Tiziano contro Tiziano

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vanni-merlin
00sabato 3 novembre 2007 09:01
Tiziano contro Tiziano

A Vienna cinquanta capolavori del maestro di Pieve di Cadore dipinti negli ultimi 25 anni con tecnica e spirito nuovi, sono al Kunsthistorisches Museum in una serie di confronti unici. Un restauro svela il mistero del "monocromo" tizianesco. Dal primo febbraio la mostra sarà a Venezia, Gallerie dell'Accademia


di GOFFREDO SILVESTRI

ECCO l'imprevedibile "Tiziano maturo" di Vienna (al Kunsthistorisches Museum fino al 6 gennaio 2008), che interessa direttamente anche il pubblico italiano perché la mostra sarà a Venezia, alle Gallerie dell'Accademia, dal primo febbraio al 21 aprile. Il secondo "ultimo Tiziano" che in poco più di un mese va in mostra in quella che è stata definita la "guerra dei Tiziano" che ha aperto in Italia la stagione delle grandi mostre. Il primo Tiziano, anche lui all'Ultimo atto", è fino al 6 gennaio a Belluno e Pieve di Cadore in una mostra della Provincia, a cura di un grande specialista, Lionello Puppi con allestimento di Mario Botta.

Una "guerra" in cui si affermano diritti di primogenitura dell'idea, di elenchi concordati di prestiti da fare e da lasciare alla controparte e di accordi non mantenuti, dell'invito alla mostra di Belluno a cambiare tema (per esempio il "Tiziano giovane"), di un componente del comitato scientifico (di Belluno) che esce da una parte ed entra nell'altra. Ad ogni modo non una "guerra" seria perché in una "guerra" le forze devono essere comparabili mentre qui c'è troppa sproporzione, con due dei più importanti musei del mondo (addirittura una potenza il Khm, il Kunsthistorisches Museum). Potremmo dire una corazzata e una galea veneziana proprio fatta con i tronchi delle foreste del Cadore. Il Kunsthistorisches è, dopo il Prado, il museo che possiede in assoluto il maggior numero di capolavori e di opere del Tiziano, circa trenta fra autografi e bottega. Grazie alle collezioni degli Asburgo, di Rodolfo II, di Leopoldo Guglielmo. Il museo di Madrid deve il primato alla specialissima committenza di Carlo V e Filippo II nei confronti di Tiziano e al fatto che la reggia spagnola e l'Escorial non hanno subito i rovinosi incendi del Palazzo Ducale di Venezia.

"Tiziano maturo e la sensualità della pittura" è il titolo della mostra di Vienna (anche di Venezia) che è una collaborazione fra Kunsthistorisches e la soprintendenza speciale per il polo museale veneziano diretta da Giovanna Nepi Sciré. Curatrice della mostra Sylvia Ferino-Padgen, responsabile del "Rinascimento italiano" al museo viennese. Comitato scientifico internazionale. Catalogo Atelier Simma. Di moltissime opere esposte sono pubblicate anche le immagini delle analisi scientifiche condotte dai vari musei e in particolare dei Tiziano posseduti dal Kunsthistorisches in un programma specifico finanziato dall'austriaco Fonds für Wissenschaftliche Forschung (il finanziamento è precisato al centesimo di euro e questo non su domanda o sollecitazione alcuna: 361.673,06). Direttore degli interventi ancora Sylvia Ferino-Pagden (con capo del laboratorio di restauro Elke Oberthaler, e del laboratorio scientifico Martina Griesser).

Una mostra di dimensioni contenute e di qualità eccezionale. Cinquanta dipinti di Tiziano fra ritratti, scene mitologiche e sacre, mai si era visto un simile schieramento al quale concorrono i principali musei del mondo; una tavolettina del figlio Orazio; alcuni dipinti di Rubens e uno di Raffaello e bottega; sedici incisioni di opere di Tiziano, dall'Albertina, uno dei templi massimi della grafica, di cui sette di Cornelis Cort, l'incisore prediletto da Tiziano, e forse una di Van Dyck. Numero contenuto di opere e altissima qualità. Un binomio che ne fa una mostra ideale, caratteristiche che si spera possa mantenere nella versione veneziana.

Tre i punti di forza. La qualità generale. La possibilità, forse unica, di confronti sugli stessi temi con opere celebri o molto celebri di Tiziano che fanno l'orgoglio di una collezione, di cui i musei si disfano molto a malincuore. Una possibilità che nasce dai collegamenti (potere di contrattazione) fra la ristretta élite dei musei più importanti del mondo che domani possono ricambiare il prestito eccezionale. La conclusione di due restauri del Kunsthistorisches, quello particolarmente difficile, lungo, complesso de "La ninfa e il pastore", considerata una delle opere più significative del Tiziano tardo, restauro che ha sciolto il mistero dell'apparente "monocromo" tizianesco. E il restauro della "Danae" che ha riportato il capolavoro allo stesso livello di godibilità della "Danae" di Capodimonte e del Prado (quest'ultima in mostra).

