Il garfagnin fuggiasco
00mercoledì 7 febbraio 2018 13:11
Nel 1976 uscì un libro, pubblicato dalla Oxford Universtity Press, che ha fatto la storia della scienza ma anche, suo malgrado, molta della storia politica, sociale, religiosa e morale dell'ultimo quarto del secolo passato e ancor di quello presente. The Selfish Gene (“Il Gene Egoista”) del professor Richard Dawkins.
Il libro di Dawkins cerca di spiegare l’evoluzione delle specie attraverso la selezione naturale, scoperta da Darwin e Wallace quasi allo stesso tempo alla metà dell'Ottocento, in termini di genetica molecolare anziché di individuo o di gruppo come era uso al suo tempo. Dawkins non era l'ideatore di questa interpretazione dell’evoluzione essendo debitore dei contributi e ricerche di altri biologi come Hamilton, Maynard Smith, Fisher e Haldane, ma fu quello che meglio di altri fornì una visione sistematica della teoria.
Gli utenti del forum hanno naturalmente familiarità con la teoria di Darwin. Tutti gli organismi viventi sono costretti ad una lotta per l’utilizzo delle limitate risorse ambientali per la loro stessa sopravvivenza. In ogni generazione di ogni specie, dai batteri ai primati, sono presenti certe differenze tra individuo e individuo. La selezione naturale “sceglie” (d'ora in poi userò termini simili per descrivere i processi naturali solo per tradurli in linguaggio umano ma senza implicare alcuna volontà, pianificazione, progetto o scopo; la selezione naturale è un processo che accade perché non può non accadere, senza alcuna volontà cosciente dietro) quelle caratteristiche più favorevoli alla sopravvivenza dell'organismo che quindi vive più a lungo e ha più possibilità di riprodursi. Dato che queste caratteristiche sono ereditarie, le stesse saranno presenti in maggior percentuale nella generazione successiva. Attraverso mutamenti incrementali e cumulativi di generazione in generazione, le specie si modificano e, nel corso dei milioni di anni, danno origine ad altre specie, tutte imparentate tra di loro in un unico, interminabile albero genealogico.
La teoria di Darwin fece scandalo a suo tempo, togliendo all'umanità la sua posizione privilegiata di pinnacolo della creazione per ridurla a semplice risultato di lenta evoluzione da altri animali. Fu per molti decenni osteggiata e, anche quando fosse accettata, sempre trattata come mera teoria senza prove. Soprattutto il problema di come i caratteri favorevoli potessero essere ereditati restava insoluto. Le ipotesi più favorevoli vedevano nella specie intera il tratto ereditario, in che quelle specie le quali, attraverso la cooperazione e il muto soccorso, riescono a superare le pressioni ambientali, sopravvivono e si modificano nel tempo.
Il monaco agostiniano della Moravia, Mendel, contemporaneo di Darwin, aveva ipotizzato la presenza di geni, o caratteri ereditari, nei suoi studi sulle piante (quella selezione artificiale da cui Darwin stesso prese le mosse per la sua teoria della selezione naturale) e degli alleli (due versioni dello stesso gene che si mescolano nei gameti) e può essere a buona ragione considerato il fondatore della genetica. Ma le sue erano ancora ipotesi senza fondamento. Come e a che livello si trasmettono i caratteri ereditari? E che cos’è il gene?
