Roma Papale

pedrodiaz
00mercoledì 15 settembre 2010 17:45
Lettera Ottava

NOTE ALLA OTTAVA LETTERA.



Nota 1. - Questa lettera non è inedita.

Questa lettera è l’unica che sia stata pubblicata in italiano: essa lo fu nel 1854 nel numero 31 del giornale la Buona Novella. Il direttore di quel giornale avendo letto il mio libro Papisme et Jesuitisme in francese, mi domandò il permesso di pubblicare questa lettera per dare una idea di quel libro: ed ebbe la bontà di farla precedere da un suo articolo bibliografico nel quale dà il suo giudizio sul libro, in termini troppo lusinghieri per l’autore.

Nota 2. - Neocattolicismo.

I Puseiti inglesi convengono perfettamente coi nostri Neocattolici italiani. I Puseiti non vorrebbero distrutta la Chiesa romana; ma vorrebbero stabilire una transazione fra essa e la riforma, inguisachè la Chiesa protestante e la Chiesa romana si accordassero facendosi delle scambievoli concessioni. I Neocattolici vorrebbero che la Chiesa romana si accordasse col progresso sociale e la filosofia; ed a forza di scambievoli concession si ponessero d’accordo. Queste supposizioni mancano di base. La religione o è da Dio o è dagli uomini: se è da Dio, gli uomini non la possono toccare; se è dagli uomini, essa è una impostura. La quistione va posta in un altro modo, cioè: il Cristianesimo è da Dio; il Cattolicismo romano è dagli uomini; togliamo dunque tutto quello che gli uomini, sieno papi, sieno concili, sieno protestanti, hanno aggiunto alla religione di Dio, ed avremo il vero Cristianesimo senza fare concessioni, che non sono in nostro potere di fare.

Siccome queste lettere furono fatte per l’Inghilterra, ove il puseismo è il verme roditore del Cristianesimo evangelico, così in esse si parla abbastanza di esso. Ma ora che esse si pubblicano in italiano, crediamo che sia bene far conoscere il neocattolicismo che è il puseismo italiano, e che ha propagatori e giornali, e ciò faremo quanto più brevemente ci sarà possibile in questa nota.

La parola neocattolicismo significa, come ognun sa, nuovo Cattolicismo, ed è definito dai neocattolici: "una riforma cattolica della Chiesa cattolica;" ma potrebbe esser meglio definito per un sistema religioso-politico per accordare il cattolicismo con la moderna civilizzazione e col progresso a forza di transazioni disciplinari, lasciando intatti i dommi. Il neocattolicismo è un sistema eunuco, che mentre offende il Cattolicismo che pretende sostenere, non può accontentare il progresso, con il quale pretende metterlo d’accordo.

È uno sforzo di preti e di devoti, i quali vorrebbero salvare il Cattolicismo in rovina.

Autori del neocattolicismo in Francia furono La Mennais, d’Alambert e La Cordaire, ed il loro organo era l’Avenir condannato da Gregorio XVI. Autori del neocattolicismo in Italia furono pure due preti, Rosmini e Gioberti: il primo lo abbozzò nel suo libro che per poco tempo ebbe voga, ma che poi fu dimenticato, intitolato Le cinque piaghe della Chiesa. Il secondo lo formulò più nettamente, e può dirsi il vero fondatore del neocattolicismo attuale. Egli in tutte le sue opere che ha scritte, dal Gesuita moderno in poi, ha sempre propugnata la idea di una riforma cattolica nella Chiesa cattolica; ma dove particolarmente ha manifestate le basi di questa riforma, è nella sua opera postuma intitolata La riforma cattolica. Nemico di ogni mezza misura nelle cose religiose, io potrei esagerare nell’esporre il neocattolicismo, mezza misura per eccellenza; perciò mi limiterò a citare testualmente alcuni brani del Gioberti, acciò i lettori possano conoscere questo sistema, attingendo alla fonte.

Il sig. Giuseppe Massari membro del Parlamento italiano, ed editore dell’opera La riforma cattolica di Gioberti, ci avverte nella prefazione, che ad essa premette, che "l’assunto che Vincenzo Gioberti si proponeva di svolgere nel libro, di cui non restano se non questi frammenti, consisteva nel dimostrare che la Chiesa ha mestieri di riforma, e nel determinare in quali limiti, ed in quali modi questa riforma debba essere praticata. Quando diceva riforma, era alienissimo dall’accennare menomamente al domma, il quale voleva conservato irremovibilmente nella sua integrità; anzi fra le ragioni che egli ravvisa per propugnare con maggiore ardore la riforma nella disciplina ecclesiastica, primeggiava appunto quella di giovare con ciò al domma medesimo." Ecco dunque le basi del neocattolicismo, prima: non toccare il domma, anzi volerlo conservato irremovibilmente nella sua integrità; seconda: fare una qualche riforma disciplinare; terza: però essa deve avere per iscopo di giovare a rafforzare il domma.

