Re:
Alfredo_Benni, 04/01/2010 12.13:
Qualcuno mi trova questa conferenza con Malanga che in ipnosi mi intervista sto tipo che parla in rettiliano ? Così verifichiamo se parla Klingon ?
Bravo Alfredo, usa il metodo scientifico, ma come va usato, non come te lo inventi tu per darti la solita ragione.
Piuttosto che continuare con queste boiate da Star Treck, ti posto DATI, che puoi trovare su uno dei numerosi lavori scritti di Malanga:
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Le domande di controllo chiarirono che ero di fronte ad una personalità aliena che
rispondeva tranquillamente, perché era anch’essa in ipnosi; non si allarmava per le mie
domande e rivivificava le sue esperienze passate come un normale addotto ipnotizzato.
COME IMPARARE LA LINGUA ALIENA
L’addotto era un operaio di una ditta costruttrice di ciclomotori ed, in ipnosi profonda, stava
descrivendo una scena in cui l’alieno biondo a cinque dita (l’Orange), gli faceva leggere
alcune parole su di uno strano libro metallico:
- Cosa c’è scritto su quel libro?
- Mo-di-fi-ca-zio-ne-geee-neee-ticaa.
- In che lingua è scritto, in italiano?
- No.
- Che lingua è?
- Non lo so, non la conosco.
- Ma allora come fai a saper leggere quello che c’è scritto?
- NESSUNA RISPOSTA.
Quando il soggetto in ipnosi non risponde, non vuol dire che non sa la risposta, altrimenti
direbbe subito “non lo so”: sta cercando i dati occorrenti, che sa di aver archiviato da
qualche parte, ma non sa dove. Potrebbero trascorrere giorni interi prima di ottenere la
risposta, mentre il cervello dell’addotto fa milioni di tentativi di recupero.
Per ottenere rapidamente la risposta decisi di utilizzare la tecnica del tappo e dei due
buchi. Questa tecnica trae ispirazione dalla favola del pescatore la cui barca viene
attaccata da un pesce spada, che la buca sotto la linea di galleggiamento.
Il pescatore trova un tappo e lo usa per tappare il foro, ma il pesce spada torna all’attacco
e fa un altro buco; istintivamente il pescatore toglie il tappo dal foro precedente e lo usa
per tappare il nuovo foro, ma lascia entrare l’acqua dalla prima falla.
Posi all’addotto due tipi di domande in rapida sequenza, per consentire l’elusione di una
delle due, ma non dell’altra. Ecco come andò:
- Come fanno gli alieni a parlarsi tra loro?
- Con la bocca.
- E tu li capisci?
- Sì.
- Come fai a capirli se non conosci la loro lingua?
- NESSUNA RISPOSTA.
L’addotto stava ancora cercando la risposta quando gli feci la seconda domanda a
bruciapelo:
- Come hai fatto ad imparare così presto la loro lingua?
- Con una pallina che mi hanno messo nel naso.
- E questa pallina è sempre attiva?
- Sì.
- Allora adesso puoi comprendere la loro lingua?
- No, devo prima sentire un rumore nell’orecchio destro: è una serie di suoni molto acuti
e poi la pallina funziona...
Ecco la password che cercavo: una serie di suoni, come un codice a barre che l’addotto
riconosce e trasmette al dispositivo impiantato di fronte alla ghiandola pineale, il quale
altera qualcosa in alcuni centri nervosi e provoca l’attivazione delle memorie aliene.
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Secondo me, per attivare queste ultime non era necessario conoscere la password vera e
propria: bastava sapere che l’addotto aveva memorizzato la sequenza di suoni della
password acustica per fargli rivivere il ricordo di tale sequenza. Ecco il risultato:
- Ora conterò fino a tre, poi sentirai quei suoni nell’orecchio. 1-2-3.
L’addotto stringe gli occhi come se sentisse dei suoni fortissimi, poi si distende: da questo
momento alle mie domande risponderà in un’altra lingua.
L’analisi di alcuni fonemi prodotti durante la conversazione ha rivelato, all’esame di un
esperto del settore (del quale è allegata la relazione preliminare) alcuni dati importanti.
L’esperto ha analizzato solo le risposte, lavorando all’oscuro di ciò che avevo chiesto
all’alieno.
