Thomas Milian

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ladillita.
00sabato 25 febbraio 2012 00:04
er cubano de Roma..





spaghettiwestern.altervista.org/darkside/tomasmilian.htm



Tomas Milian,
al secolo Thomas Quentin Rodriguez,
è nato a Cuba in un piccolo villaggio vicino a L'Avana.
Dopo un'infanzia turbolenta, infatti ha assistito al suicidio del padre, che si uccise sotto i suoi occhi, lascia Cuba per fare l'attore
.

Prima a Miami e poi a New york il giovane attore comincia ad interpretare le prime parti. Entrò a far parte del prestigioso Actor's Studio di New York e dal teatro passò alla televisione (una serie per la NBC) e successivamente, giunto in Italia, ottenne il primo ruolo cinematografico in un film di Bolognini (La notte Brava). Dopo aver ricoperto parti secondarie e alcuni ruoli di primo piano in film di stampo intellettuale, finalmente giunse il successo con il filone degli Spaghetti Western. Interpretando sopratutto ruoli del bandito buono, la svolta avvenne nel 1967 con Sergio Sollima e il western "La resa dei conti" Milian ottiene, assieme al successo cinematografico, anche la qualifica di difensore dei deboli (almeno presso alcuni paesi dell'America Latina) con lo strepitoso personaggio di Cuchillo, per poi consacrarsi definitavemnte con il personaggio di Tepepa due anni dopo.
Passò senza problemi dai western ai polizieschi, ed in pochi anni le sue capacità lo portano ad essere considerato tra i migliori attori del cinema italiano. I fim che interpreta, tra il giallo ed il pulp, lo vedono nei ruoli di poliziotti solitari e brutali
. Il filone si andava trasformando in commedia e nel 1976 nasce Nico Giraldi. "Si crede erroneamente che 'monnezza' sia il soprannome di Giraldi: in realtà Giraldi prima di fare la 'madama' era detto ' Nico er pirata'. Monnezza è un nome legato al personaggio del bandito nei film di Umberto Lenzi come 'la banda del gobbo' , 'La banda del trucido', ecc.".
Con Corbucci girò 11 film e, anche se doppiato da Ferruccio Amendola, riuscì a catturare al meglio lo spirito del personaggio romanesco. In questo ruolo ottenne diversi riconoscimenti per la commedia. Quando girò Delitto al Blue Gay, ultimo della serie, Tomas Milian stava ormai invecchiando e perdendo i capelli e fu inevitabile che decise di passare ad altri ruoli.
Infatti mentre interpretava Nico Giraldi aveva continuato a girare film importanti, come La Luna di Bertolucci, e aveva mantenuto i contatti con gli Stati Uniti. La sua stoffa d'attore fece si che venisse notato da registi come Pollack, Spielberg, Oliver Stone e Tony Scott, che lo hanno voluto nei loro film. poi nel 2001 Steven Soderbergh, grande fan del cinema di genere italiano, lo volle per il suo "Traffic", Tomas lo ricambiò dando vita a uno dei più sconvolgenti personaggi della sua carriera: il Generale Arturo Salazar. Noi da sempre suoi fan, abbiamo avuto soltanto l'ennesima conferma della sua grandezza, per chi invece ha sempre sottovalutato le sue capacità, una piacevole rivelazione.
Oggi, è il motivo per cui molti hanno inserito Tomas nella classifica degli attori più grandi del mondo, i suoi film, sono entrati nella mitologia del cinema italiano... Ancora grazie Tomas.


FILMOGRAFIA COMPLETA


1959 LA NOTTE BRAVA
1960 IL BELL'ANTONIO
1960 I DELFINI
1961 GIORNO PER GIORNO DISPERATAMENTE
1961 L'IMPREVISTO
1961 UN GIORNO DA LEONI
1961 LAURA NUDA
1962 L'ATTICO
1962 LA BANDA CASAROLI
1962 IL DISORDINE
1962 BOCCACCIO '70
1962 IL GIORNO PIU' CORTO
1963 MARE MATTO
1963 RO.GO.PA.G.
1964 GLI INDIFFERENTI
1965 MADAMIGELLA DI MAUPIN
1965 IL TORMENTO E L' ESTASI
1965 IO UCCIDO, TU UCCIDI
1965 I SOLDI
1966 THE BOUNTY KILLER
1966 LE SOLDATESSE
1967 LA LUNGA NOTTE DI TOMBSTONE
1967 LA RESA DEI CONTI
1967 FACCIA A FACCIA
1967 SENTENZA DI MORTE
1967 SE SEI VIVO SPARA
1968 CORRI UOMO CORRI
1968 BANDITI A MILANO
1968 RUBA AL PROSSIMO TUO
1969 O'CANGACEIRO
1969 TEPEPA
1969 I CANNIBALI
1969 BEATRICE CENCI
1970 DOVE VAI TUTTA NUDA?
1970 VAMOS A MATAR, COMPANEROS!
1970 LA VITTIMA DESIGNATA
1970 L'AMORE CONIUGALE
1971 UN UOMO DALLA PELLA DURA
1971 FUGA DA HOLLYWOOD
1972 NON SI SEVIZIA UN PAPERINO
1972 LOS HIJOS DEL DìA Y DE LA NOCHE
1973 I CONSIGLIORI
1973 LA BANDA S&J CRONACA CRIMINALE DEL FAR WEST
1973 LA VITA A VOLTE E' MOLTO DURA, VERO PROVVIDENZA?
1973 IL CINICO L'INFAME IL VIOLENTO
1974 CI RISIAMO, VERO PROVVIDENZA?
1974 IL BIANCO, IL GIALLO, IL NERO
1974 SQUADRA VOLANTE
1974 MILANO ODIA: LA POLIZIA NON PUO' SPARARE
1975 IL GIUSTIZIERE SFIDA LA CITTA'
1975 40 GRADI ALL' OMBRA DEL LENZUOLO
1975 FOLLE A TUER
1975 I QUATTRO DELL'APOCALISSE
1976 PAZZI BORGHESI
1976 ROMA A MANO ARMATA
1976 IL TRUCIDO E LO SBIRRO
1976 LIBERI ARMATI PERICOLOSI
1976 LA POLIZIA ACCUSA, IL SERVIZIO SEGRETO UCCIDE
1976 SQUADRA ANTIFURTO
1976 SQUADRA ANTISCIPPO
1977 MESSALINA, MESSALINA
1977 LA BANDA DEL GOBBO
1977 LA BANDA DEL TRUCIDO
1977 SQUADRA ANTITRUFFA
1978 SQUADRA ANTIMAFIA
1978 IL FIGLIO DELLO SCEICCO
1979 SQUADRA ANTIGANGSTER
1979 ASSASSINIO SUL TEVERE
1979 LA LUNA
1979 WINTER KILLS
1980 IL LUPO E L'AGNELLO
1980 DELITTO A PORTA ROMANA
1980 NIJINSKY
1981 MANOLESTA
1981 UNO CONTRO L'ALTRO PRATICAMENTE AMICI
1981 DELITTO AL RISTORANTE CINESE
1982 MONSIGNOR
1982 DELITTO SULL'AUTOSTRADA
1982 IDENTIFICAZIONE DI UNA DONNA
1983 CANE E GATTO
1983 IL DIAVOLO E L'ACQUASANTA
1984 DELITTO IN FORMULA UNO
1984 DELITTO AL BLUE GAY
1985 KING DAVID
1985 SALOME
1987 LUCI LONTANE
1988 CAT CHASER
1989 GIOCO AL MASSACRO
1989 REVENGE
1990 OLTRE OGNI RISCHIO
1990 HAVANA
1991 JFK - UN CASO ANCORA APERTO
1992 NAILS
1994 THE COWBOY WAY
1995 THE BURNING SEASON
1997 FOOLS RUSH IN
1998 AMISTAD
2001 TRAFFIC

