa...

Scritto da: bradiporosso 13/10/2005 11.42

di fronte all'evidenza dei fatti

(biografie.leonardo.it)



si, l'evidenza che NON poteva essere stato solo lui

CorContritumQuasiCinis
00venerdì 14 ottobre 2005 18:18
da "L'espresso" del 9 novembre 1975

La storia e la personalità di Pier Paolo Pasolini raccontate da Valerio Riva, Cristina Mariotti, Alberto Moravia, Umberto Eco, Giovanni Testori, e dal poeta stesso
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Povero Cristo,
di Valerio Riva


"Coscientemente ho cercato la morte dopo una breve giovinezza, che pure a me pare eterna, essendo l'unica, l'insostituibile che io avessi avuto in sorte. Coscientemente ho rinunciato all'inenarrabile gioia di essere al mondo... ma ho pagato questa rinuncia con uno strazio tale che solo un vivo può comprenderlo". Queste parole, di trent'anni fa, Pier Paolo Pasolini le scrisse, idealmente, a nome di suo fratello Guido, ucciso il 7 febbraio 1945 nel tragico eccidio di Porzùs, nel Friuli. Le ritrova per me Giuseppe Zigaina, il pittore di Cervignano intimo amico di Pasolini: l'altro giorno, frugando tra le pubblicazioni di quella "Academiuta" (a metà tra scuola dominicale e accademia folclorica) che Pasolini aveva fondato a Casarsa, gli sono capitate sott'occhio: una specie di testamento spirituale vergato, oltre la morte, dalla pietà fraterna. Poi è squillato il telefono con l'annuncio della morte dell'amico, e Zigaina è partito per Roma. Adesso si rigira in mano questa paginetta: "Credo", dice assorto Zigaina, "che se potesse, dopo la morte, Pier Paolo riscriverebbe le stesse parole per sé". E mi sottolinea una seconda frase: "Non c'è confronto possibile fra tutto ciò che è di codesta vita e il silenzio terribile della morte..."; e Pasolini è precipitato anche lui nel silenzio terribile della morte, e queste frasi suonano come una straziante, impossibile invocazione alla felicità da parte di uno che era troppo diverso dagli altri. "Ma è mai stato felice, quest'uomo?" chiedo allora a Zigaina e a Nico Naldini, il cugino e l'amico fedelissimo di Pasolini, dall'infanzia ad oggi. Mi rispondono tutti e due, senza esitare: "È stato anche molto felice. Ma poche volte".
54 anni di vita, la maggior parte dei quali triturati dal rovello di sentirsi respinto e offeso fin nell'attimo in cui la gloria più sembrava arridergli; un'adolescenza spezzata da una tragedia familiare (la morte del fratello, lo strazio della madre, il rancore del padre); una giovinezza difficile; una maturità accidentata dalle polemiche e dai processi, lui che era un uomo così mite e riguardoso. E solo due o tre momenti di grande, totale, solare felicità.
Il primo di quei momenti è il tempo del Friuli, di Casarsa della Delizia, dove si era trasferito, da Bologna, al seguito del padre ufficiale di carriera e della madre maestra. La campagna e i giochi dei ragazzi lungo gli argini; la montagna e le pazze corse con gli sci; la poesia che nasce. È un mondo perfetto dove l'entusiasmo del ragazzo molto dotato si dilata quasi senza costrizioni, trasformando l'innocenza infantile e la scoperta della sessualità nel mito di una paidìa trionfante. Il 7 febbraio 1945 quel mondo s'incrina, ma non si spezza. La morte del fratello Guido è brutale, in un modo che quasi preconizza la morte di Pier Paolo. Membro di una formazione di partigiani "bianchi" del Friuli, Guido è ucciso nello sterminio del comando della "Osoppo" per opera di garibaldini, cioè comunisti, persuasi (a torto) che gli osovani avessero avuto intelligenza col nemico. La morte di Guido è uno strazio: ferito, fugge, cerca scampo in casa d'una donna, è scovato, trasportato altrove in fin di vita e sterminato. Da qui cominciano per il fratello sopravvissuto il calvario e l'apoteosi.
Per una misteriosa rivalsa, Pasolini si avvicina proprio ai comunisti, affascinato da un episodio di lotta di classe dell'immediato dopoguerra: le lotte bracciantili all'epoca del lodo De Gasperi. Al quasi ellenistico idillio originale si sovrappone e si fonde la felicità di sentirsi profeta e vate d'un pezzo di popolo, che si ritrova nella propria lingua e nel proprio orgoglio. Ma l'arcadia, anche sociale, non è possibile. Vigilia delle elezioni del 18 aprile '48: un ragazzetto confessa al parroco d'aver avuto rapporti sessuali con Pasolini: il prete, violando il segreto del confessionale, corre a raccontarlo a quelli della Dc; i giornali cattolici sbandierano il fatto a prova della protervia comunista. Frettolosamente il Pci locale prende le distanze dallo scomodo poetino. Pasolini ha 28 anni. Fugge a Roma. Due anni di miseria, di umiliazione, di non lavoro o di lavori malpagati. Eppure è il suo secondo periodo di grande felicità. Giorno e notte percorre in lungo e in largo la Roma barocca, e il suo fasto, e la Roma popolare, e la sua triviale e insieme inesauribile fantasia. Una realtà sontuosa e stracciona, gloriosa e bieca; ma Pasolini è un re Mida che trasforma il mondo che tocca.
Il suo eros, la sua forza fisica, la sua gioia di vivere sembrano non avere limitazioni; l'umiliazione del '48 pare dimenticata. Ma la gloria e i processi che gli arrivano a metà degli anni Cinquanta, con Ragazzi di vita, lo spingono in una "diversità" che più lo imprigiona e più gli sembra oscena, disumana. "Diverso" com'è per costrizione sociale, da questo momento lotterà disperatamente per non rinnegare se stesso. Ma come i suoi "Riccetti" non riescono a uscire dall'adolescenza se non con la morte, così per Pasolini le soluzioni ottimistiche di Una vita violenta (diventare un buon "compagno") non risolvono nulla. Il terzo e ultimo momento di felicità è quello della scoperta della sopravvivenza del sottoproletariato nel Terzo mondo, in Arabia, in Africa, e dell'eros panico che ancora vi fiorisce. Ma è una felicità di ritorno. Il ricordo della friulana felicità originaria gli dà l'illusione che l'estremo attimo fosse fatto durare. Ma, anche questo paradiso cambia rapidamente. È il tempo che ormai manca a Pasolini.
A metà degli anni Cinquanta Pasolini visitava la realtà 24 ore su 24; nel '60, come scrisse, vi dedicava l'intero pomeriggio e la notte; nei giorni che hanno preceduto la sua morte, non gli rimaneva, per andare in cerca della sua realtà differente da quella di tutti gli altri, se non qualche ora notturna. A Parigi, il giorno prima di morire, racconta Philippe Bouvard, guardava sempre l'orologio: veniva da Stoccolma, aveva fretta di tornare a Roma. A Roma, quel giorno fatale, ebbe troppi impegni. Quel paio d'ore, tra le 22, quando lasciò Ninetto Davoli e la famiglia, e l'una circa in cui morì, erano un tempo troppo breve per la felicità.


