Storie, racconti e leggende...

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simolimo
00mercoledì 24 marzo 2004 08:39
LA STORICA VALANGA DI BERGEMOLETTO


L’inverno 1754-1755 fu terribile per gli abitanti di tutte le valli cuneesi: le valanghe uccisero 200 persone nelle borgate. Ma per Bergemoletto di Demonte, in Alta Valle Stura, il peggio doveva ancora accadere. Era la mattina del 19 marzo 1755, festa di San Giuseppe: un’enorme valanga si staccò dai monti Burel e Vintabren e precipitò sulla borgata seppellendo gran parte delle case. I morti furono 22.
Quel giorno accadde anche un altro fatto drammatico e straordinario. La neve travolse una misera casupola dove si trovavano Maria Anna Rocchia, 45 anni; la figlia Margherita, tredicenne; il figlio Antonio, 6 anni, e la cognata Anna, 24. Tutti furono sorpresi nella stalla dove, nonostante il crollo del tetto, rimanevano pochi metri quadrati. La valanga in quel punto era alta 18 metri.
Le quattro persone rimaste intrappolate iniziarono la terribile prigionia, che si sarebbe conclusa solo 37 giorni dopo, a fine aprile, quando i superstiti di Bergemoletto, tra i cui parenti delle tre donne, cominciarono a scavare certi di dover solo recuperare dei cadaveri. Nella stalla vivevano anche due caprette che assicuravano un po’ di latte e un asino, ma l’unico cibo solido era un pugno di castagne secche.
Intanto, all’esterno, i soccorritori tentavano di scavare nell’enorme massa di neve, ma dopo qualche giorno furono costretti ad arrendersi, convinti che ormai per i quattro non ci fosse più nulla fare. Una decina di giorni dopo morì l’asinello e quindi, fra le braccia della mamma, anche il bambino Antonio. Una capra diede alla luce un capretto, che le donne uccisero per cibarsi della carne cruda. Intanto i giorni scorrevano, mentre la temperatura primaverile faceva sciogliere la neve e l’acqua aumentava il disagio, anche se almeno era utile per dissetarsi.
Il 25 aprile i superstiti della borgata ricominciarono le ricerche dei corpi dei loro cari. La stalla venne quasi subito localizzata. I soccorritori furono felicemente sbalorditi nel trovare le due donne e la ragazzina Margherita ancora in vita. Nessuna era in grado di camminare: Maria Anna Rocchia era diventata calva. In poche settimane si rimisero tutte in forza. Raccontarono che, oltre al dolore, il maggior fastidio era il fetore dei corpi in decomposizione e le loro vesti imputridite dall’acqua.
Secondo lo storico Colin Fraser, quello di Bergemoletto è un primato mai eguagliato in tutto il mondo di sopravvivenza sotto una valanga.


(da "La Stampa" del 24/3)

[Modificato da simolimo 16/04/2004 12.34]

aumadoc
00mercoledì 24 marzo 2004 19:28
i miei complimenti a simolimo che ha scovato e riportato un episodio cosi' terribile e nello stesso tempo incredibile .
decisamente interessante .
bravo ancora .

Jos75
00lunedì 5 aprile 2004 15:51
...
Semplicemente sbalordito...[SM=g27831]
Bravo Simo sm47
gaza
00martedì 6 aprile 2004 09:04

A chi interessasse, di questa storia, nel 1995 Pietro Spirito ne ha fatto un libricino di 84 pagine edito da Vivalda, collana Licheni. Il titolo è ovviamente: La grande valanga di Bergemoletto.sm63

simolimo
00venerdì 16 aprile 2004 12:36
LA LEGGENDA DELLA BISALTA


Un tempo, la Bisalta non era così. Un pastore della Valle Colla, tornando da Boves dopo una giornata di mercato e d'osteria, farfugliando discorsi all'aria e discutendo con compagni invisibili, insicuro sulle gambe, si trovò in difficoltà perché proprio la montagna Bisalta gli nascondeva il chiaro di luna che l'avrebbe aiutato a ritrovare il sentiero.
Giunto nei canaloni che tutti conoscono come «Vie del Serpente», s'accorse di arrancare tra cespugli e rocce. Continuò a camminare, ciondolando, sino a che si trovò sull'orlo di un burrone.
Ubriaco ma esperto, fece in tempo a fermarsi e a lanciare un'imprecazione contro la montagna che gli nascondeva la strada del ritorno.
D'improvviso comparve un diavolo nero. Puzzava e rideva a squarciagola. Promise di spianare la Bisalta se il pastore avesse accettato un «contratto». Glielo mise sotto il naso, con mano pelosa e rovente. Pronto per la firma.
L'incontro inatteso, e forse la paura, fecero tornare lucida la mente del pastore. Decise di prendere tempo. Per non firmare trovò la scusa che, con il buio, non riusciva neanche ad intravedere il foglio.
Il diavoletto, per convincerlo, volle mostrare le sue capacità. Con una spaventosa scossa di terremoto, separò la cima della Bisalta in due «corni» che lasciarono ricomparire la splendida luce lunare.
Impressionato da tanta potenza, il pastore analfabeta accettò di firmare e pose una croce nel punto indicato. Fu così che, di fronte a quel simbolo, il diavolo tornò immediatamente da dove era venuto. Dal nulla.