ladillita.
00sabato 25 febbraio 2012 00:53


. Infanzia
L'uomo oggi noto con il nome di Tomás Milian, che può vantare una carriera recitativa ultratrentennale, nacque come Tomás Quintin Rodriguez il 3 marzo 1932 (anche se in Italia lo si crede nato nel 1937) nel piccolo villaggio cubano di Culono, nei pressi de L'Avana. Al di là delle apparenze, Tomás non fu il classico bambino viziato di una classica famiglia borghese quale era la sua, essendo il padre un generale al servizio del dittatore Gerardo Machado, figlio del cardinale di Avana. In particolare i problemi interni alla famiglia ulteriormente aggravati dalla instabile situazione politica del Paese contribuirono a rendere l'educazione di Tomás tutt'altro che serena. Il giovane Tomás fu mandato in una scuola dei Salesiani, rigida e conservatrice, che frequentò per uno scherzo del destino insieme al figlio di Fulgencio Batista (il colonnello che, dopo numerosi tentativi di colpo di Stato, si autonominò dittatore nel 1952). Ciò ebbe gravi conseguenze per il generale Rodirguez, che fu arrestato ed imprigionato, e che in conseguenza a ciò successivamente fu afflitto da depressione e claustrofobia. Dopo essere stato ricoverato per cinque anni in un Istituto per malattie mentali, Rodriguez poté ritornare in servizio, ora sotto le leggi di Batista, ma la pressione per il generale era troppa ed alla fine si suicidò. E lo fece sparandosi al petto nella casa che la famiglia possedeva in campagna, dove Tomás fu l'unico testimone oculare. Dei quattro figli della famiglia Rodriguez, Tomás si trovava nella particolare situazione di essere l'unico ad aver visto il suicidio del padre: i familiari lo mandarono sporadicamente in psicanalisi, ma rimasero grossi problemi a trattare con lui, ed infatti solitamente a Tomás veniva permesso di fare le cose a modo suo. Infatti, quando finì gli studi, Tomás decise di lasciare Cuba con nella valigia il sogno di diventare un attore.

II. Formazione
Fu Miami la prima fermata di Milian nel 1955, e qui iniziò a studiare inglese e pittura. All'Università dell'Accademia Teatrale di Miami ebbe anche la sua prima parte, in una produzione intitolata The Boat without Fishermen . Un anno più tardi Milian si trasferì a New York, dove la sua carriera sarebbe poi decisamente decollata. La signora responsabile della piccola scuola di recitazione e pittura che Milian frequentava rimase stupefatta dal talento del giovane cubano e lo iscrisse al famoso "Actors Studio" di Elia Kazan. La scuola era all'epoca diretta dal suo direttore forse più celebre, Lee Strasberg, e qui Milian apprese i fondamenti del "metodo Stanislavskij".

III. L'Italia
Grazie alla sua formazione all'Actors Studio, Milian iniziò a lavorare in teatro, come nel Maidens and Mistresses at home at the Zoo di Meade Robert, ed in alcune produzioni di Broadway. Nel 1957 Milian recitò una parte in una serie televisiva della NBC, Decoy, diretta da Michael Gordon. Ben presto però Milian venne ingaggiato in ruoli più rilevanti, che arrivarono grazie a quel leggendario regista, poeta e scrittore francese che è Jean Cocteau. Impressionati dalla recitazione teatrale di Milian, Jean Cocteau e Giancarlo Menotti lo portarono in Italia, a Spoleto, per il "Festival dei Due Mondi", dove Tomás avrebbe recitato in una pantomima di Franco Zeffirelli intitolata Il Poeta e la Musa. Non passò molto tempo perché Milian ottenesse la sua prima parte in un film, che fu appunto un film italiano: una breve apparizione in La Notte Brava (1959). Il film era diretto da Mauro Bolognini, che non a caso era presente tra gli spettatori del Festival di Spoleto...Così iniziò la lunga e fortunata carriera di Tomás Milian nel cinema italiano.

