Ron Howard: "Il mio Codice da Vinci è buon cinema non provocazione"

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vanni-merlin
00sabato 13 maggio 2006 14:14
Parla il regista del controverso film a 10 giorni dall'uscita in tutto il mondo
"Non obbligo nessuno a vederlo, negare il diritto di farlo è però un atto fascista"


Ron Howard: "Il mio Codice da Vinci
è buon cinema non provocazione"

di SILVIA BIZIO



LOS ANGELES - Ron Howard, l'ex Ricky Cunningham di "Happy days", oggi con barbetta rossiccia e baffi, sempre più calvo; Tom Hanks invece coi capelli sempre più lunghi come a voler sfidare il tempo (compie 50 anni a settembre): oggi sono la coppia regista/attore più sexy del momento, dato che il loro Codice Da Vinci, una produzione Sony da 125 milioni di dollari tratto dal mega-best-seller di Dan Brown, sta per uscire. Data fatidica per il thriller teologico è il 19 maggio, due giorni dopo il debutto in anteprima al Festival di Cannes. Mancano dunque 10 giorni: ma Howard confessa che il film non è ancora del tutto finito ed è per questo che a noi giornalisti della Hollywood Foreign Press ha mostrato solo 35 minuti dell'attesissimo film che sta facendo tremare l'Opus Dei.

35 minuti che però danno l'idea dell'opera, centrata su un delitto che svela l'esistenza di una società segreta devota da centinaia di anni a proteggere il mistero della vera identità femminile della discendente di Gesù Cristo e Maria Maddalena (che si suppone fossero sposati). Sì, l'Opus Dei viene menzionata nel film, e sì, il film segue molto fedelmente la trama del libro. Tom Hanks interpreta il professor Robert Langdon, un Indiana Jones della simbologia, mentre la francese Audrey Tautou ("Amelie") è l'esperta in criptologia Sophie Neveu, che aiuta Langdon nella sua formidabile inchiesta. Ian McKellen è lo studioso Sir Leigh Teabing, Jean Reno il capitano della polizia francese Bezu Fache, e a completare il cast internazionale c'è l'inglese Paul Bettany nei panni del monaco albino Silas.

Inutile stuzzicare Howard o Hanks sulle controversie che stanno accompagnando l'uscita del film, compresa la minaccia di certe organizzazione cattoliche di bandirlo dalle sale. Per loro il dibattito non sussiste perché il film è "fiction", come lo era il romanzo di Brown. Ma un po' di "rumore" fa sempre comodo alle sorti commerciali di un kolossal. "Di natura sono il contrario del provocatore", dice alla fine della proiezione Ron Howard, l'ex Richie Cunningham di "Happy Days". "Tuttavia ho scelto questa storia perché alcune idee nel libro sono decisamente intriganti. Se il cinema sa generare una discussione e un dibattito civili vuol dire che è buon cinema".

Signor Howard, non teme quindi l'eventuale boicottaggio della Opus Dei?
"Sono un regista, dunque uno che racconta storie: per me la libertà di espressione è sacra. Rispetto chiunque decida di non andare a vedere il film. Nessuno li obbliga a farlo. Ma negare il diritto di vederlo è un atto fascista".

Nessuno, oltretutto, ha ancora visto il film intero.
"Esatto. Come si può boicottare un film prima di averlo visto? Questo è odioso dogmatismo settario".

Ma il contenuto del romanzo di Brown è noto a tutti.
"Ma il film è un'opera a se. E comunque anche il libro è di finzione, non un trattato storico-teologico da prendere con fanatica serietà. Il contenuto del libro lo conoscono tutti e non sarebbe stato possibile soppiantare le idee più controverse per evitare eventuali critiche. Ormai sanno tutti che alcuni gruppi cattolici ci hanno chiesto di mettere all'inizio del film la scritta: questo è un film di finzione. Mi sembrava ridicolo. Come lo è sottovalutare l'intelligenza del pubblico".

Durante la realizzazione del film ha mai cercato di incontrare membri del Vaticano o dell'Opus Dei?
"No, anche perché ho affrontato la teoria cospiratoria al pari, che so, di un losco piano della CIA contro i voleri della Casa Bianca. E impostato la trama intorno al classico "What if?", cosa succederebbe se...".

Ci sono riferimenti alla realtà che stiamo vivendo?
"C'è una sottotrama con due personaggi pericolosi fondamentalisti militanti. Per loro la fede cieca è una virtù, che poi si trasforma in militanza che porta all'odio e al sangue. Il mondo in cui viviamo è testimone che quando la fede si trasforma in militanza le conseguenze sono disastrose".

Mr. Hanks, la pensa così anche lei?
"Si, Il codice Da Vinci non è un documentario ma nemmeno un'affermazione teologica. Offenderà qualcuno né più né meno di tanti altri film. E vi assicuro che se il romanzo di Brown avesse venduto solo 100.000 copie, non staremmo qui a parlarne tanto".

Vuol dire che anche come lettore, e soprattutto considerata la sua educazione cattolica, non si è posto i quesiti sollevati da Brown?
"Mi affascinano le speculazioni astratte, ma niente nel libro mi ha sorpreso più di tanto. E poi tutto è soggetto a interpretazione. Ogni libro in cui sostiene che Da Vinci, Isaac Newton o Scooby Doo appartengono a una società segreta che cerca di alterare il corso della storia diventa per forza un bestseller".


(10 maggio 2006)


da: www.repubblica.it/2006/05/sezioni/spettacoli_e_cultura/codice-da-vinci/intervista-ron-howard/intervista-ron-how...


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