In quel mucchietto di stracci insanguinati,
di Cristina Mariotti


"Ma chi è quer fijo de mignotta che ha scaricato 'sta monnezza sotto casa mia?, me so' detta appena l'ho visto: pareva un sacco di stracci. E invece era n'omo. Morto". Sono le 6,30 di domenica 2 novembre quando Maria Teresa Lollobrigida in Principessa, in gita con la famiglia nella sua villetta abusiva al centro della baraccopoli più squallida di Ostia, denuncia ai carabinieri la sua scoperta. Ci vorranno altre due ore prima che "il sacco di stracci" venga identificato in "Pasolini Pier Paolo, di Carlo, anni 53, nato a Bologna, residente a Roma, di professione scrittore e cineasta (precedenti penali fascicolo modello 22 cfr. archivio della squadra mobile)". Il regista, lo scrittore, il poeta, il "diverso" geniale e famoso è fissato dal mattinale dei carabinieri nella sua ultima e più drammatica dimensione: quella di un omosessuale morto ammazzato. Scena del delitto: via dell'Idroscalo, a Ostia. È un tortuoso percorso di terra battuta che separa le baracche "per tutte le stagioni" dei senza tetto, dalle "baracche per l'estate" dei sottoproletari romani tirate su abusivamente "per far fare un po' di mare ai bambini". A pochi metri dalla spiaggia, una sottile fettina di sabbia nera e sporca, via dell'Idroscalo si apre a destra in uno sterrato che i ragazzi del posto hanno trasformato in un rudimentale campo di calcio: alle due estremità quattro tubi metallici simulano le "porte". È qui che Pasolini è stato aggredito, colpito, massacrato a colpi di trave dal suo giovanissimo partner nella notte tra il sabato e la domenica. Ha tentato di salvarsi fuggendo e ha tracciato sulla ghiaia con il sangue il disperato percorso. È stato finito poco oltre, schiacciato dall'assassino sotto le ruote della sua stessa macchina. "La vittima", si legge nel verbale degli inquirenti, "giace bocconi con le mani unite sotto il torace; presenta ferite da corpo contundente sulla nuca e sulla faccia, abbondanti emorragie e fuoruscita di sostanza cerebrale; sopra la schiena tracce di pneumatici... indossa una canottiera verde, blu jeans, calzini marrone, stivaletti marrone, biancheria ordinaria..,". "Strano", commenterà un brigadiere, "uno come lui era più logico pensarlo in mutandine dl seta". Ma chi ha ucciso Pier Paolo Pasolini? E perché? Via via le risposte si dipanano sul filo di due storie apparentemente parallele.
Sono le due di sabato notte, sul lungomare Duilio, a Ostia, una Giulia grigia sfreccia a 170 all'ora. Una "gazzella" dei carabinieri si butta all'inseguimento: eccesso di velocità. La corsa della Giulia "Gt" si arresta contro un muro. Il guidatore è un minorenne "inquieto": Giuseppe Pelosi, 17 anni, precedenti per furto. Quando si vede braccato resiste, tenta la fuga. Ma inutilmente. Viene acciuffato e incriminato per furto: l'auto, che risulta intestata a Pier Paolo Pasolini, è stata rubata. Di qui, parte un sorprendente giallo ad incastro. Primo pezzo: un appuntato telefona a casa del regista, a via Eufrate all'Eur, per segnalare il ritrovamento della Giulia. Risponde la governante. È sorpresa che Pasolini non sia ancora rientrato: "Di solito", dice, "se tarda avverte". Secondo pezzo. Il ragazzo si ricorda all'improvviso di aver perduto un anello: "forse è nella macchina", suggerisce ai carabinieri, poi lo descrive dettagliatamente: una pietra rossa incastonata tra due aquile dorate e sotto la scritta "United States Army", insomma, un oggetto più adatto a un "marine" che ad un romano di borgata. Terzo pezzo. L'anello in macchina non c'è. I carabinieri si fanno sospettosi: "Ma perché 'sto ragazzetto ci tiene tanto?", si chiedono. E ancora: "Come si fa a perdere un anello? Occorre prima sfilarlo dal dito. Tranne che qualcuno non ce lo tiri via. Magari durante una colluttazione". E il ladruncolo aveva, al momento dell'arresto, la camicia macchiata di sangue e una ferita sulla fronte. Si cerca di prendere tempo. Quando il brigadiere Cuzzupé batte a macchina l'ultima cartella del verbale, si è fatta l'alba. Poco dopo, la notizia che all'Idroscalo hanno trovato un morto. Nel sopralluogo, accanto al cadavere. della vittima, qualcuno vede brillare un anello. È esattamente quello descritto da Giuseppe Pelosi: il topo d'auto è anche l'assassino dell'Idroscalo? Poco dopo, Ninetto Davoli, arriverà per il riconoscimento. All'una di domenica Pelosi confessa. Ha ucciso Pasolini, dice, perché "non voleva stare al patti. Il maschio dovevo farlo solo io e non uno alla volta".
È questa la verità sulla fine di Pasolini? La sproporzione fra la statura del personaggio e la banalità della sua morte, per quanto prevedibile (tempo fa aveva confidato a Moravia: "sai ogni volta che esco per una 'battuta' sento di rischiare la vita"), ha fatto nascere in qualcuno dei dubbi. I due si conoscevano? È questa la prima domanda. Se la risposta fosse affermativa, anche l'ipotesi di un delitto diverso, una vendetta di gruppo o magari un delitto politico sarebbe meno irreale di quanto appaia a prima vista. Comunque, lo scenario della sua morte se l'è scelto lui: una squallida baraccopoli, all'aperto. "Conosceva la zona perché forse ci voleva girare un film", ha osservato il capitano dei carabinieri Tommasselli. "Sì, e come no?", ha rintuzzato un cronista con eschimo, "e sai il titolo? 'Ciak, si gira il mio assassinio'".