IV. Gli anni dell'"Arte": 1959-1965
Non molto tempo dopo Milian firmò un contratto di cinque anni con la "Vides", per la quale avrebbe dovuto lavorare in alcune produzioni di Franco Cristaldi. Durante questi anni Milian recitò prevalentemente in importanti ruoli di supporto in numerose produzioni rispettabili, come ne Il bell'Antonio (1960) con Marcello Mastroianni. Milian lavorò anche con i registi italiani dell'arte, quali Pasolini, Zurlini, Alberto Lattuada, ed ebbe un ruolo da protagonista nell'episodio diretto da Luchino Visconti del film Boccaccio '70 (1962), intitolato Il lavoro.
Il maggior successo della critica venne riscosso nel 1964 al "Festival di Mar Plata" in Argentina, dove Milian ricevette il premio come miglior attore maschile per il suo ruolo nell'adattamento de Gli Indifferenti (1964) di Alberto Moravia. Nello stesso anno si sposò con l'ex attrice Rita Valetti, con la quale ebbe il figlio Tommaso. Durante quelli che potrebbero essere definiti gli anni della sua formazione nel cinema italiano, cioè tra il 1959 ed il 1965, la sua estrema versatilità di attore divenne evidente. Più tardi, negli anni Settanta, gli spettatori italiani lo avrebbero adorato per le sue interpretazioni nelle commedie "romane", mentre la critica lo avrebbe incoronato per le sue parti nei film di Bertolucci ed Antonioni. La prima metà degli anni Sessanta fu un periodo in cui Milian veniva spesso ingaggiato per ruoli intellettuali, sensibili e leggermente nevrotici: fu un intelligente interprete della gioventù borghese, per esempio sia in Boccaccio '70 che in Laura Nuda (1961). Tuttavia, tra questi ruoli, Milian riuscì anche a sperimentare. Nel 1964 fu il protagonista della commedia teatrale Fuaristo, e l'anno successivo interpretò Raffaello nella grande produzione americana The Agony and the Ecstasy (Il tormento e l'estasi), una biografia storica con Charlton Heston nella parte di Michelangelo. Nonostante avesse guadagnato dei riconoscimenti dalla critica, Milian doveva ancora dimostrarsi una vera star davanti al grande pubblico, e con l'avvento del genere "Spaghetti Western" il grande successo commerciale era proprio dietro l'angolo.

V. La popolarità "Spaghetti": 1966-1974
Dopo il tremendo successo di Per un pugno di dollari (1964) di Leone, gli italiani cominciarono a produrre in massa dei "western all'italiana", un genere che portò alla ribalta un gruppo di ottimi attori: Franco Nero, Lee Van Cleef, Giuliano Gemma e, per l'appunto, Tomás Milian. Dato che molti western italiani trattavano il tema della rivoluzione messicana, Milian, che aveva un retaggio etnico appropriato, si addiceva perfettamente al contesto. I film sulla rivoluzione messicana erano parte di quel filone chiamato "Spaghetti Western Politico", una sottocategoria in cui Milian si distinse nelle parti di onorevoli banditi, quali l'archetipico peon Cuchillo, un proscritto della rivoluzione messicana apparso per la prima volta ne La Resa dei Conti di Sergio Sollima (1966). Fu proprio la collaborazione con Sergio Sollima, il suo regista western preferito, che fece di Milian un volto noto agli appassionati di cinema e che lo elesse a vera stella dello Spaghetti Western. Sorprendentemente, il contenuto quasi sempre di sinistra di questi Spaghetti Western passò inosservato dai censori delle dittature dei Paesi del Terzo Mondo dove, a detta dello stesso Milian, egli divenne una sorta di simbolo di "povertà e rivoluzione", un eroe del pubblico oppresso. Comunque Milian ha espresso in più interviste la sua opinione che gli attori non dovrebbero confondere la loro immagine sullo schermo con la loro vita privata. Quasi l'opposto del radicale Gian Maria Volonté, coprotagonista con Milian nel secondo Western di Sollima Faccia a Faccia (1967), con il quale si dice ebbe grandissimi scontri. Nonostante la trilogia di Sollima possa costituire il lavoro principale di Milian nel genere, egli lavorò anche in numerosi altri western. In realtà le interpretazioni di Milian in questo genere coprono una grande varietà di ruoli, dal villano all'eroe, da parti serie ad altre più comiche, tanto da poter essere considerato l'interprete western più versatile.
Fu in The Bounty Killer (1966) di Eugenio Martin che Milian ebbe la sua prima parte importante da cattivo, nella quale portò il suo caratteristico tocco di simpatia ad un complesso ritratto di un fuorilegge messicano turbato psicologicamente. Poi, all'inizio del 1967, Milian fu il protagonista dell'infame Se Sei Vivo Spara di Giulio Questi, un' escursione surreale e, per l'epoca, ultraviolenta che ebbe problemi con la censura e che favorì l'ascesa di Milian a vera figura cult per gli amanti dello Spaghetti Western. Successivamente vennero i tre Western di Sollima, La Resa dei Conti, Faccia a Faccia ed infine Corri, Uomo, Corri(1968), nel quale Milian tornò alla sua indimenticabile interpretazione di Cuchillo, il messicano tra il patetico, il comico e l'eroico, sempre alla ricerca di qualcosa. Tra gli altri western di spicco si ricordi Tepepa(1969), diretto da Giulio Petroni, in cui recitava anche Orson Welles, un film che traeva decisamente ispirazione al Cuchillo di Milian. Dal 1970 in poi Milian fece una serie di western con un maestro del genere, Sergio Corbucci, anticipando la successiva e fortunata collaborazione che Milian avrebbe poi avuto con il fratello di Sergio, Bruno. I Western di Sergio Corbucci sono tutti degni di nota, se non altro per le bizzarre parti che Milian ebbe in questi film. Nell'eccezionale Vamos a matar, Compañeros (1970), in cui recita con Franco Nero, il personaggio di Milian è simile a Cuchillo, ma mostra un approccio più sgargiante e con maggiore improvvisazione alla caratterizzazione, con risultati ancora una volta convincenti. Gli altri impegni nei film Western degli anni Settanta sono ancora più strani, come il suo ruolo di un samurai giapponese ne Il Bianco, il Giallo, il Nero (1974) di Sergio Corbucci ed i due Western comici con il "chaplinesco" personaggio di Provvidenza, completo di baffi, bombetta ed ombrello. Anche se il fenomeno del Western all'italiana si stava lentamente scolorendo, ciò non provocò danni a Milian, che trovò immediata popolarità in un altro campo, dato che l'età d'oro del film poliziesco italiano (il cosiddetto "poliziottesco") stava per cominciare. Tuttavia nel 1975 Milian fece un breve ritorno al Western con l'ignorato I Quattro dell'Apocalisse di Lucio Fulci, nel quale diede un breve quanto vitale contributo con un'interpretazione demoniaca del fuorilegge psicopatico Chaco, ostentando un aspetto sullo stile di Charles Manson.