In particolare avevo posto all’alieno, in sequenza, le seguenti domande:
1. Come ti chiami?
2. Da dove vieni?
3. Dimmi le lettere del tuo alfabeto.
4. Dimmi i numeri.
Nel tracciato sotto riportato, i fonemi di bassa frequenza che si confondono con il rumore
di fondo sono della mia voce, mentre quelli che si distinguono bene sono della voce
dell’addotto in ipnosi, il quale risponde senza pensarci su, con grande immediatezza.
I programmi per le analisi dei brani sono: Speech Analyzer e Cool Edit 2000, tutti
rigorosamente professionali ed oggi gratuiti.
ANALISI DEL FONEMOGRAMMA, EFFETTUATA DA PINO CARELLA
(previa accurata cancellazione delle domande, per non influenzare minimamente l’analisi)
Il linguaggio è fondamentalmente un veicolo per la comunicazione (scambio di informazioni) tra due o più
esseri viventi, siano essi animali od umani o perlomeno terrestri. Tale meccanismo implica che nel sistema
geo-vivente circostante vi sia almeno la presenza di spazio e di tempo, nonché un’atmosfera, affinché le onde
sonore possano propagarsi ed essere percepite. Gli esseri viventi coinvolti devono altresì possedere sia un
apparato biologico trasmittente sia uno ricevente.
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Il linguaggio è la risultante dell’evoluzione di una razza, umana o animale che sia. Esso racchiude in sé un
numero incredibile di informazioni sulla specie interessata. È ovvio che il cervello delle creature con
capacità di elaborazione del linguaggio deve essere predisposto a tale funzione. La nostra storia di umani
terrestri ci dimostra inequivocabilmente che l’evoluzione della nostra specie è stata caratterizzata da continui
cambiamenti dei linguaggi, dei costumi, dell’habitat e dello stile di vita lungo il corso del tempo trascorso
sulla Terra. Questo è il cammino della cultura dei popoli. Infatti dal linguaggio di un popolo se ne può
determinare il livello di evoluzione.
Il Grande Dizionario DeAgostini della lingua italiana, in riferimento al linguaggio, recita: 1) favella, modo
di esprimersi attraverso la parola od altri mezzi: linguaggio dei simboli, dei cenni, dei fiori. 2) modo di
esprimersi che caratterizza una persona, l’ambiente da cui essa proviene od una categoria sociale: usa un
linguaggio piuttosto colorito, linguaggio prosastico, poetico, scientifico, burocratico, familiare, linguaggio
della malavita, gergo. 3) Il modo, l’intonazione del parlare e dell’esprimersi: linguaggio scortese, franco,
generoso. 4) idioma, lingua: non conosco il linguaggio di quest’iscrizione. S.3. tono, 4. Parlata. E ant. Prov.
Lengatge , drv. di lenga “lingua”. La parola linguaggio indica, nel suo significato più ampio “ogni mezzo
che serve per la comunicazione di un messaggio”. In tal senso sono forme di linguaggio i gesti, le
espressioni del volto, i suoni (ad esempio, poniamo, il suono della tromba da guerra e quello delle
campane), i disegni (ad esempio, la segnaletica stradale o quella infortunistica), le segnalazioni più varie,
da quelle fatte con il fumo (in uso presso alcune popolazioni primitive) fino a quelle ottenute con particolari
apparecchiature (ad esempio quelle dei semafori). Tuttavia la forma di linguaggio più precisa, più
espressiva e più potente è quella che si avvale delle parole: infatti, il linguaggio, nel suo significato più
ristretto e più proprio, è “l’uso della parola, scritta e orale, secondo un sistema convenzionale” che
costituisce la lingua di una collettività, in particolare di una collettività nazionale. In ogni lingua o
linguaggio si riscontrano diversi livelli d’uso che determinano una sorta di plurilinguismo all’interno dello
stesso idioma: si hanno così, ad esempio, la lingua ufficiale o formale (propria dell’uso più generico, con
caratteristiche che la fanno essere perfettamente coerente con la normativa grammaticale e con la più
diffusa convenzione lessicale, cosicché, mentre riesce formalmente perfetta ed anche elegante, risulta
impersonale e spesso arida); la lingua comune (meno sorvegliata di quella formale ma più vivace ed
espressiva, usata da tutti per le più consuete esigenze di comunicazione); la lingua popolare e quella
familiare (adoperate da una cerchia ristretta di utenti, sono formalmente più approssimative, ma più ricche
di efficacia espressiva). Il linguaggio, si sa, si adegua all’uso, cosicché esso acquista – soprattutto
nell’aspetto lessicale – diversificazioni dovute ai diversi settori di utenza. Tali diversificazioni determinano
e caratterizzano i cosiddetti linguaggi settoriali, cioè quei linguaggi legati a specifici settori (ad esempio,
attività, professioni, mestieri, ecc.) della vita associata. Sono linguaggi settoriali il linguaggio scientifico,
tecnico, politico, burocratico, economico, giornalistico, sportivo, pubblicitario, ecc. (** io aggiungerei
quello religioso, mistico, folle ed esoterico).
