S.Tommaso commenta:1 Cor 11, 17-34

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Cattolico_Romano
00domenica 16 novembre 2008 16:36

S. Tommaso D'Aquino

Commento alla prima lettera ai Corinzi

A cura di don Alessio Magoga

INTRODUZIONE

Il seguente lavoro si pone come obiettivo accostare nel suo linguaggio e nel suo metodo un’autorità come san Tommaso, nel caso specifico della sua esegesi al brano dei Corinzi (1 Cor 11, 17-34). Si vogliono così individuare i tratti principali della sua concezione dell’Eucaristia.

L’esercitazione è costituita di due parti. Nella prima si è cercato di tradurre e sintetizzare le pagine di san Tommaso, cercando di seguire più fedelmente possibile l’articolazione del suo pensiero. Per questo motivo, si è mantenuta la suddivisione delle Lectiones, così come si trova nel testo originale, mentre sono stati numerati i passaggi del pensiero di san Tommaso secondo uno schema che cerca di evidenziarne la concatenazione. Le Quaestiones sono state segnalate di volta in volta, dichiarandole espressamente in grassetto e con il rientro del paragrafo. Per facilitare la comprensione dell’esegesi di san Tommaso, all’inizio di ogni Lectio sono riportati i versetti della Vulgata, cui san Tommaso si riferisce.

La seconda parte vuole essere, senza troppe pretese, una rielaborazione del materiale preso in considerazione, cercando di collocarlo nel contesto storico e culturale del Medioevo e facendo emergere i tratti del pensiero di san Tommaso, in particolare a riguardo dell’Eucaristia. A questo fine, sono stati utilizzati interessanti spunti di M.D. Chenu.

Dopo aver messo in evidenza la riscoperta del valore della Scrittura ed il "nuovo metodo" di esegesi delle Università, ci si è soffermati sulla struttura delle Questiones principali presenti in queste pagine, mettendo in evidenza l’articolazione delle stesse. Successivamente, si sono colte alcune particolarità della lingua "scientifica" della Scolastica e di san Tommaso, che non disdegna l’utilizzo di allegorie e ricorre abbondantemente alle Auctoritates.

Infine, l’ultimo paragrafo è dedicato all’Eucaristia e cerca di evidenziare gli elementi principali: l’originalità cristiana dell’Eucaristia; il suo rapporto con gli altri sacramenti; la presenza reale; le parole della consacrazione; il significato dell’Eucaristia ed il suo rapporto con i peccatori. I riferimenti al testo di san Tommaso sono dati in nota, secondo la numerazione originale.

Per quanto riguarda l’autenticità del testo, queste pagine fanno parte del materiale utilizzato da san Tommaso durante i suoi corsi sulla Scrittura all’università di Parigi con ogni probabilità tenute negli anni 1256-1259, successivamente trascritte ed ordinate dal discepolo, Rainaldo di Piperno.

BIBLIOGRAFIA

S. THOMAE AQUINATIS, Super Epistulas Sancti Pauli (Lectiones IV-VII, nn. 621-708), Marietti, Torino, 1956-57, pp. 351-366.

M. D. CHENU, Introduzione allo studio di S. Tommaso, LEF, Firenze, 1957.

M. D. CHENU, S. Tommaso d’Aquino e la teologia, Piero Gribaudi Editore, Torino, 1989.

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00domenica 16 novembre 2008 16:39

Parte Prima: Traduzione e Sintesi

A. Lectio IV ad vv. 17-22.

Hoc autem praecipio non laudans quod non in melius sed in deterius convenitis. Primum quidem convenientibus vobis in ecclesia audio scissuras esse et ex parte credo. Nam oportet et hereses esse ut et qui probati sunt manifesti fiant in vobis. Convenientibus ergo vobis in unum iam non est dominicam cenam manducare. Unusquisque enim suam cenam praesumit ad manducandum et alius quidem esurit alius autem ebrius est. Numquid domos non habetis ad manducandum et bibendum? Aut ecclesiam Dei contemnitis et confunditis eos qui non habent? Quid dicam vobis? Laudo vos? In hoc non laudo.

1. Dopo aver ripreso i Corinzi sul modo di vestire delle donne, che si riunivano per i sacri misteri con il capo scoperto, Paolo condanna le divisioni nelle assemblee. Lo fa in due modi: in generale ed in particolare (specialis).

1.1. Innanzitutto, Paolo si occupa del loro errore in generali, costringendoli all'obbedienza, riguardo al fatto che le donne portino il velo nelle assemblee. Egli dice "Questo vi ordino", in modo tale da convincerli con il comando, dopo aver cercato di convicerli con la ragione e con il richiamo alla consuetudine.

Quindi, Paolo non loda, ma condanna che essi si radunino in assemblea non per il meglio, come dovrebbe essere, ma per il peggio. Gli animali gregari si radunano secondo un istinto naturale, per ottenere un bene corporale. L'uomo, animale gregario e sociale, come dice Aristotele, deve agire secondo ragione e si raduna in unità per un qualche bene: ad esempio, gli uomini si riuniscono nella città per un bene mondano (saecularis), come la sicurezza e la tranquillità (sufficentia) della vita. Allo stesso modo, i fedeli devono riunirsi insieme per un bene spirituale, come afferma anche la Scrittura. Invece i Corinzi si riunivano per un male, a causa delle loro colpe.

1.2. In secondo luogo, Paolo affronta la questione in particolare.

1.2.1. Come prima cosa, Paolo esprime il suo giudizio sull'errore dei Corinzi (iudicium culpae), affermando di aver appreso che, quando si radunano in assemblea, vi sono tra loro divisioni. Le divisioni non si confanno alla Chiesa, dal momento che essa è costituita nell'unità, come è detto in Ef 4,4.

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Partendo dal termine "Innanzitutto" usato da Paolo, Tommaso apre una quaestio sul peccato più grave: la Glossa, commentando questo brano di Paolo, dice che è la divisione (dissensio), mentre per la Scrittura sono la superbia e la cupidigia (superbia et cupiditas). Tommaso risolve la contrapposizione distinguendo tra "peccati personali", tra i quali i primi sono la superbia e la cupidigia; ed i "peccati della moltitudine", tra i quali il primo è il dissenso, che distrugge il rigore della disciplina.

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1.2.2. In secondo luogo, Paolo afferma di credere (credulitas) che queste divisioni avvengano veramente, nella loro comunità, dal momento che alcuni di loro sono dediti alla contesa (proni ad contentionem), come dice in 1 Cor 1,11. Altri invece non lo sono, ad esempio quanti dicono: "Io sono di Cristo".

1.2.3. In terzo luogo, Paolo dichiara la ragione per cui crede a queste divisioni. Egli dice che non solo le divisioni, ma persino le eresie sono necessarie.

A questo punto, Tommaso considera che cosa sia l'eresia ed in che modo sia necessaria.

1.2.3.1. Che cos'è l'eresia. Come dice Girolamo, essa deriva dal greco e vuole dire "scelta": eresia vuole dire scegliere per sé quella dottrina che si ritiene migliore. L'eretico segue, per propria scelta, una disciplina "privata", e non quella "pubblica", che è tramandata da Dio. Egli aderisce decisamente a questa disciplina privata, disprezzando quella tramandata da Dio e seguendo pertinacemente il proprio errore. L'eresia può colpire direttamente la fede, rifiutando quegli articoli che si devono credere per se stessi, oppure indirettamente, rifiutando quegli articoli, che non si devono credere di per se stessi, ma negando i quali si giunge a qualcosa di contrario alla fede. In ogni caso, eretico è soltanto chi persevera a tal punto da non recedere dal suo errore, nonostante ne abbia visto le conseguenze. La pertinacia fa l'eretico: essa proviene dalla superbia e conduce a preferire la propria interpretazione a quella di tutta la Chiesa.

1.2.3.2. In che modo l'eresia è necessaria. Ora, se l'eresia è necessaria, gli eretici dovrebbero essere elogiati e non estirpati.

Si dice che una cosa è "necessaria" in due diversi modi: secondo l'intenzione (intentio) di chi si occupa di una determinata cosa (ad es., diciamo che i processi sono necessari perché per mezzo di essi i giudici stabiliscono la giustizia e la pace nelle cose umane); secondo l'intenzione di Dio, che preordina il male per ottenere un bene (ad es. Dio permette la persecuzione dei tiranni perché risplenda la gloria dei martiri). In questo secondo senso, Paolo dice che è necessario che ci siano le eresie. Dio ha preordinato la malizia degli eretici per il bene dei fedeli, perché la verità risplenda ancora di più e si manifesti la debolezza della fede di coloro che credono e così possano essere "messi alla prova".

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00domenica 16 novembre 2008 16:43

2. A questo punto, Paolo li accusa di una terza mancanza (delictum) e cioè del fatto che peccano nel modo e nell'ordine in cui assumono il corpo di Cristo. Essi infatti ricevevano il corpo di Cristo dopo che avevano mangiato. Paolo sviluppa questo tema in quattro punti.

2.1. Innanzitutto, Paolo esprime la gravità di quanto facevano. Essi si riuniscono insieme, con il corpo ma non con l'anima, a causa delle loro divisioni. Perciò non conviene loro assumere il sacramento dell'Eucaristia: esso non compete a coloro i quali sono divisi (dissentientes).

Per quanto riguarda l'ordine di assunzione, i Corinzi assumevano il corpo di Cristo dopo la cena, come aveva fatto Gesù. Ma il Signore lo aveva fatto almeno per tre motivi: secondo un ordine opportuno (congruus), ciò che è figura (l'agnello pasquale) precede ciò che è verità (Cristo); dopo questo sacramento, egli si sarebbe subito incamminato verso la passione, di cui esso è memoriale; nel suo ultimo rifugio, Gesù consegna ai suoi discepoli se stesso, per imprimere profondamente nel cuore dei discepoli questo sacramento.

Tuttavia, la Chiesa, per rispetto ad un sacramento così nobile, stabilì che solo chi è digiuno, eccettuati i malati, potesse comunicarsi.

Discorso sul digiuno. Tommaso riafferma e motiva la prassi della Chiesa circa il digiuno prima della comunione: la Chiesa stabilisce che debba digiunare dalla mezzanotte chi intenda fare la comunione il giorno dopo.

2.2. A questo punto, Paolo espone la colpa dei Corinzi, che peccano contro Dio e contro il prossimo.

2.2.1. Contro Dio: ciascuno di loro portava nell'assemblea i piatti preparati e mangiava separatamente, prima di assumere i sacri misteri, andando contro la Parola di Dio.

2.2.2. Contro il prossimo: i ricchi mangiavano e bevevano fino all'ebbrezza, senza dar nulla ai poveri, che restavano nel bisogno.

2.3. Paolo indaga sulla causa di questa colpa.

2.3.1. Innanzitutto, Paolo esclude che si possa scusare il loro comportamento. Infatti, non è lecito utilizzare la casa del Signore per usi comuni, dal momento che è deputata a usi sacri. Infatti, il Signore cacciò dal tempio i mercanti ed i cambiavalute. Solo in caso di necessità, come ad esempio se non fosse disponibile nemmeno una casa, si potrebbe usare la Chiesa per mangiare. Ma essi hanno le loro case, quindi non si possono scusare.

2.3.2. In secondo luogo, Paolo afferma i motivi che li rendono inescusabili: il disprezzo (contemptus) della Chiesa di Dio e del prossimo. Qui "Chiesa" può essere intesa sia come congregato fidelium che come luogo sacro. I Corinzi infatti disprezzavano sia l'una che l'altra, dal momento che, dinanzi all'assemblea, facevano festa in un luogo sacro.

Allo stesso tempo, disprezzavano il prossimo, poiché i poveri si vergognavano di non aver niente, mentre i ricchi mangiavano e bevevano lautamente.

2.4. Paolo conclude esprimendo la sua dura condanna nei loro confronti. Quanti peccano in modo grave, non devono essere adulati nemmeno per scherzo.