Mai si era visto un "Tiziano contro Tiziano", dipinti ripetuti-variati a distanza di anni, a proposito della "Danae", di "Tarquinio e Lucrezia" (addirittura tre confronti, di cui il dipinto da Cambridge è la copertina della mostra), della "Annunciazione", della mestissima "Madonna con Bambino", della "Maddalena penitente" (tre), dell'"Ecce Homo", della "Crocifissione (una del figlio Orazio), del "San Girolamo", degli "Autoritratti" (i due unici sopravvissuti come opere autonome senza voler considerare i due-tre inseriti in altre composizioni). Si possono aggiungere il confronto Tiziano-Rubens (uno dei grandi estimatori del maestro veneziano) fra il Tiziano de "La ragazza col ventaglio" (la figlia Lavinia al momento del matrimonio) e il Rubens dell'identico soggetto variato nella decorazione dell'abito nuziale, e fra le Veneri allo specchio.

E poi il confronto fra le Veneri del Tiziano. Oltre che "Venere allo specchio", "Venere e Callisto", "Venere benda Amore", "Venere e il suonatore di liuto". E poiché il titolo della mostra parla di "sensualità" c'è anche uno dei dipinti più carichi di erotismo, "Marte, Venere e Amore" realizzato dopo il 1546, sia pure di assegnazione problematica.

Cuore della mostra sono i dipinti degli ultimi venticinque anni di Tiziano, la cui lunghissima esistenza-attività va dall'incerto anno di nascita a Pieve di Cadore (1488-1490) alla morte a Venezia nella grande casa-studio di Biri Grande, il 27 agosto 1576, forse per febbre come risulta dall'attestazione ufficiale per poter onorare con un funerale durante una violenta epidemia il pittore per eccellenza della Serenissima, più probabile per peste.

Gli ultimi venticinque anni di Tiziano, il "Tiziano che non ti aspetti". Di Tiziano si ha nella testa e negli occhi uno dei dipinti più famosi e più visti della storia dell'arte, l'"Amor sacro e amor profano" della Borghese, o alcune Veneri, con quelle masse plastiche e incise, "linee chiare e definite", nette nel disegno, colori chiari e luminosissimi di una materia non manipolata, una atmosfera quieta, senza scossoni. Ma quella è un'opera del 1515 circa.

Negli ultimi venticinque anni la pennellata si fa sempre più aperta fino ad arrivare alla "pittura di macchia", si disfa, si scioglie, colore fra colori e su colori. Opere "talmente multicolori da sembrare monocrome". E i contorni, i profili si fanno indistinti, all'apparenza incerti. L'atmosfera si fa complessa, carica di proiezioni.

Un capovolgimento che "stupiva, irritava e persino scandalizzava" committenti, letterati, teorici dell'arte del suo tempo di fronte ad opere che sentivano come "non finite" e non come Tiziano le sentiva: opere finite, "realizzazione di una visione". E bisognava arrivare ai nostri tempi (e non tutti ne sono convinti) affinché un "operare così vario del pennello anche all'interno di uno stesso dipinto" venisse interpretato "come uno strumento efficacissimo per enfatizzare il dramma, la poesia e i sentimenti". La sensualità della pennellata di Tiziano ha il fulcro nella bellezza del corpo femminile. "Col tempo essa si carica sempre più di un'espressività spirituale e mistica del dolore, che preannunciano la visione della morte dell'anziano artista".

Tiziano persegue la meditazione sulla morte, sulla propria esistenza ed arte anche in altri tipi di dipinto. Come nella "Punizione di Marsia", opera conclusa nel 1570, altro capolavoro celeberrimo in mostra, arrivato dal Palazzo arcivescovile di Kromè%u0159ì%u017E. Il terribile scuoiamento del satiro frigio che ha sfidato il dio in gara musicale, una scena la cui crudezza è amplificata dalla grandezza naturale (2,20 per 2,04) usata da Tiziano, unico artista fra quelli che hanno dipinto la "Punizione". O da particolari come il cagnetto in primo piano che si abbevera al rivolo di sangue.

Sulla destra, seduto meditabondo, è il re frigio Mida che, chiamato a giudicare fra Apollo e Marsia, aveva scelto il satiro guadagnandosi le orecchie da asino. Sarebbe il ritratto dello stesso Tiziano che si interroga sul proprio ruolo come artista quando inevitabilmente la morte si avvicina. Una delle possibili interpretazioni è che "come Mida, l'artista può fare poco di fronte agli orrori del mondo".

La scena rossastra, cupa, affollata di figure, divisa in due porzioni dal satiro appeso per i piedi a testa in giù, è fatta di una pittura senza segno, di zone di colore indistinte. Questo può essere considerato uno dei primi dipinti moderni, dall'impeto espressionista.

