dal Corriere della sera
Intervista alla moglie
Fantasmi. Dispacci dalla Cambogia è una nuova raccolta di articoli, alcuni inediti, di Tiziano Terzani, che ripercorrono l'ultimo travagliatissimo ventennio di storia cambogiana. La vittoria e la dittatura dei Khmer rossi, il loro disegno di creare una nazione senza passato, che fu la giustificazione politica per lo sterminio di quasi un intero popolo. La conquista vietnamita, il ritorno del vecchio re, fino al processo intentato dal tribunale dell'Onu ai criminali di guerra. La prima e la più grande delusione del giornalista che aveva creduto in gioventù nell'ideologia comunista. La moglie Angela Terzani Staude, che è la curatrice del volume, nella prefazione del libro racconta ai lettori, e ricorda a chi lo ha conosciuto, chi era davvero Tiziano Terzani. La sua inesauribile forza che viveva e si rigenerava nel cercar di capire il mondo per raccontarcelo, nel modo più onesto possibile.
Come è venuta l'idea di fare una raccolta degli scritti di Terzani dalla Cambogia? Alcuni articoli sono già apparsi in altri libri, dove è la particolarità di questa nuova raccolta?
«Tutti gli articoli sono apparsi nei giornali, tre o quattro sono stati pubblicati anche nel volume In Asia. Ma è il vederli nella loro ininterrotta continuità, dal 1972 al 1996, che ci fa assistere come in presa diretta a 25 anni di storia asiatica. Una storia che per di più si ripete - ieri in Cambogia, oggi in Iraq - senza che l'uomo ne tragga una lezione. E soprattutto il contenuto di Fantasmi non è solo la storia della Cambogia. É la storia di Tiziano Terzani».
Nella prefazione lei racconta chi era davvero il giornalista Terzani, cosa lo muoveva. Crede che la figura di suo marito sia stata strumentalizzata da media e pubblico dopo l'enorme successo dei suoi ultimi libri e dei suoi interventi?
«No, non strumentalizzata. Forse lievemente isolata dalla storia intera della sua vita. L'ultimo Terzani, quello con la barba, non era sceso come un guru dall'Himalaya. Aveva alle spalle una storia drammatica di quasi trent'anni di guerre e rivoluzioni cui aveva partecipato da testimone oculare, spesso mettendo a rischio la propria vita, finché sono tramontate le sue speranze politiche. Volevo far vedere come il Terzani corrispondente dai fronti dell'Asia e il Terzani uomo di pace che traversa l'Italia sono una persona sola. É inevitabile che l'uomo, se vive nel mondo con un forte senso della propria autonomia intellettuale, cambi col cambiare del mondo».
Questo libro racconta, tra le righe, anche come si faceva il giornalista dal fronte e da lontano solo fino a 20 anni fa. Quando, senza internet, senza telefonini, un giornalista per mandare il suo pezzo aveva bisogno di giorni. Cosa si è guadagnato e cosa si è perso, secondo lei? I giornalisti erano diversi da quelli di oggi anche per questa maggior lentezza dei tempi delle notizie?
«Si è guadagnato in velocità, in comodità, in praticità. Ma si è perso in vicinanza alla gente, in inventiva, in quei rapporti umani diretti senza i quali non riuscivi allora né a trovare la notizia, né a mandarla al tuo giornale. Tutto questo si rifletteva nei reportage. Mentre oggi è raro sentire in un reportage quella drammatica partecipazione del giornalista che finisce per coinvolgere anche il lettore».
Lon Nol, Khieu Samphan, Ieng Sary, Pol Pot, Sihanouk, Henry Kissinger: quale di queste figure legate agli avvenimenti in Cambogia ha maggiormente impressionato Terzani ?
«Lon Nol era quello che allora chiamavamo un "pupazzo" degli americani. Khieu Samphan, Ieng Sary, Pol Pot erano i tre leader clandestini dei khmer rossi - degli assassini, alla fine. Tiziano ha rischiato di farsi fucilare nel suo voler capire quale fosse il loro programma politico. Kissinger era l'ispiratore della guerra americana, meglio non parlarne. Il principe Sihanouk invece, l'ex re della Cambogia rovesciato dal colpo di stato che nel 1970 dette il via alla guerra americana, si è sempre battuto ingegnosamente, dal suo esilio a Pechino, perché la Cambogia ritrovasse la pace. Tiziano lo ha per questo ammirato. Col tempo i due si sono legati in un rapporto di stima, quasi amicizia».
Terzani parte per l'Oriente per vedere come funziona il Comunismo nei paesi che lo hanno adottato come organizzazione della società. E scopre gli orrori della Cambogia, l'ipocrisia della Cina. É da allora che è finito ogni sogno politico di Terzani?
«Difficile dirlo, vorrei fosse lui a risponderle. La politica governa il mondo, questo Tiziano lo sapeva benissimo. Ma alla fine non credeva più che la politica - qualsiasi tipo di politica - riuscisse anche a migliorarlo. Pensò allora che l'uomo dovesse cominciare col migliorare se stesso: perché è sempre l'uomo, no, a inventare sempre nuovi ideali politici e a distruggerli subito dopo?»
Malgrado tutti gli orrori a cui assiste, Tiziano Terzani, talvolta nei suoi pezzi dalla Cambogia si lascia catturare dal fascino di una terra e di una cultura antichissima che sembra esercitare su di lui un grande potere. La cultura cambogiana è vicina alla sensibilità di Terzani. Cosa avevano in comune un fiorentino e la cultura khmer?
«Non credo che un fiorentino e un khmer, proprio per la diversità della loro storia e della loro cultura, avessero molto in comune. Ma era giusto la diversità ad affascinare Tiziano. Era la diversità ad appagare la sua innata curiosità, a farlo riflettere, a fargli rivedere continuamente le sue idee sul mondo, ad allargargliele. Lo attirava "l'altro", lo ha sempre detto. C'era poi in Cambogia - prima delle bombe americane e prima del genocidio per mano dei khmer rossi - una dolcezza tropicale del vivere, un equilibrio antico fra il re nel suo palazzo, i bonzi nelle loro pagode e i contadini nelle loro risaie che lo incantava. Lo incantava proprio quella trasognata lentezza dell'"Asia calda"».
Come è stato essere la moglie di un uomo che partiva così spesso?
«Vario, emozionante, mai noioso. Difficile a volte, sempre ispirante… "Grandi assenze, grandi presenze!" rispondeva Tiziano a chi gli faceva queste domande. Anche a me, devo dirlo, piaceva il suo partire quanto mi piaceva il suo tornare. Le sue assenze ci davano quei tempi di solitudine di cui tutti, ne sono convinta, abbiamo bisogno. É stata una vita che rifarei volentieri un'altra volta».
Elisabetta Galeffi