Ma che cosa aveva in mente?,
di Alberto Moravia


Chi era, che cercava Pasolini? In principio c'è stata, perché non ammetterlo?, l'omosessualità, intesa però nella stessa maniera dell'eterosessualità: come rapporto con il reale, come filo di Arianna nel labirinto della vita. Pensiamo un momento solo alla fondamentale importanza che ha sempre avuto nella cultura occidentale l'amore; come dall'amore siano venute le grandi costruzioni dello spirito, i grandi sistemi conoscitivi; e vedremo che l'omosessualità ha avuto nella vita di Pasolini lo stesso ruolo che ha avuto l'eterosessualità in quella di tante vite non meno intense e creative della sua.
Accanto all'amore, in principio, c'era anche la povertà. Pasolini era emigrato a Roma dal Nord, si guadagnava la vita insegnando nelle scuole medie della periferia. È in quel tempo che si situa la sua grande scoperta: quella del sottoproletariato, come società rivoluzionaria, analoga alle società protocristiane, ossia portatrice di un inconscio messaggio di ascetica umiltà da contrapporre alla società borghese edonista e superba. Questa scoperta corregge il comunismo, fino allora probabilmente ortodosso di Pasolini; gli dà il suo carattere definitivo. Non sarà, dunque, il suo, un comunismo di rivolta, e neppure illuministico; e ancor meno scientifico; né insomma veramente marxista. Sarà un comunismo populista, "romantico", cioè animato da una pietà patria arcaica, non comunismo quasi mistico, radicato nella tradizione e proiettato nell'utopia. È superfluo dire che un comunismo simile era fondamentalmente sentimentale (do qui alla parola "sentimentale" un senso esistenziale, creaturale e irrazionale). Perché sentimentale? Per scelta, in fondo, culturale e critica; in quanto ogni posizione sentimentale consente contraddizioni che l'uso della ragione esclude. Ora Pasolini aveva scoperto molto presto che la ragione non serve ma va servita. E che soltanto le contraddizioni permettono l'affermazione della personalità. Ragionare è anonimo; contraddirsi, personale.
Le cose stavano a questo punto quando Pasolini scrisse Le ceneri di Gramsci, La religione del nostro tempo, Ragazzi di vita, Una vita violenta e esordì nel cinema con Accattone. In quel periodo, che si può comprendere tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, Pasolini riuscì a fare per la prima volta nella storia della letteratura italiana qualche cosa di assolutamente nuovo: una poesia civile di sinistra. La poesia civile era sempre stata a destra in Italia, almeno dall'inizio dell'Ottocento a oggi, cioè da Foscolo, passando per Carducci su su fino a D'Annunzio. I poeti italiani del secolo scorso avevano sempre inteso la poesia civile in senso repressivo, trionfalistico ed eloquente. Pasolini riuscì a compiere un'operazione nuova e oltremodo difficile: il connubio della moderna poesia decadente con l'utopia socialista. Forse una simile operazione era riuscita in passato soltanto a Rimbaud, poeta della rivoluzione e tuttavia, in eguale misura, poeta del decadentismo. Ma Rimbaud era stato assistito da tutta una tradizione giacobina e illuministica. La poesia civile di Pasolini nasce invece miracolosamente in una letteratura da tempo ancorata su posizioni conservatrici, in una società provinciale e retriva.
Questa poesia civile raffinata manieristica ed estetizzante che fa ricordare Rimbaud e si ispirava a Machado e ai simbolisti russi, era tuttavia legata all'utopia di una rivoluzione sociale e spirituale che sarebbe venuta dal basso, dal sottoproletariato, quasi come una ripetizione di quella rivoluzione che si era verificata duemila anni or sono con le folle degli schiavi e dei reietti che avevano abbracciato il cristianesimo. Pasolini supponeva che le disperate e umili borgate avrebbero coesistito a lungo, vergini e intatte con i cosiddetti quartieri alti, fino a quando non fosse giunto il momento maturo per la distruzione di questi e la palingenesi generale: pensiero, in fondo, non tanto lontano dalla profezia di Marx secondo il quale alla fine non ci sarebbero stati che un pugno di espropriatori e una moltitudine di espropriati che li avrebbero travolti. Sarebbe ingiusto dire che Pasolini aveva bisogno, per la sua letteratura, che la cosa pubblica restasse in questa condizione; più corretto è affermare che la sua visione del mondo poggiava sull'esistenza di un sottoproletariato urbano rimasto fedele, appunto, per umiltà profonda e inconsapevole, al retaggio di un'antica cultura contadina.
Ma a questo punto è sopravvenuto quello che, in maniera curiosamente derisoria, gli italiani chiamano il "boom" , cioè si è verificata ad un tratto l'esplosione del consumismo. E cos'è successo col "boom" in Italia, e per contraccolpo nella ideologia di Pasolini? È successo che gli umili, i sottoproletari di Accattone e di Una vita violenta, quegli umili che nella Passione secondo Matteo Pasolini aveva accostato ai cristiani delle origini, invece di creare i presupposti di una rivoluzione apportatrice di totale palingenesi, cessavano di essere umili nel duplice senso di psicologicamente modesti e di socialmente inferiori per diventare un'altra cosa. Essi continuavano naturalmente ad essere miserabili, ma sostituivano la scala di valori contadina con quella consumistica. Cioè, diventavano, a livello ideologico, dei borghesi. Questa scoperta della borghesizzazione dei sottoproletari è stata per Pasolini un vero e proprio trauma politico, culturale e ideologico. Se i sottoproletari delle borgate, i ragazzi che attraverso il loro amore disinteressato gli avevano dato la chiave per comprendere il mondo moderno, diventavano ideologicamente dei borghesi prim'ancora di esserlo davvero materialmente, allora tutto crollava, a cominciare dal suo comunismo populista e cristiano. I sottoproletari del Quarticciolo erano, oppure aspiravano, il che faceva lo stesso, ad essere dei borghesi; allora erano o aspiravano a diventare borghesi anche i sovietici che pure avevano fatto la rivoluzione nel 1917, anche i cinesi che avevano lottato per più di un secolo contro l'imperialismo, anche i popoli del Terzo mondo che una volta si erano configurati come la grande riserva rivoluzionaria del mondo. Non è esagerato dire che il comunismo irrazionale di Pasolini non si è più risollevato dopo questa scoperta. Pasolini è rimasto, questo sì, fedele all'utopia, ma intendendola come qualche cosa che non aveva più alcun riscontro nella realtà e che di conseguenza era una specie di sogno da vagheggiare e da contemplare ma non più da realizzare e tanto meno da difendere e imporre come progetto alternativo e inevitabile.
Da quel momento Pasolini non avrebbe più parlato a nome dei sottoproletari contro i borghesi, ma a nome di se stesso contro l'imborghesimento generale. Lui solo contro tutti. Di qui l'inclinazione a privilegiare la vita pubblica, purtroppo borghese, rispetto alla vita interiore, legata all'esperienza dell'umiltà. Nonché una certa ricerca dello scandalo non già a livello del costume ma a quello della ragione. Pasolini non voleva scandalizzare la borghesia, troppo consumistica ormai per non consumare anche lo scandalo. Lo scandalo era diretto contro gli intellettuali, che, loro sì, non potevano fare a meno di credere ancora nella ragione. Di qui pure un continuo intervento nella discussione pubblica, basato su una sottile e brillante ammissione, difesa e affermazione delle proprie contraddizioni. Ancora una volta Pasolini si teneva alla propria esistenzialità, alla propria creaturalità. Solo che un tempo l'aveva fatto per sostenere l'utopia del sottoproletariato salvatore del mondo; e oggi lo faceva per criticare la società consumista e l'edonismo di massa. Aveva scoperto che il consumismo era penetrato ormai ben dentro l'amata civiltà contadina. Ciononostante, questa scoperta non l'aveva allontanato dai luoghi e dai personaggi che un tempo, grazie ad una straordinaria esplosione poetica, l'avevano così potentemente aiutato a crearsi la propria visione del mondo. Affermava in pubblico che la gioventù era immersa in un ambiente criminaloide di massa; ma in privato, a quanto pare, si illudeva pur sempre che ci potessero essere delle eccezioni a questa regola. La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nei suoi romanzi e nei suoi film, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un'epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile.


Perché non sempre eravamo d'accordo,
di Umberto Eco


Quando ho sentito la notizia alla radio ho avuto un primo moto di rimorso: mesi fa, a proposito del suo articolo sull'aborto, lo avevo attaccato con cosciente cattiveria, e lui se ne era molto risentito, contrattaccando (una sola battuta nel corso di un'intervista) con altrettanta cattiveria. E al saperlo morto ammazzato, così bruttamente, ho avuto un sentimento di colpa, come se quei segni sul suo corpo fossero le tracce di un lungo linciaggio, a cui anch'io avevo preso parte.
Poi mi sono reso conto che non era quello il punto. Lottatore per vocazione, per rabbia e per baldanza, Pasolini l'attacco lo cercava, lo stimolava quando la reattività pubblica si assopiva, si sentiva vivo solo quando poteva dire: "Perché mi sparate addosso?".
Lui sosteneva: la società mi lincia perché sono diverso, e certo il primo moto di ribellione gli era venuto dal sentirsi respinto ai margini per quella sua diversità sessuale che esponeva a tutti i venti con esasperata sincerità. Ma questa stessa sincerità lo aveva, per così dire, autorizzato a gestire pubblicamente la sua diversità. Certo, la società non perdona mai del tutto ai diversi, se non li punisce li ricatta con l'ironia, ma lui avrebbe almeno potuto sentirsi in fase di armistizio. E invece dall'esperienza originaria della diversità sessuale, gli era venuto l'altro impulso (forse più sublimato, o più socializzato, non so) a crearsi una situazione di diversità ad oltranza. Con un fiuto rabbioso per le posizioni impopolari. Una vocazione alla emarginazione, dunque, a dispetto del successo, anzi usando il successo come frombola per lanciare altre provocazioni che obbligassero gli altri a sparargli addosso. Un gioco pericoloso, sul filo della corda, dove le idee che metteva in questione contavano sino a un certo punto, talora erano tipiche scelte teatrali: il gioco del Bastian contrario. Si diceva una volta, per scherzo, che un giorno avrebbe affermato che i poveri sono cattivi per avere la soddisfazione di vedersi svillaneggiato da tutti: bene, lo ha fatto.
Era qualcosa di più di una vocazione masochistica, qualcosa di più ambizioso e di più tragico: una mimesi mistica del Crocifisso, naturalmente a testa in giù, nella scia di quegli gnostici che asserivano che il Figlio per arrivare alla purificazione, avesse dovuto commettere tutti i peccati possibili. Se questo è vero, egli era l'ultima personificazione di un superomismo romantico, il poeta che vive di persona il proprio ideale estetico; salvo che l'esteta della decadenza incarnava sogni di gloria fastosa ed egli invece sogni di spaesamento e persecuzione; quindi se modello c'era, era Rimbaud e non D'Annunzio: anche nel successo egli aveva scelto di testimoniare l'emarginazione. La conoscenza primitiva della emarginazione sua e altrui lo aveva segnato per la vita, così che non poteva più rifiutarsi a questo gioco, anche se la società era disposta a integrarlo. Anche in questo è stato contraddittoriamente coerente, astuto come il serpente e candido come la colomba. Ciò che lo limita è semmai il fatto che avesse deciso di emarginarsi come testimone dei propri umori e non come portavoce di una coscienza collettiva. Di qui l'esito oggettivamente regressivo di certi suoi appelli eversivi: il confondere la società futura con una società "naturale", adolescente e incontaminata solo nei suoi ricordi privati. Che è poi il rischio del poeta quando presenta la memoria come utopia. Di qui le sue lucciole pauperistiche, i paradossi di un paternalismo preindustriale tutto sommato più "naturale" del consumismo tecnologico. Ma è che la violenza positiva del suo messaggio non stava nei contenuti, bensì negli effetti di cattiva coscienza che riusciva a produrre. Erano un pretesto per essere rintuzzato e testimoniare così che l'emarginazione esisteva ancora. Segno di contraddizione, il suo genio consisteva nell'impostare il gioco in modo che a contestarlo ci si cadeva dentro. Anche ora, dopo la sua morte. All'obiezione: "Sei morto come uno dei tuoi personaggi, non sei contento?", egli risponderebbe: "Sono morto, siete contenti?". E a dirgli: "Hai cercato di mostrarci che il mondo della borgata selvaggia del dopoguerra era più puro e mite di quello della borgata consumistica, e sei morto in un episodio da borgata all'antica", egli obietterebbe: "Parlavo della violenza di oggi e sono morto oggi, mi ha ucciso la vostra violenza che mi ha spinto a una ricerca impossibile".
Allora, per uscire dal suo gioco, non resta che vedere se si può utilizzare la sua morte come lezione che non riguardi lui solo. Ci provo. Egli ci ha ripetuto che c'erano dei diversi respinti ai margini, e che non avremmo mai capito appieno la loro sofferenza. La sua morte ci ricorda che, per quanto rispettato dalla società, un diverso deve pur sempre tentare la sua ricerca in luoghi oscuri, dove c'è violenza, rabbia e paura (la stessa del ragazzetto che fugge come un pazzo sulla macchina della sua vittima). E se i diversi che hanno il coraggio di definirsi tali devono ancora rifugiarsi ai margini, come i diversi che hanno paura, questo significa che la società non ha ancora imparato ad accettare né gli uni né gli altri, anche se fa finta di sì.
Certo Pasolini avrebbe potuto permettersi di vivere la sua diversità altrove che non alla macchia. Può darsi abbia voluto continuare a farlo per orgoglio. Ora ci impone un esame di coscienza fatto con umiltà.