Ancora oggi l'idea che i dipinti del Tiziano tardo siano un "non finito", in fase di schizzo, abbozzo, è problema aperto. Tipico l'esempio in mostra del "San Sebastiano" datato al 1570 o poco dopo e arrivato dall'Ermitage di Pietroburgo. Si tratta di una delle opere che erano nella casa-studio alla morte del maestro, vendute nel 1581 dal figlio Pomponio, la "pecora nera" della famiglia, alla collezione Barbarigo e da questa venduta nel 1850 allo zar Nicola I. L'intera metà inferiore del dipinto è considerata un "non finito" sulla base della resa della gamba destra che appare nulla più che accennata dal ginocchio in giù, l'"ammasso" dell'armatura scaricata in un angolo o tutto ciò che appare sullo sfondo. Per altri questi aspetti sono tipici della tecnica libera dell'ultimo Tiziano: San Sebastiano è "fatto solo di colore e di luce, quasi senza peso".

Una delle prime Veneri che accolgono i visitatori è "Venere allo specchio" del 1555, un tema molto richiesto, ri-fatto più volte e quindi con l'incertezza dell'intervento della bottega o di aiuti. Questo è invece un autografo garantito: anche lui faceva infatti parte dell'eredità di Pomponio, venduto ai Barbarigo e poi arrivato all'Ermitage. Dalla Russia è passato agli Stati Uniti perché nel 1930 il governo sovietico aveva bisogno di valuta pregiata e lo vendette ad Andrew W. Mellon che poi lo donò alla National Gallery di Washington.

Tiziano dà una doppia immagine di Venere, con due punti di vista simultanei, tanto per ricordare ai colleghi scultori che i pittori sanno fare quello a loro non è possibile se non grazie all'osservatore che gira attorno alla scultura. Il dipinto rivela anche il risultato più sorprendente delle varie radiografie, riflettografie agli infrarossi, eccetera. Tiziano ha usato una tela sulla quale aveva quasi finito un doppio ritratto con uomo e donna. Da orizzontale l'ha fatta diventare verticale ed ha usato particolari già pronti come l'abito dell'uomo che è diventato il mantello prezioso di velluto rosso, foderato di pelliccia di Venere. Il soggetto ha ispirato anche altri artisti fra cui Veronese, Tintoretto, Van Dyck e Rubens di cui la Venere è appunto a confronto.
Profondamente diversi i due autoritratti. Il primo, databile al 1546-47, viene dal Museo statale di Berlino (in origine anche lui nelle collezioni Barbarigo) e potrebbe essere quello ammirato da Giorgio Vasari nella casa-studio veneziana. Tiziano, che dovrebbe avere una sessantina d'anni, non ha alcun segno della professione, ma si presenta come il "principe dei pittori", uomo di successo sociale, con pelliccia e lunga catena d'oro segno del titolo di "cavaliere" concesso da Carlo V.

Nell'autoritratto dal Prado datato al 1567, Tiziano è di profilo il che è abbastanza anomalo nel XVI secolo. In più una posizione che richiede una serie di specchi e certamente molto tempo per l'esecuzione, ma avvicina alla fama e all'immortalità degli imperatori romani così ritratti sulle monete. All'osservatore Tiziano ricorda, con il pennello in una mano, di essere un grande pittore. Per la mostra il Prado ha restaurato l'autoritratto scoprendo che Tiziano ha usato solo quattro colori (bianco, rosso, nero e marrone) e che la pittura è stata applicata in strati molto sottili, quasi come in un acquerello: nulla che faccia pensare alla pittura spessa, a macchie, che di solito si trova nei lavori tardi. Una ennesima libertà di Tiziano che non si fa condizionare neppure da se stesso.

Anche "La ragazza col ventaglio" della Gemäldegalerie di Dresda è stata restaurata in occasione della mostra rendendo meglio i particolari del vestito da sposa e la vivacità della giovane donna che è poi la figlia di Tiziano, Lavinia. "Bella di forme e graziosa nelle maniere" era cara al padre. Tiziano le offrirà in dono il ritratto in occasione del matrimonio con Cornelio Sarcinelli, il marito che naturalmente le aveva scelto, fra la piccola e benestante nobiltà della provincia trevisana. Tiziano aveva anche un'altra figlia, illegittima, Emilia, avuta fra i 53 e i 60 anni (da una Milia di cui non sappiamo niente altro), fatta sposare con una dote di "ben 750 ducati" ad un mercante di cereali, e morta ad appena 34-39 anni lasciando tre figli fra cui Vecellia. Neanche Tiziano ci lascia notizie su questa seconda figlia. In una dipinto da spartire con la bottega, "La Madonna della Misericordia" del 1573 per il duca di Urbino, Tiziano, riunisce nella sua famiglia sotto il manto della Madonna i figli maschi, alcune misteriose donne velate, una Lavinia ringiovanita e una "deliziosa bambina" (forse una nipotina), non Emilia.