La risposta al quesito arrivò infine nel 1953, ben 94 anni dopo la pubblicazione della “Origine delle specie” di Darwin, quando i biologi Watson e Crick, con l'aiuto dei colleghi Wilkins e Franklin, scoprirono finalmente, nei laboratori dell’università di Cambridge, la struttura del DNA. La doppia elica del DNA è un codice, come un programma di computer. La capacità di alcune basi azotate di legarsi esclusivamente ad un altra (A con T, C con G) fa sì che ad ogni filamento lineare della molecola ne corrisponde un altro con le basi tutte opposto, unito al primo da tenui legami dell'idrogeno. Ora, una catena di basi AT o CG di per sé non dice molto, come non dicono molto una serie di 0 e 1 nella memoria del computer. Per dare un significato al tutto è necessario che ci siano espressioni traducibili. Nel computer sono i bytes, pacchetti discreti che codificano i caratteri. Nel DNA sono i geni. Il gene è un segmento di DNA che attraverso l’utilizzo di una altro acido nucleico, l’RNA, produce una catena di amminoacidi, in una sequenza determinata dalla sequenza del codice genetico stesso. Ci sono molti tipi di aminoacidi ma solo 21 vengono usati dall'RNA. Sono questi i “mattoni della vita”. Così come le 21 lettere dell'alfabeto italiano, i 21 aminoacidi possono formare un numero infinito di parole. Molte combinazioni possono non avere alcun senso (qwdjgtux, per esempio) ma altre sì. Le parole del DNA che hanno senso sono quelle capaci di combinare stringhe di amminoacidi con questa caratteristica: sotto la pressione delle leggi della chimica si annodano spontaneamente, passando da una struttura lineare ad una tridimensionale: la proteina. Alcune proteine sono capaci di attrarre sostanze chimiche presenti nella cellula e produrre composti che poi rilasciano. La proteina è un catalizzatore, capace di velocizzare persino miliardi di volte reazioni chimiche che altrimenti avverrebbero molto di rado e casualmente. È una macchina per produrre sostanze e la cellula diventa una fabbrica di queste sostanze. Quelle benefiche aiutano l'organismo a formare muscoli, tendini, ossa e ad espletare le funzioni necessarie alla vita. Ogni proteina è unica in quanto basata su diversi codici genetici. E poiché il DNA si ricopia fedelmente, così pure fa il gene che sintetizza quella proteina e il processo continua nelle generazioni. L'unità di eredità dei caratteri è il gene.
La particolare struttura della macromolecola organica di DNA non solo spiega il meccanismo dell'ereditarietà ma anche quello della evoluzione. Se infatti il processo di copia fosse perfetto non ci sarebbe evoluzione. Gli oceani primordiali si sarebbero riempiti di copie identiche della prima molecola finché non ci fosse stato più posto e tutto sarebbe finito lì. Esisterebbe solo DNA. Ma in natura niente è perfetto e l'immensa diversità di forme viventi oggi si deve proprio all'imperfezione del processo ereditario. Ogni volta che il filamento di DNA ricompone il filamento mancante vi sono dei piccoli errori: basi mancanti, basi rovesciate, basi fuori sequenza, addirittura interi segmenti capovolti. Questi errori, per quanto minimi in relazione alla lunghezza dell’intero codice, possono portare ad una proteina leggermente modificata. Molte modifiche non hanno alcun effetto e la proteina funziona alla stessa maniera. Altre hanno effetti negativi. Ma alcune, pur poche, possono migliorarne il funzionamento che a sua volta comporterà modifiche nell'individuo. Questo dà alla selezione naturale il materiale necessario per operare, differenze tra individui della stessa specie. Quelli più adatti all'ambiente in cui vivono si riprodurranno in numero maggiore e passeranno i propri geni alla generazione successiva.
Questa è, in sintesi, l'elegante spiegazione dell'evoluzione: la lenta selezione, non casuale, di mutazioni genetiche casuali.
Sotto questa ottica cambia dunque l'enfasi sul processo evolutivo. La base è il gene, non la specie, il gruppo o l'individuo. E il gene non ha altra caratteristica che il ricopiare se stesso, niente altro. Da qui il titolo del libro, il Gene Egoista. Nel senso che il processo evolutivo non è dovuto all'intelligenza di una specie di organizzarsi in modo vantaggioso ma solo alla capacità dei geni di aiutare l'individuo a sopravvivere.
Naturalmente il fatto che il gene sia inerentemente egoista non significa l'individuo debba essere consimile. Al contrario, la natura è piena di esempi di sopravvivenza ottenuta tramite cooperazione a vari livelli. Si pensi al paguro ed alla simbiosi, ad api e formiche tra cui le operaie sterili riproducono i propri geni attraverso la cura della regina, fino ai comportamenti altamente sociali di molti mammiferi. Ma tutto dipende dal vantaggio che un adattamento o l’altro, altruista o egoista, può avere per il gene. Usando gli studi di Hamilton, Dawkins dimostra che l’evoluzione solo per cooperazione a livello di specie è un meccanismo inerentemente instabile. Basta che pochi individui mostrino tratti egoistici (tipo non partecipare alla difesa dei piccoli o alla ricerca del cibo) che il meccanismo si inceppa. Gli individui egoisti, rischiando meno, si riprodurranno di più e in poche generazioni il tratto egoistico prevarrà. Se però il tratto altruista aiuta il gene, qual che sia il modo, a sopravvivere allora il gene si riproporrà ed il tratto altruista prevarrà. Quel che conta è il beneficio a livello di gene, non di individuo o specie.