CorContritumQuasiCinis
00venerdì 14 ottobre 2005 18:22
... segue
A rischio della vita,
di Giovanni Testori


Sull'atroce morte di Pasolini s'è scritto tutto; ma sulle ragioni per cui egli non ha potuto non andarle incontro, penso quasi nulla. Cosa lo spingeva, la sera o la notte, a volere e a cercare quegli incontri? La risposta è complessa, ma può agglomerarsi, credo, in un solo nodo e in un solo nome: la coscienza e l'angoscia dell'essere diviso, dell'essere soltanto una parte dl un'unità che, dal momento del concepimento, non è più esistita; insomma, la coscienza e l'angoscia dell'essere nati e della solitudine che fatalmente ne deriva. La solitudine, questa cagna orrenda e famelica che ci portiamo addosso da quando diventiamo cellula individua e vivente e che pare privilegiare coloro che, con un aggettivo turpe e razzista, si ha l'abitudine di chiamare "diversi".
Allora, quando Il lavoro è finito (e, magari, sembra averci ammazzati per non lasciarci più spazio altro che per il sonno e magari neppure per quello); quando ci si alza dai tavoli delle cene perché gli amici non bastano più; quando non basta più nemmeno la figura della madre (con cui, magari, s'è ingaggiata, scientemente o incoscientemente, una silenziosa lotta o intrico d'odio e d'amore) e si resta lì, soli, prigionieri senza scampo, dentro la notte che è negra come il grembo da cui veniamo e come il nulla verso cui andiamo, comincia a crescere dentro di noi un bisogno infinito e disperante di trovare un appoggio, un riscontro; di trovare un "qualcuno"; quel "qualcuno" che ci illuda, fosse pure per un solo momento, dl poter distruggere e annientare quella solitudine; di poter ricomporre quell'unità lacerata e perduta. Gli occhi, quegli occhi; la bocca, quella bocca; i capelli, quei capelli; il corpo, quel corpo; e l'inesprimibile ardore che ogni essere giovane sprigiona da sé, come se in esso la coscienza di quella divisione non fosse ancora avvenuta, come se lui, proprio lui, fosse l'altra parte che da sempre ci è mancata e ci manca. Mettere dl fronte a queste disperate possibilità e a queste disperate speranze il pericolo, fosse pure quello della morte, non ha senso. Io penso che non s'abbia neppure il tempo per fare dì questi miseri calcoli; tanto violento è il bisogno di riempire quel vuoto e di saldare o almeno fasciare quella ferita.
Del resto, chi potrebbe segnalarci che dentro quegli occhi, dentro quella bocca, quei capelli e quel corpo, si nasconde un assassino? Nella mutezza del cosmo queste segnalazioni non arrivano; e anche se arrivassero, torno a ripetere che il bisogno di vincere quell'angoscia risulterebbe ancora più forte e ci vieterebbe d'intendere.
Si parte; e non si sa dove s'arriva. Per sere e sere, una volta avvenuto l'incontro, l'illusione riprecipita in se stessa. Ma nella liberazione fisica s'è ottenuta una sorta di momentanea requie; o pausa; o riposo. La sera seguente tutto riprende; giusto come riprende il buio della notte. E così gli anni passano. La distanza dal punto in cui l'unità perduta è diventata coscienza si fa sempre maggiore, mentre sempre minore diventa quella che ci separa dal reingresso finale nella "nientità" della morte; e dalle sue implacabili interrogazioni. Le ombre, allora, s'allungano; più difficile si rende la possibilità che quell'incontro infinite volte cercato, finalmente si verifichi; più difficile, ma non meno febbricitante e divorante. La vicinanza della morte chiama ancora più vita; e questo più o troppo di vita che cerchiamo fuori di noi, in quegli incontri, in quegli occhi, in quelle labbra, non fa altro che avvicinare ulteriormente la fine. Così chi ha voluto veramente e totalmente la vita può trovarsi più presto degli altri dentro le mani stesse della morte che ne farà strazio e ludibrio. A meno che il dolore non insegni la "via crucis" della pazienza. Ma è una cosa che il nostro tempo concede? E a prezzo di quali sacrifici, dl quali attese o di quali terribili e sanguinanti trasformazioni o assunzione di quegli occhi e di quelle labbra?


Il mio inferno,
di Pier Paolo Pasolini


Pier Paolo Pasolini si lasciò sfuggire per la prima volta l'accenno a un manoscritto che voleva riproporre i primi canti dell'Inferno dantesco, una sua Divina Mimesis, nella sala della Balla al Castello Sforzesco di Milano durante il festival dell'"Unità" del 1974 in un dibattito sui giovani. Nel gennaio dell'anno dopo, Pasolini sciolse il suo contratto con la Garzanti e passò all'Einaudi con cui pubblicò La nuova gioventù e Il padre selvaggio (apparso recentemente nei "SuperCoralli"). La divina Mimesis, che egli considerava a tutti gli effetti un libro compiuto, una specie di modello di rilettura dei classici su cui tornare magari in un secondo momento, uscirà a fine novembre nella collana "Einaudi Letteratura". Qui pubblichiamo, come anticipazione, il VII Canto: Pasolini-Dante, accompagnato da Pasolini-Virgilio, incontra una particolare specie dl peccatori: conformisti, piccolo-borghesi, uomini di cultura...

Prefazione. Dice Pasolini nella prefazione: "Do alle stampe oggi queste pagine come un "documento", ma anche per fare dispetto ai miei "nemici": infatti, offrendo loro una ragione di più per disprezzarmi, offro loro una ragione di più per andare all'inferno. Iconografia ingiallita: queste pagine vogliono avere la logica, meglio che di una illustrazione, di una, peraltro assai leggibile, 'poesia visiva'". P.P. Pasolini.