3. Secondo un altro modo di esporre le cose, i Corinzi sono ritenuti colpevoli per un altra ragione. Nella Chiesa primitiva i fedeli offrivano pane e vino, che veniva poi consacrato. Dopo la consacrazione, i ricchi si riprendevano quanto avevano offerto e lo assumevano tutto, mentre ai poveri, che non avevano portato nulla, non rimaneva nulla. Paolo li rimprovera perché questo modo di fare non è conforme alla cena del Signore, che è comune a tutta la famiglia (communis toti familiae). Invece, i Corinzi non vi partecipano come ad una cosa comune, ma come ad una cosa propria, e ciascuno vuole rivendicare per sé ciò che ha offerto a Dio. Questo significa unusquisque praesumit, cioè rivendica per sé (attentat) presun-tuosamente (praesumptuose) la cena del Signore. Così i poveri restano senza nulla, mentre i ricchi sono ebbri.

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A questo punto, Tommaso apre una Quaestio circa il vino ed il pane consacrati. Come è possibile che il vino inebri ed il pane nutra, se, dopo la consacrazione, rimane la sostanza del corpo e sangue di Cristo? Questi, infatti, non possono né nutrire né inebriare, dal momento che non possono trasformarsi nel corpo di un uomo.

Tommaso presenta cinque diverse spiegazioni, ne mostra la contradditorietà e dà la sua soluzione.

a. L'abitudine dei sensi ci porta a ritenere che gli accidenti del pane e del vino da soli ci nutrano, come accade quando si è confortati dal solo odore di un cibo.

b. Il pane ed il vino rimangono sostanzialmente (remanere cum substantia corporis) insieme alla sostanza del corpo e sangue di Cristo.

c. Ciò che rimane è la forma sostanziale del pane e del vino, mentre la sostanza è quella del corpo e sangue. Alla forma sostanziale pertiene l'azione dell'oggetto cui si riferisce e quindi il pane, pur cambiando sostanza, in virtù della sua forma sostanziale, nutre. Lo stesso discorso vale per il vino.

d. L'aria circostante al pane consacrato si muta nella sostanza di chi viene nutrito.

e. La potenza divina fa tornare il corpo di Cristo in pane ed il sangue in vino, affinché questo sacramento non sia toccato dalle vili trasformazioni di tipo alimentare.

Tommaso conclude affermando che, per la potenza (virtus) della consacrazione, in modo del tutto unico (miraculose) è conferita alle specie del pane e del vino di sussistere senza il proprio soggetto al modo della sostanza. Ancora in modo del tutto unico (miraculose), alle due specie è conferito conseguentemente (ex consequenti) di agire e patire come le sostanze del pane e del vino farebbero, se vi fossero realmente presenti.

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00domenica 16 novembre 2008 16:44

B. Lectio V ad vv 23-24.

Ego enim accepi a Domino quod et tradidi vobis, quoniam Dominus Iesus in qua nocte tradebatur accepit panem et gratias agens fregit et dixit: accipite et manducate, hoc est corpus meum pro vobis tradetur. Hoc facite in meam commemorationem.

Ora, Paolo tratta del sacramento in se stesso, prima dicendone la dignità e poi esortando i fedeli ad assumerlo in modo rispettoso (reverenter).

Per quanto riguarda la dignità dell'Eucaristia, Paolo sviluppa secondo due linee: l'autorevolezza di quanto egli sta per dire loro, (auctoritas doctrinae) e la dignità di questo sacramento (dignitas huius sacramenti).

1. Circa l'autorevolezza della dottrina:

Paolo esprime l'autorevolezza della dottrina, affermando di averla ricevuta egli stesso dal suo autore (auctor huius doctrinae), che è Cristo, e non da un altro semplice uomo. Inoltre è Paolo stesso che l'ha trasmessa ai Corinzi (Cfr. "che io vi ho trasmesso").

2. Per mostrare la dignità di questo sacramento, Paolo tramanda la stessa istituzione, ponendo in evidenza l'istituzione (institutio), il tempo (tempus) e il modo in cui l'Eucaristia è stata istituita (modus instituendi).

2.1. L'istitutore (Institutor) di questo sacramento è lo stesso Cristo. Egli ha la pienezza di potestà (excellentia potestatis) nei confronti dei sacramenti. Infatti, la potenza (virtus) e il merito di Cristo agiscono nei sacramenti; ogni sacramento è santificato nel suo nome; Cristo può concedere l'effetto del sacramento anche senza di esso; a Cristo appartiene l'istituzione dei nuovi sacramenti.

2.2. Il tempo dell'istituzione fu un tempo appropriato (congruus).Essa avvenne di notte, perché questo sacramento illumina l’anima. Inoltre, in quel momento, Cristo stava per essere consegnato alla passione, attraverso la quale passava al Padre, e di cui questo sacramento è il memoriale.

3. Quindi, Paolo mostra il modo dell'istituzione.

3.1. Paolo mette in evidenza ciò che Cristo disse e fece, istituendo questo sacramento.

3.1.1. Bisogna considerare la necessità di questo sacramento. I sacramenti sono stati istituiti per i bisogni (necessitas) della vita spirituale. Infatti, le cose corporali sono come similitudini di quelle spirituali e per questo i sacramenti si possono paragonare ai bisogni della vita corporale. Infatti, alla nascita è paragonabile il battesimo, che rigenera nella vita spirituale. Nella vita del corpo è necessaria la crescita, per mezzo della quale una persona è condotta alla piena maturazione del suo corpo: ad essa è paragonabile la confermazione, in cui lo Spirito è dato per irrobustire (ad robur). Ed infine, come nella vita corporale è richiesto il cibo, che alimenta il corpo dell'uomo, similmente (similiter) la vita spirituale è alimentata per mezzo del sacramento dell'Eucaristia.

A differenza però del battesimo e della confermazione nelle quali Cristo si comunica secondo la sua potenza (secundum virtutem), nell'Eucaristia egli si comunica secondo la sua sostanza, come il cibo si congiunge a colui che lo mangia. Infatti, nel sacramento dell'Eucaristia, Cristo è presente secondo la sostanza (secundum substantiam).

Egli è presente sotto un'altra specie per tre ragioni: perché non fosse motivo di orrore per i fedeli assumere la carne ed il sangue di un uomo; perché non fosse motivo di derisione agli occhi degli infedeli; perché cresca il merito della fede, che consiste nel credere in ciò che non si vede.

L'Eucaristia fu trasmessa in due specie per tre motivi: la sua perfezione, dal momento che, essendo alimento spirituale, deve essere cibo spirituale e bevanda spirituale; il suo significato, infatti esso è il memoriale della passione del Signore, per mezzo del quale il sangue di Cristo fu separato dal corpo; il suo effetto di salvezza, infatti per la salvezza del corpo si offre il corpo, mentre per la salvezza dell'anima si offre il sangue.

Questo sacramento si dà sotto le specie del pane e del vino per tre motivi: il pane ed il vino sono i più usati dagli uomini per la loro alimentazione; la potenza di questo sacramento si esprime dal fatto che il pane conferma il cuore dell'uomo e il vino lo allieta; il pane, che è fatto da molti chicchi, ed il vino, fatto da molte uve, significano l'unità della Chiesa, che è costituita da molti fedeli. L'Eucaristia è il sacramento dell'unità e della carità (Cfr. Agostino, Super Ioannem)

3.1.2. Ora dobbiamo considerare che cosa Cristo ha fatto e detto.

Cristo fa tre cose.

Egli "prese il pane". Ciò significa che accoglie volontariamente (voluntarie) la passione, di cui la cena è memoriale, e che riceve dal Padre il potere di rendere perfetto questo sacramento.

Quando "rese grazie", egli dà a noi l'esempio secondo il quale anche noi dobbiamo ringraziare Dio per tutto ciò che ci viene dato dal cielo.

E poi "spezzò il pane".

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Ora Tommaso apre una Quaestio circa la frazione del pane. Infatti, sembra che ciò sia contrario all'uso della Chiesa, secondo il quale prima si consacra e poi si spezza, e non viceversa.

Per questo motivo, alcuni dicono che Cristo prima consacrò il pane con altre parole e poi disse quelle parole, con le quali noi consacriamo. Ma ciò non può essere, perché il sacerdote, quando consacra, non dice queste parole ex persona sua, ma ex persona Christi consacrantis. Quelle parole con le quali noi consacriamo, devono essere le stesse con le quali Gesù stesso consacrò. Perciò, le parole "e disse" non si devono intendere conseguentemente (consequenter), quasi Gesù prendesse il pane e poi dicesse quelle parole, ma come in concomitanza (concomitanter), cioè, mentre prendeva il pane, disse quelle parole.

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Per quanto riguarda le parole che Gesù disse, egli impone l'uso del sacramento, ne esprime la verità e ne insegna il mistero.

Dicendo "prendete" è come se dicesse "non da un potere o da un merito umano spetta a voi l'uso di questo sacramento, ma da un eminente beneficio di Dio" (ex eminenti Dei beneficio).

Gesù determina la modalità d'uso dell'Eucaristia dicendo "Mangiate". A differenza degli altri sacramenti, l'Eucaristia contiene lo stesso Cristo, che è il fine di tutta la grazia santificante, e questa presenza si realizza con le parole "Questo è il mio corpo"

Ora, si deve considerare la cosa (res) significata attraverso queste parole.

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00domenica 16 novembre 2008 16:48

A questo punto, giunto alle parole della consacrazione, Tommaso apre una Quaestio circa la conversione del pane nel corpo di Cristo e propone le varie posizioni.

a. Alcuni dicono che il corpo di Cristo non è presente in verità (secundum veritatem), ma solo come segno e figura, perciò l'affermazione "Questo è il mio corpo" va intesa "Questo è segno e figura del mio corpo".

b. Altri affermano che il corpo di Cristo è presente insieme con la sostanza del pane.

c. Altri ancora dicono che c'è soltanto il corpo di Cristo e non rimane nulla della sostanza del pane, che si annichila.

Ma nessuna di queste posizioni è vera.

Dunque, si deve dire che il corpo di Cristo è veramente presente in questo sacramento, in forza della conversione (conversio) del pane in esso.

La conversione del pane nel corpo di Cristo è diversa da tutte le altre trasformazioni, che avvengono in natura. Dio, che è autore della materia e della forma, opera questa conversione: tutta la sostanza del pane non resta materia ma è trasformata in sostanza del corpo di Cristo. Questa trasformazione è detta trasformazione sostanziale (conversio substantialis) o transustanziazione (transubstantiatio). In questo caso unico, a differenza delle trasformazioni naturali, pur essendo modificata la sostanza, rimangono gli accidenti senza il loro soggetto proprio, per pura potenza divina, la quale sostiene gli accidenti senza la loro causa materiale.

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Quaestio circa la frazione del pane. Se la sostanza del pane è tutta trasformata in sostanza del corpo di Cristo, ci si potrebbe chiedere: se il corpo di Cristo dopo la resurrezione è stato glorificato, non dovrebbe essere anche infrangibile?

Il corpo di Cristo non è toccato dalla frazione del pane, poiché esso rimane intero sotto qualsiasi aspetto nelle particelle divise. Dopo la consacrazione, l'intero corpo di Cristo è presente in qualsiasi piccola parte del pane spezzato.

La divisione dell'ostia consacrata significa la passione di Cristo, per mezzo della quale il suo corpo fu ferito dai colpi ricevuti. Inoltre, essa vuole esprimere la distribuzione dei doni di Cristo e le tre diverse parti della Chiesa: i pellegrini in questo mondo, coloro i quali vivono nella gloria di Cristo e quanti aspettano la resurrezione finale nella fine del mondo.

Ora si deve considerare la verità della frase: "Questo è il mio corpo".

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Tommaso affronta la Quaestio circa la verità delle parole della consacrazione.

Sembra che la frase "Questo è il mio corpo" sia falsa, perché la trasformazione del pane nel corpo di Cristo avviene alla fine della recitazione di queste parole. Infatti, il significato di questa frase è completo solo alla fine. Dunque, quando si dice "Questo" si intende ancora la sostanza del pane e non la sostanza del corpo di Cristo, perciò l'affermazione si presenta falsa.

Altri dicono che il sacerdote proferisce queste parole in persona Christi, dunque "questo" non si riferisce alla presente materia (ma a quel pane che Gesù ha spezzato nell'ultima cena).

