Sette scalini

»SilenziosaMente.
lunedì 27 aprile 2009 22:04
Primo scalino.
Polvere, lacrime, terra e macerie. Lacrime di polvere, macerie di terra. Briciole di uomini defunti, resti di donne assassinati. Scheletri di capelli bruciati dal tempo e dal sole. Sole? Dove, cosa? Sole grigio, sole logoro. Sole per i morti, raggi di cenere. Ossa frantumate, dita rotte, corpi distrutti. Questo, questo anche tu sarai. Prima o poi.
Secondo scalino.
Morte. Urla, dolore, sofferenza. Grida acute, stridii di denti, dolore liquido nelle vene. Clangore di spade e di armature, mugolii sommessi, nitriti di cavalli. Grandi battaglie; grandi stermini? E' questo, questo il destino dell'umanità? Elmetti rotolati via, giù per gli scalini, lungo la via, via via, per sempre e mai ritrovati. Teste mozzate, corpi recisi.
Terzo scalino.
Inferno. Fuoco, fiamme, lance, urla. Bagliori rossi, calore ardente, troppo ardente. Strazio. Punizioni eterne, dolori eterni. Tristezza, dolore, troppo. Sogni infranti. Destini spezzati in un secondo, con una semplice scelta. Prigioni per i corpi, fatte di sbarre arroventate come non mai e giacigli di niente Libertà? Mai, nemmeno un'ora. Prigione per le menti, impossibile sfuggire, impossibile scappare e sgusciare via.
Quarto scalino.
Destino. Dio? Buddha? Jahvè? Il Dalai Lama? No, no, no. E allora chi? Cosa? Perché mai? Destino irreversibile, destino immutabile? Prendi una penna dorata, apri un libro antico e incidi con sangue ciò che vuoi sarà. Non barare. Col tuo sangue, non con quello della tua ultima vittima. E smettila, smettila di dire che il destino è in mano agli uomini. Nessuno ne può cambiare il corso. Il destino è in mano a se stesso. E' bastardo e si prende gioco di noi, di voi, di te, anche di me.
Quinto scalino.
Sei quasi in cima. Sai cosa c'è in cima? Un bel niente, niente. Niente di niente. Il vuoto assoluto. E allora perché stai salendo? Perché ti affanni a scalare questi sette scalini? Ah lo so. Perché ti ho indotto io, non è vero? Perché ti ho ingannata, ecco perché. Sono stato bravo, lo so. Io sono sempre bravo. Ottengo sempre il mio scopo. Tu no. Tu non ottieni nulla, ne ora ne mai. Tu non sei nessuno cosa vuoi ottenere? Solo io posso. Io con i miei tranelli psicologici e tu no, tu con la tua mente disfatta.
Sesto gradino.
Limbo. A un passo dalla vittoria, a un passo dalla dannazione. Né viva, né morta. Né cosciente, né incosciente. Divertente? No, dici? Ondeggia, ondeggia. Galleggia nel vuoto, galleggia nella tua mente, privo di arbitrio. Non puoi decidere. Non puoi controllare il tuo corpo e i tuoi movimenti. Io invece posso, lo sai? Sei un burattino ora. Sei il mio burattino preferito. Posso picchiarti con le tue stesse mani. Posso farti fare cose terribili e imbarazzanti. Posso. Posso, ricordatelo!
Settimo gradino.
Paradiso. Complimenti. Sei arrivata. Credi di aver vinto tu e sei felice. Beati, beati della tua felicità. Godine finché non ti renderai conto che era solo uno specchietto per le allodole. Beatitudine. Santi e santini. Acqua santa. Chiese e incensi. Candele. Ci credevi? Credi di averle ottenute? Credilo. Complimenti. Vuoi un applauso? Non lo avrai, non da me. Va, va pure dove credi. Incontra pure quel Dio che pensi esista, ma sul suo trono non troverai nessuno. Troverai solo me e non potrai impedirmi di riderti in faccia, disgraziata.
Porta.
Stupida, stolta, snaturata, che fai? Osi aprire la porta della mia cripta? Osi entrare nella mia chiesa? Osi invadere con il tuo sudicio corpo al mia terra santa? Fallo, ma si, fallo pure. Sarà solo un piacere bruciarti nelle fiamme insieme a tutti gli altri.
Non aprire quella porta. E' un avvertimento che ovviamente non ascolterai. Aprila allora, ecco cosa ti dico. Fottiti. Ucciditi pure, ma poi non venirmi a dire che io non te l'avevo detto. Non venire da me a piagnucolare e chiedere pietà!
Lascia ogni speranza, oh tu che entri.

