Sogni, incubi e deliri 2

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00domenica 31 luglio 2005 18:27
Leggete prima l'altra parte...questo è il finale!


Seduti attorno alla tavola per il pranzo…in giardino.
Walter, George e Freddy avevano preso posto sul lato sinistro del grande tavolo da esterni, mentre le loro famiglie erano schierate, come un plotone d’esecuzione, sul lato opposto.
Fred e Gregory Atkinson, entrambi medici anche se operanti in differenti settori specialistici, erano presi da una conversazione fatta di parcelle ed appuntamenti. Audette stava tenendo una sorta di improvvisato seminario sulla coltivazione delle rose da invaso, mentre Scott Handowen era alle prese con la quarta bottiglia di birra, ed i suoi occhi si andavano visibilmente velando di un simpatico strato di lacrime euforiche.
I ragazzi fissavano i loro genitori con facce dipinte di disgustata noia.
Walter si schiarì sonoramente la voce per un paio di volte, prima che l’allegra brigata si riducesse al silenzio prestandogli attenzione.
“Io ed i ragazzi”, disse rivolto ai suoi esterrefatti interlocutori, “avremo qualcosa da dirvi”.
I sorrisi svanirono dai volti dei sei adulti per lasciare il posto ad un’espressione preoccupata e consapevole.
“Già”, aggiunse George, “qualcosa che non credo vi farà molto piacere”.
“Bhe”, disse con voce appena un po’ impastata il signor Scott Handowen, “ditecelo senza troppi preamboli”.
“Vi abbiamo scoperto”, concluse Freddy.
“Ma di cosa state parlando?”, chiese Audette, già pericolosamente vicina alle lacrime.
“Stiamo parlando della pantomima che avete messo in scena a nostro uso e consumo”, proseguì Walter, “parliamo dei finti omicidi a cui ci avete fatto assistere, convinti che non avremo mai scoperto la verità…”.
“Convinti che nessuno dei nostri compagni ci avrebbe mai raccontato degli scherzi che avevate architettato per convincerci delle nostre errate abitudini di vita”, aggiunse George.
“Convinti che non avremo mai scoperto quanto ci avete presi per il culo!”, tuonò Freddy.
“Ragazzi, non era certo questa la nostra intenzione”, tentò di controbattere Fred.
“Zitto!”, ringhiò Walter, “non hai diritto alla parola! Sei fiero della tua trovata, sei fiero di avermi dato scacco come fai con i tuoi pazienti mentecatti…”.
Fred si alzò dalla sedia e, barcollando, vi ricadde seduto dopo pochi istanti.
“Ma che cazz…”, imprecò.
Ad uno ad uno i commensali tentarono di alzarsi dalle sedie, ma fallirono tutti miseramente.
“Cosa ci avete fatto?”, chiese gridando la signora Handowen, seguita a ruota dalle urla e dalle suppliche delle altre due donne.
“Non preoccupatevi”, disse serafico Walter, “per ora vi abbiamo solo drogato. Nella pasta mamma”, disse rivolto ad Audette, “ in quella meravigliosa pasta al forno che hai cucinato, e che noi non abbiamo voluto, c’erano quaranta pasticche di clormazepam, e, come papà sa bene, quel particolare triciclico ha la peculiarità di creare una sorta di paralisi progressiva se mischiato anche ad una trascurabile quantità di alcool, e voi vi siete scolati qualunque cosa”, concluse ridendo.
“Walt”, disse Fred sforzandosi di non urlare, “non volevo trattarti come un mio paziente, volevo solo spaventarti. Ero certo che se ti fossi convinto di quanto fosse dannosa la roba che fumavi e bevevi, avresti smesso di avere un comportamento così autodistruttivo. Ammetto di aver esagerato, ma l’ho fatto per te. In fin dei conti non si è fatto male nessuno”.
“Ma hai fatto in modo che gli altri ridessero di me!”, ringhiò il ragazzo, “sai come si saranno sbellicati alle mie spalle, alle nostre spalle. Quasi li sento…hai visto come i genitori di Gordon hanno fottuto il loro figlioletto punk? Che lezione che gli hanno dato, e com’era spaventato mentre suo padre fingeva di tagliarmi la gola. Quella puttana mi ha anche salutato a scuola! Non dovevi permetterti”.
“Cosa avete intenzione di farci?”, domandò Atkinson.
“Vedrete”, disse Freddy sorridendo.
Walter smise di parlare, entrò in cucina e ne uscì con un coltello per affettare il pane.
Si avvicinò al volto di suo padre e con precisione chirurgica gli mozzò l’orecchio destro. Fred uggiolò, ma la droga aveva preso quasi il totale dominio sulle sue membra, e non riuscì neppure ad alzare un braccio per difendersi.
Walter passò il coltello a Freddy che con veloce ferocia amputò il labbro superiore di sua madre.
“Per avermi fatto credere di aver assassinato la mia ragazza”, le sibilò in faccia dopo averla deturpata.
George si limitò a tagliare di netto la mano sinistra di suo padre.
Il coltello fu posto al centro della tavola.
Walter fece un cenno a George che sgattaiolò furtivo nel garage. Fece ritorno con una corda attorcigliata attorno al braccio. La porse a Walt che si diresse verso Audette.
La donna non riusciva neppure a spostare la testa di un millimetro. Fissava suo figlio con gli occhi sgranati nel disperato tentativo di opporre resistenza.
Le passò il legaccio attorno al collo, poi fra le braccia e, infine, glielo strinse alle caviglie dove lo annodò. Estrasse dalla tasca posteriore dei jeans uno zippo e diede fuoco all’estremità libera della corda come se si trattasse di una miccia. La scia di fiamme prese a salire lentamente, lasciando tracce incandescenti sulle gambe della donna, bruciando parte del suo vestito ed incendiandole i capelli. Audette squittiva come un topolino, mentre gli altri, immobili come statue di cera, la fissavano muti e ringhianti. Le fiamme cancellarono quasi interamente i suoi lineamenti. Quando il fuoco si spense doveva essere, probabilmente, già morta.
Freddy si avvicinò a suo padre e lo colpì al torace con quattro fendenti, inferti con il coltello che era stato lasciato al centro della tavola.
George si precipitò nuovamente nel garage e fece ritorno con un’accetta per spaccare la legna. Recise la testa di suo padre con estrema facilità. Quindi fece altrettanto con la madre. Gettò l’arma per terra e si mise a guardare Freddy che, nel frattempo, stava estraendo i visceri dall’addome della donna che gli aveva dato la vita.
Walter rideva di gusto mentre, con l’accetta lasciata cadere da George, stava sezionando gli arti di Fred Gordon, l’uomo che gli aveva rovinato la vita.