(da "La Stampa" del 16/4)


simolimo
00sabato 8 maggio 2004 09:12
da "LA Stampa" del 8/5
IL VECCHIO DEL VEI DEL BOUC


AVEVA barba e capelli bianchi come la neve. Viveva lassù, tra gli austeri silenzi delle montagne e i fischi delle marmotte, con una capra divenuta unica compagna. I pastori lo chiamavano «'l vei dël bouc», il vecchio della capra. Lo ritrovavano ogni anno, nella sua misera dimora di pietra, quando ritornavano per gli alpeggi ad animare le solitudini della Valletta e del Clapier.
Raccontava con dolcezza d'aver vissuto in città tumultuose, percorso mari e monti, cercato l'amore, la ricchezza e la gloria. Diceva che il mondo era tremendo e dissuadeva quei pastori che, nel lamentarsi della vita grama, sognavano di abbandonare tutto e di andare a lavorare in città. Trovava, per tutti, parole di serenità. I pastori lo salutavano con occhi lucidi quando, con le nebbie d'autunno, dovevano ridiscendere nella Valle Gesso.
Lui restava lassù, con la sua capra. Conversava con lei e con le vette, salutava l'arrivo del sole e delle stelle, ammirava i mille colori della montagna.
Quando la capra morì il vecchio capì che anche i suoi giorni erano finiti. Chiuse serenamente gli occhi sapendo che i pastori lo avrebbero seppellito al fondo della valletta, come aveva più volte chiesto. Fu proprio lì che, poco tempo dopo, una frana fece straripare il torrente formando un grande lago. Dissero che così nessuno avrebbe profanato la sua tomba.
Chi sale da San Giacomo di Entracque, nel Parco Naturale delle Alpi Marittime, può ancora oggi ammirare il Lago del «vei dël bouc», uno splendido occhio azzurro che racconta una leggenda antica e continua a guardare il cielo.

aumadoc
00sabato 8 maggio 2004 20:22
"il Lago del vei dël bouc"

quale sarebbe ,quello dove si lascia l'auto quando si vuole andare al rifugio genova ??
simolimo
00domenica 9 maggio 2004 09:50

No, il lago del Vei del Bouc è innanzitutto lo specchio d' acqua naturale più grande delle Alpi Marittime. Lo si raggiunge da San Giacomo d' Entracque percorrendo il vallone che sale alle palazzine reali di caccia e poi portandosi sul lungo pianoro che conduce anche al rifugio Pagarì e al Gelas. Invece di proseguire per queste mete, a circa metà vallone si inizia a salire sulla sn (destra orografica) e in 1 ora-1h e 30 di salita si raggiunge il lago. Da San Giacomo d' Entracque ci vogliono 2.30-3h totali.

aumadoc
00domenica 9 maggio 2004 23:42
ok .
ho capito ma non ci sono mai stato.
e' nella lista delle cose da fare,prima o poi.
Jos75
00lunedì 10 maggio 2004 15:26
...
Cavoli che belli sti racconti e leggende...Simo:bravo! sm47
Paolok2
00lunedì 24 maggio 2004 10:54
Limone Piemonte: ricordi invernali della mia
Tratto da "Limone Oggi" del Dicembre 1999 di Franco Cussino


Questa memoria - quale buon auspicio alla nuova società "Limone Impianti Funiviari e Turistici" - vuole ricordare pionieri e fautori della nuova realtà, porgere auguri riconoscenti di buon lavoro ai quadri direttivi, agli impiegati a agli operai, far rivivere, sia a coloro che li vissero sia a coloro che non c'erano ancora, "i tempi in cui…" e, in particolare, al neo-presidente Brunello Olivero i tempi della "nostra primavera". A Limone di domani e a "Limone oggi" tanta prosperità.



Erano i tempi in cui al Campo Principe gli Alpini avevano costruito un villaggio alpino tutto di neve, di dimensioni reali, che aveva anche la chiesa con tutti i particolari esterni e interni. Era un' opera d'arte, possibile solo a quei tempi - inverno 1938 - in cui veniva tanta neve, anche due metri per volta.
Allora, le "pattugli veloci sci-alpine" dei tenenti Fabre e Lamberti di Cuneo, di cui facevano parte anche sciatori limoneti, come dice l'inno degli sciatori, "scivolavano per chine ripide vertiginose" nei valloni di Limone e ottenevano successi anche internazionali. Limone fu una delle culle dello sci italiano.

Erano i tempi in cui sul trampolino della Casetta Rossa si esibivano temerariamente con materiali rudimentali i pionieri del "salto"; ricordo fra questi Carluccio Mordiglia di Cuneo, Giovanni Giordano, primo maestro di sci d' Italia, Bartolomeo Marro, Dal masso detto "De Pinedo", tutti di Limone, Natalin di Vernante e alcuni alpini; trepidavano alla loro partenza annunciata da una voce misteriosa che proveniva dal folto di un faggio: era di "Orsini", speaker ufficiale, meglio conosciuto come "Mobilia".