Gli Spaghetti Western furono la specialità di Milian dalla metà degli anni Sessanta ai primi anni Settanta, ma durante questo periodo trovò spazio anche in numerosi altri film di diverso genere. Nel 1968 recitò in Banditi a Milano di Carlo Lizzani, la sua prima esperienza nel genere poliziesco, poi l'anno successivo lavorò ne I Cannibali di Liliana Cavani e in Beatrice Cenci, un celebrato film di Lucio Fulci piuttosto sconosciuto al pubblico. Nel 1971 ebbe una piccola parte come prete nel disastroso The Last Movie (Fuga da Hollywood) di Dennis Hopper, con il quale Milian in seguito avrebbe recitato nella serie televisiva Nails (1992). All'inizio degli anni Settanta Milian era giustamente considerato uno dei migliori e dei più versatili attori del cinema italiano. Sebbene avrebbe presto perso il suo favore presso la critica, Milian stava per stabilire un'immagine quasi leggendaria nella cultura popolare italiana...

VI. Gli anni di Monnezza: 1974-1984
Tale immagine arrivò tramite i "poliziotteschi", un genere che può essere visto come l'erede oscuro del western all'italiana, con un fascino speciale per gli italiani e per i romani in particolare. Questo genere brutale, con le sue atmosfere da strada, enfatizzava la fallacia del sistema giudiziario italiano e, seguendo l'esempio dell'ispettore Callaghan, si basava su poliziotti solitari e tenaci, spesso interpretati da personaggi intrepidi del genere come Franco Nero, Maurizio Merli, Henry Silva e Antonio Sabato. Tomás Milian fu introdotto nel genere nella metà degli anni Settanta attraverso uno di questi ruoli da poliziotto tenace, quello del vendicativo ispettore Tomas Ravelli in Squadra Volante (1974), uno sciccoso pulp-thriller di Stelvio Massi.
Milian avrebbe poi continuato a lavorare con uno dei veri autori del genere criminale italiano, Umberto Lenzi, con il quale Milian, sotto contratto con il produttore Luciano Martino, avrebbe fatto una serie di sei film poliziotteschi, nel complesso ben fatti e di successo. Il primo di questi, Milano odia, la polizia non può sparare(1974), si distinse dai successivi per il fatto che enfatizzava le tematiche psicologiche, in uno stile più vicino al genere "giallo italiano" piuttosto che a quello pulp. Milian fece in questo film un impatto impressionante nei panni del nevrotico psicopatico protagonista, Giulio Sacchi, arricchendo la sua interpretazione con una serie incredibile di tic nervosi. Il successivo film dell'accoppiata Lenzi/Milian fu Il giustiziere sfida la città(1975), nel quale Milian fu trasformato in un eroico motociclista barbuto in lotta solitaria contro il crimine. Questo film era meno violento del precedente ed insieme a questo formò la base cruciale per il personaggio di Monnezza.

