Semi di 'discontinuità' in Gaudium et Spes, 22 ?

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S_Daniele
00sabato 25 settembre 2010 11:01

Semi di 'discontinuità' in Gaudium et Spes, 22 ?


Stralcio dalla Gaudium et Spes, 22 – Cristo l’uomo nuovo i brani che, come mosche nel vino, insieme a verità fondanti, riportano espressioni non immediatamente evidenti, ma che hanno già ‘in nuce’ la capacità di sovvertire il ‘sensus fidei’ cattolico; il che del resto, come stiamo constatando dolorosamente, ha già raggiunto stadi di quasi irreversibilità.

Non è estraneo a quanto riscontrato il fatto che i Padri conciliari, invece di privilegiare come in precedenza la dimensione noetica delle verità da credere, hanno messo l'accento sulla dimensione dinamica e dialogale della Rivelazione come autocomunicazione personale di Dio. Ritenendo così di gettare le basi di un incontro e di un dialogo più vivo tra Dio che chiama e il suo popolo che risponde. Una svolta ampiamente accolta come fatto decisivo da teologi, esegeti e pastori. Come se in precedenza il dialogo tra Dio e l'anima credente fosse meno vivo e bisognoso di ricerca di una immediatezza che può essere colta solo nell'atteggiamento interiore di ascolto attento e amoroso, da un cuore -non sede del sentimento ma 'luogo' della coscienza e delle decisioni ultime- reso sempre più ricettivo, purificato e trasformato dal 'mettere in pratica' ciò che viene ascoltato e acquisire quindi una capacità di ascolto sempre più intima e profonda.

La cosiddetta dimensione noetica da cui i Padri conciliari hanno distolto l'attenzione per posarla su quella dinamica e dialogale, mi sembra invece che debba essere proprio il fondamento di quest'ultima, che non ha senso se ne prescinde.

Non lo ritengo un discorso di 'intellettualismo' contrapposto ad 'esperienza', perché la "dimensione noetica" conoscitiva, coinvolge la totalità della persona e precede accompagna e segue l'esperienza... E' essa, basata sulla Rivelazione Apostolica, che ci consente di 'dare un nome a tutte le cose", cioè di avere una giusta interpretazione della realtà, con una chiave di lettura veritativa ed equilibrata.

Per comodità di consultazione di chi legge inserisco in nota i testi integrali da cui sono tratti i brani esaminati: Gaudium et Spes, 22 che richiama Lumen Gentium 2, 19.

Gaudium et Spes 22. Cristo, l'uomo nuovo.

Ci sono alcuni assunti che, mi sembra, colpiscono particolarmente.
  1. "Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo."
    E’ vero, e non solo in virtù dell’ Incarnazione, ma anche della Creazione perché “per mezzo di lui tutte le cose sono state create”. Ma qui risuona forte la Parola: "A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo ma da Dio sono stati generati." (Giovanni, Prologo). Infatti nella Creazione Nuova inaugurata da Cristo Signore, l’Uomo Nuovo è ‘generato non creato’ dal Padre in Cristo nel cuore dei credenti in Lui.

    Si omette che quel “si è unito in certo modo” non crea degli automatismi, ma richiede un Annuncio (“andate ed evangelizzate…” e una risposta; il che verrà meglio sviluppato nel punto 3).

    Lo stesso universalismo già presente nell’ebraismo, vedeva il Popolo della prima Alleanza come Testimone del Signore davanti alle Nazioni. La Nuova ed Eterna Alleanza in Cristo Signore, ha portato a compimento il Disegno di Salvezza Universale, per “tutti”, che si realizza in coloro –e per mezzo loro nelle situazioni e strutture che essi animano– che, conoscendoLo, credono nel Suo Nome, Lo accolgono e aderiscono fedelmente a Lui.