TAVOLA DELLE LINGUE PRINCIPALI
Principali lingue parlate in Europa
Neolatine - Germaniche od anglosassoni - Celtiche - Ugro/finniche - Baltiche - Slave.
Principali lingue parlate in Asia
Semitiche - Turco/tartare - Caucasiche - Indo/iraniane - Sino/tibetane - Malesi - Nippo/coreane.
Principali lingue parlate in Africa
Camitiche - Bantù/sudanesi.
Principali lingue parlate in America
Prescindendo dalle parlate indigene, peraltro in uso presso gruppi etnici assai ristretti, in America sono
diffuse le lingue europee, e precisamente l’inglese ed il francese (nell’America settentrionale, escluso il
Messico), lo spagnolo (in Messico e nell’America centrale e meridionale, escluso il Brasile) ed il portoghese
(in Brasile).
Principali lingue parlate in Australia ed Oceania
Massima diffusione dell’inglese, ma non mancano lingue indigene, parlate da comunità numericamente
esigue.
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Evoluzione (dal Grande Dizionario DeAgostini della lingua italiana)
Evoluzione: s.f. 1) l’evolversi; trasformazione, svolgimento graduale; modificazione del modo di essere:
evoluzione del costume, della società, del pensiero [] in biologia, modificazione dei caratteri tipici di una
specie nel corso dei tempi: teoria dell’evoluzione od evoluzionismo, teoria filosofico scientifica secondo cui
le specie viventi sono il risultato di trasformazioni intervenute su forme di vita preesistenti, più semplici [] in
linguistica, trasformazione che ha subìto una lingua, una parola, dalla sua forma originaria a quella
attualmente consueta: evoluzione semantica o fonetica, se tale trasformazione riguarda rispettivamente il
significato od il suono di una parola o di un gruppo di parole.
Scansione a moduli
Non si può, a questo punto, evitare di tener conto del fatto che il linguaggio di un popolo è, in un certo senso,
la sua carta d’identità ed una buona parte della sua mappa storica, una specie di legenda riassuntiva da … a
…[]. Pertanto sono da tenere in seria considerazione le forme espressive, i moduli lessicali, la quantità di
lettere e/o vocali tonde e/o intermedie che comprendono un alfabeto, le inflessioni, l’altezza dei suoni, la
modulazione timbrica, l’intenzione e lo spirito comunicativo.
Dall’estratto sonoro analizzato si riscontrano diverse astrazioni sociali e storiche più o meno conosciute.
Ad un primo ascolto generico e superficiale il suono dei fonemi “appare” di stampo arabeggiante, ma con
forti sonorità di cultura ebraica. Cratteristica tipica di quest’ultima lingua è la caduta degli accenti sulle
vocali aperte (à), oppure seguite dal gutturale (ah) duro, o precedute dal gutturale (ha) morbido.
Si distinguono, però, anche inflessioni di taglio vagamente afro, più sull’intenzione nel pronunciare che sulla
conformazione strutturale delle parole e dei moduli. Difatti la lingua ebraica, nell’aspetto timbrico e
modulato, appare come “cantata”; le forme espressive sono ben marcate e la cadenza è piuttosto rilassata e
pacata, mentre quelle arabe, ed ancor di più quelle afro, sono energiche e strette, caratterizzate molto spesso
da consonanti multiple. In quelle arabe troviamo spesso il modulo (hlàlhh) con gutturale morbida, (ndr’rm)
pronunciata stretta, (ha’bìbi) con gutturale dura. In quelle afro, invece, troviamo moduli multipli
caratterizzati da consonante-consonante e da consonante-vocale-consonante-vocale, ad esempio: (‘hatolò)
con “H” aspirata, lettera “T” che sembra più una specie di “D” ma che in realtà si ottiene puntando la punta
della lingua sull’angolo della parete dura del palato prima dell’incavo dello stesso. Altre formanti del
linguaggio afro sono i tipici suoni (‘mbutu) sempre con la lettera “T” pronunciata come descritto sopra e
(‘ndromu), tenendo sempre presente che le consonanti “DR” vengono pronunciate facendo leva, con una
compressione nasale, sulla lettera “N” per poter ottenere una fusione tra la lettera “D” e la lettera “R”
puntando la punta della lingua sulla parte alta del palato. Se ne ottiene, così, un suono atipico, una specie di
“R” molto forte, ma con attacco duro in partenza, simulante una specie di “D”. Alcuni passaggi del sonoro
analizzato contengono anche lievi venature del linguaggio gaelico, caratterizzato dalle lettere “J” e “K” nelle
finali delle parole, ma che nulla hanno a che vedere con il taglio timbrico, modulare e delle pronunce del
gaelico originale.