VII Cantica. Un cartello indicatore, nuovo di zecca, col paletto tinto di acrilico blu e il riquadro di rosso, portava la scritta alquanto deprimente: "Opera incremento pene infernali (Oipi) zona troppo continenti, o riduttivi, settore 1. Conformismo".
"In questa zona", mi disse la mia guida, vergognosamente, come sempre, per il terrore di decadere ai volgari dati di fatto, cosa che inceppava in lui la lingua e gliela sbriciolava nella gola, "in questa zona non vedrà pene, in senso figurativo, come dire... I conformisti piccolo-borghesi hanno compiuto anche, e insieme, peccati più atroci che quello di essere conformisti... Cioè: il conformismo fu la base necessaria dei loro peccati, l'indispensabile premessa. Per conformismo ci furono, ad esempio, dei religiosi praticanti, dei benpensanti del tutto dediti al lavoro e alla famiglia che finirono col farsi fare le fodere delle poltrone con la pelle degli ebrei gassati...". Quasi esausto per questa battuta, a suo modo conformista, cioè priva dell'impeto della novità scandalosa - prodotto diretto di una cultura, quella della resistenza, che egli sapeva bene trovarsi ormai in uno stato di piena istituzionalità - egli tacque per un po', e, aggrottato e colmo di pena, estrasse dal taschino dei calzoni un tubetto di optalidon e ne inghiottì una pillola. "Coloro che qui sono condannati, sotto questi cartelli", spiegò ancora, "non furono dei piccolo-borghesi se non per nascita, per definizione sociale eccetera. In realtà essi avevano, come si dice, gli strumenti necessari per conoscere il loro 'peccato', sapevano cioè come non essere conformisti. E invece lo furono". Camminammo per quella bella strada, alta sulla palude: le ringhiere di metallo bianco, i ponticelli svelti sulla belletta, e massicciate di cemento su cui, sotto, premeva folta e invincibile un'erba selvatica piena di ortiche. "In questo luogo", aggiunse laconicamente la guida, "la sola pena è esserci".
Una sbarra simile a quella dei passaggi a livello delle strade ferrate, o dei confini tra Stato e Stato, era abbassata, sulla strada, con le sue strisce bianche e rosse, appena dipinte, ancora odorose di vernice. Dietro la sbarra, la strada si allargava, diventava un immenso piazzale di asfalto, di quelli che si stendono davanti agli stadi o alle grandi piscine, per il posteggio di migliaia e migliaia di automobili: ma nelle ore in cui non c'è partita ed è il crepuscolo e, col crepuscolo il vuoto... Nient'altro se non l'asfalto e l'immensità, empiti dalla malinconia del sole che si ritira, e colpisce quasi accecante le cose vicine, mentre quelle lontane sfumano in un chiarore spettrale che le rende vaghe e senza limiti.
Accanto alla sbarra abbassata, c'era una costruzione di cemento, abbastanza sobria ed elegante: dietro, verso la distesa della palude, c'era perfino la parvenza di un giardino, all'inglese, sia pur triste come tutte le cose statali. Davanti a questa costruzione - ufficio di dogana e caserma - c'erano le demonie. Sì: in tutta quella nuova zona, come abbiamo visto a cura dell'Oipi, si stavano infatti sperimentando nuovi reparti di polizia infernale femminile. Evidentemente la mitezza dei peccatori di quel settore giustificava tale esperimento: si trattava per lo più di uomini di cultura, abituati a starsene zitti nei momenti di pericolo, e a parlare, soltanto a parlare, nei momenti di relativa tranquillità. Le demonie, come tutti i novizi, si prendevano il loro incarico molto a cuore. I loro occhi erano carichi di una luce nera e nemica, ancora peggiore dl quella dei demoni maschi. Il terrore di essere impari al compito le rendeva evidentemente feroci. Ci odiarono subito per l'eccezione a cui le costringemmo: cioè ad alzare le sbarre per far passare due estranei. Aprirono, e noi entrammo nel piazzale, parcheggio sconfinato senza una macchina, perduto nella penombra.
Quivi era radunata una grande folla di gente, tutta insieme. Fra la grande folla che, sparsa e divisa, nelle lunghe sere in cui tardano ad accendersi le luci, si ritrova, appunto, nei piazzali, nei parchi, sotto i castani estivi dei lungofiumi, nelle terrazze degli attici tra piante grasse, nelle distese dei tavoli dei bar all'aperto davanti ai chioschi dei quartieri ricchi. Oppure negli interni - già raccolti nell'aria della cena o dell'immediato dopocena - con le finestre ancora spalancate sul buio del crepuscolo appena sceso e minacciosamente dolce.
Come venuta appunto da tutti quei luoghi - dalle capitali, Roma, o Londra, o Parigi, o dalle grandi città di provincia - tutta quella gente era accalcata insieme, nell'ombra indistinta, sussurrando.
"Oh, Pasolini!", sentii chiamarmi, come per l'appunto ci si chiama tra la folla di un cocktail con gentilezza speciale. Quel bel "Oh, Pasolini" era molto dolce. Ma proprio autenticamente dolce. Non era nel settore degli ipocriti che mi trovavo. Si trattava di un gruppo di donne. No, di signore. Le guardai col mio sguardo miope, che, per la timidezza, si fece annoiato, o restio, o, in qualche modo, non riconoscendo, irriconoscente. "Tutta questa gente", disse il maestro, "ha peccato contro la grandezza del mondo quasi per istinto. La riduzione di tutto è avvenuta in loro per una specie di difesa... Ah", sospirò, "non erano in grado di raccontarsi la grande affabulazione... di fare gli orlandi e i donchisciotti", e sorrise, fiaccato ancora una volta dalla sua generosa incapacità a usare una lingua corrente, "e così, furono vas di riduzione..." Gli si tese la bocca nel sorriso da discorso da caffè, povero maestro mio, impavido, nell'assunzione a un livello di grande cultura e di grande passione, della banalità. E continuò, per pura gentilezza, per disinteressato amore della conoscenza: "È un peccato nato con la piccola borghesia, dopo la grande industrializzazione, dopo la conquista delle colonie. Prima, la gente piccola era piccola: non voleva esserlo. Insomma... tutta questa gente, per paura della grandezza, è istintivamente mancata di religione. Riduzione, spirito di riduzione, è mancanza di religione: questo è il grande peccato dell' epoca dell'odio. E infatti in nessun'altra parte dell'inferno vedrà tanta gente. Le masse, amico mio!, che hanno eletto a religione il non voler averne, senza saperlo".
Arrivò la demonia con la birra. Nemica, la pose sul tavolo, con lo scontrino, e se ne andò. "Avrai notato il grande numero delle donne... Eh, per forza. In loro la riduzione, come si dice, è antica come la specie: esse difendono la razza, oltre a sé, poverine. Ed è perciò che in esse il conformismo ha sempre una certa grandezza. È, in fondo, la loro religione. Ma i maschi!", e gli occhi gli si riempirono di una malinconia simile allo spasimo di un dolore fisico: era ben nota la facilità con cui gli si stringeva il cuore, e ora evidentemente il destino di quei maschi, che erano riusciti a portarsi nella tomba, intatta, la loro piccolezza di borghesi... di vas di riduzione... lo sconvolgeva.
"Beh, ciò che in tutto questo mi stringe il cuore è il pensiero di quanto odio è costata loro la salvaguardia della loro meschinità. Quelli che ha visto si sono limitati alla difesa di essa. Ma mai in tutta la storia si videro peccati così orrendi come quelli commessi dalla borghesia in questo secolo per difendere il proprio diritto a odiare la grandezza. Penso a Buchenwald e a Dachau, a Auschwitz e a Mauthausen". E ancora una volta la sua autentica indignazione era come stinta e umiliata dall'invecchiamento subito col trascorrere degli anni. Ma c'era. È con essa, in essa, ogni possibile vera poesia.
Così stemmo a lungo in silenzio, persi dalla commozione che dà la ripetizione - in speciali circostanze o in speciali stati d'animo - di qualche vecchia verità ancora buona. Era difficile interrompere la comunione che si era stabilita fra noi nell'indignazione, mite e conoscitiva: qualsiasi parola aggiunta sarebbe stata di inutile contorno...
Ma bisogna sempre interrompere tutti gli incanti anche quelli della mitezza e della conoscenza, i più sacri dell'uomo. Bisogna fare come faceva il Cristo dei vangeli che, appena stabilito un incanto - la pausa contemplativa dopo una parola che poteva essere senza fine interrogata e pensata in silenzio - ne stabiliva subito un altro, che non dava pace, quasi con crudeltà.
"Dopo questo Motel, comincia una parte a sé della zona dei riduttivi, un settore separato, come vedrà. Vi incontreremo, è vero, ancora dei riduttivi - o troppo continenti - ma in loro l'errore ha trovato una spiegazione e una coscienza: si è elevato in qualche modo alla dignità di religione. È tuttavia una religione degradata, perché, come le sarà facile capire, ha dovuto dare grandezza a una parte della realtà soltanto a patto di sacrificarne un'altra... Ma andiamo...".
Con fervore - con i suoi gesti di sportivo angosciato - si alzò, lasciò alle spalle il Motel, si avviò per la grande strada, coi suoi paracarri, la sua siepe centrale, i suoi marciapiedi, le sue linee divisorie ora unite ora tratteggiate, le sue piazzole d'emergenza, i suoi ponti eleganti sui sordidi, decrepiti canali di fango.
Ma man mano che ci avvicinavamo al confine, con la sua sbarra e la sua costruzione poliziesca, l'aria si faceva sempre più buia. Come una notte che scendesse all'improvviso, con la rapidità di un temporale. Tutto fu ingoiato dal buio. E si fece appena in tempo a vedere il cartello indicatore: il solito Oipi, seguito stavolta dalla scritta: "settore autonomo raziocinanti: irrazionali e razionali".
Le sbarre le sollevarono nel buio più fitto, al lume di sinistre pile, le demonie chiuse nel loro feroce silenzio di novizie: e ci lasciammo alle spalle il dardeggiare di quei lumi.
Camminavamo ormai, nel buio più fitto.
L'altra sfumatura del peccato della normalità (o della continenza), dopo quella del conformismo, è quella della volgarità. L'accezione di questa parola va forse precisata prima di entrare nel nuovo settore, appunto dei volgari, dietro le sbarre abbassate, con le diavole scontente, dagli occhi obliqui. La volgarità è il momento di pieno rigoglio del conformismo... L'ambiente che si parò davanti ai nostri occhi non era molto diverso da quello che avevamo lasciato. Nel regno delle ombre è naturalmente più difficile cogliere le differenze che ci sono tra Roma e Milano. Ma il verde della campagna e il grigiore del cielo erano quelli del Nord. Dietro la folla. che composta e decente, un po' provinciale, alzava, cosparso di qualche riso, il suo brusio, si sentiva la grande fossa contadina del Po in magra. In un ambiente simile, a Roma, per esempio in un ricevimento in Quirinale, con la luce sfacciata del pomeriggio che entra dai finestroni, c'è sempre qualcosa di un po' sporco e levantino per cui il cuore può stringersi. Qui no. Un conformista a Roma, in Quirinale, può anche mostrare, volente o nolente, i suoi punti deboli e le sue miserie... può mostrare, come un lebbroso, le sue piaghe, la sua povera immoralità purulenta, e può perciò suscitare un sorriso o un sospiro di pietà. Invece i volgari del Nord sono morali. Ciò che è repellente in essi è proprio tutto ciò che di lecito e consentito include il loro moralismo di solida tradizione.