  2. "Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza."
    Piuttosto che ‘assillato’ il cristiano è consapevole e ontologicamente spinto dalla chiamata, funzione, compito, più che da un dovere (non sarebbe stato forse più adatto il termine munus in luogo di officium?). Il testo originale latino [Christianum certe urgent necessitas et officium contra malum] non autorizza questa traduzione disponibile sul sito Vatican.va: esso riporta come soggetti la necessità e l’officium e il cristiano come oggetto. Urgent indica una ‘spinta’, un cogente modo di essere, non certamente un assillo, termine mutuato più dal linguaggio psicologico e quotidiano che da quello teologico. La traduzione riporta, opportunamente se non proprio fedelmente, il cristiano come soggetto, ma poi ‘tradisce’ il significato più profondo nel senso sopra indicato. Con ciò di fatto depauperando se non vanificando quanto affermato in precedenza: “Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm 8,29; Col. 1, 18) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore (Cf. Rom. 8, 1-11)”

    Affermare infatti che il cristiano “è assillato”, equivale a dire che il cristiano è governato, mosso da qualcosa che non è l’autentica chiamata a “rimanere” in Cristo nel Disegno del Padre e ridurre questa ad un dovere, significa vanificare e annullare il “giogo soave e il carico leggero” della Grazia.

    Nel linguaggio moderno l’assillo appartiene alla sfera dell’ossessione, non certo a quella del Sacro zelo Paolino, ad esempio. L’assillo è un pungolo maggiormente collocabile in un orizzonte di ‘mancanza di libertà’ e quindi non appartiene alla “libertà dei figli di Dio”, che è propria dei cristiani. Tanto più lo colloca nell’orizzonte della legge l’associazione al termine ‘dovere’, che è altra cosa dalla connaturalità al Figlio che la Grazia scrive nel cuore dell’uomo Redento, in virtù della chiamata alla quale il cristiano risponde con la fede e con la vita in permanente interconnessione con la vita Trinitaria in Cristo.

  3. "E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia (Lumen Gentium cap.II n.16). Cristo, infatti, è morto per tutti (Rm 8,32) e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale."

Un assunto che appare molto in sintonia col 'cristianesimo anonimo' di Rahner. Questa famosa formula di Rahner, ha creato non pochi problemi a causa della sua ambiguità: “Se si tratta dei ‘semi del Verbo’ presenti in tutte le culture e le religioni, Giustino, già nel II secolo ne ha rilevato il senso ma anche la radicale frammentarietà. Forse Rahner la intendeva così, ma il modo in cui l’ha espressa, non aiuta a cogliere l’assoluta necessità della fede per la salvezza. Ricordiamo dal testo di Solovev sull’anticristo: al grande imperatore -anticristo in quel racconto-, quando questi chiede ai cristiani cosa sta loro a cuore, Giovanni risponde: ‘Che tu proclami che Cristo è il Signore…’, infatti è nel suo ‘nome’ che sono salvate tutte le genti.

Inoltre l’anonimato non appartiene ai credenti in Cristo, che conosce e chiama per nome ognuno dei Suoi, mentre la missione della Chiesa consiste nel far sì che ‘nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi’ all’adorazione del Dio unico e vero, in modo che la drammatica domanda ‘il Figlio dell’uomo quando tornerà, troverà la fede sulla terra?’ abbia risposta positiva”.

Nell’affermare che la salvezza non vale solamente per i cristiani ma per ‘tutti’ gli uomini di buona volontà nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia, si rimanda innanzitutto alla Lumen Gentium 2,16: il concilio richiama se stesso.(1) Con l’aggravante che la LG cita espressamente ebrei e musulmani! (2)

Inoltre, con l’affermazione che lo Spirito Santo dà a tutti la possibilità di venir associati al mistero pasquale, esprime solo la prima parte dell’enunciato, omettendo di annettervi la ‘risposta’ dovuta dall’uomo che viene lasciata del tutto in ombra nell’espressione “nel modo che solo Dio conosce”. Che fine fa l’Annuncio? Non possiamo non ricordare Paolo ai Romani (10, 14-18): “Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? Come sta scritto: Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene! Ma non tutti hanno obbedito al vangelo. Lo dice Isaia: Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo.

A questo proposito ci soccorre l'interpretazione data dalla Lettera della Congregazione per il Culto Divino sulla traduzione di "pro multis" nella Consacrazione del Calice Prot. N. 467/05/L Roma, 17 Ottobre 2006.