Il libro di Dawkins trovò buona accoglienza nell'ambito scientifico, dando una base più solida alla teoria darwiniana. In poco tempo diventò un classico negli ambienti scientifici coniando il nome di neo-darwinismo. Ma se la scienza fu prodiga di riconoscimenti per il libro, la società civile si ribellò, generando una vera e propria reazione negativa per motivi che nulla avevano a che fare con la biologia.
A sinistra i progressisti tuonarono contro questa interpretazione dell’evoluzione per il timore, del tutto fondato, che potesse esser presa come base per una visione della società come pura sopravvivenza del più forte, una conferma delle tesi che, con Margaret Thatcher e Ronald Reagan (più i “Chicago boys” dell'economista Milton Friedman) stavano proprio quel periodo ponendo le basi per il neo-liberismo in cui oggi viviamo. La destra si divise. Quella “economicista” abbracciò invero tale versione fino a creare una grottesca teoria di “darwinismo sociale”. Quella religiosa invece vi si oppose affermando che il darwinismo toglieva all'essere umano la sua natura di entità morale, con uno scopo nella vita. Si formò così una “unholy alliance”, una unione scellerata tra sinistra progressista e destra religiosa contro la destra economicista. In seguito, quando negli anni novanta la maggior parte della sinistra storica si convertì al mercato ed al liberismo, e la destra economicista rifiutò certi aspetti del darwinismo sociale per darsi una parvenza più popolare, le due parti si riavvicinarono. Toccò allora alla destra religiosa, soprattutto negli Stati Uniti, continuare la battaglia attraverso la dottrina del creazionismo (interpretazione letteraria della Genesi) e del suo figlio bastardo, l'Intelligent Design. Battaglia che continua ancora adesso. Per chi fosse interessato a questo aspetto OT consiglio di leggersi la storia del processo Kitzmiller vs Dover Area School District (Pennsylvania) del 2004. È da antologia.
Il professor Dawkins, inutile dirlo, fu sconvolto dall'idea che un libro di biologia potesse essere letto in termini politici e morali. Addirittura giudicato sulla base di sentimenti che il titolo suscitava riguardo all'egoismo. Fu una faccenda così assurda che per prima, nei miei anni di liceo, mi diede la misura del fanatismo ideologico e dogmatico della nostra era, che pure deve cosi tanto alla scienza ed al pensiero razionale. Mostrò una dicotomia forse irreparabile tra la società colta ed educata e il popolo che, nonostante la discreta educazione di base che tutti abbiamo, si nutre di pregiudizi confortevoli in base ai quali anche l'evidenza dei fatti non serve. Proprio quello che notiamo oggi, con la marea del populismo che avanza.
Per il professor Dawkins, che è sempre stato piuttosto di sinistra e ha sempre votato laburista o liberaldemocratico, rimane un cruccio indelebile e molta della sua carriera successiva è stata dedicata al rifiuto di aver in qualche modo sostenuto una teoria di darwinismo sociale. Continuò ad insistere che le teorie scientifiche non devono esser prese come lezioni morali ma solo come spiegazioni di fatti naturali attraverso agenti naturali e che gli umani devono trovarsi la loro morale un base alle esperienze della vita. Nella sua introduzione alla 30esima ristampa del libro, così scriveva: “Uno dei messaggi più forti del Gene Egoista è che non dobbiamo trarre i nostri valori morali da darwinismo, se non in senso negativo. Il nostro cervello si è evoluto al punto che siamo capaci di ribellarsi contro i nostri geni egoisti. Che possiamo farlo è reso evidente dall'uso della contraccezione (che dal punto di vista del gene, aggiungo io, è il massimo del paradosso) . Lo stesso principio più e deve essere usato in tutti i campi.”