Se fosse vero che questa frase non si applica alla presente materia, non si farebbe nulla verso di essa. Invece, come dice Agostino, "Aggiungi la parola all'elemento e c'è il sacramento". Quindi, queste parole si riferiscono esattamente alla materia presente ed il sacerdote le pronuncia nella persona di Cristo, per dimostrare che ora hanno la stessa efficacia di quando Gesù le pronunciò per la prima volta. La forza di queste parole non svanisce né per il trascorrere del tempo, né per la diversità dei sacerdoti.

Per quanto riguarda la prima difficoltà, si deve dire che le forme dei sacramenti non sono solo significativae ma anche factivae: esse realizzano ciò che significano. Quando si dice "Questo" si afferma che ciò che è contenuto sotto questi accidenti "è il mio corpo", e ciò è quanto accade per mezzo delle parole della consacrazione. Infatti, prima della consacrazione, ciò che era contenuto sotto gli accidenti del pane non era il corpo di Cristo, ma lo diviene dopo la consacrazione.

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Ora si deve considerare in che modo la forma "Questo è il mio corpo" sia conveniente a questo sacramento. Si deve dire "questo è il mio corpo" perché attraverso queste parole viene significato il fine, che è realizzato con lo stesso significare, cioè la trasformazione di questo pane nel corpo di Cristo.

Quando dice "che è dato per voi", si tocca il mistero di questo sacramento: esso è infatti rappresentativo (repraesentativum) della divina passione, per mezzo della quale egli ha consegnato se stesso alla morte, per noi. E poi Gesù aggiunge "Fate questo in memoria di me", per sottolineare quale grande beneficio egli abbia lasciato a noi consegnando se stesso alla morte.

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00domenica 16 novembre 2008 16:48

C. Lectio VI, vv. 25-26.

Similiter et calicem postquam cenavit dicens: hic calix novum testamentum est in meo sanguine. Hoc facite quotienscumque bibetis in meam commemorationem. Quotienscumque enim manducabitis panem hunc et calicem bibetis mortem Domini adnuntiatis donec veniat.

A questo punto Paolo pone l'istituzione del sacramento per quanto riguarda la consacrazione del sangue.

1. Innanzitutto, pone l'ordine dell'istituzione.

1.1. L'ordine va inteso nel senso della concomitanza (ad concomitantiam) di entrambe le specie, quando dice "allo stesso modo il calice". Il pane ed il vino insieme esprimono la perfezione del sacramento, in quanto essi rappresentano la perfezione dell'alimentazione, ricordano la passione e l'efficacia dell'Eucaristia per la salvezza dell'anima e del corpo.

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Tommaso apre una Quaestio sul corpo e sangue: sembra che prima della consacrazione del vino, il corpo di Cristo sia senza sangue.

Alcuni dicono che le due forme si aspettano, cioè il pane non diventa corpo di Cristo finché non sono state dette le parole sul vino. Ma si deve dire che prima della consacrazione del sangue, c'è già il corpo di Cristo, non senza il sangue. Infatti nell'Eucaristia, una cosa viene all'esistenza in due modi. Un modo è dato dalla potenza della consacrazione (ex vi consecrationis), come viene detto dalla formula della consacrazione. Un altro modo è dato dalla reale concomitanza (ex reali concomitantia): la divinità del Verbo è presente in questo sacramento per la sua indissolubile unione al Corpo di Cristo, e dunque pure l'anima è presente, poiché essa è realmente congiunta allo stesso corpo. La stessa cosa va detta per quanto riguarda il sangue. Quindi, per la potenza della consacrazione, sotto la specie del pane, è presente il corpo di Cristo, mentre per la reale concomitanza è presente anche il sangue.

Lo stesso va detto per il sangue: esso è presente sotto le specie del vino in virtù della consacrazione, mentre per la reale concomitanza, è presente insieme al sangue anche il corpo. Quindi sotto entrambe le specie vi è l'intero Cristo.

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1.2. L'ordine, con cui vengono offerti prima il pane e poi il vino, è legato alla comparazione con i cibi materiali, che avevano preceduto il rito. Infatti, Cristo ha dato il suo corpo durante la cena, mentre ha dato il sangue espressamente dopo la cena. La ragione sta nel fatto che il corpo di Cristo rappresenta il mistero dell'incarnazione, mentre il sangue rappresenta la passione, per mezzo della quale il sangue fu effuso.

2. Quindi Paolo pone le parole "Questo è il calice della nuova alleanza...".

2.1. Innanzitutto mostra la verità di questo sacramento. Le parole che dice "Questo calice" possono essere intese per metonimia (metonymice): il contenitore per il contenuto. Un altro modo è il senso metaforico (metaphorice): come il calice inebria e sconvolge, così la passione. Quindi il significato di "calice" è sia il contenuto (vino) che la passione.

Tommaso fa una lunga analisi del termine Testamentum.

Si deve considerare che il termine testamentum è assunto dalle Scritture in due modi diversi. Innanzitutto, esso è considerato come un patto (pactum). Dio ha stabilito con il genere umano un patto in due modalità: nell'Antico Testamento, ha promesso beni temporali ed ha liberato da mali temporali, mentre nel Nuovo Testamento ha promesso beni spirituali e ha liberato da mali opposti.

Nell'antichità era consuetudine confermare un patto versando del sangue: nell'Antico Testamento era sangue di animali, mentre nel Nuovo Testamento esso fu confermato con il sangue di Cristo, nella sua passione.

In secondo luogo, testamentum nelle Scritture è inteso anche in un senso più stretto (magis stricte), e cioè come una "disposizione di eredità", che si deve ricevere e che deve essere confermata da un certo numero di testimoni. Nell'Antico Testamento questa eredità era manifestata sub figura di beni temporali, mentre nel Nuovo Testamento per mezzo del sangue di Cristo, Dio ha promesso expresse l'eredità eterna (haereditas aeterna).

Quindi, quando il Signore dice "Questo è il calice della nuova alleanza nel mio sangue" è come dicesse che, in forza di ciò che è contenuto nel calice, si commemora la Nuova Alleanza, confermata per mezzo del sangue della sua passione.

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Tommaso apre una Quaestio circa le differenti parole usate da Paolo e da Luca e dagli altri evangelisti.

Alcuni dicono che qualunque forma abbiano le parole, purché prese dalla Scrittura, esse sono sufficienti alla consacrazione.

Ma è più probabile che solo quelle parole, che usa la Chiesa, istruita dalla tradizione degli apostoli, ottengano la consacrazione. Infatti gli evangelisti hanno voluto raccontare solo quelle parole che erano necessarie per una conoscenza della vicenda, non quelle che erano ordinate alla consacrazione dei sacramenti. A causa degli infedeli, la Chiesa primitiva teneva nascoste le precise parole dei sacramenti.

Alcuni dicono che non tutte le parole sono necessarie alla consacrazione, ma solo: "Questo è il calice del mio sangue", non il resto. Tuttavia, ciò non sembra conveniente dal momento che tutto quello che segue è determinazione del predicato e spiegazione del suo significato.

A differenza della consacrazione del corpo, nella consacrazione del sangue fu necessario esprimere la potenza della passione di Cristo (virtus passionis Christi).

La potenza della passione di Cristo riguarda, innanzitutto, la nostra colpa, che essa abolisce. Il suo sangue, infatti, è sparso per la remissione dei peccati di tutti gli uomini: quelli che lo assumono ma anche quelli che non lo assumono.

In secondo luogo, la potenza della passione di Cristo va considerata attraverso la comparazione alla giustificazione (vita iustitiae), che la passione di Cristo produce per mezzo della fede.

In terzo luogo, la potenza della passione di Cristo riguarda la vita della gloria (vita gloriae), nella quale si è introdotti per mezzo della passione di Cristo.

Si dice "nuova ed eterna alleanza" perché essa riguarda una disposizione di una eredità eterna, mentre "nuova", perché è differente dalla vecchia, che prometteva beni temporali.

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2.2 Quindi Paolo comanda l'uso di questo sacramento, dicendo "fate questo".

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Ora, Tommaso apre una Quaestio circa l'aggiunta dell'acqua al vino.

E' probabile che Cristo abbia fatto ciò a causa della consuetudine, in quella terra, di stemperare il vino forte con un po' di acqua. Ma l'acqua mescolata al vino significa anche che il popolo cristiano è stato congiunto a Cristo, per mezzo della sua passione.

Si può consacrare il vino senza l'acqua, sebbene pecchi, chi consacra in questo modo, non osservando il rito della Chiesa. Se dopo la consacrazione il sacerdote si accorge di non aver messo l'acqua, non la aggiunga e compia il sacramento, perché nulla va mescolato al sangue di Cristo. Ciò infatti introdurrebbe una qualche corruzione del sangue di Cristo ed avrebbe a che fare con il crimine di sacrilegio.

Alcuni dicono che dal costato di Cristo sgorgò sangue ed acqua. Ma ciò non ha a che fare con il vino e sangue, perché in quell'episodio l'acqua è figura del battesimo.

Altri dicono che dopo la trasformazione del vino in sangue, l'acqua aggiunta resta nella sua sostanza di acqua e rimane attorno al vino. Ma ciò non è vero perché l'acqua ed il vino non restano separati ma si mescolano. Perciò si deve dire che l'acqua è cambiata in vino e così tutto si trasforma in sangue di Cristo.

</DIR></DIR>

E poi Gesù dice "finché io venga": da ciò si capisce che questo rito della Chiesa non cesserà fino alla fine del mondo.

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Cattolico_Romano
00domenica 16 novembre 2008 16:49

D. Lectio VII, vv. 27-34.

Itaque quicumque manducaverit panem vel biberit calicem Domini indigne, reus erit corporis et sanguinis Domini. Probet autem se ipsum homo et sic de pane illo edat et de calice bibat. Qui enim manducat et bibit indigne iudicium sibi manducat et bibit non diiudicans corpus. Ideo inter vos multi infirmes et inbecilles et dormiunt multi. Quod si nosmet ipsos diiudicaremus non utique iudicaremur. Dum iudicamur autem a Domino corripimur ut non cum hoc mundo damnemur. Itaque fratres mei cum convenitis ad manducandum invicem expectate. Si quis esurit domi manducet ut non in iudicium conveniatis. Cetera autem cum venero disponam.

Ora Paolo invita i fedeli ad assumere questo sacramento con reverenza, ponendo il pericolo che pende su quanti lo assumono indegnamente ed indicandone l'opportuno rimedio.

1. Paolo dice che, siccome ciò che si mangia e si beve è il corpo ed il sangue di Cristo, chi mangia e beve indegnamente (indigne) è colpevole nei confronti del corpo e sangue di Cristo.

1.1. Si deve innanzitutto considerare in che modo qualcuno mangi e beva indegnamente: ciò avviene triplicemente.

Il primo modo riguarda la celebrazione di questo sacramento: un sacerdote potrebbe celebrare l'Eucaristia in modo diverso da come Cristo l'ha tramandato, ad esempio, usando pane non di grano ed un altro liquore, anziché vino.

Un secondo modo riguarda il fatto che una persona possa accedere all'Eucaristia senza una devota intenzione (non devota mens). Questa devozione manchevole (indevotio) può essere veniale, se si tratta di una semplice distrazione e non di essa si occupa Paolo. Invece se diventa disprezzo (contemptus) di questo sacramento, allora è peccato mortale.

Un terzo modo riguarda chi accede all'Eucaristia con la volontà di peccare mortalmente (voluntas peccandi mortaliter).

Una persona è in stato di peccato, finché rimane nella volontà di peccare, che si può togliere attraverso la penitenza. Precisamente, la remissione della colpa e della pena eterna si ottengono per mezzo della contrizione, che toglie la volontà del peccato, con il proposito di confessare e di soddisfare; mentre la totale remissione della pena e la riconciliazione alle membra della Chiesa si ottengono per mezzo della confessione e della soddisfazione.

Se non ci sono confessori a disposizione, basta la contrizione per poter assumere l'Eucaristia. Mentre, di regola, alla comunione deve precedere la confessione.