Fu nel 1976 che Milian esplose sugli schermi italiani nei panni dello sgargiante ispettore Nico Giraldi in Squadra Antiscippo il primo di una serie di undici (!) film parodistici che fecero guadagnare a Milian il soprannome di "Monnezza". Il personaggio di Monnezza offre un'interessante contraddizione con la personalità di Milian nella realtà, e la storia della sua creazione è piuttosto complicata. Fondamentalmente il modo in cui Milian recita Monnezza potrebbe essere definito una combinazione dell'estroverso Giulio Sacchi e del più piatto e faceto Rambo. Comunque ciò sarebbe una semplificazione eccessiva, dato che anche altre persone vennero coinvolte nella creazione del personaggio. L'estremamente prolifico soggettista Dardano Sacchetti reclama di aver sviluppato il concetto originale di Monnezza nei film di Umberto Lenzi Roma a mano armata(1976) e Il Trucido e lo Sbirro (1976). Nel primo dei due, Milian recitò di fronte all'archetipo del vigoroso poliziotto italiano, Maurizio Merli. Durante le riprese sorsero (si dice) grandi diverbi e rivalità tra le due stelle. Dato che Milian recitava la parte del cattivo, tali disaccordi ebbero un buon riflesso sulla chimica scenica di Milian e Merli, ed il film fu un grande successo. Comunque il soggettista Sacchetti aveva scritto la parte di Milian, un malvivente gobbo, facendo riferimento a Il Gobbo, un classico cattivo romano presente anche nell'omonimo film di Carlo Lizzani del 1960. Siccome c'era un certo tocco ironico nella caratterizzazione di Milian, nell'occasione capellone, la simpatia del pubblico per lui fu addirittura superiore a quella per il protagonista. Ciò fu riconosciuto da Sacchetti che per il suo successivo film, Il Trucido e lo Sbirro, sempre diretto da Lenzi, volle catturare completamente le potenzialità del personaggio vagamente comico di Milian, ma Lenzi voleva maggiore enfasi sull'azione brutale e non volle passare troppo tempo nella definizione dei personaggi. L'ispirazione di Sacchetti nella trasformazione di Milian in Monnezza venne in parte dal film Trash - I rifiuti di New York (1970), di Andy Warhol e Paul Morissey, nel quale appare un personaggio americano barbuto, fumatore, con il nome di Monello, un nome che quasi naturalmente fu poi tradotto in Monnezza. Per il ruolo del cattivo in Il Trucido e lo Sbirro Milian fece anche delle ricerche che avrebbero poi posto le basi per il suo personaggio Nico Giraldi/Monnezza. Secondo Sacchetti, Milian trasse ispirazione dalla sua controfigura, il mitico Quinto, un romano il cui dialetto scurrile lo divertiva moltissimo. Questi elementi ebbero un effetto solo parziale nei film di Lenzi e per Milian la successiva produzione di Luciano Martino, La banda del Gobbo (uscito nel 1977) fu una prova problematica dato che sorsero dei problemi con l'attore protagonista Luc Merenda, simili a quelli sorti con Maurizio Merli. Comunque Milian ebbe la possibilità di lasciare la produzione e di lavorare con il produttore Galliano Juso e con il regista Bruno Corbucci, che avevano bisogno di un attore per il loro progetto Squadra Antiscippo, il primo film della serie con Nico Giraldi. Secondo Juso, Milian aveva dei dubbi sul personaggio di Giraldi, in particolare non riusciva ad immaginarsi nei panni un po' bohemien di questo poliziotto. Alla fine cedette e tutti gli elementi dei personaggi di Milian dei precedenti film polizieschi vennero miscelati meravigliosamente in Monnezza. Dardano Sacchetti ha correttamente osservato che Corbucci ed il soggettista Mario Amendola, essendo scrittori di commedia e non d'azione, furono le persone che finalmente prestarono adeguata attenzione alla personalità dei loro personaggi, permettendo quindi a Milian di fiorire in questa parte.

Bruno Corbucci affermò che per i film di Monnezza lui e Milian facevano affidamento reciproco: Milian confidava nel regista per l'individuazione di storia e situazioni, mentre Corbucci confidava nei vari trucchi e nelle numerose gesticolazioni di Milian, un campo in cui Corbucci lo considerava incomparabile. Milian dimostrò anche un sorprendente talento nel catturare il linguaggio romanesco scritto da Corbucci, anche se nelle versioni italiane fu spesso doppiato dal famoso Ferruccio Amendola. Milian dichiarò che nonostante il romanesco non si addicesse esattamente al suo retaggio di borghese cubano si era innamorato di questa parlata perché era vera, era quella della gente comune e della cultura di Roma. Lavorare con Corbucci per Milian era, a detta del regista stesso, "una grande sfida - altro che Antonioni e Bertolucci! - perché recitare personaggi sboccacciati e volgari rappresentava un grosso stravolgimento per uno che, in realtà, era introverso ed intellettuale". L'immagine di Monnezza provocò talvolta imbarazzo a Milian, che, spiegò lui stesso, si doveva confrontare con la domanda di "come fosse possibile andare avanti a giocare come i bambini giocano a guardie e ladri?" Ciò nonostante Milian ebbe grande successo e per il personaggio di Monnezza vinse il premio Rodolfo Valentino per l'attore più creativo e nel 1980 ricevette il premio Antonio de Curtis per la commedia. Comunque Tomás, che stava invecchiando ed in particolare stava perdendo i capelli, si sentiva sempre più intrappolato dalla figura di Monnezza, che era stata originariamente concepita come personaggio giovanile. Così nel 1984 venne l'ultimo film della serie, Delitto al Blue Gay, che chiuse un'era unica nel cinema popolare italiano.

VII. Il ritorno in America
In contemporanea con i film di Giraldi e con vari altri film della coppia Bruno Corbucci/Galliano Juso, Milian fece diverse apparizioni in altre produzioni, come la piccola parte molto apprezzata dalla critica nel film La luna (1979) di Bernardo Bertolucci, per la quale vinse l'equivalente italiano dell'Oscar. Nel 1982 Milian fu il protagonista principale di quello che sembrerebbe l'ultimo bel film di Michelangelo Antonioni, Identificazione di una donna. Dalla fine degli anni Settanta Milian cominciò anche a fare delle apparizioni in produzioni americane, come in Rebus per un assassino (1979), Monsignore (1982), e King David (1985). Fu inevitabile il ritorno a New York alla metà degli anni Ottanta dove riprese a fare teatro, televisione e nuove apparizioni cinematografiche, di solito nella parte del cattivo come ad esempio in Oltre ogni rischio (1989) di Abel Ferrara ed in Revenge (1990) di Tony Scott. Sporadicamente Milian tornò anche in Italia, dove fece il protagonista nell'eccellente dramma sul soprannaturale Luci lontane (1987) di Aurelio Chiesa e in Gioco al massacro (1989) di Damiano Damiani. Durante gli anni più recenti Milian si è reinventato la carriera come abile caratterista in alcune grandi produzioni americane, come The Burning Season (1994), Fools Rush In (1997) e nell'epico Amistad (1997) di Stephen Spielberg, dove Milian è accanto ad attori del calibro di Anthony Hopkins e Morgan Freeman. Dunque, con il suo ritorno in America alle sue radici di recitazione a New York, Milian sembra aver chiuso il cerchio e ancora dopo una carriera stupefacente di oltre trent'anni non sembra esserci una fermata per il talento di questo camaleonte cubano.


ladillita.
00sabato 25 febbraio 2012 01:04

intervista 2009

Tomas Milian, dopo anni di assenza, si appresta a tornare in Italia per interpretare un film noir. Ecco una buona occasione per fare il punto sulla sua folgorante carriera nel nostro cinema ...