Erano i tempi in cui nel "fondo", sulle piste rudimentali di Limone, delle valli cuneesi e delle primordiali edizioni del "Giro di Cuneo", trionfava l' olimpionico Giulietto Girardi di Bagni di Vinadio e si cimentavano i Marro, i Fiandrino, i Bellone, i Bottero, i Dalmasso e altri di Limone e l' intramontabile Chirio di Robilante e, tra i cittadini, Giorgio Bocca e Costanzo Picco.
In "discesa" tutti i Limoneti di ambo i sessi, anche per necessità di vita - soprattutto i ragazzini - erano sciatori nati e con assetti ricurvi o con le "doe 'd botal" andavano come saette!

Erano i tempi in cui un fantomatico slittone andava stranamente in salita dalla galleria del Colle di Tenda fin su al rifugio, tutti in legno, "Tre Amis" che, in una notte di bufera e nei misteri della Montagna, sparì tra le fiamme. Quello strano veicolo da neve a sedici posti, - gemello di quello della Casetta Rossa a dodici posti - tirato su da un argano a motore a scoppio, era pilotato magistralmente da Morelli, il tuttofare di Limone: dagli incarichi di "sotror" e della manutenzione urbana, sino a quello domenicale di "pilota di slittane". Per noi ragazzi - che tanto aspiravamo a poter salire su quella "barca da neve" che ci sfiorava mentre arrancavamo lungo il ripido pendio, sci in spalla - era un asso del pilotaggio e della navigazione. Lo slittane saliva in un vallo che gli garantiva direzione e stabilità.

Erano i tempi in cui tra Olimpiadi e Campionati del mondo di sci (Zakopane 1939) e altre esaltanti manifestazioni, in Europa tiravano venti di guerra e l'Italia, nel 1940, "organizzò una guerra lampo" - per noi Balilla incoscientemente considerata quasi una competizione agonistica - che, nel teatro di un immane conflitto mondiale divampò per un lustro tragico e doloroso. Nel 1945, nel quadro del dopoguerra, riprese anche l'attività sciistica, ma tanti Limoneti e amici di Limone, tra cui alcuni precedentemente citati, non c'erano più. Erano rimasti sulle "piste" delle Alpi Occidentali, del Fronte Russo, dei Balcani, dei deserti dell' Africa, della guerra partigiana e dei lager nazisti.
Ben presto sulle piste di discesa i Limoneti fecero sfoggio della loro innata abilità, tutti più forti nei confronti di noi "patachin" di Cuneo; si distinguevano Piero Vietti detto Piredda e Bastianin Fruttero, sino a giungere a Stefano Dalmasso.
Anche nel fondo vi fu una nascita di successi: Beppe Garnero vinse i campionati mondiali universitari a Zermatt nel 1949; anni dopo si affermarono l'olimpionica Rita Bottero, le "azzurre" Elisabetta Asteggiano e Rina Tosello e l'emergente Giovanni Asteggiano, olimpionico nel biathlon.

Erano i tempi in cui il "vallo" di quel fantomatico slittone, ormai dimesso da tempo, ispirò la nascita della "Tre Amis": in una di quelle sere degli anni '54-'55 quando prima di cena si passeggiava sotto i portici di via Roma si decise, con Renzo Pancani e Aldino Manfredi, di fare una ricognizione a quel vallo per vedere di "tirare una corda"; fu così che nel 1957 nacquero il "Gigante" del Col di Tenda e la "Tre Amis".
Erano i tempi in cui una enorme valanga, nel 1956, portò via la seggiovia del secondo tronco dell' Alto Cros, che mi ricorda la "ieratica barba" di Aldo Quaranta. L'anno successivo a risolvere in parte la carenza di impianti entrò in funzione il "Gigante" che mi ricorda il dinamismo di Renzo Pancani; successivamente fu realizzata la "Seggiovia del Sole" che mi ricorda l'appassionato impegno di Giacomo Marro, vecchio artigliere alpino, già capogruppo A.N.A. a Limone.
Il "Gigante", che ho vissuto in particolar modo, aveva due piste di discesa: la "Diretta" che scendeva sul traforo e quella del "Vallone" che arrivava alla Panice dove, previo trasporto spalleggiato dell' impresa "Carlo porta gli sci", un servizio di pulmini riportava gli sciatori alla partenza dello skilift; in un clima familiare e goliardico l'automezzo veniva preso d'assalto come una diligenza. Le piste venivano battute con gli sci ogni sabato e alla vigilia dei giorni festivi dagli uomini dell'impianto, da valligiani e, anche, dagli alpini.

Erano i tempi della mia piena "primavera" e, giovane tenente, ero incaricato a portare su da Borgo San Dalmazzo gli alpini del Battaglione "Saluzzo", per i quali era, se pur faticosa, una giornata di festa! Si contendevano le partecipazioni! Era una consuetudine diffusa - improntata su uno spirito di collaborazione reciproca - tra reparti alpini e stazioni sciistiche delle rispettive valli, dai Comandi considerata addestramento invernale. Per la battitura ci disponevamo in batterie di sei-sette uomini; a scaletta si scendeva a valle, dopo una sostanziosa colazione, per otto ore circa e all'arrivo ci aspettava "na merenda sinoira" innaffiata di buon vino, preparata da Madama Gandolf allo chalet del Colle o da Madama Vial nell'Osteria della Panice.
La battitura veniva diretta da Renzo Pancani, già sergente degli alpini, provetto sciatore, grande tracciatore e soprattutto conoscitore dei pericoli della montagna, sempre dinamico tra i suoi uomini, tutti esperti della zona: Gianin Bottero 'd Gepa, Vigiu, i "cinghiali" Teulin, Dreino, Toni 'd S.Anna, i fratelli Blangero, di cui voglio ricordare Battista, morto un tragico sabato sotto una slavina. Quel giorno non rischiai con gli alpini di esserne coinvolto perché comandati a battere la pista di fondo del "Giro di Cuneo", creatura storica di Genio Segre e del suo braccio destro Vittorio Baravalle, binomio indimenticabile!