<DIR> <DIR>

Ora Tommaso apre una Quaestio sull'accesso dei peccatori all'Eucaristia: sembra che i peccatori non accedano indegnamente all'Eucaristia, poiché Cristo è il medico spirituale. Innanzitutto, questo sacramento non compete ai peccatori (intesi come pagani) perché essi non vivono ancora nella grazia, e dunque a loro compete il battesimo, che li rigenera nella grazia. Inoltre, l'Eucaristia è il sacramento della carità e dell'unità della Chiesa. Poiché il peccatore manca di carità ed è stato giustamente separato dalla Chiesa, se accede a questo sacramento commette una falsità, dal momento che manifesta di avere una carità che non ha. Tuttavia, se il peccatore ha fede in questo sacramento, gli è lecito guardarlo (inspicere), cosa che è negata agli infedeli.

</DIR></DIR>

1.2. Come seconda cosa si deve considerare in che modo colui, il quale assume indegnamente questo sacramento, sia reo nei confronti del corpo e del sangue di Cristo. Anche questo avviene triplicemente.

Il primo modo è riguarda la materia: tanto più è grave un peccato quanto più grande è colui contro il quale si pecca.

Il secondo modo si espone per mezzo della similitudine: chi pecca contro il sangue di Cristo è come se lo uccidesse di nuovo. Ma allora sembra che sia gravissimo il peccato di coloro che assumono indegnamente il corpo di Cristo.

Si deve dire che la gravità del peccato è dovuta a due motivi.

Il primo proviene dalla stessa specie del peccato (ex ipsa specie peccati), che è assunto dall'oggetto, e, perciò, è più grave il peccato che è commesso contro la divinità di quello commesso contro la umanità di Cristo. Ed è ancora più grave quello commesso contro l'umanità di Cristo, nella propria specie, rispetto a quello commesso sotto la specie del sacramento.

Il secondo motivo proviene dalla parte di colui che pecca (ex parte peccantis). E' più grave il peccato di chi pecca con odio e malizia, di chi pecca per debolezza.

Perciò chi assume indegnamente il corpo di Cristo non va accusato di uccidere l'umanità di Cristo secondo uguaglianza, ma per similitudine.

Il terzo modo afferma che sono il corpo ed il sangue di Cristo a rendere colpevole il peccatore. Infatti il bene, che viene assunto male, nuoce, mentre il male utilizzato bene è di giovamento.

Si deve escludere la posizione, secondo la quale non appena il peccatore ha toccato con le labbra il sacramento scompare il corpo di Cristo. Infatti questa posizione è contraria alla verità del sacramento: il corpo di Cristo rimane finché c'è la specie del pane, in qualsiasi luogo essa si trovi.

2. Ora Paolo indica il rimedio contro tale pericolo. Innanzitutto pone il rimedio, quindi ne mostra la motivazione e poi la chiarisce per mezzo di un segno.

2.1. Innanzitutto pone il rimedio. Poiché incorre in un peccato così grave chi assume indegnamente questo sacramento, è necessario che l'uomo prima provi se stesso ed esamini diligentemente la sua coscienza. Egli deve verificare che non ci sia in lui la volontà di peccare mortalmente o qualche altro peccato commesso. E così dopo un diligente esame, può mangiare e bere.

2.2. In secondo luogo, Paolo dichiara il motivo del rimedio. Chi non prova se stesso, mangia e beve la propria condanna, dal momento che non distingue il corpo di Cristo dagli altri cibi.

<DIR> <DIR>

Tommaso apre una Quaestio sul modo di assumere l'Eucaristia: sembra che, come dice il Signore, "chi mangia me, vive per causa mia".

Si deve dire che questo sacramento si mangia in due modi: sacramentalmente (sacramentaliter) e spiritualmente (spiritualiter). Alcuni mangiano sacramentalmente e spiritualmente, perché partecipano alla carità ed all'unità della Chiesa. A questi il Signore dice "chi mangia me, vive per causa mia".

Altri mangiano solo sacramentalmente, dal momento che ricevono questo sacramento ma non hanno la carità.

E c'è anche un terzo modo di assumere il sacramento e cioè per accidens. Ecco tre esempi: il fedele, che ha l'abitudine (habitum utendi) di questo sacramento, assume l'ostia consacrata, non sapendo che lo fosse; l'infedele, che non ne ha l'abitudine ma la possibilità di mangiarla, assume l'ostia senza sapere che cosa significhi; il topo, che non ha la possibilità di usare di questo sacramento, lo mangia nel tabernacolo.

Da ciò si deduce che coloro i quali assumono spiritualmente questo sacramento acquisiscono vita e taluni suggeriscono di fare frequentemente la comunione.

Si deduce parimenti che coloro i quali assumono indegnamente questo sacramento, attirano a sé il giudizio di Dio, e per questo molti scoraggiano e consigliano di assumerlo raramente.

Entrambe le posizioni sono apprezzabili.

Tuttavia l'amore è preferibile al timore, perciò sembra più apprezzabile assumere di frequente piuttosto che raramente. Ma ciò che è preferibile in sé può essere meno preferibile per questa o quella persona. Ciascuno deve considerare l'effetto suscitato in se stesso dalla frequenza e valutare se ciò aumenti o diminuisca il suo rispetto nei confronti dell'Eucaristia.

</DIR></DIR>

2.3. Paolo manifesta la ragione di quanto detto per mezzo di un segno. Prima pone il segno e poi ne dichiara la causa.

Come prima cosa si deve considerare quanto dice Agostino: "Se Dio punisse ora ogni peccato manifestamente, nulla gli resterebbe da giudicare nel giudizio finale".

Al contrario, se Dio non punisse nessun peccato, non si crederebbe alla divina provvidenza. Perciò come segno del giudizio futuro, Dio punisce già ora alcuni peccatori: ciò sembra evidente sia nell'Antico Testamento che nel Nuovo Testamento. Per questo nella Chiesa di Corinto, a causa del peccato dell'assunzione indegna dell'Eucaristia, alcuni si ammalavano ed altri morivano.

Come seconda cosa, Paolo assegna una duplice motivazione di questo segno.

La prima è presa dalla nostra condizione (ex parte nostra): la causa della punizione divina si trova nella nostra negligenza, dal momento che noi siamo negligenti nel punire i nostri peccati. Perciò se ci punissimo da soli, non saremmo puniti da Dio, né nel futuro e nemmeno nel presente.

Ma è detto che nessuno deve giudicare se stesso.

Uno può giudicare se stesso in tre modi: il primo modo è "sferzando" (discutiendo), e così uno deve giudicare se stesso sia per quanto riguarda le cose passate che quelle future; un altro modo è "assolvendo se stesso" (absolvendo) come attraverso sentenza, giudicandosi innocente, e così nessuno deve giudicare se stesso; il terzo modo è condannando (reprehendendo), come di aver fatto qualcosa che egli stesso giudica essere male.

La seconda motivazione è presa dalla parte di Dio (ex parte Dei), cioè in questo mondo siamo puniti per la nostra correzione, affinché recediamo dal peccato e non finiamo nella dannazione eterna.

Paolo conclude riducendo i Corinzi all'obbedienza e promettendo di tornare per sistemare personalmente le altre cose.

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Cattolico_Romano
00domenica 16 novembre 2008 16:54

Parte Seconda: Contestualizzazione e Rielaborazione

1. Esegesi della Scrittura

Nel XII secolo, si assiste ad un ampio movimento che conduce alla riscoperta della Scrittura a vari livelli. L’impulso evangelico pervade la coscienza cristiana di questo tempo e si esprime in varie forme, da Pietro Valdo a S. Francesco, dagli Umiliati ai frati predicatori, mettendo radici nella fede del popolo quanto in quella più esigente della Scuola. L’ingresso della Scrittura nella Università sottopone la parola di Dio al "metodo scolastico": non più una riflessione devota indirizzata a irrobustire la vita spirituale dei monaci ma uno studio scientifico, finalizzato a sostenere l’insegnamento e la predicazione dei chierici e dei predicatori. Due punti di riferimento per ogni insegnante di Scrittura di questo tempo sono la Glossa e le sentenze di Pietro Lombardo.

Così, nell’insegnamento della teologia del XII secolo il libro fondamentale diviene la Bibbia. Nelle Università di teologia, il maestro è innanzitutto magister in sacra pagina. In quanto tale egli deve legere, disputare et predicare. La lectio è il primo stadio: il maestro "legge" il suo testo a commento di un libro della Scrittura, sviluppandolo secondo tre piani. In alcuni punti particolarmente problematici, il maestro può soffermarsi per dare ulteriori spiegazioni: nascono così le quaestiones, che il maestro risolve mettendo in gioco le sue abilità dialettiche e giungendo finalmente ad una determinatio.

Anche san Tommaso, maestro di teologia, ha preso per materia dei suoi corsi ufficiali il testo della Scrittura, sia Antico che Nuovo Testamento. Molto probabilmente, i suoi commentari non ci sono pervenuti tutti. Essi sono la trascrizione dei corsi sulla Scrittura che egli ha tenuto agli studenti delle Università di Parigi e di Napoli.

Il brano che noi abbiamo preso in considerazione fa parte del Commentario alle lettere Paoline, il più esteso degli scritti esegetici di san Tommaso ed il più caratterizzato da un’esegesi di tipo teologico. Pur nella sua brevità, questo brano ci consente di mettere in evidenza alcuni caratteri tipici dei commentari medievali e di altri scritti di san Tommaso.

I 18 versetti della lettera di Paolo sono suddivisi in quattro lectiones. A loro volta, ciascuna lectio è scomposta in punti e sottopunti, che ne analizzano ogni dettaglio, secondo uno schema quasi matematico, ma di difficoltosa lettura. Ad esempio, al n. 644 san Tommaso espone il percorso che intende eseguire e scrive:

<DIR> <DIR>

Et primo agit de dignitate sacramenti,

secundo inducit fideles...

Circa primum duo facit:

primo commendat...

secundo ponit...

Circa primum duo facit. Primo... Secundo...

</DIR></DIR>

Il procedimento è estremamente analitico, come si vede. Egli vuole trattare il testo secondo l’ordine interno, afferrandone i nuclei e determinando le connessioni logiche tra una frase e la successiva, in uno sforzo intellettivo profondo alla ricerca delle rationes. Ogni parola della Scrittura, nella mentalità dei commentatori medievali, deve avere un motivo, una ratio. Il limite di questo procedimento consiste in una eccessiva razionalizzazione del testo, pretendendo di individuare piani di esposizione organici anche quando si tratta di scritti di circostanza, come la lettere di Paolo.

Anche nel nostro brano è evidente questa continua ricerca. Si suppone sempre che Paolo abbia delle ragioni, quando espone dei fatti della comunità di Corinto, narra delle vicende dell’ultima cena di Gesù o si esprime utilizzando un certo linguaggio.

Si incontrano spesso frasi come: Cum dicit Paulus... ponit, ...asserit causam, ...assignat rationem, ...excludit causam, ...inquirit causam... Spesso le motivazioni sono triplici e duplici, come ai nn. 652-654 dove propter tria è ripetuto per ben tre volte. Anche Gesù pone la celebrazione eucaristica dopo la cena pasquale per tre motivi: Sed Dominus hoc rationabiliter fecit propter tria.

Questo scavo profondo, che a volte può sembrare un po’ forzato, esprime la volontà di individuare l’intentio dell’autore. Da un certo punto di vista, ciò rappresenta un guadagno rispetto all’esegesi patristica, più orientata verso l’allegoria e meno attenta al significato oggettivo e letterale dei testi scritturistici.

2. Le quaestiones


Alcuni passi diventano l’occasione per aprire una quaestio su un certo problema e Tommaso compone la riflessione secondo la struttura dell’articulus, richiamando da vicino la Summa. Una volta posto il problema, sic proceditur, e cioè si dichiarano le rationes delle varie scuole o teorie, si valutano nei loro aspetti contraddittori (Sed conta videtur) e si perviene ad una risposta definitiva (respondeo dicendum quod), che tiene conto degli elementi di verità delle varie rationes.

Quando san Tommaso si sofferma sulle singole quaestiones, andando oltre il senso del testo di Paolo, emerge un’intelligenza robusta e feconda della dottrina della fede, preludio alla teologia biblica.