I tre "Tarquinio e Lucrezia", dal Museo di Belle Arti di Bordeaux, dall'Accademia di Arti figurative di Vienna e dal Fitzwilliam Museum di Cambridge, sono compresi in due anni, 1570 e 1571. Quella francese dovrebbe essere la prima redazione del tema, il suicidio di Lucrezia, moglie di un patrizio romano, aggredita a mano armata nel suo letto e stuprata da Tarquinio, figlio dell'ultimo re di Roma. Il dramma porta alla ribellione il popolo romano che uccide Tarquinio, caccia il re e proclama la Repubblica. Una tela dalle vicende controverse (molto danneggiata da un incendio e molto ridipinta). Il dipinto di Vienna potrebbe essere un abbozzo preparatorio. Il terzo è con tutta probabilità il dipinto annunciato a Filippo II. Tiziano usa semplicemente il rosso nelle varie gradazioni dei capelli, la barba, il corpetto, le brache, per accentuare la violenza di Tarquinio tutto vestito contro il corpo nudo di Lucrezia. La donna alza un braccio, l'altro a tenere lontano l'aggressore, ma conosce già il destino che il suo stato le impone e le lacrime scivolano dall'occhio, in perfetta inclinazione. Altra preziosità l'incrocio fra lo sguardo allucinato di Tarquinio e lo sguardo implorante di Lucrezia.

Non deve essere stato facile portare in mostra l'"Annunciazione", la pala che è tuttora nella chiesa veneziana di San Salvador, il dipinto più grande esposto (2,35 metri di base per 4,02 di altezza). Datata al 1564, Tiziano l'ha dipinta quando aveva superato gli ottanta e forse questo deve averlo spinto ad adottare una pittura quanto mai veloce, sintetica, che è poi tipica della produzione tarda. Non perdere troppo tempo sulle opere. I colpi di pennello sono tanto sciolti da "sembrare quasi astratti, non solo nel cielo" fra un nugolo di angeli vicini e lontani, dove la discesa della colomba dello Spirito Santo è un turbine di luce e di vento, "ma nella zona fra Maria e l'arcangelo Gabriele". Maria, sorpresa nella lettura di un libro, solleva il velo e "guarda incuriosita" verso il nuovo venuto. O è la luce-aria da cui è investita dall'alto che le fa sollevare il velo.

I due "Ecce Homo" sono tipici dipinti del tardo Tiziano dai contorni sfumati, datati al 1558 quello della Galleria nazionale di Irlanda, e al 1570 quello del City Art Museum di Saint Louis, quest' ultimo anche conosciuto come "Cristo schernito". Il primo è una figura isolata a mezzo busto, capo reclinato, con in mano la canna-scettro dalle punte spezzate per fare più male. I polsi sono segnati di viola, dalle corde legate troppo strette. Il secondo, dal volto indistinto fra barba, testa incoronata di spine, sguardo nel vuoto, è accompagnato da un personaggio dal viso gonfio di persona ben pasciuta, con veste lussuosa dalle amplissime maniche, cappello di pelliccia e spilla. I due sono tipici del Tiziano che corre nell'esecuzione messi a confronto con l'"Ecce Homo" del Kunsthistorisches che è il secondo dipinto di maggiori dimensioni in mostra (2,42 per 3,61) firmato su di un cartiglio appoggiato ad un gradino e datato al 1543. Un periodo dalla pittura disegnata, chiara. Il Tiziano che conosciamo, che non disturba le nostre convinzioni.

Un Ponzio Pilato in armatura celestina presenta da una piattaforma il Cristo alla folla che a braccia alzate lo reclama per crocifiggerlo e già avanza sullo scalone. In quella folla di picche e di armati, di ribaldi, al centro della scena, una misteriosa, certamente simbolica, giovane donna bianco vestita (forse Lavinia come modella), sostiene un bambino. Ai piedi della scalinata un personaggio debordante di corpo e di abiti, dal testone pelato, avanza sollevando a fatica il manto rosso con collare di ermellino. Un gruppo di cavalieri in armatura, uno con turbante bianco, segno caratteristico dei malvagi, esige a braccia alzate la consegna di Cristo.

Dalla scena affollata alla desolazione più completa: "La Crocifissione" del 1565 circa, dal convento di San Lorenzo all'Escorial. Un Cristo lasciato solo, isolato, che Tiziano con un colpo di genio rende ancora più immanente, più addosso all'osservatore, dipingendo una croce che tocca i quattro lati del dipinto dalla accentuata verticalità (base 111 altezza 219 centimetri). E poi i due rossi del sangue colato dalla ferita al costato: acceso lungo il corpo, tenue nello sporco del perizoma.