Erano i tempi in cui "necessità-virtù" vennero improvvisati i primi battipista meccanici condotti a mano; erano rulli costruiti artigianalmente dal fabbro Marrone di Cuneo in via Felice Cavallotti su progetto Pancani-Manfredi-Cussino.
Vi era un tipo leggero con tavole di legno montate su quattro cerchioni da bicicletta e un tipo pesante a cilindro interamente di lamiera in cui per la discesa veniva immessa dell'acqua a seconda del peso che si voleva ottenere; ambedue venivano trainati a monte dallo skilift e in discesa venivano manovrati con una sorta di stanghe simili a quelle del toboga.

Erano i tempi in cui nacque Capanna Paulin, un piccolo bivacco di Lamiera ancorato a una roccia, punto simbolico della "Tre Amis"; fu intitolata a Paolo Conti, grande amico di tutti, cofondatore della "Tre Amis", presidente provinciale della F.I.S.I. scomparso prematuramente; un personaggio della neve e dello sci alpino di cui ogni anno era campione provinciale imbattuto nella categoria cittadini. Capanna Paulin, punto di incontro di noi fondatori della "Tre Amis", aveva anche funzioni di ricovero di emergenza e di soccorso; più volte Giors Armand, direttore degli impianti, e i suoi uomini, bloccati dalla tormenta, vi dormirono. Purtroppo le sue dotazioni furono vane quando Toni 'd S.Anna, mio fratello Romualdo, medico rianimatore, ed io estraemmo l'amico Giors, da pochi minuti travolto da una slavina. Era il 23 gennaio 1971. Oggi la capanna, sempre in ottime condizioni, fra tanto benessere e confusione, è un tranquillo e confortevole punto di accoglienza; ai piedi dell' asta segnaneve ai lati della porta, le forze divine della montagna hanno fatto crescere una pianta di rose selvatiche, un cespo rigoglioso che suscita ricordi.

Erano i tempi in cui alla vicina Capanna Nicolin, gestita da Magnetto e Drea Giordanetto, dell' intramontabile Piero, vi era tanta allegria fatta di cori, bottiglie e soprattutto amici, che ricordo tutti. La Capanna è stata dedicata a uno dei "Tre Amis" che a suo tempo costruirono l'omonimo rifugio andato distrutto dal fuoco: Nicolin Gandolfo, personaggio giovanile, mite, forte come una roccia, provetto alpinista e pioniere dello scialpinismo. La sua saggezza ti dava tanta serenità. Quasi quotidianamente - rifiutando il "Gigante" che partiva dallo chalet che gestiva - saliva con le pelli di foca alla sua veneranda età, laddove la Capanna oggi lo ricorda.

Erano i tempi della mia primavera! Ho l'impressione di aver sognato e nel risvegliarmi mi rendo conto che in realtà sono passati anche l'estate e ,ahimè, sta per arrivare anche il mio "inverno". Ma l'inverno per me è sempre bello come quello dei tempi in cui avevo dieci anni e al campo Principe "…gli Alpini avevano costruito un villaggio tutto in neve, di dimensioni reali…era un'opera d'arte!".




Libertae de andâ,
Libertae de sciortî
sensa dî dove ti vae.
Accattâ quello che ti veu
e pagâlo co-i teu dinae.
Libertae de cercâte
i amixi che te piaxe.
Libertae de sbagliâse.
Libertae urtima:
avéi o coraggio
de no assomeggiâse a nisciun.




[Modificato da Paolok2 24/05/2004 15.56]

aumadoc
00martedì 25 maggio 2004 00:41
sm47
bravo paolo.
molto bello.
spero che l'abbiano letto tutti coloro che a vario titolo intervengono nella vita di limone .
lift e comune in primis !

prodigarsi per lo sviluppo di limone ricordando le origini pionieristiche .
Jos75
00martedì 25 maggio 2004 08:18
...
Mi associo ad Auma:davvero un bel brano Paolo...bravo!!! sm47 sm47 sm47
Direi quasi commovente... [SM=g27819] .
sm58
simolimo
00martedì 25 maggio 2004 08:21

Io invece mi inchino a Paolo perchè so come ha fatto ad inserirlo sul Forum: trascrivendolo!!!
sm44 sm44 sm44 sm44

Jos75
00martedì 25 maggio 2004 08:24
Re:

Scritto da: simolimo 25/05/2004 8.21

Io invece mi inchino a Paolo perchè so come ha fatto ad inserirlo sul Forum: trascrivendolo!!!
sm44 sm44 sm44 sm44