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Ti va se parliamo dei tuoi western, Tomas?

Certo, naturalmente!

C’è un film diretto da Jaime Jesus Balcazar, intitolato The Long Night of Tombstone – in America pare circoli anche come Night of Hate, con te e Fernando Sancho. Mi confermi che si tratta dello stesso film?

Sì. Il titolo originale era La lunga notte di Tombstone. Ma non è un western! È una specie di poliziesco-giallo ambientato ai giorni nostri, e parla di una rapina.

Il tuo primo western, quindi, dovrebbe essere The Bounty Killer…

Esatto. Arrivavo da cinque anni di film intellettuali in Italia e avrei voluto tornare in America, per continuare qui la mia carriera, ma non avevo soldi… Sempre la stessa storia, perché ero sotto contratto con Cristaldi che mi passava un’indennità annuale. Dovevo quindi cercare un film per fare quattrini e mi offrirono questo. Il mio personaggio sul copione era un messicano, molto bastardo ma senza che si capisse perché era tanto bastardo. Mi risultava ostico così, non lo capivo. Chiamai regista e produttore e dissi che l’avrei fatto solo a condizione che la cattiveria e la rabbia del messicano venissero spiegate e proposi di inserire delle motivazioni sociali e quindi psicologiche che giustificassero il suo odio verso la vita. Ed è appunto questo il personaggio che ho interpretato.

Un altro personaggio curioso era l’albino di Sentenza di morte…

Sì, il film di Mario Lanfranchi, un regista di opere liriche che quando veniva sul set sembrava camminasse sulla merda. Anche questo lo feci per soldi. Ho fatto un sacco di soldi nella mia carriera ma ne ho spesi anche un sacco (ride). A dire la verità, i casini economici sono stati quelli che mi hanno fatto vivere come attore, perché mi spingevano a lavorare.

L’albino epilettico del film era nella sceneggiatura o anche in questo caso fu una tua aggiunta?

Era una mia idea. Un po’ tutti i caratteri che ho creato dipendevano da me. Pensa solo ai Monnezza… L’unica eccezione fu il personaggio di Boccaccio ’70 di Luchino Visconti, che era l’unico ad avere perfettamente in testa il personaggio che voleva. Sentenza di morte non l’ho mai visto: ho sempre cercato di seguire una linea nella mia carriera e questo film fu un compromesso. La mia agente spinse per convincermi a farlo. L’unica cosa buona è che mi diedero mano libera per la definizione di questo albino e credo di averlo caratterizzato in maniera efficace. Sul set mi ricordo che c'era Ali McGraw che faceva la calza: era la fidanzata dell'attore americano del film...

Il grande duello è stato il tuo più grande successo commerciale qui in America… Hai avuto un buon rapporto con Lee Van Cleef?

Era piuttosto distaccato, non molto socievole. Una bella persona, ma con molti problemi allo stesso tempo. Ho rispettato la sua privacy. Te la ricordi la scena in cui mi buttano nel porcile? Beh, ti dico la verità: quella in cui sono cascato era merda vera! Lì in mezzo c’erano fango, merda di maiale, merda di vacca e rifiuti andati a male. Non mi avevano chiesto di buttarmi in mezzo a quello schifo, perché dicevano che mi sarei preso qualche malattia. La scena, però, lo richiedeva e non c’era il tempo di preparare del fango finto usando la cioccolata perché la “grande star” ci potesse cadere dentro. Così, mi sono buttato in mezzo alla merda vera.

Hai mai avuto a che fare con Sergio Leone in quegli anni?

Una volta mi ha chiamato e gli ho detto no. Mi aveva offerto una parte che non mi piaceva, perché era un personaggio orribile.

Molti dei western che tu hai interpretato avevano echi politici…

Certo, c’era sempre un messaggio politico nei migliori western che ho fatto. Tepepa, che ho girato insieme a Orson Welles, aveva un sottofondo politico molto forte. Ed era stato scritto da uno sceneggiatore politicamente molto orientato, Franco Solinas.

Ho notato che in O’ Cangaçeiro il plot è abbastanza simile a quello di Tepepa. Ugo Pagliai e John Steiner hanno ruoli sovrapponibili nei due film, mentre lei è in entrambi i casi un diseredato che conquista la leadership della Rivoluzione…

Certo. O’ Cangaçeiro era scritto da Bernardino Zapponi, che aveva sceneggiato i film di Fellini. Mentre Tepepa era stato scritto da Ivan Della Mea, in collaborazione con Franco Solinas, che fece La battaglia di Algeri. Era una grande sceneggiatore, Solinas.

Ma O’ Cangaçeiro era una sorta di remake del precedente film di Giulio Petroni?

No. Ricordo di avere combattuto una lotta tremenda con il produttore di questo film… una lotta! E non l’ho vinta. Volevo girare la prima parte con la barba e il produttore diventò isterico. Gli usciva la schiuma dalla bocca tanto era incazzato, perché voleva che io fossi senza barba all’inizio del film, così sembravo più giovane e il pubblico avrebbe visto il passare del tempo.

Hai girato sia Tepepa sia O’ Cangaçeiro nel 1969?