Dawkins ha più volte affermato di essersi pentito della scelta del titolo e che avrebbe dovuto accettare il consiglio di un amico di intitolarlo “Il Gene Immortale”. Sarebbe stato un titolo ugualmente corretto. Benché la materia di cui è fatto il gene decade rapidamente con la morte della cellula, le informazioni genetiche che passa sono, in effetti, praticamente immortali. Per questo abbiamo nel nostro genoma resti di geni di decine e centinaia di milioni di anni fa, passatici dai nostri antenati, magari inerti e non traducibili in proteine ma ancora lì, a comporre quasi il 90% del nostro DNA. Quel cambio di aggettivo avrebbe eliminato una nota negativa nel titolo che tanto a pesato sulla vita del libro.
Ma il professor Dawkins è troppo severo con sé stesso. Nessuna precauzione può metterti al riparo da quella tendenza umana, essa stessa prodotto dell'evoluzione, di seguire i propri desideri, illusioni, pregiudizi e dogmi anche contro l'evidenza più chiara. Se uno è totalmente innamorato della sua verità, non c'è dibattito o dimostrazione razionale che tenga. Per questo oggi siamo dove siamo. E non è detto che i secoli più bui dell'intolleranza religiosa e morale non siano ancor da venire. O da ritornare.
Il garfagnin fuggiasco
00giovedì 8 febbraio 2018 16:25
Ma non si tratta di umani.
Paradossalmente il progresso individuale e sociale dell'umano è proprio l'unico aspetto non rilevante perché la specie umana è l'unica che non si evolve per selezione naturale e non a caso Dawkins vi insiste così tanto. Parliamo di specie che si evolvono in natura, non tramite pensiero razionale e tecnologia.
Quanto alla questione del gene modificato nel singolo individuo che perciò è ininfluente, forse la questione fa ridetta in altri termini. Per mutazione genetica si intende una variazione nel genoma che fa sì ci siano differenze tra genitori e figli. Prendiamo una specie di cavalli che viva allo stato naturale in soffici praterie. In ogni generazione i vari errori di copia (e il mescolamento dei caratteri dei genitori) fa sì che vi siano differenze tra individui. Diciamo nella lunghezza della zampa. Quegli individui con le zampe più lunghe sono in media più veloci e hanno più probabilità di sfuggire ai predatori mentre quelli con zampe più corte vi soccombono in numero maggiore. Nella successiva generazione, quindi, il carattere “zampa lunga” (ereditato dai geni dei sopravvissuti) è più numeroso. Anche in quella generazione, però, vi sono differenze. Il processo continua finché nella specie il carattere “zampa corta” sparisce mentre la zampa lunga, favorita dalla selezione naturale, continua ad allungarsi, almeno finché l'eccessiva lunghezza della zampa, e la sua fragilità, non diventa un ostacolo (se ti rompi una zampa non corri più, né forte né piano) e la specie si stabilizza nella sua speciale nicchia naturale.
Non si tratta quindi di una sola mutazione genetica in un individuo di una specie. Sono tutte mutazioni genetiche in tutti gli individui, dovute agli errori di copia del DNA, che li differenziano l'uno dall'altro. La selezione naturale sceglie tra questi.
Naturalmente ci sono anche, negli animali più semplici, drammatiche mutazioni isolate che risultano in grandi cambiamenti quasi istantanei, per esempio se una mutazione permette, casualmente, ad un batterio di utilizzare una sostanza particolare per lo sviluppo. Questo è stato documentato e porta, data la rapidità di riproduzione dei batteri, a risultati visibili quasi in tempo reale. E non solo batteri. È proprio di ieri la notizia, riportata su Repubblica, di una specie di granchi d'acqua dolce, originari della Florida, in qui una sola mutazione genetica, avvenuta uno o due decenni fa, ha permesso la riproduzione partenogenica (asessuata) anziché tramite il normale accoppiamento maschio-femmina e adesso si assiste ad una prevalenza di individui femminili che si riproducono fantasticamente in qualsiasi ambiente, anche sole in acquari.
È questo che si intende per mutazioni genetiche