Appaiono inoltre, ad intervalli misti, forme sonore di lingua vagamente asiatica, tipo coreano-tailandese,
caratterizzato dai moduli a tre lettere, consonante-vocale-vocale, pronunciati con chiara intenzione orientale.
Infine vi sono opache manifestazioni timbriche ed intenzionali di un non ben precisato linguaggio europeo,
non caratterizzato da formazioni di consonanti e vocali nell’uso corrente, ma nella scelta delle lettere: “N” –
“G” – “M” – “D”. Queste vengono pronunciate secondo l’uso europeo e non manifestano in modo forte
interazioni con altre culture. Vi sono anche sporadici passaggi con sonorità slave, russo-caucasiche, indù
dell’India ed indiano dei nativi d’America.
Considerando il comportamento lessicale, la forma espressiva, l’intenzione della tendenza psicologica nel
comunicare e soprattutto lo scarso contenuto di consonanti, (11) non risulta difficile trarne un profilo di
stampo molto popolare. A differenza, invece, delle vocali, che ci sono tutte, per lo meno quelle europee “a-ei-
o-u”, e ciò sta ad indicare una forma linguistica semplice, caratterizzata dall’uso preponderante di vocali,
appartenente propriamente a civiltà povere e poco evolute, come pure quelle caratterizzate da un uso a
maggioranza di sole consonanti (afro - aramaico). Basti osservare lo spostamento geografico delle
popolazioni terrestri nel corso della storia, per considerarne l’evoluzione culturale e comunicativa del
linguaggio. Di conseguenza, quanto più un popolo possiede, nelle sue forme espressive, un’articolazione
ricca di consonanti, vocali e vocaboli distribuiti attraverso un’abbondante tessitura mista ed anche una
piacevole distribuzione dei suoni, delle espressioni e delle inflessioni, tanto più è evoluto.
Cercando di rappresentare e riprodurre in forma scritta i fonemi in oggetto, si possono estrapolare alcuni
aspetti di rilevanza fondamentale, onde comprovarne, od almeno avvicinarsi il più possibile, ad una non
meglio precisata fonte originale.
La tessitura del discorso è suddivisa in sette periodi, contraddistinti da intervalli di silenzio; rappresentazione
di volontà di attirare l’attenzione sull’importanza di un certo messaggio. Anche le caratteristiche vocali
cambiano a seconda del periodo. Il primo periodo suona come una specie di “salve eccomi qua!” oppure un
più semplice “ciao”. Il secondo sembra porre le fondamenta di un discorso, una premessa. Il terzo non è
molto rappresentativo ed è piuttosto confuso e scarso di inflessioni nell’intenzione e appare disgiunto dai
fonemi precedenti e successivi. Il quarto è molto simile al secondo, suddiviso in cinque gruppi di parole, ma
con un’intenzione espressiva un po’ più decisa. Il quinto ritengo sia il punto centrale del messaggio ed
evidenzia una forte inflessione nell’intenzionalità, volendo manifestare in modo evidente una domanda, una
sfida. Il sesto è anch’esso di grande importanza, perché non è altro che la risposta al precedente, un voler
confermare in maniera rafforzativa e decisiva ciò che si è appena detto. Il settimo ed ultimo periodo è
suddiviso in due collegati tra loro; il primo sembra voler ricordare, a conclusione del discors, la risposta
precedente ed il secondo, in chiusura, rappresenterebbe la classica inflessione vocale di un saluto.
Scansione dei moduli
Tradotto dal sonoro: Tisvàlhh (pausa) teik ahà vashà atchuà tae daj (pausa) vatasai helh (pausa) eshà enà
enòu esèivah mihàdà (pausa) ailàj (pausa) tasì ailàj (pausa) alahsì hatòlo.
PRIMO PERIODO
tisvàlhh = MODULO a tre sillabe