Ora che sei entrata? Sei contenta, stupida ragazzina? Ma si, fa pure, ancora. Brucia. Bruciati da sola. Che le fiamme irrorino il tuo petto e infiammino la tua gola fino che non sarai tu stessa a invocare la morte e a pregarmi affinché io ti uccida. Io. Ricordami. Io sono la luce e le tenebre. L'inizio e la fine. L'alba. E il tuo tramonto.
Ricorda. Ricordami.
Sarò per te ciò che tu sei stata per molti, troppi. Sarò per te il tuo tramonto. Quello a cui non seguono albe.
Chiuse gli occhi, stringendoli forte. Il cielo. Il cielo tornò sopra di lei, dentro di lei, colmando quel voto che si era creato. Il cielo sopra il cimitero, il cielo sopra la cripta. Il cielo non era cielo, ma neppure terra. Non sembrava aria, ma nemmeno acqua. Il cielo non era azzurro. Ma nemmeno nero. Di un colore grigio, inafferrabile. Grigio fuliggine? No. Grigio polvere? Nemmeno. Grigio topo? No, no, no. Era un grigio incomprensibile, un grigio rosato, ma nello stesso tempo azzurrino. Un grigio che raccoglieva tutti i colori dell'arcobaleno, senza contenerne in verità nessuno.
No, non sapeva qual'era il colore del cielo, così come non sapeva molte cose, forse troppe.
Un fulmine squarciò le nuvole, saettando dorato. Una scarica di energia si propagò nell'aria, quasi visibile. Uno schianto. Probabilmente, aveva abbattuto un albero poco lontano.
Riaprì gli occhi di scatto.
Flasshhhhhh.
La sua vista fu come abbagliata dall'improvviso cambio di luce e dovette sbattere gli occhi più volte, prima di abituarsi. L'oscurità l'avvolse, intrappolandola in una tela nera senza via di uscita. Inutile divincolarsi, inutile correre, mordere e strappare. La tela era troppo forte, troppo.
Vai via. Vai via.
Non seppe se le parole uscirono strozzate dalle sue labbra o rimasero intrappolate nella sua gola. Sapeva solo che quella voce dentro la sua testa era insopportabile, la tormentava, la opprimeva. La uccideva. Doveva librarsene. Scosse la testa con vigore, una cascata di fili neri nel vuoto. Non poteva lasciarsi dominare. Doveva combattere. Doveva vincere. Vincere. Sopravvivere, quella era l'unica vittoria ammessa in quella partita. O forse, non c'era vittoria. Forse era destinata a morire, a impazzire, a essere dannata per l'eternità.
AHAHAHAHAHAHAHAHAH.
Stupida, ingenua bambina. Mi faresti tenerezza, sai? Peccato che io non sappia che cos'è la tenerezza! Non ti libererai di me così facilmente, cosa credi? Mi hai voluto tu stessa, è inutile che cerchi di negarlo, mi hai voluto e desiderato. E io sono arrivato. Non sei felice ora, perché?
Combatti? Divincolati pure. Cosa credi di fare? Cosa? COSA?? Divincolati. Sfuggi. Sei solo un topo, e io sono il gatto, sfortunatamente. Ma non ti preoccupare. Ti è andata male questa volta, magari la prossima volta andrà meglio dolcezza.
Dolcezza? DOLCEZZA? Un impulso forte, più forte di qualsiasi catena, una rabbia che bruciava dentro, partendo dal cuore. Una rabbia che si allargò e crebbe sempre di più, fino a raggiungere il cervello e scoppiare.
Gemette e cadde a terra, finendo inginocchiata, accasciata, sul suolo ruvido e sudicio. Vedeva e non vedeva. Udiva e non udiva. Tentò di aggrapparsi. Con le mani, strusciandole sul suolo. Grattando con le unghie, come se cercasse di afferrare una zolla di terra a cui aggrapparsi per non essere trascinata giù, nel baratro. Le mani si insanguinarono presto, graffiando in più punti, le unghie si ruppero. Ma lei no, lei non sentiva niente. Nemmeno il dolore. Raschiava, si aggrappava, cercava di strisciare via, verso la porta. Tornare indietro, andare via, ecco al sua unica salvezza. Chi l'avrebbe portata fuori? Di sicuro non lui. Lui che la tirava saldamente, ancorandola in quella cripta.
Basta!
Basta? Non ne puoi più? Ti meriti tutto questo, meriti ciò e molto di più. Stai soffrendo? Guarda, guarda come hanno sofferto troppe persone a causa tua. Ricorda le vite che hai rovinato, le famiglie spezzate, gli animi distrutti. Ricorda. Ricorda me e anche loro. Mai dimenticare, dolcezza, mai.
Cercava di ribellarsi, la povera Alba. Cercava di sfuggire, ma era tremendamente difficile. Impossibile fuggire al destino. Il respiro della ragazza era denso e affannato, quasi rumoroso, nel silenzio della grotta. L'unico rumore, insieme al disperato suono del raschiare inutile delle sue unghie. Un rumore diverso, inaspettato. Un passo. Non ne era sicura, ma nella sua mente qualcosa si schiarì, lasciando spazio a uno sprazzo minuscolo di lucidità. Un altro passo. Qualcuno la stava venendo a prendere? Qualcuno voleva salvarla e portarla via da lì?
Si fermò, accasciandosi a terra, semi sdraiata, letteralmente accasciata, come se fosse stata gettata via. Proprio come quando Aion l'aveva quasi uccisa. Aion? Forse lui? Stava vendendo da lei? La porta si aprì, finalmente.
Alba alzò la testa, in uno sforzo sovrumano. I capelli ricadevano a ciocche contorte sul viso, coprendole parte degli occhi, ma questo non le impedì di osservare una figura. Tremante e piangente, entrava come se quella fosse la sua ultima speranza di salvezza, come se non avesse altro luogo in cui rifugiarsi, scelta obbligata.
La guardò, piena di speranza.
Una bambina?
Alba non disse niente. Rimase così, non sapendo cosa sarebbe successo, semplicemente osservandola in silenzio. Dopotutto, non avrebbe avuto la forza di parlare. Ma si sarebbe ribellata. Alba non perdeva mai. Alba sarebbe volata via da lì, via da quel mostro.
morgan4
martedì 28 aprile 2009 22:09