Nel nostro brano si incontrano molte quaestiones o più semplici digressioni, non articolate secondo lo schema dell’articulus.

Al n. 624, notando una discordanza tra quanto dice la Glossa e la Scrittura a proposito del peccato più grave, san Tommaso giunge alla determinatio distinguendo tra peccati della moltitudine e peccati del singolo. Questo semplice caso mette in evidenza il problema della "discordanza delle fonti", problema affrontato emblematicamente da Abelardo nel Sic et non. La soluzione per cui opta san Tommaso è quella della "discordanza apparente": le due fonti sono vere entrambe, dal momento che si riferiscono allo stesso argomento, quello del peccato, ma da due prospettive diverse, quella comunitaria e quella del singolo.

Dopo aver constatato che i Corinzi celebravano l’Eucaristia subito dopo aver cenato, Tommaso si vede costretto a motivare come mai la Chiesa nel corso dei secoli abbia invertito l’ordine e perciò si sofferma sulla legge del digiuno. La motivazione fa leva sul concetto di reverentia nei confronti di un sacramento così importante. Fatta eccezione dei malati, tutti gli altri possono accedere all’Eucaristia se dalla mezzanotte non hanno mangiato né bevuto nulla, nemmeno pura acqua. Infatti, sebbene quest’ultima di per sé non nutra, ha sicuramente mescolate delle particelle di cibo, che, per quanto piccole, sciolgono il digiuno. In questo modo, san Tommaso risponde a quanti sostenevano che almeno l’acqua si potesse assumere.

Una quaestio in piena regola è quella sviluppata ai nn. 640-643. Paolo dice che i Corinzi più facoltosi, dopo aver celebrato l’Eucaristia, erano ebbri e sazi. Qui nasce un problema (Sed videtur): come è possibile che il vino consacrato possa ubriacare ed il pane consacrato possa saziare, dal momento che dopo la consacrazione sotto le specie del pane e del vino non rimangono che il corpo ed il sangue di Cristo, i quali non possono essere trasformati nel corpo e nel sangue dell’uomo?

Il nocciolo della difficoltà sta nel concetto di nutrimento e nella impassibilità della sostanza del corpo e sangue di Cristo: nutrire significa essere trasformati nella sostanza di chi viene nutrito, ma ciò non può accadere nel caso del corpo e sangue di Cristo, perché altrimenti essi si trasformerebbero ulteriormente da sostanza divina a sostanza umana.

Senza citarne le fonti, san Tommaso espone cinque diverse teorie (Ergo quidam dicunt), che cercano di risolvere questa difficoltà. Probabilmente si tratta di teorie che circolavano nelle Università e tra i circoli dotti.

E’ un esempio tipico di articulus perché sono espresse innanzitutto le rationes di ciascuna teoria, in un secondo momento (sed) viene colta la sua contraddizione interna, infine (unde) viene affermata la soluzione della contraddizione, che ciascuna teoria, secondo una propria modalità, aveva perso di vista. Conclusivamente, il maestro dà la soluzione della difficoltà (Sed melius est dicatur quod).

Le cinque teorie affrontano in modo più o meno originale il problema. Senza dubbio sono curiose la teoria dell’abitudine dei sensi e quella dell’aria circostante: secondo la prima teoria l’Eucaristia nutre perché i sensi sono come abituati ad essere nutriti da ciò che ha la forma di pane, anche se la sostanza è diversa; mentre la seconda afferma che è l’aria attorno alle specie eucaristiche, ingoiata con esse, a nutrire.

Più interessanti le altre tre teorie. Di matrice chiaramente scolastica e filosofica, la teoria della "forma sostanziale" afferma che nell’Eucaristia cambia la sostanza, appunto quella del corpo di Cristo, ma rimane la "forma sostanziale" del pane, alla quale pertiene la capacità di nutrire.

Forse motivata dal senso di rispetto nei confronti del corpo e sangue di Cristo, un’altra teoria afferma che per divina potenza avviene una nuova trasformazione per mezzo della quale l’Eucaristia ritorna ad essere pane e vino, dopo che essa è stata ingoiata dal fedele.

Decisamente più interessante la teoria della presenza del corpo e sangue di Cristo insieme con la sostanza del pane e del vino (remanere cum substantia panis et vini), per gli sviluppi che ha avuto successivamente, soprattutto in epoca moderna, in campo protestante.

8

Cattolico_Romano
00domenica 16 novembre 2008 16:55

Al n. 657, san Tommaso affronta una quaestio in relazione all’ordine con cui nell’uso della Chiesa prima si consacra il pane e poi lo si spezza, diverso dall’ordine esposto nel racconto di san Paolo. Dopo aver posto la difficoltà (sed videtur), Tommaso espone la soluzione proposta da qualche studioso (quidam dixerunt), secondo il quale Gesù prima consacrò il pane con parole a noi ignote, poi lo spezzò e disse quelle parole che noi conosciamo. Tommaso mostra l’incongruenza di questa teoria (sed hoc non potest esse), dal momento che il sacerdote quando consacra non dice le parole della consacrazione a proprio nome, ma nella persona di Cristo nell’atto di consacrare.

Da ciò si deduce necessariamente che (unde) il sacerdote consacra con le medesime parole con le quali consacrò Gesù. Quindi viene risolta la difficoltà (et ideo dicendum est): le parole ed i gesti esposti nel racconto di san Paolo non vanno intesi in modo "consequenziale" (uno dopo l’altro), ma in modo "concomitante" (uno allo stesso tempo dell’altro), dal momento che mentre prese il pane, rese grazie e disse le parole della consacrazione.

Un’altra quaestio si trova al n. 662, quando san Tommaso affronta la cosa significata (de re significata) attraverso le parole della consacrazione.

Egli espone brevemente tre teorie. Secondo la prima teoria Cristo non è presente realmente nel sacramento dell’Eucaristia, ma soltanto come segno (sub signo), dal momento che le parole "Questo è il mio corpo" vanno intese "Questo è segno e figura del mio corpo", così come in 1 Cor 10, 4 è detto che "La pietra era Cristo", cioè figura di Cristo.

Questa teoria è molto interessante per gli sviluppi futuri in campo protestante: essa si presenta come risolutiva di tutti i problemi che la presenza reale porta con sé ed è supportata in modo intelligente da un’astuta citazione biblica. In modo altrettanto intelligente, san Tommaso risponde attraverso un ulteriore passo della Scrittura, facendo appello alle parole di Gesù: "La mia carne è vero cibo ed il mio sangue è vera bevanda" (Gv 6, 56). In questo caso non c’è spazio per una interpretazione allegorica delle sue parole: esse vanno prese per ciò che dicono letteralmente.

La seconda teoria è quella già incontrata della presenza reale del corpo di Cristo insieme al pane, di cui san Tommaso ha già mostrato l’incongruenza precedentemente.

La terza teoria cerca di spiegare la presenza reale del corpo di Cristo affermando che la sostanza del pane si annichila ed è come "sostituita" dalla sostanza del corpo di Cristo, ma anche questa teoria è stata precedentemente superata. Quindi non resta da dire che il corpo di Cristo è veramente presente in questo sacramento per mezzo della trasformazione del pane nel corpo di Cristo.

Al n. 664 san Tommaso affronta la difficoltà della frazione del pane: se il corpo di Cristo è stato glorificato, allora deve essere anche infrangibile. Alcuni affermano che avviene la frazione ma senza il soggetto proprio (sine subiecto). San Tommaso obietta che la frazione appartiene al "genere della passione" (in genere passionis), che ha un "essere più debole" della qualità. Quindi, non ci può essere frazione e nemmeno qualità senza che ci sia il soggetto.

Il ragionamento è complesso e fa leva interamente sulle categorie filosofiche scolastiche. La qualità è un accidente di una determinata sostanza, quindi di un preciso soggetto: non si dà mai una qualità a prescindere da un soggetto a cui è riferita. A maggior ragione, la "frazione", che ha un grado di esistenza ancora più debole della qualità, non può esistere senza essere riferita ad un soggetto, poiché essa appartiene alla categoria delle passioni, cioè di quegli accidenti che subiscono e non agiscono.

Quindi si deve dire che la frazione del pane è fondata nel soggetto, nelle particelle di pane rimanente, e che il corpo di Cristo non è toccato dalla frazione ma rimane intero sotto qualsiasi particella del pane spezzato.

Al n. 666, san Tommaso affronta un altro problema, particolarmente complesso, sulle parole della consacrazione. Sembra che la frase "Questo è il mio corpo" sia falsa, poiché la trasformazione del pane in corpo di Cristo avviene alla fine della recitazione di queste parole, quando è completo il senso della frase. Allora, nel momento in cui si dice "Questo" si indica ancora il pane e non il corpo di Cristo e perciò la frase è falsa.

Secondo alcuni, il sacerdote pronuncia queste parole in persona Christi e perciò l’intera formula di consacrazione non si riferisce al pane che il sacerdote sta consacrando ma a quello che consacrò Gesù nell’ultima cena.

San Tommaso obietta che se questa formula non fosse riferita a quel pane che il sacerdote sta per consacrare, allora non accadrebbe nulla e il pane resterebbe semplice pane. Ma ciò è falso. Infatti, queste precise parole sono ricevute formalmente (formaliter accipiantur) con il preciso scopo di essere riferite a questo concreto pane che si deve consacrare. Il sacerdote pronuncia queste parole in persona Christi, dal quale esse prendono forza e grazie al quale esse hanno ora la stessa efficacia che ebbero quando egli le pronunciò per la prima volta.

San Tommaso al n. 668 affronta la difficoltà relativa al pronome "Questo". Alcuni dicono che il senso della frase sia "Questo è segno del mio corpo", ma già si è dimostrato la falsità di tale posizione. Altri dicono che "Questo" non sia riferito al pane che si deve consacrare, ma al finale della frase, e cioè al "Mio corpo". Quindi è come se Gesù dicesse "il mio corpo è il mio corpo".

Ma anche questa posizione è falsa poiché essa lascia ogni cosa immutata: il pane resta pane e non diviene corpo di Cristo.

Infine, san Tommaso espone la sua posizione, suffragata da sant’Agostino. La "forma" dei sacramenti non è soltanto "significativa" ma anche "fattiva". Ciò vuol dire che la forma verbale attraverso la quale ogni singolo sacramento viene celebrato non indica soltanto il significato del sacramento, ma lo fa accadere e lo compie.

Detto questo, san Tommaso si inserisce nei dettagli della problematica. Nella trasformazione del pane in corpo di Cristo, non è la sostanza a rimanere immutata, ma gli accidenti, e perciò nella formula di consacrazione il soggetto non è identificato con un nome (come ad esempio, "pane" o "corpo"), il quale indica una precisa specie di sostanza, ma è indicato dal pronome "Questo", che indica la sostanza ma senza precisarne la specie.

In questo caso, i criteri usati da san Tommaso sono la sua concezione "forte" di sacramenti (le parole realizzano quello che significano), le categorie aristoteliche di "forma" e "materia" e l’analisi degli elementi del linguaggio, al quale viene attribuito uno stretto legame con la costituzione della realtà.

Una quaestio viene affrontata al n. 673: sembra che il corpo di Cristo, consacrato prima del sangue, sia appunto esangue (exsanguis). Alcuni affermano che le due formule consacratorie, quella sul pane e quella sul vino, non abbiano efficacia finché non siano state entrambe pronunciate. Questa tesi fa leva sullo stesso principio, invocato precedentemente anche da san Tommaso, in base al quale le parole di una formula sacramentale non hanno effetto finché l’intera frase non sia stata pronunciata.

San Tommaso precisa l’uso di questo principio e spiega perché così utilizzato non sia esatto. La formula di consacrazione del pane raggiunge il suo pieno significato quando si dice "Questo è il mio corpo" e, dunque, per poter ottenere effetto, non ha bisogno di attendere che siano dette anche le parole sul vino. San Tommaso chiama in suo aiuto anche la liturgia: se il pane consacrato prima del vino non fosse già corpo di Cristo, allora i sacerdoti indurrebbero il popolo all’idolatria, quando innalzano l’ostia perché sia adorata.