Cristo abbandonato. Due figurine di donne si allontanano stringendosi nei mantelli. I soldati hanno smontato la guardia che non serve più e si avviano verso la città, due si attardano seduti per terra. Lo sfondo drammatico, ancora più intenso per la pulitura fatta in occasione della mostra, passa da un'aria dorata al blu intenso rotto dal guizzo di un fulmine, alle nubi grigie, agli squarci di azzurro fra i quali si insinua la luna che va a coprire il sole, l'eclissi che segna il momento della morte del Cristo. Al figlio prediletto Orazio, suo aiuto e assistente, sua speranza (ma morirà pochi giorni dopo Tiziano, di peste), viene attribuito un intervento sul paesaggio della città e delle montagne.

Tiziano ripete l'invenzione di genio nel "Cristo in croce e il Buon Ladrone" del 1556, dalla Pinacoteca nazionale di Bologna, ma forse non tutto è merito suo. Il dipinto ha un rarissimo taglio laterale: il Cristo crocifisso è in primo piano, raffigurato dai piedi in su con un terribile chiodo che buca la nostra immaginazione. Alla sua destra è il Buon Ladrone. Ci sono soltanto loro due sul Golgota, su di uno sfondo color ocra che sembra percorso da vapori di aria infuocata.

Il Tiziano non ha più ripetuto la scena. C'è da dire che il grande dipinto (147 per 149 centimetri) è un frammento, di qui la prospettiva particolarissima, di una monumentale pala d' altare per San Salvador, pala che doveva sfiorare i quattro metri di altezza e che non fu mai collocata al suo posto. Grande la libertà di Tiziano nel raffigurare il Cristo il cui corpo dorato è come emettesse luce. Il Buon Ladrone è ripreso in un atteggiamento per nulla realistico, mentre si dimena con le braccia, ma senza essere sostenuto da nulla.
Nelle tre Maddalene la sensualità del titolo si unisce alla religiosità, irresistibile attrazione di
peccato e pentimento, fra lo sguardo ieratico rivolto verso l'alto ("mostra compunzione nel rossore degli occhi, e nelle lacrime dogliezza dè peccati"), la bocca socchiusa che invoca perdono, i lunghi capelli "scapigliati" sulle spalle nude perché la camicia è scivolata nell'inconscio dell'estasi e non riesce neppure a coprire bene i seni.

La "Maddalena penitente" è sempre raffigurata a tre quarti e tutte e tre sono datate al 1565, ma con profonde differenze di qualità. La prima è uno dei dipinti rimasti alla morte di Tiziano, venduti da Pomponio con la solita trafila Barbarigo-zar-Ermitage. La secondo è di una collezione privata romana, già in collezione Candiani di Busto Arsizio, ed ha la qualità di replica autografa della versione dell'Eremitage. La terza da Napoli (Capodimonte), viene considerata replica di bottega anche sulla base della "mediocre qualità" rivelata da un restauro. La firma di Tiziano che vi appare è "ripassata sull'originale".

La Maddalena è uno dei soggetti più richiesti del Tiziano, ripetuto molte volte con poche varianti dal maestro, dal maestro e aiuti, dalla bottega a seconda del committente e del prezzo in gioco. Sono sparsi nelle chiese e nelle collezioni di Venezia, nelle collezioni europee per esempio di Rubens, di Cristina di Svezia (due).

Il prototipo in assoluto, del 1561 circa, era destinato a Filippo II, ma un patrizio veneziano lo vide finito e fece a Tiziano un'offerta che non poteva rifiutare (cento scudi, riferisce il Vasari, per un dipinto che doveva essere 120 per 100 centimetri circa), e allora il maestro "fu forzato farne un'altra, che non fu men bella". Gli eredi di quel patrizio vendettero la prima Maddalena a mercanti fiamminghi "che la pagarono scudi 500". In conclusione però i due dipinti vengono dati per perduti. Quello di Filippo II è sostituito nella sacrestia dell'Escorial da una copia sia pure di Luca Giordano.

Uno dei dipinti più problematici e quindi interessanti è anche uno dei dipinti più carichi di erotismo, il "Marte, Venere e Amore" del Kunsthistorisches, datato a dopo il 1546. Marte e Venere amanti affannosi ed affannati nel cercarsi, bocche e mani frementi, nel sollevare veli, nell'offrirsi. Amore vola a mezz'aria con in mano freccia ed arco, ma ha capito che rimarrà disoccupato: la passione ha già travolto Marte e Venere. Come sfondo un grande albero subito dietro la coppia e una boscaglia bassa. Una pittura dai toni scuri, un disegno non più netto.