L'altra vittima ha diciassette anni,
di Cristina Mariotti


Diciassette anni e quattro mesi. Nato al Prenestino, vissuto al Collatino, educato al Tiburtino; era l'incarnazione di quel modello di degradazione giovanile, "criminaloide" e cinica tante volte teorizzata e illustrata da Pasolini nei suoi più recenti interventi. Pino Pelosi era "buono come il pane", dicono di lui i suoi amici. Figlio di un commesso e di una curatissima e giovanile "colf" a ore, non aveva mai avuto altri messaggi pedagogici che qualche pedata e ripetute scariche di ceffoni. Poi tanta libertà. I suoi manuali formativi: Tex, i fumetti neri, le avventure di guerra. I film li preferiva con tanti cannoni, assalti di trincee e un sottofondo sonoro di mitragliatrici crepitanti e aerei in picchiata. Se fosse nato in America, diceva, avrebbe fatto il sottufficiale dei "marines". Esperienze di lavoro poche e tutte fallimentari. (Come garzone di fornaio non era andato bene, tentava di fregare il cliente e il padrone; come aiuto carrozziere era un inetto: si pestava le dita invece di martellare le lamiere; come operaio era un disastro: aveva provocato una mezza catastrofe giocando con una gru che non doveva neanche sfiorare). Si era messo sulla strada a quindici anni e a diciassette aveva già imparato molte cose: a rubare una macchina e a saperla rivendere e a battere il marciapiede con i "schiacciabozzi" che si piazzano la sera al Circo Massimo, alla stazione Termini e al Lungotevere delle Navi in attesa di clienti generosi e discreti. Pino Pelosi non era ancora un professionista smaliziato. In fondo era troppo intriso di cultura rozzamente maschilista per essere un buon "prostituto": pensava troppo ai duri e ai cow-boy, ai tenenti Rogers e alla "squadriglia dei temerari" per dimenticare i tabù. Si dava ma non si concedeva, non era un eclettico, un "montone-culattone". Al suo "onore" ci teneva. Ha detto al magistrato e agli investigatori, nel corso della sua confessione fiume: "Voleva invertire le parti. Ho detto di no. Lui mi ha colpito urlandomi porco. Io porco. E lui che era? Allora non ci ho visto più e mi sono messo a colpire con tutta la forza che avevo". Sapeva che il suo cliente era Pasolini? Il ragazzo ha risposto di sì. "E certo, altrimenti perché ci sarei andato?".


E ogni giorno ci ammazzano a decine,
di Angelo Pezzana


Angelo Pezzana ha scritto a nome di tutti i militanti e le militanti del "Fuori" (Fronte unitario omosessuali rivoluzionari) presenti al congresso radicale, questo intervento.

La morte orrenda di Pier Paolo Pasolini ci riporta ancora una volta al discorso della violenza che ogni giorno viene commessa nei confronti degli omosessuali. Ogni giorno vengono assassinati, aggrediti, "suicidati" decine e decine di omosessuali, dal nome sconosciuto e che finiscono perciò solo nella cronaca nera. Noi omosessuali infatti siamo sempre stati solo "cronaca nera". Il nostro ambiente è "torbido", "squallido", e se qualcuno di noi ci rimette la pelle, beh, è un finocchio di meno. Nessuno si è mai posto il problema del perché gli omosessuali vadano a battere nei gabinetti delle stazioni, nelle ultime file di certi cinema, nei parchi o nei boschi. Nessuno ha mai detto che ci hanno "costretti", che dobbiamo vivere in modo così drammatico la nostra sessualità perché la società eterosessuale e maschile in cui viviamo non ci ha mai concesso altri spazi. Noi siamo quelli di cui è meglio non parlare, a meno di non essere ammazzati violentemente, noi siamo solo quello che l'immagine pubblica corrente, un'immagine mistificata e manipolata da "tutti" i mezzi d'informazione, vuole che siamo. Questa volta è toccato ad un omosessuale famoso, e dalle pagine interne di cronaca nera l'omosessualità è passata alle prime pagine di tutti i giornali. Non come dibattito ed informazione seria, politica, ma solo perché è stato ammazzato un omosessuale conosciuto da tutti. Noi vogliamo commemorare diversamente Pier Paolo, ci vergogneremmo profondamente se lo facessimo in altro modo. Chi parlerà, chi scriverà di Pier Paolo Pasolini omosessuale? Chi dirà che è morto come muoiono migliaia di omosessuali? Noi siamo profondamente stufi di tutte queste mostruosità. Noi riteniamo responsabili della morte di Pasolini, al di là del criminale che lo ha ucciso, tutti i cittadini che continuano a bearsi della loro ignoranza del problema, o a considerarsi tranquilli solo perché si sentono a posto in quanto "democratici". Consideriamo responsabili del massacro di Pasolini gli artefici di tutta quella cultura psicanalitica e psichiatrica che ci raffigura come dei malati e contribuisce così a rafforzare il ghetto in cui ci hanno rinchiuso, consideriamo criminale Ignazio Majore, antifemminista ed antiomosessuale che dalle colonne di "Paese Sera" ha scritto giudizi vergognosi su Pasolini e sull'omosessualità. Consideriamo criminali tutti quei mezzi d'informazione che non hanno ancora capito il dramma spaventoso e fatto di oppressione in cui vivono gli omosessuali. In questo modo pensiamo debba essere ricordato Pier Paolo Pasolini, con un senso di amore e rispetto verso la sua memoria e verso il ricordo di tutte le migliaia di omosessuali sconosciuti, torturati, massacrati, uccisi come lui.










