Santa Messa della notte di Natale; Omelia del Papa

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Cattolico_Romano
00venerdì 25 dicembre 2009 10:47

Pope Benedict XVI leads the Christmas mass in Saint Peter's Basilica at the Vatican December 24, 2009.


SANTA MESSA DELLA NOTTE DI NATALE, 24 DICEMBRE 2009

OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle
,


Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5).

Ciò che Isaia, guardando da lontano verso il futuro, dice a Israele come consolazione nelle sue angustie ed oscurità, l’Angelo, dal quale emana una nube di luce, lo annuncia ai pastori come presente: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 11).

Il Signore è presente. Da questo momento, Dio è veramente un “Dio con noi”. Non è più il Dio distante, che, attraverso la creazione e mediante la coscienza, si può in qualche modo intuire da lontano. Egli è entrato nel mondo. È il Vicino. Il Cristo risorto lo ha detto ai suoi, a noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).

Per voi è nato il Salvatore: ciò che l’Angelo annunciò ai pastori, Dio ora lo richiama a noi per mezzo del Vangelo e dei suoi messaggeri. È questa una notizia che non può lasciarci indifferenti. Se è vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me. Allora, come i pastori, devo dire anch’io: Orsù, voglio andare a Betlemme e vedere la Parola che lì è accaduta. Il Vangelo non ci racconta senza scopo la storia dei pastori. Essi ci mostrano come rispondere in modo giusto a quel messaggio che è rivolto anche a noi. Che cosa ci dicono allora questi primi testimoni dell’incarnazione di Dio?

Dei pastori è detto anzitutto che essi erano persone vigilanti e che il messaggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli. Noi dobbiamo svegliarci, perché il messaggio arrivi fino a noi. Dobbiamo diventare persone veramente vigilanti.

Che significa questo?

La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti.

Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato. L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, ci tiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la verità e ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. Venite fuori per entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio.

Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silenziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza. Ci sono persone che dicono di essere “religiosamente prive di orecchio musicale”. La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuni è rifiutata.

E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci “privi di orecchio musicale” per Lui.
E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa di Dio, la capacità di incontrarlo. Per ottenere questa vigilanza, questo svegliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, per quelli che sembrano essere “privi di questo orecchio musicale” e nei quali, tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti.

Il grande teologo Origene ha detto: se io avessi la grazia di vedere come ha visto Paolo, potrei adesso (durante la Liturgia) contemplare una grande schiera di Angeli (cfr in Lc 23, 9). Infatti – nella Sacra Liturgia, gli Angeli di Dio e i Santi ci circondano. Il Signore stesso è presente in mezzo a noi. Signore, apri gli occhi dei nostri cuori, affinché diventiamo vigilanti e veggenti e così possiamo portare la tua vicinanza anche ad altri!

Torniamo al Vangelo di Natale. Esso ci racconta che i pastori, dopo aver ascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: “‘Andiamo fino a Betlemme’ … Andarono, senza indugio” (Lc 2, 15s.). “Si affrettarono” dice letteralmente il testo greco. Ciò che era stato loro annunciato era così importante che dovevano andare immediatamente. In effetti, ciò che lì era stato detto loro andava totalmente al di là del consueto. Cambiava il mondo. È nato il Salvatore. L’atteso Figlio di Davide è venuto al mondo nella sua città. Che cosa poteva esserci di più importante? Certo, li spingeva anche la curiosità, ma soprattutto l’agitazione per la grande cosa che era stata comunicata proprio a loro, i piccoli e uomini apparentemente irrilevanti. Si affrettarono – senza indugio. Nella nostra vita ordinaria le cose non stanno così. La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato.

E così noi, nella stragrande maggioranza, siamo ben disposti a rimandarle. Prima di tutto si fa ciò che qui ed ora appare urgente. Nell’elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi all’ultimo posto. Questo – si pensa – si potrà fare sempre. Il Vangelo ci dice: Dio ha la massima priorità. Se qualcosa nella nostra vita merita fretta senza indugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio.

