D. Lectio VII, vv. 27-34.
Itaque quicumque manducaverit panem vel biberit calicem Domini indigne, reus erit corporis et sanguinis Domini. Probet autem se ipsum homo et sic de pane illo edat et de calice bibat. Qui enim manducat et bibit indigne iudicium sibi manducat et bibit non diiudicans corpus. Ideo inter vos multi infirmes et inbecilles et dormiunt multi. Quod si nosmet ipsos diiudicaremus non utique iudicaremur. Dum iudicamur autem a Domino corripimur ut non cum hoc mundo damnemur. Itaque fratres mei cum convenitis ad manducandum invicem expectate. Si quis esurit domi manducet ut non in iudicium conveniatis. Cetera autem cum venero disponam.
Ora Paolo invita i fedeli ad assumere questo sacramento con reverenza, ponendo il pericolo che pende su quanti lo assumono indegnamente ed indicandone l'opportuno rimedio.
1. Paolo dice che, siccome ciò che si mangia e si beve è il corpo ed il sangue di Cristo, chi mangia e beve indegnamente (indigne) è colpevole nei confronti del corpo e sangue di Cristo.
1.1. Si deve innanzitutto considerare in che modo qualcuno mangi e beva indegnamente: ciò avviene triplicemente.
Il primo modo riguarda la celebrazione di questo sacramento: un sacerdote potrebbe celebrare l'Eucaristia in modo diverso da come Cristo l'ha tramandato, ad esempio, usando pane non di grano ed un altro liquore, anziché vino.
Un secondo modo riguarda il fatto che una persona possa accedere all'Eucaristia senza una devota intenzione (non devota mens). Questa devozione manchevole (indevotio) può essere veniale, se si tratta di una semplice distrazione e non di essa si occupa Paolo. Invece se diventa disprezzo (contemptus) di questo sacramento, allora è peccato mortale.
Un terzo modo riguarda chi accede all'Eucaristia con la volontà di peccare mortalmente (voluntas peccandi mortaliter).
Una persona è in stato di peccato, finché rimane nella volontà di peccare, che si può togliere attraverso la penitenza. Precisamente, la remissione della colpa e della pena eterna si ottengono per mezzo della contrizione, che toglie la volontà del peccato, con il proposito di confessare e di soddisfare; mentre la totale remissione della pena e la riconciliazione alle membra della Chiesa si ottengono per mezzo della confessione e della soddisfazione.
Se non ci sono confessori a disposizione, basta la contrizione per poter assumere l'Eucaristia. Mentre, di regola, alla comunione deve precedere la confessione.
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Ora Tommaso apre una Quaestio sull'accesso dei peccatori all'Eucaristia: sembra che i peccatori non accedano indegnamente all'Eucaristia, poiché Cristo è il medico spirituale. Innanzitutto, questo sacramento non compete ai peccatori (intesi come pagani) perché essi non vivono ancora nella grazia, e dunque a loro compete il battesimo, che li rigenera nella grazia. Inoltre, l'Eucaristia è il sacramento della carità e dell'unità della Chiesa. Poiché il peccatore manca di carità ed è stato giustamente separato dalla Chiesa, se accede a questo sacramento commette una falsità, dal momento che manifesta di avere una carità che non ha. Tuttavia, se il peccatore ha fede in questo sacramento, gli è lecito guardarlo (inspicere), cosa che è negata agli infedeli.
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1.2. Come seconda cosa si deve considerare in che modo colui, il quale assume indegnamente questo sacramento, sia reo nei confronti del corpo e del sangue di Cristo. Anche questo avviene triplicemente.
Il primo modo è riguarda la materia: tanto più è grave un peccato quanto più grande è colui contro il quale si pecca.
Il secondo modo si espone per mezzo della similitudine: chi pecca contro il sangue di Cristo è come se lo uccidesse di nuovo. Ma allora sembra che sia gravissimo il peccato di coloro che assumono indegnamente il corpo di Cristo.
Si deve dire che la gravità del peccato è dovuta a due motivi.
Il primo proviene dalla stessa specie del peccato (ex ipsa specie peccati), che è assunto dall'oggetto, e, perciò, è più grave il peccato che è commesso contro la divinità di quello commesso contro la umanità di Cristo. Ed è ancora più grave quello commesso contro l'umanità di Cristo, nella propria specie, rispetto a quello commesso sotto la specie del sacramento.
Il secondo motivo proviene dalla parte di colui che pecca (ex parte peccantis). E' più grave il peccato di chi pecca con odio e malizia, di chi pecca per debolezza.
Perciò chi assume indegnamente il corpo di Cristo non va accusato di uccidere l'umanità di Cristo secondo uguaglianza, ma per similitudine.
Il terzo modo afferma che sono il corpo ed il sangue di Cristo a rendere colpevole il peccatore. Infatti il bene, che viene assunto male, nuoce, mentre il male utilizzato bene è di giovamento.
