simolimo
00venerdì 16 aprile 2004 12:36
LA LEGGENDA DELLA BISALTA
Un tempo, la Bisalta non era così. Un pastore della Valle Colla, tornando da Boves dopo una giornata di mercato e d'osteria, farfugliando discorsi all'aria e discutendo con compagni invisibili, insicuro sulle gambe, si trovò in difficoltà perché proprio la montagna Bisalta gli nascondeva il chiaro di luna che l'avrebbe aiutato a ritrovare il sentiero.
Giunto nei canaloni che tutti conoscono come «Vie del Serpente», s'accorse di arrancare tra cespugli e rocce. Continuò a camminare, ciondolando, sino a che si trovò sull'orlo di un burrone.
Ubriaco ma esperto, fece in tempo a fermarsi e a lanciare un'imprecazione contro la montagna che gli nascondeva la strada del ritorno.
D'improvviso comparve un diavolo nero. Puzzava e rideva a squarciagola. Promise di spianare la Bisalta se il pastore avesse accettato un «contratto». Glielo mise sotto il naso, con mano pelosa e rovente. Pronto per la firma.
L'incontro inatteso, e forse la paura, fecero tornare lucida la mente del pastore. Decise di prendere tempo. Per non firmare trovò la scusa che, con il buio, non riusciva neanche ad intravedere il foglio.
Il diavoletto, per convincerlo, volle mostrare le sue capacità. Con una spaventosa scossa di terremoto, separò la cima della Bisalta in due «corni» che lasciarono ricomparire la splendida luce lunare.
Impressionato da tanta potenza, il pastore analfabeta accettò di firmare e pose una croce nel punto indicato. Fu così che, di fronte a quel simbolo, il diavolo tornò immediatamente da dove era venuto. Dal nulla.
(da "La Stampa" del 16/4)
maurizio.SAVONA
00mercoledì 16 dicembre 2009 17:09
Ho letto questo articolo particolarmente bello!!
65 anni fa un dicembre di fuoco
Sono trascorsi 65 anni da quei primi giorni del dicembre 1944 quando, sia dal baluardo di Gesso in Cuneo e da molti punti di Mondovi, come da ogni angolo della pianura, gli occhi interessati dei nazifascisti e gli occhi pieni di lacrime delle mamme e dei papà dei partigiani si voltavano verso il Pian della Tura ad osservare uno spettacolo che non aveva uguali: un gruppo di aerei, sul mezzogiorno, volavano sul Monregalese e, giunti all’altezza della Tura, lasciavano scendere il loro carico contenuto in numerosi container sostenuti da paracadute di seta di vari colori. Erano aerei alleati che portavano aiuti ai partigiani, ma erano pure causa di prossimi attacchi da parte dei nazifascisti: e la cosa si realizzò appena quattro giorni dopo. Per fortuna che, pochi giorni prima, il comando era riuscito a concretizzare lo scambio dei prigionieri tedeschi nelle mani dei partigiani dopo la battaglia di Pogliola.
I giovani partigiani lavorarono indefessamente per ore e ore a ricuperare i container e a portarli al Rifugio Mettolo. E fu una fatica non da poco perché, a causa delle correnti, alcuni container andarono a finire sia verso Artesina sia verso Val Ellero. Intanto le forze nazifasciste andavano concentrandosi all’imbocco delle vallate e, dalle notizie ricevute, erano circa 20 volte le forze partigiane. Il cap. Cosa ed il cap. Gigi diedero disposizione per parare le conseguenze dell’attacco che, puntualmente, il 10 mattina ebbe inizio. Nella Val Ellero un primo centro di fuoco venne sistemato all’altezza di Norea appoggiato alla montagna; un secondo sul cocuzzolo che nasconde la frazione di Baracco. A questo punto successe ciò che non ci si aspettava: il nemico veniva all’attacco con mezzi corazzati, ma davanti faceva marciare i civili che aveva rastrellato in Roccaforte.
Un caso di coscienza si poneva in quel momento ai comandanti dei due centri di fuoco: è lecito sparare su dei civili inermi? Da Baracco il comandante si limitò a sparare raffiche a circa 100 metri di altezza che ebbero però l’effetto di rallentare o addirittura fermare per qualche tempo la marcia degli attaccanti e dare così tempo ai partigiani di risalire la montagna e portarsi oltre il Pino ove, nel frattempo, stavano giungendo i partigiani della Prea e quelli che stavano già arrivando dalla Val Pesio. La Valle risuonava di boati e la gente si rinchiudeva nelle case, temendo le reazioni dei nazifascisti. La linea ultima di difesa venne stabilita da Cosa e da Gigi nel vallone dietro al Mondolè, al Seirass, ma prima alcuni partigiani furono comandati di far saltare in aria il rifugio Mettolo con tutto ciò che esso conteneva, e piangeva il cuore a vedere andare in malora quel ben di Dio.
Ripensare a ciò che accadde quel 10 dicembre di 65 anni fa inorgoglisce e provoca tanto dolore: si rivedono le file dei partigiani che risalgono la montagna, pestando neve, e qualcuno rotolerà per centinaia di metri, senza poter difendersi contro un nemico così ben armato. Alla Balma di Frabosa cadde, rimpianto da tutti, Meo Preve, che era andato a prelevare viveri. Il gruppo, che era stato incaricato della difesa dalla collina di Baracco e di stare in retroguardia, intanto aveva raggiunto il colle del Fornello ove il comandante aveva deciso di sistemarsi a difesa, anche perché, nel frattempo, il nemico aveva raggiunto la zona dei Bergamini, in val Maudagna, e il salire con gli altri al Seirass sarebbe stato un suicidio. Il comandante non può rischiare in quelle condizioni, quindi fa sdraiare gli uomini vicino ai cespugli, li fa coprire di foglie secche e si attende: si spera che a nessuno venga da starnutire perché sarebbe la fine! La pattuglia, in fila indiana, passa a pochi metri dai giovani e se ne va su senza accorgersi di nulla. Si ritorna a respirare, a vivere!