Una massima della Regola di san Benedetto dice: “Non anteporre nulla all’opera di Dio (cioè all’ufficio divino)”.

La Liturgia è per i monaci la prima priorità. Tutto il resto viene dopo. Nel suo nucleo, però, questa frase vale per ogni uomo. Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane.

Alcuni commentatori fanno notare che per primi i pastori, le anime semplici, sono venuti da Gesù nella mangiatoia e hanno potuto incontrare il Redentore del mondo. I sapienti venuti dall’Oriente, i rappresentanti di coloro che hanno rango e nome, vennero molto più tardi. I commentatori aggiungono: questo è del tutto ovvio. I pastori, infatti, abitavano accanto. Essi non dovevano che “attraversare” (cfr Lc 2, 15) come si attraversa un breve spazio per andare dai vicini. I sapienti, invece, abitavano lontano. Essi dovevano percorrere una via lunga e difficile, per arrivare a Betlemme. E avevano bisogno di guida e di indicazione.

Ebbene, anche oggi esistono anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore. Essi sono, per così dire, i suoi vicini e possono facilmente andare da Lui. Ma la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo, da Colui che si è fatto uomo, dal Dio venuto in mezzo a noi. Viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darci una mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensieri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui.

Ma per tutti c’è una via. Per tutti il Signore dispone segnali adatti a ciascuno. Egli chiama tutti noi, perché anche noi si possa dire: Orsù, “attraversiamo”, andiamo a Betlemme – verso quel Dio, che ci è venuto incontro. Sì, Dio si è incamminato verso di noi. Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostre forze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte più lunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo. Venite e vedete che io sono qui.

Transeamus usque Bethleem, dice la Bibbia latina. Andiamo di là! Oltrepassiamo noi stessi! Facciamoci viandanti verso Dio in molteplici modi: nell’essere interiormente in cammino verso di Lui. E tuttavia anche in cammini molto concreti – nella Liturgia della Chiesa, nel servizio al prossimo, in cui Cristo mi attende.

Ascoltiamo ancora una volta direttamente il Vangelo. I pastori si dicono l’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: “Vediamo questo avvenimento”. Letteralmente il testo greco dice: “Vediamo questa Parola, che lì è accaduta”. Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così. L’Angelo aveva detto ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 12; cfr 16).

Il segno di Dio, il segno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio.

Egli possiede il potere ed è la Bontà. Ci invita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo plasmare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l’umiltà e così la vera grandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità e dell’amore. Origene, seguendo una parola di Giovanni Battista, ha visto espressa l’essenza del paganesimo nel simbolo delle pietre: paganesimo è mancanza di sensibilità, significa un cuore di pietra, che è incapace di amare e di percepire l’amore di Dio. Origene dice dei pagani: “Privi di sentimento e di ragione, si trasformano in pietre e in legno” (in Lc 22, 9). Cristo, però, vuole darci un cuore di carne. Quando vediamo Lui, il Dio che è diventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascoltiamo ancora Origene: “In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)” (in Lc 22, 3).

Sì, per questo vogliamo pregare in questa Notte Santa. Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen.

© Copyright 2009 – Libreria Editrice Vaticana

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00venerdì 25 dicembre 2009 11:01
Pope Benedict XVI walks in front of a baby Jesus figure as he leads the Christmas mass in Saint Peter's Basilica at the Vatican December 24, 2009. A woman jumped over a  barricade at the start of Pope Benedict's Christmas Eve mass on Thursday and lunged at the pope, who was knocked to the floor in the confusion but then resumed the service apparently unharmed.

VATICAN CITY, VATICAN - DECEMBER 24:  Pope Benedict XVI gives Christmas Night Mass at St. Peter's Basilica on December 24, 2009 in Vatican City, Vatican. The mass on Christmas Eve and Christmas Day are scheduled to be televised in an estimated 73 countries.

VATICAN CITY, VATICAN - DECEMBER 24:  Pope Benedict XVI gives Christmas Night Mass at St. Peter's Basilica on December 24, 2009 in Vatican City, Vatican. The mass on Christmas Eve and Christmas Day are scheduled to be televised in an estimated 73 countries.