Davvero? [SM=g27825]
Allora propongo senza dubbio una standing ovation per il buon Paul!
sm47 sm57 sm47
Paolok2
00mercoledì 26 maggio 2004 10:53
Limone P.te fra lontane memorie e sci/alpinismo di oggi

di Bruno Terzolo (Kanalin),in ricordo di “NANNI”, amico scomparso

Stazione del treno a Cuneo, metà anni ’50; una locomotiva nera sbuffava vapore da tutte le parti, sui binari pieni di neve rischiarando un po’ il buio gelido della sera, a dicembre, gennaio. La mano tenuta stretta da quella di mamma si aspettava papà Franco di ritorno da Limone. Il treno; era ancora lui, a quel tempo, ad avvicinare i monti. Nelle foto ingiallite d’anteguerra il babbo scivola su neve immacolata senza piante e skilift quando le salite con le pelli di foca per il Cros, il Campanin e la lontana “Pepino” iniziavano dal paese.
Non ricordo se c’era ancora lo slittone della “Casetta Rossa” da dove i più bravi sfrecciavano giù dritto come pazzi su di un “Campo Principe” che non c’è più, proprio davanti oggi al negozio di Bottero, e mamma mi teneva forte per timore che scappassi.
Dopo i primi rudimenti al Campidoglio e Tetto Bruciato in una Cuneo bianca “d’antan” si passò al Campo del Casello vicino alla ferrovia a monte di Limone. Che fatica la salita a scaletta, le gambe come grissini; cinque, dieci volte alternando con la slitta e sovente la discesa finiva in una nuvola bianca. Ma c’era la mamma subito pronta a cambiare maglione e guanti fradici e … con i panini: che fame! Il “salto di qualità” fu la “manovia” del maneggio; andava a nafta e rumore a parte abbronzava di più il suo scarico, del sole. Prima di farcela da solo era sempre mamma (che pazienza!) a guidarmi gli sci nel binario con la rampa d’arrivo spesso fatale ad entrambi. Poco dopo, il mio incerto spazzaneve si “squagliava” a “pelle di leone” o frenata di sedere mentre la buonanima di zio ‘Fonso si inginocchiava in un “Telemark” sontuoso, non di moda ma di necessità.
Più grandicello salivo con papà alle “Buffe” ed ai “Tre Amis” finalmente! Dall’imbocco del tunnel di Tenda partiva il mitico “gigante”, uno spartano “tire-fesses” convenzionato con il centro antitraumi. Le frequenti pause tecniche gli consentivano ripartenze tanto più brucianti quanto minore era il peso dello sventurato aggrappato al traino; dopo il “decollo” rovinava addosso al malcapitato successivo, fin dentro la “cabina di regia”. Giungere integro a Cima Gherra era per me una scommessa: altro che “quadriposto” imbottita!
La discesa della “Panice” (quella sottana, alle caserme) era la più lunga di Limone ma priva di impianti di risalita. Per rientrare ai “Tre Amis” (Quota 1400 non esisteva) bisognava “scarpinare” dal torrente alla “Statale” con gli sci che mi segavano le spalle ossute e mingherline. –“Portu i sci?” – domandava un ragazzino di borgata con le bianche “Vernantine” ai piedi, speranzoso di qualche spicciolo. Bastava un’occhiataccia di papà a cancellare il mio sguardo pietoso e giungevo senza fiato al pulmino blu per la “Galleria”. Poi era tutto un “pigia-pigia” di indumenti sudati ed attrezzi bagnati con avanzi di odorosi panini sbucanti da tutte le parti. Per la “Panice” passava anche il rientro a Limone paese tagliando sulla traccia a mezzacosta pendii e campi poco sopra la Via Romana fino al “Castello” oggi sede della Croce Rossa. Lavavamo gli sci alla fontana del Comune dove si giungeva anche dalle “Buffe” via “Campo Principe”, sciando nelle vie, prive di “sale assassino”!. Dopo la cioccolata calda nella latteria dalla bianca volta arcuata e la luce giallognola, tutti alla stazione.
Venne il ’68. I portici del liceo risuonavano alla cadenza dei vecchi “Vibram” coi lacci, sci e zaino in spalla. Il treno “Far-West” per Limone era sul binario nel buio del primo mattino; Eraldo. Luigi, Maria …, noi, studenti del “Peano”. Cambiavano il locomotore “a ruote grandi” di pianura con quella macchinetta tozza “da montagna” e quelle ruotine piccole piccole, rapide come un modellino “Rivarossi”; arrancava da Roccavione in su fra trincee di neve che ovattavano i rumori di una valle bianca come più non è.
Poi, si scarpinava su per Limone con le casette “rotonde” per la neve come nelle fiabe, fino alla seggiovia per il “Cros”, oggi in disuso. Nel freddo siderale il vecchio “Marmorera”, sepolto nella neve fresca aspettava il binario da battere che pian pianino, “a norma” di quel tempo, aprivamo noi. Ma l’impennata dopo l’”intermedia” era un macello; il primo, la neve al sedere e …“giù la testa sotto la carrucola!”… dei pali che appena spuntavano, mollava tosto la presa della fune … scomparendo. Il secondo, il terzo, il quarto … il gabbiotto d’arrivo finalmente, sul cucuzzolo.
Nei “giorni grandi” invece si contavano le discese; vinceva chi faceva meno curve – “Ciò già 15 Marmorera” – “Ma va là! Non contar balle, ti sei staccato prima un casino di volte, ti ho visto!” – “Si, ma i “Gran Cros” dove li metti?”-
Allora, panino sullo skilift per recuperare od un rapido pic-nic a “Capanna Chiara”. Luigi (quello che faceva fare agli sci l’ultima discesa, lanciandoli giù dalla scala, in cantina) tirava fuori il “Prosecco”; poi su e giù fino a quando Garnero ci chiudeva “le giostre” con gli altoparlanti del “Marmo” che gracchiavano “Scende la pioggia” del “Gianni nazionale". Poi giù “a uovo” alla stazione sulla pista “gialla” mezza buia, fin sui binari, passando per quel cancello biancorosso vietato; ma nessuno ci faceva caso.
Papà mi salutava “torna vincitor!” il giorno degli “Studenteschi”. E si, proprio io che al primo bastone nodoso (altro che palo snodato…) me la facevo addosso dall’emozione. I premi se li portavano via quei “marziani” di Mao, Ennio, i fratelli Cocco; io arrivavo con i miei “Pinguin” ad anni luce.
Lo sci (quasi) estivo poi; non gli agonizzanti ghiacciai del “2000”! Erano anni di “vacche grasse” quelli e nel ’72 il Cros, signori miei, ha chiuso il 4 giugno! Non c’erano “mostri” mangia-biglietto che quasi ti cambiano la giornata bianca in turni alla Michelin. Quel cartoncino blu (2000 Lire!) te lo davano fin che c’era neve e la neve non scioglieva più, tanta ne cadeva. Alle 7 in punto si saliva in seggiovia con i prati verdi ed i millefiori di primavera; nella conca l’inverno si era fermato confondendo le stagioni. All’ombra della “Fascia” era tutto un “firn” dove anche le schiappe si sentivano angeli.
Mao, chitarra in mano, sciava suonando, suonava sciando e noi altri dietro a far trenino. C’era anche Werner Bleiner, a volte; ma si, quell’austriaco di Coppa del Mondo che aveva messo su casa proprio a Limone. Saltava come un grillo lui, sui resti di valanga; che libidine guardarlo! Alle 11 il sogno svaniva e la stagione si riprendeva il suo tempo; rivoli d’acqua sporca sgorgavano da una poltiglia ormai incolore. La sera “pagavo il conto” al Pronto Soccorso con mia nonna (papà non c’era più) ad implorare la “Novesina” alla suora per miracolare due occhi bruciati dal sole. E gli occhiali? Eh …
“Cros” celtico, cavità carsica delle Alpi Liguri; Florian a 5 anni ha imparato a scivolare su quella neve, oggi tornata al fruscio delle pelli.
Ero ancora mentalmente assai lontano, a quel tempo, dalla cultura dell’ambiente. Ricordo vagamente una “passeggiata in sci” con papà in primavera nel vallone della Maladecia, contento quel giorno di avermi con lui.
Nel ’70 ero skilifista al “Gorba” (oggi seggiovia “Morel”) il giorno dopo la morte di Giorgio Armand, direttore dei “Tre Amis” sepolto da una slavina. 4500 Lire di paga, la domenica, pranzo compreso e sovente … la battitura a scaletta della pista. Mi presi anche il gancio traino in testa per disattenzione ma quante discese “gratis” col brutto tempo; non c’era nessuno. Dare il piattello alle belle fanciulle non era certo male ma un po’statico; cosi l’anno successivo passai al “servizio piste”: niente soldi ma tanto sci con … toboga in caso di incidente. Vuoto, lo portavo giù anche da “primo”, sbattacchiandolo un po’, ma quand’era pieno stavo dietro, con buona pace dell’infortunato. Tutto veniva scrutato dal vigile binocolo del Colonnello Arnold, “boss” quell’anno dei “Tre Amis”.
L’impiego organizzato delle Forze dell’Ordine nel soccorso era ancora lontano.
Nel ’76 a Limonetto, due canalini a fianco delle piste sostituirono velocemente gli stimoli del “football” con quelli del “ripido”, svelandomi gli sterminati orizzonti dello sci-alpinismo; partendo proprio da Limone, un mondo di sci, dove tutto era cominciato.


