Sono rebus mentali le tele di Tadini

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vanni-merlin
00mercoledì 5 dicembre 2007 01:02
Sono rebus mentali le tele di Tadini


MARCO VALLORA

MILANO
Lo so che farò ancora un errore, che comincerò a parlare di Tadini come uomo, come la persona indubbiamente più simpatica ed intelligente, la più brillante in assoluto, che si poteva trovare a Milano (e non soltanto) sino a pochi anni fa: un rimpianto vero. Stesso «errore» dell'elegante catalogo Skira: più memoria dell'uomo che non un vero morso nella mela inquietante della pittura. Fo, Eco, Marconi, Dorfles (che però ammette d'aver tributato poco all'artista) e quando si passa ai critici (un panorama magrissimo, per lo più d'atipici, come Jouffroy, Sanesi o Schefer) spesso le parole più illuminanti vengono da Tadini stesso, che si auto-presenta, per modestia ed orgoglio. È inevitabile rimpiangerlo: ma bisognerebbe partire finalmente dalla sua pittura e basta, dimenticando la sua intelligenza «altra», di scrittore e critico (che pure è consustanziata al suo «Occhio della pittura». Ma non deve valere come alibi).

E capire-dire che la sua pittura è molto più importante di quanto abitualmente snobbi la Critica, fingendo sia «letteraria», illustrativa. Appunto, nemmeno pittore figurativo, ma di figure, che è altra cosa, e di rebus mentali, più vicino a pensatori come Derrida o Foucault (Le cose e le figure: i suoi titoli sono spesso bellissimi e illuminanti) piuttosto che non a certi pittorastri, che han avuto successo. Ma concettuale almeno quanto de Dominicis, l'altro imparlabile. Diciamo che Tadini è l'altra faccia della medaglia, anche quando firma («retinicamente» e in caratteri celtici) Duchamp lo spioncino vuoto della voyeristica porta di Etant Donné. O fa saltare nell'aria dell'intelligenza i manichini di De Chirico (prima di molti altri) le marionette di Jarry e di Satie in Parade, Goethe di schiena, in Via del Corso): sono tutti saltimbanchi, sotto vuoto spinto, del suo immaginario succhiato di gravità, che vorticano immobili, sospesi.

È il vuoto, il bianco gommato che mette tra le sue «idee» dipinte, che andrebbe indagato, perchè è analisi del brodo museale del mondo ipericonico, spazzatura di messaggi perduti e ripetuti, le parole che schizzano come clacson, che lui monta tipograficamente a decalco-mania, maestro d'una pop tutta sua (più inglese, che non Usa) non consumistica, ma leggera e terribile come una maschera nicciana. «Galleggiano in un'angoscia incontenibile» suggerisce Fo. Direi esagerato: piuttosto è la levità volterriana della Gaia scienza di Nietzsche.

Non chiediamoci psicoanaliticamente perchè i volti di questo onirista, non surrealista, siano senza volto. Come diceva Robbe Grillet: «sono avventure a cui potremmo dare tanti significati».


TADINI. L'OCCHIO DELLA PITTURA
MILANO. FONDAZIONE MARCONI
SINO AL 20 DICEMBRE




da: www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/arte/grubrica.asp?ID_blog=62&ID_articolo=712&ID_sezione=119&sezione=Segn...

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