VATICAN CITY, VATICAN - DECEMBER 24:  Pope Benedict XVI gives Christmas Night Mass at St. Peter's Basilica on December 24, 2009 in Vatican City, Vatican. The mass on Christmas Eve and Christmas Day are scheduled to be televised in an estimated 73 countries.
Cattolico_Romano
00sabato 26 dicembre 2009 07:06
Il Messaggio natalizio del Papa: la Chiesa non teme di offrire, anche tra attacchi e persecuzioni, il Bambino Gesù, mistero di amore e di luce

La Chiesa non ha paura, anche nelle situazioni più difficili, nelle persecuzioni e negli attacchi, perché la sua forza è il Bambino Gesù, mistero di amore e di luce che vuole donare al mondo intero: è quanto ha detto oggi il Papa, in una giornata nuvolosa, dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana nel suo tradizionale Messaggio nella Solennità del Natale del Signore
, trasmesso in mondovisione. Migliaia i fedeli presenti in Piazza San Pietro che hanno espresso con entusiasmo al Pontefice tutto il loro affetto. Benedetto XVI ha quindi rivolto gli auguri in 65 lingue e impartito la Benedizione “Urbi et Orbi”. Il servizio di Sergio Centofanti.

“La luce che promana dalla grotta di Betlemme - afferma il Papa - risplende su di noi”, ovvero “la Chiesa, la grande famiglia universale dei credenti in Cristo, che hanno atteso con speranza la nuova nascita del Salvatore”. All’inizio, attorno alla mangiatoia di Betlemme, quel ‘noi’ era quasi invisibile agli occhi degli uomini: oltre a Maria e a Giuseppe c’erano solo pochi umili pastori:

“La luce del primo Natale fu come un fuoco acceso nella notte. Tutt’intorno era buio, mentre nella grotta risplendeva la luce vera ‘che illumina ogni uomo’ (Gv 1,9). Eppure tutto avviene nella semplicità e nel nascondimento, secondo lo stile con il quale Dio opera nell’intera storia della salvezza. Dio ama accendere luci circoscritte, per rischiarare poi a largo raggio”.

La Verità e l’Amore – ha proseguito – “si accendono là dove la luce viene accolta, diffondendosi poi a cerchi concentrici, quasi per contatto, nei cuori e nelle menti di quanti, aprendosi liberamente al suo splendore, diventano a loro volta sorgenti di luce. È la storia della Chiesa che inizia il suo cammino nella povera grotta di Betlemme” per portare quella luce all’intera umanità, “anche nelle situazioni più difficili. La Chiesa, come la Vergine Maria, offre al mondo Gesù, il Figlio, che Lei stessa ha ricevuto in dono, e che è venuto a liberare l’uomo dalla schiavitù del peccato”:

“Come Maria, la Chiesa non ha paura, perché quel Bambino è la sua forza. Ma lei non lo tiene per sé: lo offre a quanti lo cercano con cuore sincero, agli umili della terra e agli afflitti, alle vittime della violenza, a quanti bramano il bene della pace. Anche oggi, per la famiglia umana profondamente segnata da una grave crisi economica, ma prima ancora morale, e dalle dolorose ferite di guerre e conflitti, con lo stile della condivisione e della fedeltà all’uomo, la Chiesa ripete con i pastori: ‘Andiamo fino a Betlemme’ (Lc 2,15), lì troveremo la nostra speranza”.

Il Papa guarda alla Chiesa che vive nel mondo:

“Il ‘noi’ della Chiesa vive là dove Gesù è nato, in Terra Santa, per invitare i suoi abitanti ad abbandonare ogni logica di violenza e di vendetta e ad impegnarsi con rinnovato vigore e generosità nel cammino verso una convivenza pacifica”.

Il pensiero del Papa si volge poi “alla tribolata situazione in Iraq” e al “piccolo gregge di cristiani” che vive in questa regione:

“Esso talvolta soffre violenze e ingiustizie ma è sempre proteso a dare il proprio contributo all’edificazione della convivenza civile contraria alla logica dello scontro e del rifiuto del vicino”.