[Modificato da CorContritumQuasiCinis 14/10/2005 18.26]

CorContritumQuasiCinis
00venerdì 14 ottobre 2005 18:24
:-)

Lo so, è lunghetto... ma leggete e poi mi direte se ne è valsa la pena!

Buona Lettura.
DottorSkizzo
00venerdì 14 ottobre 2005 21:31
Re: :-)

Scritto da: CorContritumQuasiCinis 14/10/2005 18.24

Lo so, è lunghetto... ma leggete e poi mi direte se ne è valsa la pena!

Buona Lettura.



un pochino alla volta, lo si farà.
Grazie Cor.
pescetrombetta
00sabato 15 ottobre 2005 11:31
Gracias Cor! Pian piano anch'io [SM=g27822]
emi.
00sabato 15 ottobre 2005 14:12
Richiesta
Qualcuno sa dirmi se è mai stata pubblicata in un libro la commemorazione che Pasolini scrisse in morte di Yukio Mishima sul Corriere della Sera?
Paura del buio
00sabato 15 ottobre 2005 14:21
Re: Richiesta

Scritto da: emi. 15/10/2005 14.12
Qualcuno sa dirmi se è mai stata pubblicata in un libro la commemorazione che Pasolini scrisse in morte di Yukio Mishima sul Corriere della Sera?




mi associo
selvadega
00martedì 18 ottobre 2005 19:37
posto qui...

Regione Lombardia >Circuiti Teatrali Lombardi
Provincia di Cremona >Sistema Teatrale Cremonese
Piccolo Parallelo
Comune di Romanengo
--------------------------------------------------------------------------------
Teatro G. Galilei di Romanengo
Stagione 2005.2006 >18a
--------------------------------------------------------------------------------
Pulsazioni di Teatro >Musica >Danza >Lirica >Architettura
--------------------------------------------------------------------------------

Sabato 22 ottobre

INGRESSO LIBERO

- ore 22,30 >UN SORRISO DOLCEAMARO: PASOLINI E IL COMICO
UNA CONFERENZA SPETTACOLO

di Luca Scarlini


A trent’anni dalla morte un ricordo di Pasolini da un punto di vista assolutamente particolare. Il suo repertorio (film, romanzi, articoli, saggi, poesie, etc..) è ancorato a una dimensione drammatica. Eppure non poche sono le tracce, all’interno di film e romanzi, di un discorso in cui la comicità ha un ruolo di grande importanza. Al cinema, la relazione con Totò e la stessa presenza di Ninetto Davoli, anche nel contesto delle storie più complesse, come ad esempio in Teorema. Non piccola importanza ebbe d’altra parte nel percorso teatrale dell’autore, la pratica del cabaret a fianco della Betti. Comica e viscerale è la Napoli del Decameron, come anche la Canterbury fangosa dei Racconti. In Salò, l’approdo finale, volge in farsa macabra, nel terribile personaggio del notabile ossessionato che racconta sciocche barzellette che stridono terribilmente sullo sfondo di violenze e umiliazioni. E sullo sfondo risuonano ancora le note beffarde de Il valzer della toppa, trasformata di fatto poi in una hit romanesca da Gabriella Ferri.... Luca Scarlini ripercorrerà questo fil rouge tra immagini e musiche. Un Pasolini come non lo si era mai visto.


Luca Scarlini, saggista, drammaturgo e traduttore, è direttore artistico Del Festival MilanOltre al Teatro dell’Elfo e di Riccione TTV, realizza conferenze-spettacolo per varie istituzioni (tra l’altro al Festivaletteratura di Mantova) e lavora con numerose strutture teatrali e università in Italia, Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Brasile. Scrive regolarmente su “Alias” del Manifesto e su “L’Indice dei Libri”, ha pubblicato tra l’altro La musa inquietante (Cortina) e Equivoci e miraggi (Rizzoli), di prossima uscita presso Bruno Mondadori La paura preferita, dedicato a cinque secoli di relazioni italiane con la cultura musulmana

info e prenotazioni 0373 729263 - info@piccoloparallelo.net
www.piccoloparallelo.net
io non sto bene
00mercoledì 19 ottobre 2005 00:24
Re: :-)

Scritto da: CorContritumQuasiCinis 14/10/2005 18.24

Lo so, è lunghetto... ma leggete e poi mi direte se ne è valsa la pena!

Buona Lettura.

ne è valsa la pena!!
grazie cor...
pescetrombetta
00mercoledì 19 ottobre 2005 11:03
Re: Richiesta

Scritto da: emi. 15/10/2005 14.12
Qualcuno sa dirmi se è mai stata pubblicata in un libro la commemorazione che Pasolini scrisse in morte di Yukio Mishima sul Corriere della Sera?


La cercavo anch'io, ma dalle piccole ricerche che ho fatto non credo. Se ci saranno novità farò sapere.
Credo comunque che in emeroteca sia facilmente reperibile... avendo tempo!
bb2004
00giovedì 20 ottobre 2005 22:05
CINETECA DI FIRENZE (Via Giuliani 374 bus 28,2,20)
3 ottobre 2 novembre Welles - Pasolini

24 ottobre 20.oo MEDEA
25 ottobre 19.45 IL FIORE DELLE MLLE E UNA NOTTE
31 ottobre 21.45 IL VANGELO SECONO MATTEO
1 novembre (laboratorio Psolini ) PASOLINI UN DELITTO ITALIANO
1 novembre 19.45 SALO' O LE 120 GIORNATE DI SODOMA
2 novembre 18.00 LA RICOTTA, CHE COSA SONO LE NUVOLE?,
LA SEQUENZA DEI FIORI DI CARTA, LA TERRA VISTA DALLA LUNA .

Igressi pomeriggio 2 euro 4 euro festivi, sera 4 euro
info 055.450749
lemiemanisudite
00venerdì 21 ottobre 2005 11:35
La voce di Pasolini
25/10/2005
Sala petrassi
Auditorium Parco della musica
Roma
Ingresso libero
info 0680241281


Film-documentario
a cura di Matteo Cerami e Mario Sesti


Pasolini che racconta se stesso: L'amore per il popolo, l'odio per la borghesia, il difficile rapporto con la contestazione giovanile, l'abiura di quella trilogia della vita che con film indimenticabili come Il Decameron e Il fiore delle mille e una notte, aveva portato allo zenith del suo inconfondibile stile, il grande potere della macchina da presa di scrivere in una poesia incantevole l'amore per i corpi, la gioia del sesso,la speranza che i più umili ai quattro angoli del pianeta, potessero rendere questo mondo diverso e migliore.
Il film sarà costituito dal montaggio di testi del più grande scrittore e regista dell'Italia contemporanea, cui ha collaborato Graziella Chiarcossi,erede del suo patrimonio letterario; dalla voce di uno dei migliori attori viventi, Toni Servillo, che legge poesie,frammenti di saggi,dichiarazioni di Pasolini, fuori campo; da una scelta vasta e differenziata di materiali d'epoca(filmini familiari,documentari, immagini della Cineteca di Bologna,dell'archivio del Movimento Operaio,di Homemovies)che accompagneranno la lingua ricca, duttile, emotiva, lirica, polemica, carica d'amore e di sdegno, di un autore che a trent'anni dalla sua scomparsa, nessuno può ancora permettersi di archiviare o dimenticare.
Il documentario, che è anche una ideale introduzione all'opera, al pensiero alle idee e all'arte di Pasolini per chi non lo ha mai conosciuto, alternerà i suoi testi e le immagini di un Paese che ha sempre disperatamente amato o detestato,a frammenti del suo ultimo film,mai realizzato, Porno Theo Kolossal,rievocato attraverso disegni e animazione.
Ma sarà la sua stessa voce, proprio quella di Pasolini a raccontarlo: il film infatti, utilizzerà una registrazione di Pasolini che detta il soggetto e la narrazione del film, conservata per tutti questi anni da alcuni suoi collaboratori dell'epoca.




