Sindrome di Zelig

omir
00venerdì 23 marzo 2007 19:57
NAPOLI
Leonard Zelig esiste davvero. Il camaleontico protagonista del film cult di Woody Allen, nella realtà, ha le sembianze di A.D., napoletano, 65 anni, con una carriera da professionista bruscamente (e drammaticamente) interrotta da un disturbo comportamentale che non ha precedenti nel suo genere: si trasforma nel suo interlocutore, è medico quando ha a che fare con un medico, diventa un esperto di cocktail se si trova di fronte a un barman, è un cuoco provetto se entra in una cucina. La sua storia è raccontata dalla rivista medica inglese «Neurocase», che ha pubblicato uno studio di tre psicologi della casa di cura «Villa Camaldoli» di Napoli: Giovannina Conchiglia, Gennaro Della Rocca e Dario Grossi. Sono loro che studiano il caso di A.D., vittima due anni fa di un arresto cardiaco che ha provocato un’ipossia cerebrale con danni al lobo fronto-temporale. Una patologia grave, che può provocare disturbi della memoria e del comportamento. Ma che A.D. fosse colpito dalla «sindrome di Zelig», questo i medici proprio non se l’aspettavano.

«Abbiamo trattato molti casi di pazienti che imitano i gesti dei loro interlocutori, o che tendono a usare tutti gli oggetti che hanno davanti: si chiama sindrome da dipendenza a m b i e n t a l e » , spiega la dottoressa Conchiglia. Ma l’immersione di A.D. nel contesto in cui di volta in volta si trova è pressoché totale. Gli psicologi hanno eseguito una serie di test dai risultati sorprendenti. Lo hanno portato in un bar, e lui si è trasformato in barman. A chi gli chiedeva come si preparasse un determinato cocktail, ha risposto di essere ancora in prova: «Sono qui da due settimane, spero di avere il posto fisso». In cucina era un cuoco provetto: «Sono uno chef specializzato in menu per diabetici», ha spiegato senza un’ombra di esitazione, assolutamente immedesimato nella sua nuova identità. L’unico ruolo in cui non si è calato è stato, chissà perché, quello di addetto alla lavanderia della casa di cura. Ma per il resto, A.D. ha «rubato» il mestiere a tutte le persone che aveva davanti.

Psicologo fra gli psicologi, cardiologo fra i cardiologi, ha cercato anche di usare un linguaggio appropriato all’occasione. «Gli abbiamo fatto delle domande-trabocchetto a cui ha risposto con frasi passe-partout - racconta la dottoressa Conchiglia -. Al cardiologo che gli ha chiesto a quale patologia corrispondesse una determinata anomalia del battito cardiaco, ha replicato in modo generico ma più appropriato possibile. Ha detto: la domanda è troppo complessa, dipende da paziente a paziente ». Da perfetto «Zelig», A.D. usa inconsciamente una formidabile arma di difesa contro il suo involontario trasformismo: cancella totalmente dalla memoria la «parte» che ha appena sostenuto quando si tratta di sceglierne un’altra. Quando è un medico non è mai stato un barman o un libero professionista, nè sa dire nulla di quando sosteneva di saper cucinare alla perfezione. Ma sarebbe sbagliato dire che, durante i suoi numerosi e repentini trasferimenti di identità, l’uomo-camaleonte annulli completamente se stesso. «Qualsiasi ruolo assuma, non perde mai il suo carattere e la sua personalità.

Quel che maggiormente colpisce, piuttosto, è la capacità di adattarsi ai contesti sociali più diversi in cui viene a trovarsi », spiega ancora Giovannina Conchiglia. A.D. è in cura da due anni. Probabilmente non guarirà mai, anche se le terapie in day hospital a cui è sottoposto hanno consentito un lieve miglioramento delle sue condizioni. Anche se le crisi sono meno frequenti, l’uomo- camaleonte non è certo in grado condurre un’esistenza normale. Naturalmente la sua autonomia è limitata: la moglie e i figli, che riconosce e di cui ricorda quasi sempre i nomi, non lo perdono di vista per un istante anche a causa delle crisi di amnesia che lo colpiscono all’improvviso. Non esce quasi mai, e quando lo fa non lo lasciano solo.

Il suo mondo è circoscritto dalle mura di casa e da quelle della clinica in cui si reca per tenere sotto controllo la malattia. Il caso di A.D. è talmente particolare da avere indotto una rivista prestigiosa come «Neurocase» a pubblicare la relazione dei tre psicologi che hanno in cura il paziente. «La sindrome da dipendenza ambientale è piuttosto frequente - conferma la dottoressa Conchiglia -. Ma che io sappia non è mai capitato che un disturbo comportamentale abbia queste caratteristiche ». Tranne che nella finzione cinematografica e nella fantasia di un genio come Woody Allen, naturalmente. Da oggi, insomma, sappiamo che Leonard Zelig c’è davvero, e vive fra noi.

La Stampa
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