L'attribuzione è discussa. Si va dalla copia di un originale perduto (ma le indagini fatte in preparazione della mostra hanno trovato pentimenti nella Venere, e soprattutto in Amore e questo esclude la copia). Francesco Valcanover non la cita nel suo catalogo. La tesi più diffusa è che sia di Tiziano e bottega, ma - osserva Wenke Deiters che presenta l'opera in catalogo insieme a Natalia Gustavson - fino ad oggi non è stata chiarita la parte di Tiziano. Ancora, "si discute se si tratti di un originale iniziato da Tiziano e finito da un'altra mano o una replica di bottega".

Come detto due sono i principali restauri fatti per la mostra dal Kunsthistorisches, la "Danae" e "Ninfa e pastore". L'intervento sulla "Danae" può essere considerato storico perché si è accertato che il dipinto non veniva toccato da quasi un secolo. L'opera (del 1554) è l'unica firmata dal "Tiziano cavaliere" fra le sei versioni o repliche, autografi e di bottega, di un soggetto richiestissimo e che Tiziano ha ripetuto a distanza di anni. Anche se firmata, gli studiosi sono divisi fra il considerarla in gran parte di bottega e autografo con intervento "secondario" della bottega.
Si è scoperto che il dipinto, ora 152 per 134 centimetri, è stato ridotto di dimensioni e che i danni più piccoli della tela e della superficie pittorica (buchi, lacerazioni) erano stati riparati. La pittura originale si è "abbastanza bene conservata" sulla figura della Danae e sui tendaggi rosso-cremisi mentre il cielo sulla destra ha subito una violenta "spulitura". I raggi x e la riflettografia all'infrarosso hanno rivelato che Tiziano ha ri-lavorato la tela più volte, aggiungendo ed eliminando parecchie altre figure (oltre le due poi realizzate). Nell'intervento sono stati eliminati i restauri degradati del supporto come i vecchi interventi "cosmetici", e sono stati ridotti gli strati di vernice più antichi e offuscati. L'effetto è il recupero significativo della profondità cromatica e del senso plastico del modellato della "Danae".

La "Danae" di casa può allora essere confrontata senza sfigurare con la "Danae" del Prado (1553-54) spedita a Filippo II ed anche lei riportata recentemente alla migliore forma. Notevole è la differenza nella lunghezza (180 centimetri) perché importanti sono le variazioni nella scena.

Danae, segregata dal padre re di Argo che voleva impedire l'avverarsi della predizione per la quale il figlio di Danae lo avrebbe cacciato dal regno, è distesa su di un giaciglio con alle spalle dei tendaggi. Ma nel dipinto del Prado il corpo nudo e sodo di Danae splende di una pelle-porcellana, mentre la Danae di Vienna ha una pelle più calda. Nella "Danae" di Filippo II un lunga ciocca di capelli biondi arriva fra i seni.

Nel primo dipinto il lenzuolo ha una particolare brillantezza e accanto a Danae c'è un mini-cagnolino tutto arrotolato su se stesso. Nel secondo ci sono rose ed alcune monete d'oro fra le gambe, quelle monete che sono lo stratagemma di Giove per mimetizzarsi ed unirsi a Danae: il figlio che nascerà sarà Perseo e attuerà puntualmente la predizione.

Le diversità maggiori e più pesanti sono nella fantesca. Nel dipinto di Madrid è alla destra di Danae con alle spalle uno stipite della prigione e con il grembiule aperto cerca di raccogliere le monete che stanno per scendere. Visivamente è un personaggio ingombrante, quasi in primo piano, fa da contraltare a Danae.

Nell'altro dipinto è all'altezza delle ginocchia di Danae, in secondo piano, e solleva un bacile di metallo per raccogliere le monete che stanno scendendo e per far questo piega le ginocchia. Numerose e importanti anche le diversità dello sfondo. Nel dipinto del Prado lo sfondo è cupo, c'è della nuvolaglia nero-blu, la sagoma velata di una costruzione a punta, e luci fra nuvole leggere e monete d'oro. Nell'altro, lo sfondo è aperto: un tratto di foresta, nuvole bianche con una strisciata di azzurro, un cumulo di nubi rossicce dal quale fa capolino il volto di Giove, pagano padreterno, e nuvole dorate. La stessa fantesca è molto diversa. Nel dipinto di Vienna non ha particolare caratterizzazione, in quello del Prado appare come una mezzana, con spalle e schiena abbondantemente nude nella concitazione del "recupero monete". Alla fine questa e la sua collega dovrebbero rimanere molto deluse. A rigore anche di mito le monete, una volta raggiunto lo scopo di Giove, dovrebbero vaporizzarsi.

Peccato non aver potuto confrontare questi due dipinti con la "Danae" di Capodimonte, la prima versione, in lavorazione a Venezia nel settembre 1544 per il cardinale Alessandro Farnese, nipote del papa, forse con il ritratto di una cortigiana a lui molto cara, e completata a Roma dopo il settembre 1545 con sfumatura della personalizzazione e più caratteri mitologici. Niente fantesca, ma un amorino, la pioggia di monete d'oro, una porzione di lenzuolo a coprire le gambe, a interrompere la nudità.

