Spy Story Ferrari-McLaren-Honda: sarà una storia infinita???

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DUCALEX
00giovedì 19 luglio 2007 17:44
FONTE (per il ferrarista che dice che me le invento...)
www.ilsole24ore.com

19 luglio 2007
Spy story: i retroscena. Le carte di Coughlan e i pantaloni di Stepney
di Gianni Rusconi


Il dossier da 780 pagine al centro del presunto spionaggio ai danni della Ferrari? Non esiste più, se non in forma elettronica e sottoforma di due floppy disk. È solo una faccia delle tante sorprendenti e per certi versi incredibili delineatesi intorno alla vicenda del faldone trovato a casa di Mike Coughlan nel Surrey, al momento della perquisizione ordinata dai giudici di Londra su "imbeccata" dei legali della Ferrari. Perché le 780 pagine non esistono più, dunque? Perché la moglie del progettista McLaren, Trudy (che ha lavorato in passato alla Tyrrel), le ha bruciate su precisa indicazione del marito.

La signora, prima di dare fuoco ai segreti delle Rosse in forma cartacea li ha pazientemente scannerizzati presso la copisteria del rigoroso signor Mike, il proprietario, che accortosi della natura di quei documenti riuscì a sbirciare su una delle pagine l'indirizzo e-mail di un dirigente Ferrari e quindi inviargli un messaggio che non poteva non far scattare l'allarme nel quartier generale di Maranello. Non prima però di aver incassato l'aasegno da 70 sterline con il quale la signora saldò il conto dell'operazione di digitalizzazione del dossier. Fantasie da spy story made in England?

No, semplicemente la realtà dei fatti. Quella che dice inoltre come le 780 pagine non fossero più a casa Coughlan all'arrivo della polizia ma prima di finire in cenere passarono sotto gli occhi di almeno tre figure di rilievo della scuderia McLaren, e in particolare di quelli del direttore esecutivo Jonathan Neale, il primo a essere contattato. E chi può giurare, tanto per dare ancora più pepe a questa vicenda nella vicenda da romanzo giallo, che il dossier sia realmente stato bruciato dalla signora Trudy?

La polverina c'era, ma chi ne ha fatto uso?
«I carabinieri gli hanno trovato la polvere nelle tasche dei suoi pantaloni da lavoro il 18 maggio, ma Nigel dice che tanti avevano accesso allo spogliatoio della Gestione Sportiva». Parole di Sonia Bartolini, avvocato di Nigel Stepney. Cosa c'entrano i pantaloni dell'ex capo meccanico di Maranello in questa storia? C'entrano, eccome, perché è da lì che è nato tutto. Attraverso circostanze, che l'inchiesta aperta dalla procura di Modena ha catalogato una per una, per lo meno curiose. Nelle tasche di quei pantaloni fu trovata infatti la polverina bianca – poi passata sotto le lenti degli uomini del Ris di Parma - del tentato sabotaggio che avrebbe potuto rompere il motore delle monoposto nel corso delle prove del Gran Premio di Monaco.

Prova evidente che fosse proprio Stepney ad armeggiare nei pressi dei serbatoi e dei computer delle due Rosse il 17 maggio e buon per la Ferrari che un addetto dedito a sistemare il materiale di gara da spedire a Montecarlo trovò un «residuo alquanto anomalo» svitando il tubo che pesca la benzina dal fusto. Nel rapporto stilato dai Carabinieri sono dettagliate altre piccole presunte verità riguardo la polverina stessa: era circa un chilo e fu trovata nel fusto della Shell, intorno al suo tappo e nella macchina usate per il rifornimento delle monoposto. E che dire della testimonianza raccolta dagli inquirenti secondo cui un testimone oculare avrebbe visto Stepney, dalla finestra dell'ufficio del reparto montaggio del primo piano, «vuotare la tasca sinistra dei pantaloni piena di granelli di polvere», poi debitamente raccolti e consegnati al diretto responsabile? Il grande accusato ha candidamente ammesso di aver compiuto quel gesto ma esclude del tutto di aver tentato di mettere la sostanza dentro i serbatoi delle macchine.

Particolari che (forse) verranno discussi in un'aula di tribunale ma che al momento non fanno luce sull'altra vicenda che vede coinvolto Stepney, quella dello spionaggio. Fu lui a consegnare le carte proibite a Coughlan? E come eventualmente ne entrò in possesso? Domande a cui risponde al momento sempre e solo il tecnico inglese salito agli onori della cronaca: «I documenti incriminati erano a disposizione di diverse persone, e io ero solo uno dei tecnici in potere di visionarli».
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