tratto dal sito www.lalpinistavirtuale.it


aumadoc
00mercoledì 26 maggio 2004 23:50
apprezzo molto questi racconti.
forse sara' perche' ho iniziato a sciare poco piu' di dieci anni fa' e quindi non avendo ricordi miei ,se non recenti,mi appassionano i ricordi altrui.

comunque sia :
ancora un bravo a paolo!
Jos75
00giovedì 27 maggio 2004 08:41
...
Mamma mia![SM=g27831]
Stupenda anche questa Paolo...bravo! sm47
[SM=g27822]
Io di questi racconti posso dire di aver vissuto proprio solo gli anni conclusivi,anzi forse nemmeno [SM=g27829] :ho iniziato a sciare più o meno nel '78...e son venuto grande al Cros... .
Che dire:leggere certe cose mi fa venire ovviamente tanta nostalgia...e quando poi mi passan sotto gli occhi nome come Marmorera,Gran Cros,ecc.ecc. ammetto che mi vengono quasi i brividi... [SM=g27819] .
Oddio:riapriteci il Cros per favoreeeeee!!! sm32
Ecco lo sapevo che mi veniva la crisi di pianto alla fine... [SM=g27813] .
Ciao... [SM=g27819]
aumadoc
00venerdì 28 maggio 2004 17:00
Re: ...