Di ancora maggiori soddisfazioni il restauro di "Ninfa e pastore", uno degli "ultimissimi" dipinti di Tiziano, datato a circa 1570-1575, considerato "una specie di quintessenza delle sue aspirazioni artistiche" , qualcosa come "l'incarnazione della sua personalità e virtuosismo artistico". Restauro che ha fatto comprendere la tecnica totalmente innovativa di Tiziano nel rendere forme e atmosfere, quella novità che ha dato origine anche ad equivoci e dispute, facendo pensare al "non finito" della sua pittura. E che si può sintetizzare con una formula molto felice: "Tiziano ha usato un sacco di colori per creare l'impressione di un monocromo".

Le analisi scientifiche hanno rivelato che Tiziano ha usato vari tipi di bianco, giallo, rosso, verde, blu e nero. Colori che usava fin dall'inizio del dipinto e che nello sviluppo della pittura o soffocava
o riduceva o mitigava. Per esempio, sugli alberi della scena di "Ninfa e pastore" gli ultimi strati di colore contengono verdi intensi che sono poi modificati da marroni e neri. E ugualmente nel cielo e nella pelle della ninfa è stata scoperta una profusione di colori.
Ma "Ninfa e pastore" non si sarebbe potuto presentare nelle condizioni in cui era, con i danni che si vedevano ad occhio nudo. Effetto degli interventi e delle alterazioni prodotte nel Settecento, Ottocento e all'inizio del Novecento in presenza di una pittura appunto dalla composizione estremamente complessa alla cui comprensione il Kunsthistorisches si è preparato anche con un convengo internazionale.
L'aspetto generale era quello di un sudario grigio per ridipinture annerite, vernici ingiallite che avevano perso la trasparenza e avevano inglobato strati di sporco in particolare nella zona della Ninfa.
L'intervento è consistito principalmente nella eliminazione selettiva delle ridipinture e nella pulizia. Una eliminazione totale sarebbe stata troppo drastica anche dal punto di vista estetico e del contesto storico. Così si è riusciti a restituire la "straordinaria" abilità tecnica con cui Tiziano aveva reso la scena.

La ninfa nuda di schiena su di una pelle di leopardo, al centro della scena, ha il volto rivolto verso il pastore in primo piano, di fronte e seduto per terra, con in mano un flauto. L'ambientazione nel bosco, che è la parte più affascinante del dipinto, è alquanto contraria a questo duetto idilliaco. In una materia colorata senza segno e consistenza, piena di bagliori rossastri e azzurri, un baluginamento di luci che fa pensare al passaggio di una tempesta e che Tiziano ottiene con una pittura "disfatta", sempre luminosa dall'interno, appare un albero troncato di netto, rami spezzati e una "ardita capretta" che sta mangiando le foglie dell'unico ramo frondoso rimasto.

Gli storici dell'arte amano sempre trovare nelle opere suggerimenti, ispirazioni, copiature da altri autori od opere dello stesso autore, molto spesso collegamenti forzati, più di quanti effettivamente esistano e siano dettati dalla naturale posizione o movimento scelti. Può darsi che con "Ninfa e il pastore" il vecchissimo Tiziano abbia preso una scorciatoia nell'ideare la scena piuttosto semplice e allora si ritiene che, per la ninfa vista dalla schiena, il maestro abbia preso la posizione da una incisione del padovano-veneziano Giulio Campagnola, una straordinaria opera resa in tecnica puntinata, a sua volta ispirata da un'opera del Giorgione, "forse un disegno destinato ad essere inciso", posteriore a "La tempesta" e anteriore a "I tre filosofi".

Nell'incisione di Campagnola la ninfa ha le braccia distese, le mani riunite sull'"origine del mondo". Forse a Tiziano non andava ripetere la stessa posizione, ma il risultato non è felicissimo. La mano sinistra (grassoccia) della ninfa spunta con un movimento piuttosto forzato sul braccio disteso; la mano è concretizzata in tre dita che sembrano voler dare una grattatina al braccio. Sulle prime si pensa ad un terzo personaggio fisicamente impossibile.

La mostra chiude con quello che se non è l'ultimo dipinto di Tiziano (datato al 1576) è il dipinto che Tiziano voleva sulla propria tomba ai Frari affiancato da due capolavori della giovinezza e della maturità, la "Madonna Assunta" e la "Pala Pesaro"(e che invece per divergenze con i frati è arrivato, nel 1814, alle Gallerie dell'Accademia). Si tratta della grande (3,78 per 3,47 metri), "Pietà" dalla monumentale architettura, dai toni scuri, colori spenti, atmosfera angosciata e angosciante. Con la Maddalena che urla all'umanità (a noi) la notizia della morte del Cristo nel quale il vecchissimo maestro si abbandona anche visivamente perché il San Girolamo ai suoi piedi ha il volto di Tiziano.