Dopo essersi soffermato sull’acqua da aggiungere al vino prima della consacrazione, san Tommaso affronta una quaestio al n. 685. Alcuni infatti affermano che durante la consacrazione il vino diventa sangue, ma l’acqua resta acqua, poiché, come narra Giovanni, dal costato di Cristo sgorgarono sangue ed acqua.

San Tommaso risponde collocando opportunamente questo brano. Qui Giovanni non si riferisce all’acqua nel calice, ma al lavacro che si ottiene per mezzo del battesimo. Il movimento dell’interpretazione del passo giovanneo va nella direzione della scoperta dell’intenzione dell’autore, cercando il più possibile di eliminare gli spazi dell’interpretazione soggettiva e allegorica.

Un’altra teoria afferma che dopo la consacrazione il vino diviene sangue, mentre l’acqua rimane acqua, perché essa si pone tutta attorno agli accidenti del vino, non entrando dunque nella sua sostanza. Tommaso risponde con un argomento di tipo fisico ed esperienziale: una volta mescolata con il vino, l’acqua non è più distinguibile da esso, e perciò, insieme con esso, si trasforma in sangue di Cristo.

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Cattolico_Romano
00domenica 16 novembre 2008 16:55

In conclusione a questa carrellata di quaestiones accenniamo ad alcune semplici digressioni, non strutturate secondo lo schema dell’articulus ma pur sempre simili.

Al n. 691, san Tommaso si sofferma sulla contraddizione apparente dell’Eucaristia: essa è data per la remissione dei peccati, eppure si dice che i peccatori ad essa non possono accostarsi.

Al n. 693, ci si chiede se il peccato commesso contro l’Eucaristia sia altrettanto grave quanto quello commesso contro la persona di Gesù.

Al n. 698, ci si domanda in che modo si debba mangiare l’Eucaristia, affinché essa divenga alimento spirituale per il fedele. Al n. 704, ci si interroga in che modo un credente debba giudicare se stesso.

3. La lingua

Per quanto riguarda la lingua usata da san Tommaso, si tratta del latino "scolastico", cioè di una lingua di scuola, quindi tecnica, dove l’ossequio ai fini pedagogici ed alla precisione terminologica prevalgono sulla bellezza e sulla emotività.

Quello di san Tommaso è uno stile conciso ed austero per mezzo del quale egli intende portare alla luce della comprensione intellettuale l’oggetto del suo studio, senza nulla concedere all’imprecisione ed alla contaminazione. Alla base del procedimento conoscitivo di san Tommaso si trova l’intima persuasione di origine aristotelica, secondo la quale tutta l’intelligibilità passa attraverso il sensibile: la precisione formale attraverso la quale si esprime un concetto è la condizione necessaria per la sua corretta comprensione. Proprio per questo il Caetano dice che san Tommaso semper loquitur formaliter. Da questo punto di vista, sono emblematici i due esempi di "filologia" in cui san Tommaso cerca di individuare il preciso senso dei termini haereses e testamentum. Allo stesso modo, è particolarmente significativa tutta l’analisi attenta e diffusa delle parole della consacrazione.

Allo stesso tempo, quello di san Tommaso è il latino "medievale", dotato di un corredo grammaticale povero, non provvisto di una terminologia propria per esprimere i concetti della filosofia greca e costretto a tradurli coniando nuovi termini. Vengono utilizzate forme stereotipate e ripetuti particolari termini, densi di pregnanza filosofica, senza troppo riguardo all’estetica ed alla eleganza della costruzione grammaticale. Nel nostro brano, molto spesso si possono incontrare costruzioni verbali come queste: Dicit ergo primo...; Deinde cum dicit... ponit...; Alii dixerunt...; circa primum...; quantum ad secundum... Anche termini come auctoritas, disciplina, doctrina, habitus, ordo, modus.... sono ripetuti molte volte, appesantendo la lettura. Tuttavia, essi sono indicativi di una concezione della realtà. Il mondo è costituito intrinsecamente da un ordine, razionale e graduale, distribuito secondo una modalità, riconoscibile attraverso il vaglio della ragione. L’uomo può comprendere la verità eterna attraverso un austero cammino della ragione e dei suoi concetti, rispettando l’ordinamento gerarchico della realtà, alla cui sommità sta Dio.

4. Le allegorie

Proprio per la ricerca della precisione tecnica e formale, san Tommaso raramente indulge al linguaggio allegorico. Tuttavia, qualche allegoria è riscontrabile anche nel nostro brano. L’allegoria è un modo di leggere la Parola di Dio, di interpretarne le vicende e di ricostruire le intenzioni dell’autore sacro o dei testi liturgici, andando al di là del senso letterale del testo.

Vediamone alcuni esempi.

Al n. 631, l’agnello pasquale è detto figura ed ombra dell’Eucaristia. Allo stesso modo, ai nn. 678-679, si mette in relazione il sangue dei tori, versato per sancire l’Antica Alleanza tra Dio e gli uomini, con il sangue di Cristo, versato per la Nuova Alleanza. Più sotto si dice che i beni temporali promessi nell’Antico Testamento erano figura dei beni eterni che la passione di Cristo avrebbe concesso. Al 682, dopo aver citato Rm 3, 24, san Tommaso scrive che in tutti i sacrifici dell’antico testamento era nascosta la fede nella passione di Cristo, sicut veritas in signo. Più che di interpretazione allegorica, in questi casi si deve parlare di interpretazione tipologica, molto utilizzata dai commentatori medievali ed inaugurata dagli stessi scrittori neotestamentari.

Decisamente più sul versante allegorico possiamo collocare i seguenti passaggi. Al n. 675, san Tommaso sta cercando di comprendere le motivazioni per le quali Cristo ha consacrato il pane durante la cena ed il vino dopo e propone questa spiegazione: "il corpo di Cristo rappresenta (repraesentat) il mistero dell’incarnazione, che è avvenuta quando avevano ancora vigore le leggi dell’Antico Testamento, tra le quali la più importante era certamente la cena dell’agnello pasquale; al contrario il sangue di Cristo rappresenta la passione per mezzo della quale è stato messo fine a tutte le leggi ebraiche".

Quando san Tommaso cerca di investigare sul motivo della scelta della notte come momento in cui consumare l’ultima cena, egli afferma che ciò accadde per manifestare meglio la potenza di questo sacramento, che "illumina le oscurità dell’anima", adducendo due citazioni della Scrittura.

Più avanti, san Tommaso così motiva la divisione dell’ostia consacrata in tre parti: essa significa la passione di Cristo, spezzato dai colpi inferti dai soldati, la distribuzione dei doni del Signore ai credenti ed infine le diverse parti della Chiesa.

Come si vede in questi esempi, si dà una carica simbolica ai singoli avvenimenti che va ben oltre alle intenzioni degli autori sacri e dello stesso Gesù.

Al n. 650, san Tommaso afferma che esiste una "proporzione" ed una "similitudine" tra le cose spirituali e quelle corporali. Questa concezione, che è di origine neoplatonica e si presta ad interpretazioni allegoriche, porta a vedere la realtà secondo un ordine graduale ed omogeneo tra il mondo delle cose visibili e quello delle cose invisibili. Per questa ragione, non è assurdo per san Tommaso affermare che esiste una rapporto tra ciò che è necessario alla vita del corpo ed e ciò che è necessario alla vita dello spirito: la nascita è paragonabile al battesimo, la crescita alla confermazione e l’alimentazione all’Eucaristia. Inoltre, perché la similitudine con l’alimentazione sia perfetta, l’Eucaristia deve essere cibo spirituale e bevanda spirituale, dunque corpo e sangue.

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00domenica 16 novembre 2008 16:55

5. Le fonti ed il ricorso alle auctoritas

Il ricorso alle auctoritas è essenziale nella speculazione teologica del Medioevo. In teologia l’auctoritas fondamentale è la Parola di Dio, ma auctoritas sono anche gli autori accreditati nel corso dei secoli, per la loro attività spirituale o filosofica, insieme alle loro opere. Si tratta dei santi della Chiesa (sancti o theologi) e dei filosofi pagani (philosophi), riconosciuti unanimemente come meritevoli di credito. L’uso delle auctoritas ha come fine quello di avvalorare la tesi sostenuta dal magister.

Tuttavia l’uso di queste fonti è esteso e sommario: si cita un autore, si riporta un testo, fuori dello spazio e del tempo, senza alcuna preoccupazione di accumulare delle prove "scientifiche". La citazione oscilla tra la accoglienza fiduciosa di quanto hanno detto uomini autorevoli e la semplice illustrazione di una tesi precedentemente elaborata.

Non si tratta insomma di un ricorso alle fonti come viene inteso dalle scienze positive moderne. L’auctoritas medievale ha un gioco quasi sempre più ampio e libero del moderno "argomento di tradizione" e non deve soddisfare ad un fine scientifico.

Si deve aggiungere che i medievali conoscevano già il limite dell’uso delle auctoritas, dal momento che lo stesso san Tommaso dice: "Se noi risolviamo i problemi della fede col metodo della sola autorità, possediamo certamente la verità, ma in una testa vuota. L’auctoritas quindi è certamente utile, ma non può sostituire l’obbligo del teologo di investigare faticosamente per fornire motivi e ragioni.

In questo breve testo, l’auctoritas per eccellenza è la Scrittura, di cui sono abbondantemente citati sia l’Antico che il Nuovo Testamento (in totale 105 citazioni). Secondo una modalità cara ai Padri della Chiesa, san Tommaso interpreta la Parola di Dio alla luce della stessa Parola: la lettera ai Corinzi è compresa a partire dalle altre lettere di san Paolo, dai Vangeli, dai libri dei Salmi, dei Profeti, della Sapienza...

Le altre fonti presenti sono Agostino, la Glossa, Dionigi, De ecclesisticis dogmatibus (2 volte), Aristotele (1 volta soltanto). Si tratta delle fonti fondamentali dei maestri medievali.

Innanzitutto Agostino: egli resta per tutto il Medioevo il dottore per eccellenza della Chiesa latina, dal quale Tommaso attinge con frequenza, sebbene talvolta prenda le distanze da certe fonti neoplatoniche presenti nei suoi scritti. Per quanto possa essere significativo questo brano, in esso notiamo che le citazioni di Agostino, non vengono utilizzate sul versante filosofico quanto piuttosto su quello teologico ed etico.

Agostino viene citato due volte, quando san Tommaso affronta il problema della necessità dell’eresia. poiché Dio è così buono da non permettere che possa accadere un male senza poterne trarre un qualche bene, così le osservazione suscitate dagli eretici possono divenire occasioni per imparare qualcosa di nuovo.

In un altro punto, san Tommaso cita Agostino per esprimere la condanna di Paolo nei confronti dei Corinzi, divisi proprio nella celebrazione dell’Eucaristia, che "è il sacramento dell’unità e della carità della Chiesa".Questo stesso passaggio è citato anche quando san Tommaso spiega le rationes secondo le quali il corpo ed il sangue di Cristo ci sono tramandati sotto i segni del pane e del vino: il pane, fatto dai molti chicchi di frumento, ed il vino, fatto dalle molte uve, vogliono esprimere l’unità della Chiesa. Ancora la stessa citazione è utilizzata per precisare il rapporto che esiste tra il peccatore e l’Eucaristia. Poiché essa è il sacramento della carità e dell’unità della Chiesa, il peccatore, separato a causa del suo peccato dalla comunità cristiana, commette un’azione falsa, se accede all’Eucaristia.

Agostino viene citato per sostenere la condanna di Paolo nei confronti dei Corinzi, i quali mangiavano e bevevano nel luogo deputato alla preghiera, mentre "nell’oratorio non si deve fare nulla se non ciò per il quale esso è fatto e dal quale prende il nome".

Quando Tommaso scrive a proposito della presenza reale del corpo di Cristo nell’Eucaristia, esponendo la teoria di alcuni secondo i quali la materia del pane viene annullata e sostituita da quella del corpo di Cristo, egli cita questo testo dell’Ipponate: "Dio non è creatore del tendere al nulla".