Scritto da: Jos75 27/05/2004 8.41
Oddio:riapriteci il Cros per favoreeeeee!!! sm32
Ecco lo sapevo che mi veniva la crisi di pianto alla fine... [SM=g27813] .
Ciao... [SM=g27819]



stavolta ce l'hai tu la ciucca triste !!
Jos75
00sabato 29 maggio 2004 07:47
Re: Re: ...

Scritto da: aumadoc 28/05/2004 17.00


stavolta ce l'hai tu la ciucca triste !!



No Auma:la mia viene proprio dal cuore... sm32 !
Ma oggi biciiiiiiiii... sm48!!! (della serie:"che caxxo c'entra..." [SM=g27828] ).
Buon week-end a tutti quanti!!! sm47
sm31
maurizio.SAVONA
00mercoledì 16 dicembre 2009 17:09
Ho letto questo articolo particolarmente bello!!

65 anni fa un dicembre di fuoco

Sono trascorsi 65 anni da quei primi giorni del dicembre 1944 quando, sia dal baluardo di Gesso in Cuneo e da molti punti di Mondovi, come da ogni angolo della pianura, gli occhi interessati dei nazifascisti e gli occhi pieni di lacrime delle mamme e dei papà dei partigiani si voltavano verso il Pian della Tura ad osservare uno spettacolo che non aveva uguali: un gruppo di aerei, sul mezzogiorno, volavano sul Monregalese e, giunti all’altezza della Tura, lasciavano scendere il loro carico contenuto in numerosi container sostenuti da paracadute di seta di vari colori. Erano aerei alleati che portavano aiuti ai partigiani, ma erano pure causa di prossimi attacchi da parte dei nazifascisti: e la cosa si realizzò appena quattro giorni dopo. Per fortuna che, pochi giorni prima, il comando era riuscito a concretizzare lo scambio dei prigionieri tedeschi nelle mani dei partigiani dopo la battaglia di Pogliola.
I giovani partigiani lavorarono indefessamente per ore e ore a ricuperare i container e a portarli al Rifugio Mettolo. E fu una fatica non da poco perché, a causa delle correnti, alcuni container andarono a finire sia verso Artesina sia verso Val Ellero. Intanto le forze nazifasciste andavano concentrandosi all’imbocco delle vallate e, dalle notizie ricevute, erano circa 20 volte le forze partigiane. Il cap. Cosa ed il cap. Gigi diedero disposizione per parare le conseguenze dell’attacco che, puntualmente, il 10 mattina ebbe inizio. Nella Val Ellero un primo centro di fuoco venne sistemato all’altezza di Norea appoggiato alla montagna; un secondo sul cocuzzolo che nasconde la frazione di Baracco. A questo punto successe ciò che non ci si aspettava: il nemico veniva all’attacco con mezzi corazzati, ma davanti faceva marciare i civili che aveva rastrellato in Roccaforte.
Un caso di coscienza si poneva in quel momento ai comandanti dei due centri di fuoco: è lecito sparare su dei civili inermi? Da Baracco il comandante si limitò a sparare raffiche a circa 100 metri di altezza che ebbero però l’effetto di rallentare o addirittura fermare per qualche tempo la marcia degli attaccanti e dare così tempo ai partigiani di risalire la montagna e portarsi oltre il Pino ove, nel frattempo, stavano giungendo i partigiani della Prea e quelli che stavano già arrivando dalla Val Pesio. La Valle risuonava di boati e la gente si rinchiudeva nelle case, temendo le reazioni dei nazifascisti. La linea ultima di difesa venne stabilita da Cosa e da Gigi nel vallone dietro al Mondolè, al Seirass, ma prima alcuni partigiani furono comandati di far saltare in aria il rifugio Mettolo con tutto ciò che esso conteneva, e piangeva il cuore a vedere andare in malora quel ben di Dio.
Ripensare a ciò che accadde quel 10 dicembre di 65 anni fa inorgoglisce e provoca tanto dolore: si rivedono le file dei partigiani che risalgono la montagna, pestando neve, e qualcuno rotolerà per centinaia di metri, senza poter difendersi contro un nemico così ben armato. Alla Balma di Frabosa cadde, rimpianto da tutti, Meo Preve, che era andato a prelevare viveri. Il gruppo, che era stato incaricato della difesa dalla collina di Baracco e di stare in retroguardia, intanto aveva raggiunto il colle del Fornello ove il comandante aveva deciso di sistemarsi a difesa, anche perché, nel frattempo, il nemico aveva raggiunto la zona dei Bergamini, in val Maudagna, e il salire con gli altri al Seirass sarebbe stato un suicidio. Il comandante non può rischiare in quelle condizioni, quindi fa sdraiare gli uomini vicino ai cespugli, li fa coprire di foglie secche e si attende: si spera che a nessuno venga da starnutire perché sarebbe la fine! La pattuglia, in fila indiana, passa a pochi metri dai giovani e se ne va su senza accorgersi di nulla. Si ritorna a respirare, a vivere!