bb2004
00martedì 25 ottobre 2005 13:49
ricordo che anche stasera ...
ieri Medea [SM=g27823]
bb2004
00mercoledì 26 ottobre 2005 08:53
Il fiore delle Mille e una notte è una sorta di affresco di un mondo, passato e presente – quel Terzo Mondo dal il quale il regista, da qualche anno, si sentiva particolarmente affascinato e attratto – attraversato da un grande senso di serenità e di sensualità mai presente prima, in questo modo, nei film di Pasolini. Egli mette in scena, dunque, il suo sogno, la sua idealizzazione e mitizzazione del Terzo Mondo. In tal modo, il sesso viene liberato dagli aspetti legati al reciproco possesso, alla prevaricazione, al predominio. Vi è pienamente realizzata una libertà sessuale che è anche simbolo di purezza dei sentimenti, che fa sì che il sesso non appaia mai né morboso né osceno, ma rappresenti invece un dono reciproco, innocente e delicato, soprattutto libero da inibizioni e sovrastrutture culturali.
Pasolini esprime, con Il fiore delle Mille e una notte, un cinema di “pura poesia delle immagini”, riuscendo a trovare un sereno equilibrio tra alcune componenti essenziali già presenti nei suoi film precedenti, particolarmente in Edipo re e in Medea: il richiamo prepotente alla sessualità e la grandiosa maestosità dei paesaggi, ricchi di valenze pittoriche e di un acuto, sensibilissimo senso artistico.
Nico Naldini
boschino
00mercoledì 26 ottobre 2005 14:24
Uffa! Mie ero dimenticato. 'Sto cazzo di lavoro mi brucia i neuroni.

Medea era anche forse l'unico film di P.P. che non ho visto. Amesso che riesca a ricordarmi il 3 ci sarò sicuramente, la ricotta, ma cosa sono le nuvole, la terra vista dalla luna... mi brillano gli occhi! Poesia pura.
E poi c'è l'altro episodio che non conosco...
boschino
00mercoledì 26 ottobre 2005 14:27
Re:

Scritto da: boschino 26/10/2005 14.24
... il 3 ci sarò sicuramente...



Ehm, volevo dire il 2...
bb2004
00mercoledì 26 ottobre 2005 21:53
Re: Re:

Scritto da: boschino 26/10/2005 14.27


Ehm, volevo dire il 2...



daiiiiiiiii vieni il 31 e l'1
boschino
00giovedì 27 ottobre 2005 08:49
Re: Re: Re:

Scritto da: bb2004 26/10/2005 21.53


daiiiiiiiii vieni il 31 e l'1

Mi piacerebbe, ma non sarò a Firenze. Approfitto del ponte per tornare dalle mie parti in provincia di Roma.
BENDETTA
00giovedì 27 ottobre 2005 10:47
JAZZ ALL'AMBRA
Martedì "Accattone" con Valerio Mastrandrea seguito da Paola Cortellesi in "Mamma Roma", alla batteria Roberto Gatto, al piano Cristiano Rea.

Il mini festival prosegue il 2 con il "Gattopardo" con Omero Antonutti, alla fisarmonica Luciano Biondini, al clarino Gabrilele Mirabassi; Il 3 "Rocco e i suoi fratelli" con Antonio Catania e Rolando Ravello, alla batteria Roberto Gatto al violoncello Gianluca Pedrella, il 4 "Una giornata particolare", con Rocco Papaleo, alle corde Mauro Pagani ai tasti Eros Cristiani. "Roma città aperta il 5, con Chiara Muti Claudio Santamaria,Rita Marcotulli al piano.
Chiude "Miracolo a Milano", con Paolo Rossi, allatromba Paolo Fresu.

Ambra Jovinelli, via G.Pepe, 1/6 novembre alle 21.00
06.44340262


ongii
00sabato 29 ottobre 2005 17:50


Finalmente la trovai

Vuei a è Domènia

Vuei a è Domènia,
doman a si mòur,
vuei mi vistìs
di seda e di amòur.

Vuei a è Domènia,
pai pras cun frescs piès
a sàltin frutíns
lizèirs tai scarpès.

Ciantànt al me spieli
ciantànt mi petèni.
Al rit tal me vuli
il Diàul peciadòur.

Sunàit, mes ciampanis,
paràilu indavòur!
«Sunàn, ma se i vuàrditu
ciantàn tai to pras?»



Oggi è domenica. Oggi è Domenica, domani si muore, oggi mi vesto di seta e d’amore.

Oggi è Domenica, pei prati con freschi piedi saltano i fanciulli leggeri negli scarpetti.

Cantando al mio specchio, cantando mi pettino. Ride nel mio occhio il Diavolo peccatore.

Suonate, mie campane, cacciatelo indietro! «Suoniamo, ma tu cosa guardi cantando nei tuioi prati?»

da La meglio gioventù (in La nuova gioventù) Torino, Einaudi 1975-1981.


che fatica per trovarla !
ora tutto assume cobntorni più chiari e più friulani, anche.
bb2004
00domenica 30 ottobre 2005 09:20

IN CERCA DI PASOLINI. 1975-2005, A TRENT'ANNI DALLA MORTE
Nella ricorrenza del trentennale della morte di Pasolini, che cadrà il
prossimo 2 novembre, la Cineteca di Bologna - con il contributo di Regione
Emilia-Romagna e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e la
collaborazione di Dipartimento Musica e Spettacolo dell'Università di
Bologna, Festival Angelica, Comune di San Donato Milanese, Centro Studi -
Archivio Pier Paolo Pasolini e Associazione "Fondo Pier Paolo Pasolini" -
promuove e organizza la manifestazione 'In cerca di Pasolini. 1975/2005', a
trent'anni dalla morte' in omaggio a Pasolini (nato a Bologna il 5 marzo
1922), ma anche a Laura Betti (nata a Casalecchio di Reno il 1° maggio
1927), artefice del ritorno 'a casa' del Fondo e soprattutto grande
artista, di cui la Cineteca conserva documenti privati ed effetti personali
donati dal fratello Sergio Trombetti. La manifestazione, che comprende due
mostre espositive, proiezioni, incontri e uno spettacolo con Giovanna
Marini, sarà inaugurata mercoledì 2 novembre alle ore 15 con l'apposizione
di una targa in onore di Pier Paolo Pasolini e Laura Betti nel Cortile
della Manifattura delle Arti, in via Azzo Gardino 65. Sarà presente il
Sindaco di Bologna Sergio Cofferati. A seguire (ore 16) nel Quarto Spazio
del Dipartimento di Musica e Spettacolo di via Azzo Gardino 65/a,
inaugurazione della mostra "Laura Betti illuminata di nero". Alle ore 17,
nello spazio espositivo della Cineteca (via Riva di Reno, 72) verrà invece
inaugurata la mostra "Una strategia del linciaggio e delle mistificazioni.
L'immagine di Pasolini nelle deformazioni mediatiche". In serata, alle ore
21.00 l'Arena del Sole (via dell'Indipendenza 44) presenterà la prima
assoluta dello spettacolo "Le ceneri di Gramsci", oratorio a più voci
interpretato da Giovanna Marini e dal Coro Arcanto diretto da Giovanna
Giovannini con testo di Pier Paolo Pasolini e musica della stessa Giovanna
Marini.
Per maggiori informazioni e il programma completo:
www.cinetecadibologna.it/programmi/09sale/novembre2005/pieghevole_paso...

---------------------
bb2004
00martedì 1 novembre 2005 00:22
son trenta anni
oggi

bb2004
00martedì 1 novembre 2005 17:47

E mi stupivo che l’indifferenza
fosse così simile all’angoscia.
Uno stesso candore era nel credere
e nel non credere. Non mi son mai
mutato? Se da me non pensato, Tu
in me non poi nulla per far umana la mia vita?
Posso almeno sperare che nel vario
Tuo essere, il mio essere unico
a me utile a Te sia necessario?


poesie inedite
Pier Paolo Pasolini

bb2004
00martedì 1 novembre 2005 23:18
appena toranata, Salò e le 120 giornate di sodoma
credo mi ci vorrà una settimana per riprendermi
:Bacco:
00martedì 1 novembre 2005 23:33
a me piace mettere anche due immagini...









bb2004
00mercoledì 2 novembre 2005 08:38
ohhhhhhhhhhhhh
hai messo alcune tra le mie preferite
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