Più avanti, affrontando la quaestio sulla verità delle parole della consacrazione, viene ancora utilizzata l’autorità di Agostino, il quale afferma che le parole dette sopra il pane ed il vino fanno realmente accadere il sacramento: "Accedit verbum ad elementum et fit sacramentum".

Sempre di area neoplatonica, per san Tommaso è un’auctoritas indiscussa Dionigi, le cui opere venivano commentate nelle Università di teologia. Tuttavia, san Tommaso sembra prendere le distanze dall’impianto simbolico e metaforico dell’Areopagita e spesso si sforza di ridurre a categorie concettuali le affermazioni mistiche del dottore orientale.

Nel nostro brano, Dionigi viene citato per sostenere due affermazione: nella Chiesa primitiva la parole esatte pronunciate da Gesù nell’ultima cena erano celate ai pagani; al peccatore che ha fede nell’Eucaristia ma che non vi si può accostare, a causa del suo peccato, è lecito guardarla. Da queste citazioni, sembra che nulla venga lasciato al linguaggio simbolico e metaforico di Dionigi.

Il grande maestro che ha fornito a san Tommaso il "metodo scientifico" e le "categorie intellettuali" per il suo lavoro di ricerca è Aristotele. In queste poche pagine lo Stagirita compare una volta soltanto, commentando le parole di Paolo, secondo il quale i Corinzi "si riunivano non per il meglio, ma per il peggio". L’uomo, animale gregario e sociale, come dice Aristotele nel suo libro primo di Politica, si riunisce per un bene di carattere secolare, come la sicurezza. Allo stesso modo i credenti devono riunirsi per un bene, nel loro caso un bene spirituale.

San Tommaso si ispira alla filosofia aristotelica e compaiono spesso le categorie aristoteliche, come forma, materia, substantia, accidentes, species, genus, subjectum, esse, qualitas. Anche i concetti come forma substantiva, subjectum signatum, materia preiacens sono uno sviluppo dell’aristotelismo secondo san Tommaso. La stretta realzione tra realtà e linguaggio, tra conoscenza intellettiva e verità, di cui abbiamo già detto, provengono dalla gnoseologia aristotelica.

Un’altra autorità di rilievo è la "consuetudine della Chiesa". Il ricorso all’autorità dell’uso della Chiesa (usus Ecclesiae) è riscontrabile in diversi punti del nostro brano. Quando il sacerdote alza l’ostia consacrata per l’adorazione dei fedeli, egli testimonia che quello è il corpo di Cristo, non più semplice pane. Al n. 627, si dice che l’eretico per propria scelta preferisce la sua privata dottrina alla fede comune della Chiesa (sensuum toti Ecclesiae). Pur essendo cosa lecita, pecca quel sacerdote che non mette dell’acqua nel vino prima della consacrazione, perché non osserva il rito della Chiesa (ritum Ecclesiae). Il digiuno, istituito dalla Chiesa prima della celebrazione eucaristica come motivo di rispetto, è accolto nella sua forma integrale, pur non essendo perfettamente in accordo con il racconto biblico dell’Ultima Cena.

Alla Chiesa viene riconosciuta l’autorità di stabilire quali siano le parole esatte da dire affinché si compia la consacrazione delle specie. Infatti, poiché gli evangelisti e san Paolo non utilizzano le medesime parole per narrare l’istituzione dell’Eucaristia, alcuni dicono che ai fini della consacrazione sia sufficiente una qualsiasi delle formule presenti nel scritture. Ma san Tommaso risponde affermando che più probabilmente (probabilius) compiono la consacrazione solo quelle parole che la Chiesa utilizza, su insegnamento della tradizione degli Apostoli.

6. Elementi di teologia eucaristica

Proviamo ora a far emergere alcuni tratti di teologia eucaristica a partire da queste pagine di san Tommaso.

a. Cristo, autore dell’Eucaristia

Nella lectio V san Tommaso si sofferma sulla dignità dell’Eucaristia. Questo sacramento ha una dignità del tutto particolare per l’autorevolezza del suo autore, che è Cristo stesso. Auctor e auctoritas sono concetti carichi di significato ed identificano chi sta all’origine, in modo autentico, di una certa cosa.

Cristo è l’institutor, colui il quale istituisce e fonda l’Eucaristia. E’ Gesù che sceglie proprio quel momento per celebrarla, perché era notte e stava per essere consegnato a morte e manifesta di ricevere volontariamente dal Padre la passione, di cui l’Eucaristia è il memoriale. Sono di Gesù i gesti e le parole sul pane e sul vino. Tutto è ricondotto a Gesù, e a nessun altro, alla sua libera decisione di compiere la volontà del Padre per amore degli uomini.

Per questa serie di motivi, essa è dono di Dio, "eminente beneficio" che proviene dal cielo e non da un potere o merito umano. Quindi, nessuno può esigerla "presuntuosamente" per sé. A nessuno, nemmeno ai ricchi e facoltosi Corinzi, è lecito trasformare la cena del Signore in cena privata, in cui ognuno si riappropria e rivendica per sé quanto ha offerto al Signore. Nessuno può trattare l’Eucaristia come un bene da spadroneggiare.

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00domenica 16 novembre 2008 16:58

b. L’Eucaristia e gli altri sacramenti

San Tommaso afferma che la piena potestà di Cristo sull’Eucaristia va estesa anche a tutti gli altri sacramenti, poiché essi sono celebrati nel suo nome ed in essi operano la sua potenza ed il suo merito. Tuttavia ci sono alcune differenze. Innanzitutto, una prima differenza rigurda la modalità dell’istituzione. Nell’Eucaristia Cristo dona il suo corpo ed il suo sangue ed era necessario che egli stesso, in persona, fissasse le parole ed i gesti da compiere nel rito. Negli altri sacramenti invece Cristo non determina in modo altrettanto preciso la formula sacramentale.

Una seconda differenza riguarda la modalità di presenza di Cristo nei sacramenti. Mentre negli altri sacramenti si tratta di una presenza "secondo potenza", nell’Eucaristia Cristo è presente "realmente e sostanzialmente" nel pane e nel vino consacrati. Infatti, nel battesimo è Cristo che rigenera alla salvezza, ma non secondo la sua sostanza bensì secondo la sua potenza. Al contrario, nell’Eucaristia, Cristo è presente proprio secondo la sua sostanza. Gli altri sacramenti raggiungono il loro compimento nell’uso di una sostanza consacrata (usum materiae consacratae), come l’acqua benedetta nel battesimo, od il crisma nella confermazione. In essi non c’è alcuna natura razionale capace di accogliere la grazia santificante. L’Eucaristia, invece, ottiene il proprio compimento nella stessa consacrazione della materia del pane e del vino, nella quale è contenuto il Cristo, fine di tutta la grazia santificante.

C’è anche una differenza di "ordine cronologico". Infatti il battesimo deve precedere l’Eucaristia, perché ai non credenti, che non vivono ancora della grazia del Signore, non compete il cibo spirituale, ma la rinascita spirituale, che è il battesimo. Inoltre, prima di accostarsi all’Eucaristia, ogni battezzato deve esaminare se stesso, e se ha trovato in sé qualche ombra di peccato deve ricorrere al più presto alla confessione, per riconciliarsi con la Chiesa.

c. La presenza reale

Il tema della presenza reale in san Tommaso è di fondamentale importanza. Abbiamo visto nelle quaestiones come egli abbia combattuto quelle teorie che minacciavano questo punto della teologia cattolica: in particolare, la teoria della presenza "in signo" e quella della presenza "cum substantia panis". Proprio determinando la quaestio sulla presenza reale, san Tommaso espone il concetto di "conversio substantialis seu transubstantiatio".

La consacrazione differisce da qualsiasi altra trasformazione che avviene in natura. Infatti, in natura avvengono soltanto trasformazioni formali (conversio formalis). In esse, pur rimanendo invariata la sostanza di una determinata cosa, ne viene modificata la forma. Nel caso della consacrazione invece è Dio stesso, l’autore di ogni materia e forma, ad operare la singolare trasformazione. Per azione di Dio, l’intera sostanza del pane è trasformata nella sostanza del corpo di Cristo: questa trasformazione è chiamata "trasformazione sostanziale o transustanziazione".

Nelle trasformazioni della natura, pur restando il medesimo soggetto, ne vengono modificati gli accidenti. Invece, nella transustanziazione viene mutata la sostanza ma rimangono gli accidenti, privati del loro relativo soggetto (il pane ed il vino). Ciò accade per sola potenza divina, che sostiene nell’esistenza come causa prima il corpo e il sangue di Cristo, privati della loro causa materiale.

L’uso delle categorie aristoteliche rende particolarmente efficace l’intelligenza del mistero della presenza reale, che tuttavia viene lasciata nelle mani della potenza divina: solamente Dio può sostituire le cause materiali ed operare una trasformazione che non ha paragoni nella terra degli uomini.

San Tommaso sostiene la presenza reale dinanzi alle numerose difficoltà che possono essere sollevate dai detrattori. Il pane consacrato può essere spezzato, perché Cristo è presente in ciascuno dei singoli pezzi di pane. La precedenza cronologica della consacrazione del pane rispetto al vino non implica che ci sia un momento in cui il corpo di Cristo sia presente senza il suo sangue. In questo caso san Tommaso ricorre ad un nuovo principio, quello della "reale concomitanza". In base ad esso, dove c’è il corpo di Cristo, necessariamente c’è anche il sangue e viceversa.

Il pane ed il vino consacrati possono inebriare e nutrire. Infatti per la potenza della consacrazione in modo miracoloso è concesso alle specie del pane e del vino di continuare ad esistere, senza il proprio soggetto. Allo stesso modo, in maniera altrettanto miracolosa è concesso agli accidenti del pane e del vino di continuare a nutrire ed inebriare.

La presenza reale non è intaccata nemmeno dalla condizione di peccato di chi l’assume: va decisamente rigettata l’opinione di quanti affermano che la presenza di Cristo scompaia, non appena il pane ed il vino consacrati toccano le labbra del peccatore.

d. Le parole della consacrazione

San Tommaso indugia a lungo sulle "parole della consacrazione", rilevando il significato, la verità e la convenienza della forma con cui ci sono state trasmesse. Esse risalgono espressamente a Gesù, che le pronunciò durante l’ultima cena, prima di essere condotto a morte. Il loro significato compie la transustanziazione: sono proprio queste esatte parole, pronunciate dal sacerdote, a trasformare il pane ed il vino in corpo e sangue di Cristo.

San Tommaso sgombra il campo da eventuali obiezioni sulla formula di consacrazione ed espone la concezione classica dell’efficacia dei sacramenti, supportato da sant’Agostino. Le parole della consacrazione sono dette espressamente sul pane e sul vino che il sacerdote ha offerto al Signore. Dopo che egli materialmente ha pronunciato l’intera formula consacratoria, prima sul pane e poi sul vino, per la potenza che viene da Cristo, avviene la transustanziazione. Infatti, i sacramenti fanno accadere ciò che significano: le formule dei sacramenti non sono soltanto "informative" del significato di quanto si sta celebrando, ma lo fanno accadere realmente. Esse sono parole che per potenza di Dio realizzano ciò che significano. In qualsiasi tempo esse vengano pronunciate e da qualsiasi sacerdote, queste parole non perdono la loro forza: vis consacrationis.

Questa concezione dell’efficacia sacramentale è strettamente connessa al modo di intendere il rapporto tra linguaggio e realtà. Le parole e la struttura grammaticale non sono nuda nomina, ma permettono di cogliere il significato della realtà.

Lo sforzo attento e "formale" di precisare i concetti ed individuare i termini esatti, che sottende il procedimento riflessivo di san Tommaso, non avrebbe alcun significato se non ci fosse l’intima persuasione che le parole non solo possono esprimere la conoscenza dell’intelligibilità della realtà, ma possiedono in se stesse l’essenza e le proprietà della realtà. Le parole quindi sono "reali", cioè fanno parte della realtà perché ne esprimono l’essenza.