Per le divergenze con i frati (che non volevano coprire un Crocifisso al quale la gente era molto devota), Tiziano lasciò incompleto il dipinto che fu portato a termine "reverenter" da Palma il Giovane come si ricava dalla scritta in basso, sulla piattaforma dove si svolge la scena. Palma dipinse anche l'angelo volante reggicero (che aveva una diversa impostazione iniziale), ma le analisi del restauro del 1954 hanno dimostrato che il suo intervento è minore di quanto le fonti facevano supporre.

Alla mostra di Tiziano non poteva mancare Rubens. Alla corte di Madrid nel 1628, in missione diplomatica per incarico del duca di Buckingham a trattare la pace fra Spagna e Inghilterra, Rubens non smette di consigliare a Velázquez, pittore di corte, di copiare Tiziano. E lo stesso Rubens disegna e fa copie-interpretazioni di opere di Tiziano. Velázquez, nel 1629, poco prima della partenza di Rubens da Madrid (la missione non era stata portata a termine per l'assassinio del duca), chiederà l'autorizzazione ad andare in Italia per il primo dei due viaggi, con due obiettivi principali, Venezia e Roma.

Di Rubens in particolare il "Ritratto di Hélène Fourment in pelliccia (La pelliccetta)" del 1638 circa, che raffigura la moglie a circa ventiquattro anni (lui l'aveva sposata a sedici), con gli occhioni, sorridente, generosa di seni, resa con "calde e diafane pennellate" che non dimenticano tuttavia varie linee e zone di grasso del corpo nudo. Il dipinto è da collegare al più coperto "Ritratto di fanciulla in pelliccia" di Tiziano del 1535-1536, che Rubens ha avuto la possibilità di studiare a Londra nella collezione di Carlo I.

Ancora di Rubens è esposta "La ragazza con ventaglio", sempre dal Kunsthistorisches: l'ipotesi è di una copia-interpretazione di un originale di Tiziano per Filippo II (diverso dal quadro donato alla figlia Lavinia in occasione del matrimonio e in mostra), andato perduto probabilmente nell'incendio dell'Alcázar del 1734.

"La venere davanti allo specchio" dalla collezione Liechtenstein di Vienna, esposta accanto alla "Venere con uno specchio" da Washington, è stata dipinta da Rubens intorno al 1613-1615, con una "interpretazione molto più personale", con Venere tutta nuda vista di schiena, mentre si guarda in uno specchio ottagonale sorretto da Amore mentre una ancella nera attende.

Di Raffaelo (e bottega) è esposta la "Santa Margherita e il drago" del Kunsthistorisches, come ispiratrice della composizione, accanto allo stesso soggetto dipinto da Tiziano nel 1565, oggi al Prado. Fra rocce e una bestiaccia nera e unghiuta tirate via all'apparenza, come lo sfondo, Tiziano disegna e dipinge la bella santa con il Crocifisso in mano unico segno sacrale e una corta tunica di un verde straordinario, curatissima nelle mille pieghe. Le sagome e i colori delle costruzioni (in fiamme) tenute in una striscia dello sfondo che si riflettono nelle acque fra le nebbie e i colori sovranamente disciolti, fanno pensare alle costruzioni, ai colori di Venezia (e ai molti e disastrosi incendi).


Notizie utili - "Tiziano maturo e la sensualità della pittura" (Der späte Tizian und die Sinnlichkeit der Malerei). Dal 18 ottobre al 6 gennaio 2008. Vienna. Kunsthistorisches Museum, pinacoteca. Dal 2 febbraio 2008 al 21 aprile. Venezia. Gallerie dell'Accademia. Collaborazione fra Kunsthistorisches Museum e Polo museale veneziano. A cura di Sylvia Ferino-Padgen, responsabile "Rinascimento italiano", Kunsthistorisches Museum. Comitato scientifico internazionale. Catalogo Atelier Simma

Orari Vienna: dal martedì a domenica 10-18; giovedì 10-21; lunedì chiuso.

Biglietti Vienna: unico per la mostra e il museo, intero 10 euro; ridotto 7,50; famiglie 20 euro; "Vienna card" 9 euro. Biglietto per visita guidata 2 euro. Audio guide in tedesco, inglese e italiano 3 euro.

Per prenotare una visita guidata: + 43/1/525 24 - 45202 Fax + 43/1/525 24 - 5299 - I contatti sul sito del Kunsthistorisches Museum.


(31 ottobre 2007)


da: www.repubblica.it/2007/10/sezioni/arte/recensioni/tiziano-vienna/tiziano-vienna/tiziano-vie...

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