Gioberti stesso poi spiega in che debbe consistere tutta la riforma cattolica della Chiesa cattolica; essa deve consistere nel salvare il Cattolicismo pericolante: ecco le sue parole (Riforma cattolica § 117): "Il Giansenismo e il Gesuitismo risorti si accostano alla loro fine. Ma l’eccesso avendo prodotto l’eccesso, anche il Cattolicismo sincero è in pericolo. Che bisogna fare per salvarlo? Scevrarlo francamente da tutte le umane aggiunte: purgare l’oro dall’orpello." Il cuore si dilata nel sentire cotali cose; sembra che Gioberti voglia togliere dal Cattolicismo ogni elemento umano, e restituirlo alla purità e semplicità de’ tempi apostolici; ma s’inganna chi la pensasse così; e Gioberti stesso lo toglie di errore. Tutto cotesto franco scevramente da tutte le umane aggiunte, consiste, secondo Gioberti, a farvene delle altre; ecco difatti come egli prosegue il periodo che noi abbiamo interrotto: "metterlo d’accordo coi veri progressi della filosofia, e delle istituzioni civili."

Venendo poi al concreto di cotali riforme, ecco in che le fa consistere: "§ 90 Condizioni necessarie al restauro del Cattolicismo, prima: sottrazione del governo temporale al papa, ovvero secolarizzazione di esso governo con statuto rappresentativo..... seconda: modificazione del celibato de’ chierici, terza: abolizione dell’ordine de’ Gesuiti, quarta: inamovibilità del clero inferiore, quinta: soppressione dei voti monastici in età immatura, sesta: istruzione superiore in una parte del clero, radicale riforma de’ seminari e della educazione ecclesiastica in genere, settima: modificazione ovvero abolizione della congregazione dell’Indice." Ecco le radicali riforme proposte dai neocattolici, i quali si protestano che vogliono salvare il Cattolicismo!

Ma chi dovrebbe fare cotali riforme cattoliche nella Chiesa cattolica? Se si vuol continuare ad essere cattolici, bisogna riconoscere il papa come capo della Chiesa, come Vicario di Gesù Cristo; nessun cattolico dunque, nè tutti i cattolici insieme potrebbero imporre al papa; e perciò Gioberti confessa che "il papa ex cathedra è infallibile," che la Chiesa è l’uditorio del papa (§ 17). I neo cattolici si dichiarano dunque non discepoli di Gesù Cristo, ma del papa; ed i discepoli parlano di riformare la scuola e il maestro? Gioberti confessa (§ 47) che fuori della Chiesa cattolica non vi è salute, che "l’uomo divulso dalla Chiesa è morto e non vivo;" quindi i neocattolici discepoli vogliono riformare la scuola (che è la Chiesa), vogliono riformare il maestro infallibile (che è il papa), senza uscire neppure per un momento dalla scuola, senza mai sottrarsi dalla dovuta sommissione al loro maestro infallibile. E cotali assurdità sono uscite dalla penna di un Gioberti, e trovano ammiratori e seguaci in Italia!

Nel § 169 ci svela come deve farsi questa famosa riforma cattolica della Chiesa cattolica, che è il sogno dorato, o a dir meglio la aberrazione de’ neocattolici. Essa deve essere fatta da Roma. "Finora, egli dice, si volle riformar Roma senza Roma. Bisogna riformar Roma con Roma; fare che la riforma passi per le mani di chi deve essere riformato. Questa è l’arte vera e d’infallibile effetto." Questo discorso ridotto a termini più semplici, ci sembra voglia dire, che il riformatore deve essere colui che deve essere riformato; e questa è l’arte vera e d’infallibile effetto? aspettino pure i neocattolici, ma avranno da aspettare in eterno senza vedere l’infallibile effetto della loro arte vera.

Però siamo giusti: Gioberti non pretende che il papa di proprio moto riformi se stesso e la Chiesa; egli crede che la Chiesa possa condurre il papa alla riforma; "si deve operare sulla Chiesa colla Chiesa." Anche qui però mi pare vedere più un giuoco di parole che un vero sentimento. Chi è che deve operare colla Chiesa sulla Chiesa? è la Chiesa? ma allora essa opera con sè stessa: è qualcuno fuori della Chiesa? ma chi? e con qual diritto?

