La testimonianza di gran lunga più interessante è contenuta nel capitolo decimottavo delle “Antichità
giudaiche” di Giuseppe Flavio, nota tra gli storici come Testimonium flavianum. Essa, a causa della difficoltà
di alcune sue affermazioni, fu oggetto di un lungo dibattito fra gli studiosi. Così infatti si presenta nella forma
a noi tramandata:
“
Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere
straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti
dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non
cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo,
avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta
meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani” (Ant. XVIII, 63-64).
E’ evidente che le affermazioni evidenziate dal carattere corsivo, presentate in tal modo, sono di uno
scrittore che crede alla divinità di Gesù, alla sua risurrezione, alla sua qualità di Messia (Cristo) predetto dai
profeti; un giudeo non convertito al cristianesimo, qual era Giuseppe, non avrebbe mai potuto scrivere tali
cose.
Una svolta decisiva nell’analisi del testo fu impressa nel 1971 dalla scoperta di una Storia universale scritta
in Siria nel X secolo dal vescovo e storico cristiano Agapio di Ierapoli (in Frigia, Asia Minore), che riporta una
traduzione araba del Testimonium. Essa rappresenta un testo migliore di quello greco tramandato,
compatibile con il pensiero di Giuseppe e privo di quelle rielaborazioni cristiane che sono state contestate
dai critici; in tal modo, parve confermare sia la sostanziale autenticità del passo, sia la teoria di coloro che
già prima avevano ipotizzato un’interpolazione successiva con i soli metodi della critica interna.
Ecco il testo arabo:
“
Similmente dice Giuseppe l’ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: “Ci fu
verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era
considerato virtuoso (o: dotto), e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò
alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato (o:
dottrina) e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era
probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie”.
Come è possibile notare da un semplice raffronto tra i due testi, siamo di fronte alle medesime informazioni:
tuttavia, mentre nella recensione greca Giuseppe sembra riferire in prima persona le considerazioni
“cristiane” nei riguardi di Gesù, quasi le condividesse, in quello arabo egli si limita esclusivamente a riportare
quanto i discepoli di Gesù riferivano su di lui. Da parte sua, l’autore testimonia l’esistenza storica di quello
che egli chiama in entrambi i testi un “uomo saggio”.
L’importanza di questo testo più “puro” sta nel fatto che è opera di un vescovo cristiano: è difficile pensare
che in uno scrittore cristiano il testo di Giuseppe sia stato modificato in senso minimizzante nei confronti di
Gesù. Per cui, probabilmente, Agapio aveva di fronte una migliore recensione del testo di Giuseppe
1
.
“Migliore recensione” non significa “originale”; egli infatti traduceva da una versione siriaca, forse anch’essa
viziata da qualche intervento redazionale spurio.
Alla luce di tutto ciò, i critici moderni sono ormai concordi nel ritenere il passo del Testimonium come
sostanzialmente autentico nella sua testimonianza storica di Gesù, sebbene abbia subito prima del secolo IV
delle interpolazioni cristiane.
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