No, Tepepa è del ’68 – durante la rivoluzione hippie. Io ho fatto la mia rivoluzione nei film… Sono stato anche un hippie: molte cose erano hippie nella mia vita e anche nei miei personaggi, che talvolta mi portavo a casa dopo che il film era finito. E diventavo sempre un pochino quel che avevo interpretato.





Prima citavamo Orson Welles: è stato complesso lavorare con lui?

Molto difficile. Ma anch’io sono una persona molto difficile. Così, ci fu una piccola lotta di ego. Sono un tipo di attore che mette tutto quel che ha in ogni film, come se si trattasse sempre del film più importante del mondo. Nella mia carriera, se dovevo fare qualcosa che veniva considerato un B-movie, il modo in cui lo affrontavo era lo stesso che se fosse il più importante degli A-movies. Era anche frustrante, perché spesso il regista non era molto bravo. Tenti di mettere il massimo di serietà e di professionalità in un lavoro, ma ti tocca vedere che tutto questo non viene recepito, che non gliene frega niente. Questo è il mio temperamento, d’altra parte, e da qui nascevano le difficoltà. Perché cercavo di obbligarli a prendere il mio impegno seriamente. A Orson Welles non fregava evidentemente un cazzo di venire in Spagna a fare un western con questo giovane attore, Tomas Milian. Evidentemente veniva solo per i soldi. Ma per la mia dignità, io volevo che lui si comportasse come se credesse allo script e al film. Cominciò ad essere davvero difficile la cosa e ho avuto una discussione con lui.

Tepepa so che è uno dei tuoi western favoriti…

Sì, lo è, ad eccezione della sequenza in cui John Steiner mi uccide conficcandomi un’arnese nel cuore. Ci sono due riprese: un piano medio in cui sono perfetto, e poi un close-up che venne fatto subito dopo il pranzo. A quell’epoca non avevo il potere di obiettare che il mio stato d’animo non era lo stesso della ripresa precedente. E mi sono sentito tradito, perché sono stato costretto a girarla. Rimasero due differenti stati d’animo nella stessa scena. Quando Tepepa uscì in Messico (sono molto critici se gli stranieri trattano la loro storia), ho saputo che il pubblico alla prima si alzò in piedi e applaudì. Erano molto orgogliosi di questo film.

Ti piace Faccia a faccia?

No, non mi piace perché era molto difficile lavorare con Gian Maria Volonté, pace all’anima sua. Il mio personaggio, che si suppone fosse molto violento prima che inizi la storia del film, appare già dimesso. Così, il personaggio di Volonté ha uno sviluppo, una progressione, mentre il mio resta debole, passivo. Si dice che io sia un famoso bandito, ma il bandito nel film non lo vedi mai. Per questo non amo Faccia a faccia.

Se sei vivo spara! è certamente uno dei western più violenti e controversi che hai girato. Che rapporto hai con questo film?

Credo che il regista, Giulio Questi, facesse una cosa sua. Era come lavorare con Antonioni, in un certo senso, perché Questi è un intellettuale rivoluzionario. È stato aiuto regista, sceneggiatore, tutto. Diresse questo film in collaborazione con Kim Arcalli, uomo molto intelligente e montatore di Novecento e Il conformista, di Bertolucci. Era un genio! Ed era molto amico di Questi. Lavorarono praticamente insieme in Se sei vivo spara! e Arcalli montò il film.

Nel film c’è una violenza molto esplicita per l’epoca. La scena in cui vieni torturato è quasi identica a quella in Beatrice Cenci, di Fulci...

I registi italiani amano torturarmi, perché sono uno molto difficile (ride).

Corri, uomo corri era una continuazione della storia di Cuchillo...

Faccia a faccia era stato un grosso successo e così decisero di dargli un seguito. Non mi piace molto, a dire la verità.

Com’è stato lavorare con Susan George in La banda J & S, storia criminale nel Far West?

Era un’attrice fantastica, fantastica! Successe una cosa che ti voglio raccontare, a proposito di questo film. Il produttore mi aveva promesso sessantamila dollari di extra - che erano una barca di soldi allora - quando il film fosse uscito in America. Ma non mi disse che il film era effettivamente uscito in America. Un giorno, qualcuno mi fece sapere che lo proiettavano in un cinema della 42 strada, a New York City. Io chiamai il mio agente, William Morris, e gli domandai cosa dovevo fare: «Va in quel cinema, fotografa i manifesti e chiedi al padrone del locale di farti una lettera in cui dichiara che proietta il tuo film». Vado allora sulla 42 alle oto di sera e mi dicono che il padrone sarebbe arrivato alle 11,30. Torno alle 11,30, fotografo l’entrata col manifesto e chiedo di incontrare il boss del locale. Avevo i capelli lunghi, come nel film, e la barba. Questo qui viene fuori con un sigaro in bocca, hai presente?... grasso, grosso e io gli dico: «Sono l’attore del film che lei sta proiettando»; «Fuori dalle balle!»; «Ma senta, guardi il manifesto e guardi me!»; «Vedi di levarti dai coglioni!» Insomma, mi buttò fuori, io non vidi i miei soldi e il produttore finì in prigione. Non per questo, ma perché doveva quattrini a mezzo mondo. Si chiamava Roberto Loyola.

Ti doppiavi sempre da solo?

Hai toccato un tasto molto delicato. Nella prima parte della mia carriera non mi doppiavo, perchè il mio italiano non era buono. Ho cominciato a doppiarmi quando ho cominciato a fare i western, con l’eccezione di La resa dei conti, che abbiamo fatto in inglese. Poi mi sono doppiato in italiano nella Luna di Bertolucci, con cui ho vinto un Nastro d’Argento. E mi sono doppiato anche in Identificazione di una donna, di Antonioni. Il doppiaggio è anche il motivo per cui ora lavoro in America, dove il doppiaggio non esiste. I film che ho fatto negli ultimi cinque anni in Italia, li ho accettati a condizione di doppiarmi da solo nella versione inglese e nelle produzioni inglesi, come Salomé in cui facevo Re Erode, Gioco al massacro, con Elliott Gould, Una casa a Roma, con Valerie Perrine e tutti i film americani che sto interpretando qui. Non voglio più lavorare in un film italiano se mi devono doppiare. Questa è la ragione per cui lavoro in America. Basta compromessi.