Non si può intendere in altro modo l’attenzione con la quale Tommaso si sofferma ad analizzare la costruzione sintattica della formula di consacrazione. Gesù dice "questo" e così usa un "pronome" anziché un "nome", con il quale vuole indicare proprio il pane e non altro: in questo modo egli afferma che ciò che è contenuto sotto gli accidenti del pane è il suo corpo. Inoltre, siccome nella consacrazione la "materia consacrata" cambia la propria sostanza, nessun altro verbo si poteva usare se non il verbo sostantivo (verbum sostantivum), come è manifesto nella frase "Questo è il mio corpo". Attraverso queste parole viene espresso il fine, che si realizza attraverso il significato delle parole stesse.

Attenta si rivela anche l’analisi delle parole pronunciate sul vino. Gesù dice "Questo calice" per indicare in modo "metaforico e metonimico" sia il contenuto che la passione, usa il termine Testamentum che nelle Scritture ha due significati e vuole esprimere la commemorazione della Nuova Alleanza per mezzo del suo sangue. San Tommaso aggiunge che non qualsiasi formula è efficace per la consacrazione ma soltanto quella che è stata riconosciuta tale dalla Chiesa. Ed infine, per consacrare il vino non basta dire "Questo è il mio sangue" perché quanto segue è una "determinazione del predicato" e specifica il significato della stessa formula consacratoria. Per questa ragione, l’intera formula deve essere pronunciata sino in fondo, perché possa essere efficace.

La fiducia, che traspare in san Tommaso nella ragione e nel linguaggio come strumenti per comprendere la verità, segna la differenza tra il Medioevo e la nostra epoca. Il limite di questo procedimento diventerà trattare le parole come la realtà stessa, dimenticandosi della realtà oggettiva.

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00domenica 16 novembre 2008 16:58

e. Il significato dell’Eucaristia

L’Eucaristia è "il memoriale della passione di Gesù". san Tommaso lo ripete spesso ed è il primo significato che si evince leggendo questi fogli. In questo sacramento la Chiesa "fa memoria" dell’ultima cena di Gesù e di tutta la sua vicenda di passione e morte. Nel suo sangue viene sancito un nuovo patto tra Dio e l’uomo, che ormai non potrà più essere cancellato. Questo rito, consegnato dallo stesso Gesù alla sua Chiesa, non cesserà sino alla fine dei tempi.

A più riprese e citando sant’Agostino, Tommaso afferma che "l’Eucaristia è il sacramento dell’unità e della carità della Chiesa". Per questa ragione, essa riguarda l’intera comunità cristiana (tota familia), non solo un piccolo gruppo di fedeli. La simbologia stessa del rito ci aiuta a comprenderlo: come il pane è fatto di molti chicchi di grano e l’uva di molti acini, così anche la Chiesa è costituita dai molti credenti. L’effetto dell’Eucaristia è di manifestare e creare la comunione di ogni cristiano con la Chiesa intera: l’Eucaristia fa la Chiesa.

Nell’Eucaristia il fedele si incontra con Cristo, presente realmente nel pane e nel vino consacrati, fine e scopo di tutta la grazia santificante. La presenza reale assicura l’oggettività di questo incontro, possibile solo a chi accoglie l’Eucaristia con fede. Perché questo incontro personale con Cristo sia fruttuoso, san Tommaso ricorda che ogni fedele deve assumere con il massimo rispetto e con la massima devozione, dopo aver valutato che in se stesso non ci sia né volontà di peccare e né ombra di peccato. Solo così egli potrà mangiare "sacramentalmente e spiritualmente" e partecipare alla res del sacramento, che è la carità, per mezzo della quale si costituisce l’unità della Chiesa. San Tommaso esorta ciascuno a valutare personalmente l’effetto che produce in lui l’Eucaristia. Se egli sente crescere l’amore nei confronti di Cristo e la forza per resistere al peccato, allora faccia frequentemente la comunione. In caso contrario, è meglio che si comunichi più raramente.

Un altro aspetto, che emerge dalla esegesi di san Tommaso, ci porta a leggere l’Eucaristia nella sua funzione di liberazione dal peccato. Infatti, il sangue di Cristo è stato effuso per la remissione dei peccati di tutti gli uomini, come dice san Giovanni in 1 Gv 2,2. Tuttavia non tutti gli uomini si rendono degni di ricevere gli effetti della passione del Signore e per questo Gesù dice espressamente "Per molti", cioè, pur essendo destinato a tutti, questo sacrificio sarà rifiutato da alcuni. Inoltre, c’è una relazione tra il sangue dei sacrifici propiziatori dell’Antico Testamento e quello sparso da Cristo: entrambi infatti promettono un bene. Tuttavia solo il sacrificio di Cristo introduce il fedele nella vita della gloria e gli promette un’eredità eterna, come dice la lettera agli Ebrei.

f. L’Eucaristia ed i peccatori.

In diversi punti san Tommaso fa affiorare il rapporto problematico tra Eucaristia e peccatori. Infatti, se è vero che l’Eucaristia è per la remissione dei peccati, allora non si vede perché i peccatori debbano essere esclusi dall’Eucaristia. Tanto più che Gesù dice: "Il medico non si occupa dei sani, ma dei malati" (Mt 9, 12). Tuttavia l’Eucaristia è il sacramento della carità e dell’unità della Chiesa. Poiché il peccatore manca di carità e si è separato dall’unità della Chiesa per sua scelta, se accedesse all’Eucaristia, commetterebbe un atto pubblicamente falso, perché manifesterebbe a sé ed agli altri di avere una carità che in realtà non ha. Al peccatore, quindi, è lecito soltanto guardare l’ostia consacrata.

Nel caso particolare dei Corinzi, essi si sono resi colpevoli nei confronti dell’Eucaristia perché hanno peccato contro Dio e contro il prossimo. Essi hanno trasformato la casa del Signore in un luogo di gozzoviglie, dove i ricchi si ubriacano ed i poveri restano senza cibo, ed hanno rotto la comunione all’interno della Chiesa, che è la res dell’Eucaristia, trattando la celebrazione eucaristica come un oggetto da spadroneggiare e da rivendicare. Per questo, essi non sono più in grado di distinguere il corpo di Cristo da un qualsiasi altro cibo: hanno snaturato il suo significato e si sono resi gravemente colpevoli.

Quindi, il peccato contro l’Eucaristia distrugge la comunione all’interno della Chiesa e la comunione del fedele con Dio. San Tommaso afferma che chi assume indegnamente disprezza ciò che è presente nelle specie del pane e del vino consacrati, cioè il corpo ed il sangue del Signore. E’ come se uccidesse un’altra volta Cristo, non "secondo uguaglianza, ma secondo similitudine".

Per non rendersi colpevole di un altro peccato, il peccatore prima di accostarsi alla comunione deve ricorrere al sacramento della confessione per riconciliarsi con la Chiesa.

La gravità con cui è presentato il peccato contro l’Eucaristia mette in evidenza tutta l’importanza che questo sacramento assume per san Tommaso (e per la Chiesa del Medioevo). La ricorrenza dei termini come dignitas huius sacramenti oppure reverenter sumere hunc sacramentum ci avverte che qui si tocca un punto fondamentale della vita spirituale di un uomo, san Tommaso, e di un’epoca.

La legge del digiuno dalla mezzanotte, la gravità dell’aggiungere l’acqua al vino dopo la consacrazione, che pertiene al crimine di sacrilegio, il paragone del peccatore che assume indegnamente l’Eucaristia con gli uccisori di Cristo, il castigo divino narrato da Paolo e ricaduto sui Corinzi, la precisione dei termini da usare nella formula della consacrazione affinché essa sia efficace, l’elaborazione di una teologia che renda ragione della presenza reale, il ricondurre espressamente l’istituzione dell’Eucaristia a Cristo: tutto questo ci conferma che per san Tommaso l’Eucaristia è il "primo dei sacramenti".

Questa "eminenza" del sacramento dell’Eucaristia rispetto agli altri non va collocata all’interno di una scala gerarchica fredda ed esteriore, quasi si trattasse di un assioma, che si pone all’inizio di una serie concatenata di successivi teoremi. In san Tommaso l’Eucaristia si colloca dentro una visione teologale di tutta la realtà, nella quale l’uomo cerca e può trovare la via della salvezza incamminandosi sulle strade segnate da Cristo: l’Eucaristia è la strada maestra.

Dunque, all’origine ed alla fine della riflessione teologica di san Tommaso, c’è la vita: la vita del maestro dell’Università, che svolge la sua professione accogliendo criticamente le conoscenze della tradizione e dei professori contemporanei; la vita dell’uomo di Chiesa, che ha sempre lavorato in ossequio al magistero; la vita dell’uomo di fede, che vede nel Cristo il senso della sua vita.

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Cattolico_Romano
00domenica 16 novembre 2008 16:59
 
NOTE:

Cfr. 1 Cor 11, 1-16.

Sal 101, 23 e Sal 110, 1.

Sir 10, 13 e 1 Tim 6, 10.

Cfr. 1 Tim 6, 3.

Cfr. Agostino, De Civ. Dei, lib. XVI.

Cfr. Mt 26, 26.

Cfr. Sir 11,19 e Os 4,18.

Cfr. Ne 8,10 e Gb 31,17.

Cfr. Gv 2, 16.

Cfr. Gal 1,1.

Mt 11, 27.

Cfr. Gv 6, 54.

Cfr. Ger 31,31.

Cfr. Dionigi, Ecc. Hier. 7, 10.

Cfr. Rm 3, 24

Cfr. Apc 17, 15.

Gv 19,34.

Cfr. Mt 28, 20.

Cfr. Agostino.

Cfr. Gv 6,58.

Rm 14, 22.

Littera, spiegazione delle parole e delle frasi; sensus, significato del brano letto; sententia, esatta intelligenza del pensiero dell’autore sacro.

Cfr. n. 631.

Cfr. n. 632.

Cfr. n. 673.

Cfr. Gv 29, 34.

Cfr. nn. 627-628.

Cfr. nn. 678-679.

Cfr. l’analisi dei termini usati e della costruzione grammaticale della frase.

Cfr. n. 648

Cfr. n. 665.

Cfr. Quodlibet, IV, a. 16, Parigi 1271.

Agostino appare 9 volte e le opere citate sono De Civitate Dei, Super Ioannem, Regula, De Poenitentia, Quaestiones libro LXXXIII..

San Tommaso per Glossa intende la Collectenea in Epistolas Pauli di Pietro Lombardo, citata 5 volte.

Di Dionigi è citata 2 volte l’opera Ecclesiasticae Hierarchiae.

Cfr. cit. in n. 628.

Cfr. cit. in n. 630.

Cfr. n. 654.

Cfr. n. 691.

Cfr. cit. in 636.

Cfr. cit. in n. 662.

Cfr. cit in n. 667.

Cfr. cit. in n. 680.

Cfr. cit. in n. 691.

Cfr. cit. in n. 622.

Cfr. n. 673.

Cfr. n. 684.

Cfr. n. 632.

Cfr. n. 680.

Cfr. n. 645.

Cfr. n. 648.

Cfr. n. 656.

Cfr. nn. 655-671.

Cfr. n. 659.

Cfr. n. 639.

Cfr. n. 647.

Cfr. n 651.

Cfr. n. 660.

Cfr. n. 691.

Cfr. n. 690.

Cfr. n. 663.

Cfr. n 664.

Cfr. n. 673.

Cfr. n. 674.

Cfr. n. 643.

Cfr. n. 694.

Cfr. nn. 662-663.

Cfr. nn 666-669.

Cfr. n. 674.

Cfr. n. 666-669.

Cfr. n. 670.

Cfr. nn. 677-679.

Cfr. n. 680.

Cfr. nn. 648, 653, 656, 671, 677, 679, 681, 682, 683.

Cfr. n. 686.

Cfr. n. 639.

Cfr. n. 654.

Cfr. n. 660.

Cfr. n. 689.

Cfr. n. 696.

Cfr. n. 698.

Cfr. n. 699.

Cfr. n. 682.

Cfr. Eb 10, 19; 9, 15.

Cfr. n. 691.

Cfr. nn. 636- 639.

Cfr. n. 697.

Cfr. n. 693.

Cfr. n. 690.

Cfr. n. 632.

Cfr. n. 684.

Cfr. n. 693.

Cfr. nn. 702-704.


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