“Papàààààààà!”, gridò Walter con tutto il fiato che aveva in corpo.
Fred Gordon accorse nella stanza del figlio, spettinato, in mutande e con gli occhiali storti ed in bilico sulla punta del naso.
“Che c’è?”, gli chiese, quasi senza fiato.
Walter era sdraiato sul pavimento della sua camera. Gli auricolari ancora ben saldi nelle orecchie, la bocca impastata, e le mani strette attorno al busto. Sbattè ripetutamente le palpebre prima di vedere distintamente il volto rotondo di Fred chino su di lui.
“Papà, stai bene?”, gli chiese il ragazzo con un filo di voce.
“Io? Certo! Sei tu che hai gridato…”, rispose l’uomo.
“Gridato…io…ma che ore sono?”, chiese Walter.
“Le tre e mezzo del mattino”, rispose Fred sorridendo.
“E’ notte…stavo…io stavo sognando…Io stavo sognando!”.
Walter schizzò in piedi, corse nella camera da letto dei suoi genitori. Vide sua madre seduta in mezzo al letto con i capelli arruffati e l’espressione insonnolita. Salì sul grande letto matrimoniale e l’abbracciò con tutta la forza di cui era capace.
“Ti voglio bene, mamma”, le strillò in un orecchio.
“Anch’io, piccolo mio”, rispose Audette sorpresa da tanto slancio, “ma che ti succede?”.
Fred, in piedi sulla porta della stanza guardava divertito quel quadretto familiare.
“Hai avuto un incubo, per caso?”, domandò a suo figlio in tono bonario.
“Il peggiore della mia vita, ma era solo un sogno”.
Walter scese dal letto, schioccò un bacio sonoro sulla guancia di suo padre e tornò a dormire.


Seduti attorno alla tavola per la colazione.
Fred beveva il caffè.
Audette divorava una frittella.
Walter faceva man bassa di cereali.
“E la cresta?”, gli chiese suo padre, “che fine ha fatto?”.
Walt sorrise passandosi la mano sui capelli legati in una sottile coda di cavallo.
“Voglio smetterla con quelle cretinate, domani mi tingo i capelli di un colore più normale. Ho voglia di fare il bravo ragazzo…per un po’, almeno”.
Audette fece una buffa espressione di stupore, della quale risero tutti e tre insieme.
Fred accompagnò Walter fino alla porta di casa e, quando si fu sincerato che suo figlio avesse lasciato l’appartamento, fece ritorno nella cucina.
“Ma non gli farà male, vero?”, chiese Audette preoccupata.
“Ma no, stai tranquilla. Il Narconal è un banale psicofarmaco che preso a forti dose procura solo dei terribili incubi”.
“Ma sono due mesi che glielo somministri a sua insaputa. E se avesse degli effetti collaterali?”.
“Non li ha, sono un medico fidati di me. Sarei solo curioso di sapere quale incubo quel farmaco ha indotto sulla mente di nostro figlio…bhe, comunque sia, pare che gli abbia insegnato qualcosa a giudicare da come si è comportato con noi in queste ultime ore”, concluse soddisfatto Fred.
“Ma era proprio necessario drogarlo? Non sarebbe stata sufficiente una semplice sgridata?”, chiese Audette con insistenza.
“Non credo nella coercizione, ma nel lavaggio del cervello sì. Vedi il Narconal scatena le paure inconscie di chi lo assume con continuità, quindi stanotte Walter ha finalmente affrontato i suoi demoni e, credo, che li abbia anche sconfitti”.


Seduti attorno alla tavola per cena.
Walter si era sentito strano per tutta la giornata. Le immagini di quell’incubo lo avevano assillato senza tregua, ma, soprattutto, si era fatto strada nel suo cervello un singolare senso di euforia che cresceva ogni qual volta gli sovveniva alla mente il volto agonizzante di suo padre e la testa incendiata della madre. Che bella sensazione. Il primitivo terrore era lentamente mutato in una sorta di smania, di brama. Non riusciva a pensare ad altro.
Fred sgranocchiava una pannocchia di mais tostata.
Audette spiluccava un petto di pollo.
Walter sparò ad entrambi con la calibro ventidue che suo padre teneva nel cassetto della scrivania.
Chiamò lui stesso la polizia.
Quando gli agenti lo portarono al distretto per interrogarlo rispose solo:
“Non so perché l’ho fatto. Mi sentivo strano. Ho fatto un sogno…un sogno. Era bellissimo”.

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