Cosa mi racconti di Franco Nero, con il quale ha lavorato in Vamos a matar compañeros?

Era molto attento alla sua immagine, Franco. Ricordo che quando andavamo al trucco, lui ci restava anche per tre o quattro ore, perché il truccatore gli disegnava delle rughette intorno agli occhi e gli faceva dei riflessi dorati nei capelli. Doveva avere ventitre o ventiquattro anni allora e io gli domandai: «Franco, perché vuoi sembrare più vecchio dell’età che hai?»; «Perché quando avrò cinquant’anni il pubblico mi vedrà sempre uguale. Non voglio invecchiare perchè non voglio mai smettere di fare l’attore». Non è incredibile? Franco è comunque una delle persone più belle e “pure” con cui ho lavorato, un uomo eccezionale. C’era una scena in Compañeros in cui Franco era in bilico su una botte, con le mani legate dietro la schiena e la corda al collo. Io dovevo salire su un palo e slegarlo ma a quel punto mi era venuta voglia di fargli uno scherzo, sapendo quanto lui tenesse al suo look. Mentre scioglievo il cappio mi sono messo a cantare una canzoncina, che inventavo lì per lì: «Beautiful eyes... blue like the sky». Intanto prendevo le sue palpebre e le sollevavo fino a mostrare il bianco dell’occhio Franco era terrificato, perché il suo pubblico stava vedendo il bianco dentro i suoi splendidi occhi azzurri. Così cantavo la mia canzone e aprivo i suoi occhi il più possibile. Quella notte Franco non riusciva a dormire e non lasciò dormire nemmeno Sergio Corbucci: «Sergio, ti prego, lasciami rifare la scena... Non ho avuto il coraggio di fermarlo. Tomas Milian mi sta rovinando: è pazzo!». Amo moltissimo Franco, che persona stupenda!

Ti sei trovato bene anche con Giuliano Gemma?

Anche lui è una persona meravigliosa. Sono stato molto sorpreso di trovare un attore come lui in Il bianco, il giallo, il nero, dove facevo un ispanico/giapponese.

Questo personaggio lo hai interpretato in diversi film. Ad esempio, Delitto al ristorante cinese...

Sì, ero figlio di una madre giapponese e di una madre spagnola. Giuliano un giorno mi disse: «Tomas, cerca di dare il massimo per far ridere il maggior numero di persone possibile! Perché più fai ridere le persone meglio è per me e per il film». Mi diede il massimo della cooperazione. Davvero una persona meravigliosa.

Il cast era davvero una combinazione straordinaria, ma il film ha deluso un po’ i tuoi fans...

Questo è il motivo per cui non ho mai avuto un enorme successo, perché quando i fans hanno cominciato ad amare troppo qualcosa che io facevo io gli sferravo come un pugno nello stomaco, interpretando un ruolo completamente diverso e loro dicevano: «Oh, mio Dio!». Non mi volevano vedere conciato in quel modo. Ma io li preparavo, perché non potevo essere un eroe per sempre. Ecco perché ho fatto i due Provvidenza. Il primo doveva essere solo un western da ridere, ma poi successero talmente tante cose surreali sul set - come quando mi “trasformai” in un uccello - che il film diventò qualcosa di diverso. Il secondo era ancora più “selvaggio”: incominciai a cantare, a danzare, a farne di tutti i colori.

L’ultimo western italiano che hai girato è I quattro dell’Apocalisse...

Era uno dei tre film che ho fatto con Lucio Fulci, tra i quali il migliore secondo il regista era Beatrice Cenci. Nei Quattro dell’Apocalisse facevo una partecipazione speciale di soli dieci giorni. Quando ho cominciato a diventare famoso in Italia, mi chiamavano spesso a fare queste partecipazioni. I quattro..., più che un western era un film di Lucio Fulci: lui amava quel genere di cose, la violenza intendo. Ma era una persona geniale Lucio, e io avevo un particolare feeling nel film. Di quel set ricordo Michael Pollard, che aveva fatto Bonnie & Clyde e che ha giocato un ruolo fondamentale nella caratterizzazione del mio personaggio, e Fabio Testi. La cosa buffa è che io avrei dovuto fare Il giardino dei Finzi Contini con De Sica, ma ero impegnato con un western. Mi avrebbero dato un sacco di soldi ma ho pensato: «Perché dovrei fare questo film indossando pantaloncini corti e facendo lunghe partite di tennis, quando posso tornare in Almeria e fare quello in cui il pubblico mi vuole vedere?». Fabio ha poi fatto al posto mio il film e da quel momento è esploso. È una persona dolcissima, più salutista di una farmacia, ma con un grande senso dell’humour.

Dopo i western sei passato ai polizieschi...

Si, ho capito che il genere cominciava a stancare e così ho pensato che bisognava inventarsi qualcosa di nuovo, di più attuale. E mi sono detto: «Perché non cambiare il cavallo con la motocicletta e fare un western metropolitano ai giorni nostri?». Quello che mi serviva erano un produttore e un regista che credessero in me in questo nuovo genere. Così quando Stelvio Massi, un direttore della fotografia che voleva esordire alla regia, venne da me con il copione di Squadra volante, accettai subito di farlo, anche per un compenso minore del solito. Sapevo che sarebbe stato un successo e non mi sbagliai. I miei fan cominciarono ad amarmi anche come eroe di polizieschi...

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