Si deve escludere la posizione, secondo la quale non appena il peccatore ha toccato con le labbra il sacramento scompare il corpo di Cristo. Infatti questa posizione è contraria alla verità del sacramento: il corpo di Cristo rimane finché c'è la specie del pane, in qualsiasi luogo essa si trovi.
2. Ora Paolo indica il rimedio contro tale pericolo. Innanzitutto pone il rimedio, quindi ne mostra la motivazione e poi la chiarisce per mezzo di un segno.
2.1. Innanzitutto pone il rimedio. Poiché incorre in un peccato così grave chi assume indegnamente questo sacramento, è necessario che l'uomo prima provi se stesso ed esamini diligentemente la sua coscienza. Egli deve verificare che non ci sia in lui la volontà di peccare mortalmente o qualche altro peccato commesso. E così dopo un diligente esame, può mangiare e bere.
2.2. In secondo luogo, Paolo dichiara il motivo del rimedio. Chi non prova se stesso, mangia e beve la propria condanna, dal momento che non distingue il corpo di Cristo dagli altri cibi.
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Tommaso apre una Quaestio sul modo di assumere l'Eucaristia: sembra che, come dice il Signore, "chi mangia me, vive per causa mia".
Si deve dire che questo sacramento si mangia in due modi: sacramentalmente (sacramentaliter) e spiritualmente (spiritualiter). Alcuni mangiano sacramentalmente e spiritualmente, perché partecipano alla carità ed all'unità della Chiesa. A questi il Signore dice "chi mangia me, vive per causa mia".
Altri mangiano solo sacramentalmente, dal momento che ricevono questo sacramento ma non hanno la carità.
E c'è anche un terzo modo di assumere il sacramento e cioè per accidens. Ecco tre esempi: il fedele, che ha l'abitudine (habitum utendi) di questo sacramento, assume l'ostia consacrata, non sapendo che lo fosse; l'infedele, che non ne ha l'abitudine ma la possibilità di mangiarla, assume l'ostia senza sapere che cosa significhi; il topo, che non ha la possibilità di usare di questo sacramento, lo mangia nel tabernacolo.
Da ciò si deduce che coloro i quali assumono spiritualmente questo sacramento acquisiscono vita e taluni suggeriscono di fare frequentemente la comunione.
Si deduce parimenti che coloro i quali assumono indegnamente questo sacramento, attirano a sé il giudizio di Dio, e per questo molti scoraggiano e consigliano di assumerlo raramente.
Entrambe le posizioni sono apprezzabili.
Tuttavia l'amore è preferibile al timore, perciò sembra più apprezzabile assumere di frequente piuttosto che raramente. Ma ciò che è preferibile in sé può essere meno preferibile per questa o quella persona. Ciascuno deve considerare l'effetto suscitato in se stesso dalla frequenza e valutare se ciò aumenti o diminuisca il suo rispetto nei confronti dell'Eucaristia.
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2.3. Paolo manifesta la ragione di quanto detto per mezzo di un segno. Prima pone il segno e poi ne dichiara la causa.
Come prima cosa si deve considerare quanto dice Agostino: "Se Dio punisse ora ogni peccato manifestamente, nulla gli resterebbe da giudicare nel giudizio finale".
Al contrario, se Dio non punisse nessun peccato, non si crederebbe alla divina provvidenza. Perciò come segno del giudizio futuro, Dio punisce già ora alcuni peccatori: ciò sembra evidente sia nell'Antico Testamento che nel Nuovo Testamento. Per questo nella Chiesa di Corinto, a causa del peccato dell'assunzione indegna dell'Eucaristia, alcuni si ammalavano ed altri morivano.
Come seconda cosa, Paolo assegna una duplice motivazione di questo segno.
La prima è presa dalla nostra condizione (ex parte nostra): la causa della punizione divina si trova nella nostra negligenza, dal momento che noi siamo negligenti nel punire i nostri peccati. Perciò se ci punissimo da soli, non saremmo puniti da Dio, né nel futuro e nemmeno nel presente.
Ma è detto che nessuno deve giudicare se stesso.
Uno può giudicare se stesso in tre modi: il primo modo è "sferzando" (discutiendo), e così uno deve giudicare se stesso sia per quanto riguarda le cose passate che quelle future; un altro modo è "assolvendo se stesso" (absolvendo) come attraverso sentenza, giudicandosi innocente, e così nessuno deve giudicare se stesso; il terzo modo è condannando (reprehendendo), come di aver fatto qualcosa che egli stesso giudica essere male.
La seconda motivazione è presa dalla parte di Dio (ex parte Dei), cioè in questo mondo siamo puniti per la nostra correzione, affinché recediamo dal peccato e non finiamo nella dannazione eterna.
Paolo conclude riducendo i Corinzi all'obbedienza e promettendo di tornare per sistemare personalmente le altre cose.
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