Due giorni dopo inizia a nevicare, bisogna decidere sul da farsi: in fondo alla Valle Maudagna pattuglie tedesche vanno avanti e indietro come pure in Val Ellero, la fame si fa sentire eppure bisogna trovare la strada per sfuggire al nemico! Nel frattempo un giovane volontario sfugge al controllo come impazzito: di corsa raggiunge il Maudagna ma giunto sulla strada una pattuglia nemica lo condanna alla fucilazione sul posto! Quei colpi risuonano ancora oggi nell’orecchio e nel cuore del comandante! È ora, non c’è tempo da perdere, in cielo si accalcano altre nuvole gravide di neve, bisogna sfuggire all’accerchiamento: cala la sera, gli uomini in fila indiana e in silenzio scendono verso il Maudagna, a circa 100 metri dal torrente, piegano a sinistra, piano piano senza far rumore passano sotto la parete della attuale scuola di roccia; ogni tanto si fermano per respirare ed anche per accertarsi di non essere stati notati e poi, a mezza costa, tra i castagni, puntano alla cava di marmo che sta sopra Miroglio.
È quasi fatta. Durante il giorno la colonna non si muove ma di notte riprende la marcia che, dopo tre notti, porterà a Pianvignale dove una caritatevole signora li rifocillerà con una scodella di castagne bianche al vino. Mai pranzo fu più succulento e gradito! Il più soddisfatto era il comandante che, spostandosi di notte attraverso i campi, riuscì a sistemare i suoi uomini nelle cascine della pianura accolti bene dai contadini. Qualcuno trovò nascondiglio in casa propria. Intanto su al Seiras i capitani Piero e Gigi studiavano il piano per riportare in pianura i loro uomini che, dopo giorni di digiuno e di freddo, erano al limite della resistenza, e la tenaglia del nemico si stringeva sempre più. Molto lavoro ebbe, in quei terribili giorni, don Bruno. E la sua parola e la sua presenza ebbero un effetto meraviglioso sull’animo di quei giovani combattenti. Il piano studiato, anche se non di facile attuazione, si dimostrò eccellente: di notte gli uomini, in fila indiana, scesero silenziosi verso l’Ellero sul sentiero dei Viret, attraversarono il torrente dopo essersi tolte le scarpe e le calze, risalirono la montagna verso la Pigna, ridiscesero verso il Bevione e poi verso il Mortè; con un’azione ardita si portarono al di là della provinciale, si avviarono poi verso la fraz. Garavagna di Villanova e, finalmente, stanchissimi ma liberi e sicuri, giunsero in pianura nella zona di Roracco. I comandanti ebbero la soddisfazione di non aver perduto uomini e di aver sfidato e vinto un esercito, come il tedesco, che veniva considerato invincibile. Pochi giorni dopo, per vendicarsi, il tedesco, con l’aiuto dei fascisti, fece una retata in Mondovì di oltre 2.000 cittadini e, a piedi, li portò a Cuneo; fu un susseguirsi di interventi di parecchie persone autorevoli per evitare il loro trasferimento in un lager tedesco!
A 65 anni di distanza è bene ricordare quelle giornate terribili vissute, per conquistare alla nostra Patria la libertà e la democrazia, da parte di giovani che il fascismo non era riuscito a dominare e che si erano ribellati ad una classe politica che aveva portato l’Italia al baratro. Il nostro invito è rivolto a tutti ed in particolare ai giovani perché siano sempre attenti a non lasciarsi rubare quelle conquiste che tanto sangue e sofferenze sono costate.
gruttu5329
00mercoledì 20 novembre 2013 14:17
Bartali è ora “Giusto tra le Nazioni”, anche il Piemonte lo ricorda
Gino Bartali è stato un campione immenso, sui pedali e nella vita. Il riconoscimento dello Yad Vashem è il giusto premio per una vicenda umana straordinaria, impreziosita dal coraggio durante il nazifascismo. A partire dalla testimonianza di Giorgio Goldenberg, il piccolo ebreo fiumano che raccontò di essere stato nascosto in un appartamento di proprietà di Bartali a Firenze.
“Sono vivo perchè Bartali ci nascose in cantina”, spiegò Goldenberg, 81 anni, oggi residente in Israele .
Questo campione verrà ricordato a Palazzo Lascaris (Sala Viglione, via Alfieri 15) a Torino, giovedì 21 novembre alle ore 10,30.
Tra gli interventi, oltre a quello del figlio di “Ginettaccio”, Andrea Bartali, spiccano quelli di Emanuel Segre Amar, vicepresidente della Comunità ebraica di Torino, Rocco Marchigiano, presidente del Comitato regionale della Federciclismo, e di Enzo Ghigo, vicepresidente della Lega Italiana di ciclismo professionistico. A moderare i lavori il giornalista Beppe Conti.
Sono anche attese le vecchie glorie piemontesi Franco Balmamion, Guido Messina e Italo Zilioli.
Lo Yad Vashem spiega che Bartali, “un cattolico devoto, nel corso dell’occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l’arcivescovo della città Elia Angelo Dalla Costa”.
“Questa rete ebraico-cristiana ha salvato centinaia di ebrei locali ed ebrei rifugiati dai territori prima sotto controllo italiano, principalmente in Francia e Yugoslavia".
Bartali ha agito “come corriere della rete, nascondendo falsi documenti e carte nella sua bicicletta e trasportandoli attraverso le città, con la scusa che si stava allenando ,pur a conoscenza dei rischi che la sua vita correva " [SM=g27811]
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