Non manca un riferimento alla Chiesa che opera “in Sri Lanka, nella Penisola coreana e nelle Filippine, come pure in altre terre asiatiche, quale lievito di riconciliazione e di pace”. Quindi guarda verso l’Africa:

“Nel Continente africano non cessa di alzare la voce verso Dio per implorare la fine di ogni sopruso nella Repubblica Democratica del Congo; invita i cittadini della Guinea e del Niger al rispetto dei diritti di ogni persona ed al dialogo; a quelli del Madagascar chiede di superare le divisioni interne e di accogliersi reciprocamente”.

Invita tutti “alla speranza, nonostante i drammi, le prove e le difficoltà che continuano ad affliggerli”. C’è poi la Chiesa in Occidente:

“In Europa e in America settentrionale, il ‘noi’ della Chiesa sprona a superare la mentalità egoista e tecnicista, a promuovere il bene comune ed a rispettare le persone più deboli, a cominciare da quelle non ancora nate”.

Parlando dell’America Latina, ribadisce l’impegno della Chiesa ad aiutare l’Honduras “a riprendere il cammino istituzionale”:

“In tutta l’America Latina il ‘noi’ della Chiesa è fattore identitario, pienezza di verità e di carità che nessuna ideologia può sostituire, appello al rispetto dei diritti inalienabili di ogni persona ed al suo sviluppo integrale, annuncio di giustizia e di fraternità, fonte di unità”.

“Fedele al mandato del suo Fondatore – ha aggiunto il Papa - la Chiesa è solidale con coloro che sono colpiti dalle calamità naturali e dalla povertà, anche nelle società opulente”:

“Davanti all’esodo di quanti migrano dalla loro terra e sono spinti lontano dalla fame, dall’intolleranza o dal degrado ambientale, la Chiesa è una presenza che chiama all’accoglienza. In una parola, la Chiesa annuncia ovunque il Vangelo di Cristo nonostante le persecuzioni, le discriminazioni, gli attacchi e l’indifferenza, talvolta ostile, che – anzi – le consentono di condividere la sorte del suo Maestro e Signore”.

Infine il Papa, come da tradizione, ha pronunciato gli auguri di Natale in varie lingue, quest’anno 65, una in più dell’anno scorso, il kazako. All’Italia, ha rivolto questo augurio:

“La nascita di Cristo rechi in ciascuno nuova speranza e susciti generoso impegno per la concorde costruzione di una società più giusta e solidale. Contemplando la povera e umile grotta di Betlemme, le famiglie e le comunità imparino uno stile di vita semplice, trasparente e accogliente, ricco di gesti di amore e di perdono”.

© Copyright Radio Vaticana
Cattolico_Romano
00sabato 26 dicembre 2009 07:40
Benedetto XVI: se il Natale è vero, tutto cambia
Messa della notte di Natale nella Basilica di San Pietro in Vaticano
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 25 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

Se Gesù è nato davvero più di duemila anni fa, "tutto è cambiato", ha affermato Benedetto XVI nella Messa della notte di Natale per spiegare come questa festa abbia un'importanza decisiva nella vita di ogni persona.

L'omelia della celebrazione eucaristica, presieduta nella Basilica di San Pietro, è quindi diventata un'esortazione a mettere al primo posto della propria vita Dio.

La celebrazione, che quest'anno è iniziata alle 22.00, è stata turbata all'inizio dal gesto di una donna che si è lanciata verso il Papa facendolo cadere.

Meditando sul mistero verificatosi a Betlemme, il Vescovo di Roma ha dichiarato che la notizia della nascita di Gesù "non può lasciarci indifferenti".

"Se è vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me", ha constatato.

Dio al primo posto

"La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato. E così noi, nella stragrande maggioranza, siamo ben disposti a rimandarle", ha riconosciuto il Papa.

"Prima di tutto si fa ciò che qui ed ora appare urgente. Nell'elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi all'ultimo posto. Questo - si pensa - si potrà fare sempre".