e avevi paura di deludere?? con un racconto così bello?? allora io non avrei mai dovuto iscrivermi [SM=g27991]
ho fatto qualche tentativo di prosa anche io e meno male che ho lasciato stare
mi piace molto e mi stupisce..oddio sto facendo la grande [SM=g27996] è che mi rattrista un po' questo tuo racconto, ono ferma a pensare a cosa abbia scatenato tutto ciò in te

cheddire..


ti abbraccio



simina
»SilenziosaMente.
mercoledì 29 aprile 2009 14:37
Grazie mille, troppo buona [SM=g7831]

è che mi rattrista un po' questo tuo racconto, ono ferma a pensare a cosa abbia scatenato tutto ciò in te


Non ti preoccupare, credo sia una della cose meno autobiografiche che ho scritto..in realtà, è una scena per un gioco di ruolo. Il mio personaggio si sta pentendo di tutti i mali che ha commesso (arrivando all'orlo della pazzia) [SM=g27987]
Maredinotte
mercoledì 29 aprile 2009 17:32
sono rimasta assolutamente intrappolata nelle tue parole, in un vortice cupo che mi ha rapita!

la prima parte è stata come la discesa agli inferi, girone per girone, flash di immagini, di suoni, di colori, poi quell'attimo di pace, quel grigio incomprensibile che sembrava poter essere cielo...

e poi di nuovo il baratro.

ma questo brano ha un seguito? lo leggeremo? [SM=g27987]
e la bambina?... è la sua anima? mi è parso di intuire una struttura ricorsiva sai, quando inizio e fine si fondono per ritornare al punto di partenza... vabbè, deliro anch'io! [SM=g27993]


filodiseta--
venerdì 1 maggio 2009 09:57
ah sì, qui ritorno ai vecchi tempi


a quando avevo la casa piena di ragazzi che facevano giochi di ruolo. qualche volta ho partecipato, ma per lo più ascoltavo i loro discorsi fiabeschi senza entrare in prima persona. vi erano dei momenti di partecipazione tale, che la voce si impostava come se recitasse pezzi di copione. bei ricordi, bei tempi che mi hai fatto rivivere. e risento le voci di quei tagazzi, ad una ad una


grazie [SM=g27998]
»SilenziosaMente.
mercoledì 6 maggio 2009 17:01
Sono contenta di averti rievocato bei ricordi, FiloSetoso [SM=g27985]
Uhm, questo è il continuo, anche se non mi piace granché >.<
Mi piacciono solo gli ultimi due paragrafi, LoL