Due giorni dopo inizia a nevicare, bisogna decidere sul da farsi: in fondo alla Valle Maudagna pattuglie tedesche vanno avanti e indietro come pure in Val Ellero, la fame si fa sentire eppure bisogna trovare la strada per sfuggire al nemico! Nel frattempo un giovane volontario sfugge al controllo come impazzito: di corsa raggiunge il Maudagna ma giunto sulla strada una pattuglia nemica lo condanna alla fucilazione sul posto! Quei colpi risuonano ancora oggi nell’orecchio e nel cuore del comandante! È ora, non c’è tempo da perdere, in cielo si accalcano altre nuvole gravide di neve, bisogna sfuggire all’accerchiamento: cala la sera, gli uomini in fila indiana e in silenzio scendono verso il Maudagna, a circa 100 metri dal torrente, piegano a sinistra, piano piano senza far rumore passano sotto la parete della attuale scuola di roccia; ogni tanto si fermano per respirare ed anche per accertarsi di non essere stati notati e poi, a mezza costa, tra i castagni, puntano alla cava di marmo che sta sopra Miroglio.
È quasi fatta. Durante il giorno la colonna non si muove ma di notte riprende la marcia che, dopo tre notti, porterà a Pianvignale dove una caritatevole signora li rifocillerà con una scodella di castagne bianche al vino. Mai pranzo fu più succulento e gradito! Il più soddisfatto era il comandante che, spostandosi di notte attraverso i campi, riuscì a sistemare i suoi uomini nelle cascine della pianura accolti bene dai contadini. Qualcuno trovò nascondiglio in casa propria. Intanto su al Seiras i capitani Piero e Gigi studiavano il piano per riportare in pianura i loro uomini che, dopo giorni di digiuno e di freddo, erano al limite della resistenza, e la tenaglia del nemico si stringeva sempre più. Molto lavoro ebbe, in quei terribili giorni, don Bruno. E la sua parola e la sua presenza ebbero un effetto meraviglioso sull’animo di quei giovani combattenti. Il piano studiato, anche se non di facile attuazione, si dimostrò eccellente: di notte gli uomini, in fila indiana, scesero silenziosi verso l’Ellero sul sentiero dei Viret, attraversarono il torrente dopo essersi tolte le scarpe e le calze, risalirono la montagna verso la Pigna, ridiscesero verso il Bevione e poi verso il Mortè; con un’azione ardita si portarono al di là della provinciale, si avviarono poi verso la fraz. Garavagna di Villanova e, finalmente, stanchissimi ma liberi e sicuri, giunsero in pianura nella zona di Roracco. I comandanti ebbero la soddisfazione di non aver perduto uomini e di aver sfidato e vinto un esercito, come il tedesco, che veniva considerato invincibile. Pochi giorni dopo, per vendicarsi, il tedesco, con l’aiuto dei fascisti, fece una retata in Mondovì di oltre 2.000 cittadini e, a piedi, li portò a Cuneo; fu un susseguirsi di interventi di parecchie persone autorevoli per evitare il loro trasferimento in un lager tedesco!
A 65 anni di distanza è bene ricordare quelle giornate terribili vissute, per conquistare alla nostra Patria la libertà e la democrazia, da parte di giovani che il fascismo non era riuscito a dominare e che si erano ribellati ad una classe politica che aveva portato l’Italia al baratro. Il nostro invito è rivolto a tutti ed in particolare ai giovani perché siano sempre attenti a non lasciarsi rubare quelle conquiste che tanto sangue e sofferenze sono costate.
gruttu5329
00mercoledì 20 novembre 2013 14:17
Bartali è ora “Giusto tra le Nazioni”, anche il Piemonte lo ricorda
Gino Bartali è stato un campione immenso, sui pedali e nella vita. Il riconoscimento dello Yad Vashem è il giusto premio per una vicenda umana straordinaria, impreziosita dal coraggio durante il nazifascismo. A partire dalla testimonianza di Giorgio Goldenberg, il piccolo ebreo fiumano che raccontò di essere stato nascosto in un appartamento di proprietà di Bartali a Firenze.
“Sono vivo perchè Bartali ci nascose in cantina”, spiegò Goldenberg, 81 anni, oggi residente in Israele .
Questo campione verrà ricordato a Palazzo Lascaris (Sala Viglione, via Alfieri 15) a Torino, giovedì 21 novembre alle ore 10,30.
Tra gli interventi, oltre a quello del figlio di “Ginettaccio”, Andrea Bartali, spiccano quelli di Emanuel Segre Amar, vicepresidente della Comunità ebraica di Torino, Rocco Marchigiano, presidente del Comitato regionale della Federciclismo, e di Enzo Ghigo, vicepresidente della Lega Italiana di ciclismo professionistico. A moderare i lavori il giornalista Beppe Conti.
Sono anche attese le vecchie glorie piemontesi Franco Balmamion, Guido Messina e Italo Zilioli.
Lo Yad Vashem spiega che Bartali, “un cattolico devoto, nel corso dell’occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l’arcivescovo della città Elia Angelo Dalla Costa”.
“Questa rete ebraico-cristiana ha salvato centinaia di ebrei locali ed ebrei rifugiati dai territori prima sotto controllo italiano, principalmente in Francia e Yugoslavia".
Bartali ha agito “come corriere della rete, nascondendo falsi documenti e carte nella sua bicicletta e trasportandoli attraverso le città, con la scusa che si stava allenando ,pur a conoscenza dei rischi che la sua vita correva "