Ad ogni modo, "se qualcosa nella nostra vita merita fretta senza indugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio", ha affermato citando la famosa massima della Regola di San Benedetto che dice: "Non anteporre nulla all'opera di Dio".

"Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita", ha spiegato. "Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane".

"Ma la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo", ha ammesso. "Viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo".

Dio "ci viene incontro"

"Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostre forze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte più lunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo", ha proseguito il Pontefice.

"Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore".

"Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all'amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio. Egli possiede il potere ed è la Bontà".

"Ci invita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo plasmare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l'umiltà e così la vera grandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità e dell'amore".

Il Papa ha quindi concluso la sua meditazione con una preghiera: "Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa' che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato".

Cattolico_Romano
00lunedì 28 dicembre 2009 20:53

Come un fuoco acceso nella notte


Dalla luce del Natale che rifulge nella liturgia per brillare nei cuori Benedetto XVI ha tratto una riflessione proposta non soltanto ai fedeli cattolici. Lo ha fatto nell'omelia durante la messa in nocte e nel messaggio urbi et orbi, testi che non ricevono facilmente nei media attenzione e che quest'anno sono stati ancor più trascurati per il trambusto causato da una giovane precipitatasi verso il Papa. Quasi una metafora della difficoltà di comunicazione in un mondo che invece sempre più viene sommerso - e il fenomeno non è soltanto negativo - dalle informazioni.
La stessa notizia che cambia tutto - la nascita dell'unico salvatore del mondo - fa fatica a essere percepita. Benedetto XVI, tuttavia, non si turba né si scoraggia. E ragiona, con pacatezza, su questa "notizia che non può lasciarci indifferenti". Come un Padre della Chiesa (questa volta Origene, citato per ben tre volte nell'omelia), il Papa ha spiegato che non senza scopo il vangelo di Luca racconta la storia dei pastori. Che vegliavano e dunque vigilavano, non persi nel mondo del sogno ma attenti alla realtà comune che unisce tutti. Sensibili e aperti cioè all'attesa di Dio, l'unica realtà importante.
Oggi la sensibilità per Dio è attenuata, e anche se per molti - "anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore", ha detto il Papa - non è così, "la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo". Come i magi che abitavano lontano, però, è possibile contemplare i segni, mettersi in viaggio, oltrepassare se stessi e arrivare a Betlemme. Dove la Parola creatrice del mondo può essere guardata in un bimbo, il segno di Dio che "si lascia toccare". Ma per farlo bisogna abbandonare il paganesimo dei cuori di pietra e implorare che Cristo, venuto nella carne, entri in noi e ci doni un cuore di carne.
Ecco, allora gli occhi del cuore possono contemplare la luce di Betlemme, quella "luce diversa" del Natale  che  illumina  il  "noi"  per cui  Gesù  è  nato,  ha  detto  Benedetto XVI alla città di cui è vescovo e al mondo intero. All'inizio quasi invisibile, questo "noi" attorno al bambino - Maria, Giuseppe, i pastori - si è fatto fuoco acceso nella notte. Come recita il prologo del vangelo giovanneo, veniva al mondo la luce vera che illumina ogni uomo (oppure, secondo una lettura possibile e suggestiva del latino, la luce che illumina ogni uomo che viene al mondo). Secondo lo stile di Dio che "ama accendere luci circoscritte". Che lentamente si sono propagate e si propagano come fuochi nella notte del mondo.
Di questa notte non bisogna avere paura - ha detto il Papa - perché c'è il bambino, che la Chiesa offre al mondo come ha fatto Maria, in ogni situazione. In un mondo immerso nella crisi, morale ancora prima che economica, e in situazioni troppo spesso dimenticate dai media ma che Benedetto XVI ha enumerato:  Terra Santa, Medio Oriente, Iraq, Sri Lanka, penisola coreana, Filippine, Repubblica Democratica del Congo, Guinea, Niger, Madagascar, Honduras. Per ripetere che la Chiesa è vicina a chi soffre e splende nel buio. Riverberando la luce che viene dal fuoco acceso nella notte a Betlemme.

g. m. v.


(©L'Osservatore Romano - 28-29 dicembre 2009)
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