Gli occhi di quella bambina. Gli occhi di quella bambina erano magnifici, e al tempo stesso i più paurosi che avesse mai visto. Potevano possedere tanta angoscia gli occhi di una bambina? Alba non aveva mai visto così tanta tristezza, paura, smarrimento, in sol paio di occhi. Probabilmente, però, non sapeva che i suoi erano simili a quelli della piccola strega in quel momento, così come ignorava molte altre cose. Ignorava che la bambina in realtà non fosse una bambina, ma una longeva strega. Ignorava che i loro destini fossero intrecciati in uno stretto nodo e si sarebbero incrociati di nuovo, in altri luoghi e in altri tempi. Ignorava di essere lì per un motivo preciso, per un compito importante da svolgere in futuro, per qualcosa -qualcuno- di cui ancora non sapeva l'esistenza. Ignorava molto cose, Alba, ma le avrebbe sapute tutte, prima o poi, nel bene e nel male.
Allungò le mani, premendole a terra e con uno sforzo sovra umano riuscì a strisciare in avanti, guadagnando di un metro e mezzo circa la porta liberatoria.
E' questo che ti meriti, nient'altro. Cosa credevi? Che ti avrei salvata? Certo, certo che..no! Non lo farò mai, mai, MAI stupida ragazzina, MAI!
Meriti solo di soffrire, bruciare e morire. Che bello, che bella la smorfia di dolore sul tuo volto!

Sta..zitto.

Parole senza colore, pronunciate con la voce atona e distrutta di chi, ormai, non ha più nulla da perdere. Alba ormai stava perdendo, soffrire di più o di meno, cosa importava? Ormai aveva perso.
Ma non sapeva che presto, avrebbe vinto. Molto, molto più di prima.
Alzò lo sguardo verso la cupola, dove ci sarebbe dovuto essere il cielo.
Il cielo. Quando cade il cielo. E se cade il cielo? Era inimmaginabile. Non lo sapeva, non poteva saperlo; o forse più semplicemente non voleva saperlo. Perché lei al cielo doveva tutto: i suoi respiri, la sua vita stessa. Le sue ali. La sua essenza era legata lassù, dove nemmeno le nuvole si spingono, nell'infinito blu del cielo.
Ma ora il cielo stava cadendo e lei con lui. Non poteva far altro che cadere, lasciandosi scivolare in un baratro infinito: no, quella volta, non ci sarebbero stati lembi di terra ad attutire la sua caduta ed accoglierla. Precipitava, tutto precipitava. La sua vita stessa scivolava fra le dita della sua mano inerme e lei non poteva far altro che guardarla andar via, incapace di qualsiasi movimento. Morire. Come sarebbe stato morire? Morire. Meglio di vivere quel momento. Morire mille anni, piuttosto che passare un secondo di più in quella cripta. Ma sapeva che non sarebbe morta, sarebbe stato tutto troppo facile. Lei non doveva morire. Doveva soffrire. Soffrire in silenzio, sola. Perché Alba non aveva mai avuto nessuno al suo fianco. Nessuno si era mai preso cura di lei in modo affettuoso, nessuno l'aveva consolata o aiutata. Mai. Tutto quello che aveva, tutto ciò che lei era, era frutto del suo sforzo, di tanto impegno, di difficoltà infinite. Non lo aveva mai ammesso nemmeno a se stessa, ma solo lei sapeva quanto potesse essere realmente duro poter contare su nessuno.
Sola.
Ma in quel momento non era sola. Abbassò gli occhi, l'unica parte di lei rimasta del tutto viva, e li puntò nuovamente sulla creatura di fronte a lei. Lei? Aveva forse una funzione, lì, proprio in quel momento? Per aiutare lei, che non aveva mai chiesto aiuto a nessuno? Una smorfia sulla sua bocca. Le labbra disidratate si schiusero, come a voler parlare; boccheggiò nel vuoto come un pesciolino fuori dalla boccia e poi le richiuse. Non c'era abbastanza aria, né c'erano abbastanza forze, per parlare.
Si limitò ad avvicinarsi ancora di più alla ragazzina.
In quel momento, della maestosa colomba nera era rimasto ben poco. Lo sapeva bene Alba, l'alba della morte, e lo sapeva bene anche la Morte, alba del dolore, che si prendeva gioco di lei.
Lì, semi sdraiata sul pavimento sudicio, le braccia allungate, le mani ancorate al terreno; il corpo proiettato in avanti, strisciato sul pavimento. Il viso scarno, le labbra screpolate, la pelle sporca di nero in alcuni punti. Le ali piegate con sofferenza all'indietro, abbattute sulla sua schiena, come se non riuscisse più a muoverle. Non sembrava più il maestoso angelo che era stata: sembrava un cigno, un cigno agonizzante in un mare di petrolio, invischiato inesorabilmente nel catrame, senza possibilità di uscirne. Protese la testa, allungando il collo in avanti, come una ballerina di danza classica. Alba. Alba e la sua eleganza. Alba e i suoi elementi raffinati, unico segno di quel briciolo di dignità che ancora le rimaneva.
Le dita si staccarono dal suolo, una a una, in una sofferta danza, e la mano destra si alzò. Il bracciò si allungò, il palmo aperto, la mano tesa verso la bambina.
Si sarebbero aiutate. Insieme.
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