Il testo corrispondente alle parole "pro multis", tramandato dalla Chiesa, costituisce la formula che è stata in uso nel rito romano, in latino, fin dai primi secoli. In questi ultimi trent'anni circa, alcuni testi in lingua volgare hanno adottato una traduzione che interpreta [il pro multis] come "per tutti", o equivalente.
L'espressione "per molti", pur restando aperta all'inclusione di ogni persona umana, riflette inoltre il fatto che questa salvezza non è determinata in modo meccanico, senza la volontà o la partecipazione dell’uomo. Il credente, invece, è invitato ad accettare nella fede il dono che gli è offerto e a ricevere la vita soprannaturale data a coloro che partecipano a questo mistero, vivendolo nella propria vita in modo da essere annoverato fra "i molti" cui il testo fa riferimento.”
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NOTE:

(1) Gaudium et Spes 22. Cristo, l'uomo nuovo.
In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo.
Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore.
Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.
Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è « l'immagine dell'invisibile Iddio » (Col 1,15) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato.
Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata (30) per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime.
Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo.
Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo (31) ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato (32). Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi (33) e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio « mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal 2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme (34) ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato.
Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm 8,23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore (36).
In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ef 1,14), tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, nell'attesa della « redenzione del corpo » (Rm 8,23): « Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11).
Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza (38).
E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia (Cf. CONC. VAT. II, Const. dogm. de Ecclesia, Lumen gentium, cap. II, n. 16: AAS 57 (1965), p. 20.). Cristo, infatti, è morto per tutti (Cf. Rom. 8, 32) e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.
Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita (41), perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre! (42).

(2) Lumen Gentium. I non cristiani e la Chiesa
16. Infine, quanto a quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, anch'essi in vari modi sono ordinati al popolo di Dio [Cf. Istr. della S. S. C. del S. Uffizio, 20 dic. 1949]. In primo luogo quel popolo al quale furono dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cfr. Rm 9,4-5), popolo molto amato in ragione della elezione, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (cfr. Rm 11,28-29). Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso che giudicherà gli uomini nel giorno finale. Dio non e neppure lontano dagli altri che cercano il Dio ignoto nelle ombre e sotto le immagini, poiché egli dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa (cfr At 1,7,25-26), e come Salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino (cfr. 1 Tm 2,4). Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna [Cf. Lett. della S. S. C. del S. Uffizio all’Arciv. di Boston: Dz 3869-72]. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo [34] e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita. Ma molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno errato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore (cfr. Rm 1,21 e 25), oppure, vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale. Perciò la Chiesa per promuovere la gloria di Dio e la salute di tutti costoro, memore del comando del Signore che dice: « Predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15), mette ogni cura nell'incoraggiare e sostenere le missioni. [Di questa affermazione non tiene più conto la CEI che ha dichiarato che la Chiesa ha rinunciato a convertire gli ebrei - ndR]

(3) Non può restare senza conseguenze una dichiarazione del genere da parte del Papa durante la sua visita in Sinagoga: "Cristiani ed Ebrei hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, pregano lo stesso Signore..."
È pur vero che siamo innestati sulla "radice santa" del giudaismo pre-rabbinico e che il Dio che si è rivelato e ha portato a compimento la Storia della Salvezza in Gesù Cristo è lo stesso dei Patriarchi e dei Profeti; ma se ci fermiamo a questo dato, ignoriamo che nella pienezza dei tempi Dio si è rivelato in Cristo Signore, che gli ebrei hanno rifiutato e continuano a rifiutare.
Ed è Dio Trinità, icona e fonte di tutte le nostre relazioni, che noi cristiani Adoriamo, per averlo conosciuto attraverso la Rivelazione del Signore Gesù e degli Apostoli. Quel "quid" in più di un Dio Incarnato e Morto per i nostri peccati e Risorto per introdurci nella Creazione Nuova, fa una differenza abissale e adorare l'Uno piuttosto che l'altro non è ininfluente, perché si diventa 'conformi' (la ‘configurazione’ a Cristo di Paolo) a Colui che si Adora, anche perché i nostri atteggiamenti interiori e comportamenti vi si conformano in base ad una 'connaturalità' donata nella fede e realizzano un'antropologia e, conseguentemente, una storia diverse...

È la stessa ragione per cui non possiamo affermare di adorare lo stesso Dio dell'Islam: Certo, Dio Creatore dell'uomo e dell'universo è lo stesso, ma il rapporto che si instaura con Lui in base alla Rivelazione alla quale si aderisce rende diversi gli uomini e il loro essere-nel-mondo e quindi la storia che essi vi incarnano e scrivono...

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