Alcune linee dopo ci sembra avere ritrovato il bandolo: sono i neocattolici che debbono operare sulla Chiesa e colla Chiesa; essi sono che debbono cercare di "convertire l’opinione pubblica, anzichè l’individuo." Ma con quali mezzi? eccoli: "Bisogna aggirare gli uomini per far loro del bene, non urtarli. Questo è machiavellismo santo."

Noi dobbiamo essere obbligati al signor Gioberti per averci così candidamente esposta la riforma della Chiesa cattolica. Questi riformatori si credono non solo autorizzati, ma obbligati ad aggirare, cioè ingannare, gli uomini per far loro del bene; ed una cotal maniera di agire è chiamata dal gran filosofo santo machiavellismo! Il martello dei Gesuiti adopera il principio favorito del Gesuitismo, quando fa in suo favore!

Conosciuto così di volo il neocattolicismo ne’ suoi principii, vediamone parimente di volo le conseguenze.

Il neocattolicismo è il Giuda del Cristianesimo secondo il Vangelo e del Cattolicismo romano: esso accarezza ambedue e tradisce ambedue. Esso accarezza il papismo, riconoscendo il papa per capo della Chiesa, ammettendo la di lui infallibilità, e conservando irremissibilmente e nella loro integrità tutti i dommi della Chiesa romana: ma nello stesso tempo lo ruina non sottomettendosi, che con restrizioni non ammesse, alla obbedienza intera e cieca di colui che confessa essere il capo infallibile della Chiesa, ed il vicario di Cristo. Per riguardo ai dommi, esso ammette tutti i dommi della Chiesa romana; non facendosi però scrupolo di escludere quelli che non gli fanno comodo.

Difatti cosa sono i dommi pe’ neocattolici? "Il domma non sottostà allo spirito (dell’uomo), e lo spirto non sottostà al domma. O piuttosto il domma e lo spirto sottostanno e soprastanno l’uno all’altro in diverso modo. Onde assolutamente si pareggiano. In quanto il domma sovrasta, v’ha autorità; in quanto lo spirito signoreggia, v’ha libertà... il domma deve emergere da tutti i dati; è la risultante loro. E i dati non sono solo sovrannaturali, ma anco naturali. Così non la rivelazione sola, ma anco la ragione; non la Bibbia sola, ma anco la geologia, l’archeologia, e filosofia universale... la filosofia empirica fa emergere il domma dai soli dati soprannaturali," Gioberti, Filosofia della rivelazione § 4.

Ecco dunque cosa è pe’ neocattolici quel domma che deve essere conservato irremovibilmente nella sua integrità! non è nè più nè meno di un pretto razionalismo; non è la divina autorità che dà i dommi come ritengono gli Evangelici; non è la Bibbia, la tradizione e la Chiesa, come ritengono i Cattolici, ma è la ragione, la geologia, l’archeologia, la filosofia. Chi ammette che i dommi vengano dalla rivelazione divina, è un empirico, un ciarlatano. Ecco quanto è vero che il neocattolicismo rovescia l’Evangelo e rovescia la Chiesa romana, protestandosi di credere al Vangelo e di mantenersi costantemente figlio della Chiesa romana, fuori della quale, egli dice, non vi è nè vita nè salvezza.

I funesti effetti del neocattolicismo li vediamo; ma essi sono anche confessati dal suo patriarca Gioberti. Ecco con quali parole conchiude egli il suo libro sulla filosofia della rivelazione. "Parsimonia religiosa dell’Evangelo, distrutta dall’ascetismo, misticismo, gesuitismo. La religione come sacra si deve usare di rado: primo, perchè assorbisce l’uomo e lo distoglie dalla vita attiva; secondo, perchè a lungo si rintuzza e perde la sua efficacia. Il misticismo o toglie all’uomo la virtù creatrice, o corrompe il senso religioso, e lo getta nei più deplorabili eccessi." Chi poi volesse sapere cosa deve intendersi per quel misticismo che corrompe il senso religioso, non ha che leggere il § 23 della Riforma cattolica, ove è detto che S. Giovanni l’evangelista era nel primo grado di misticismo. Dunque leggendo e meditando l’Evangelo di S. Giovanni si perde la virtù creatrice, o si corrompe il senso religioso.

Cosa dunque inculca il neocattolicismo? "Parsimonia religiosa dell’Evangelo." La religione, secondo essi, deve avere in mira principalmente il bene sociale; l’altra vita è cosa secondaria. Quindi il Vangelo nelle cose religiose deve essere usato assai parcamente, salvo ad usarlo con prodigalità nelle cose politiche e sociali. "La religione si deve usare di rado;" essa non deve essere il pensiero di tutta la vita, come quella che sola ci conduce alla vita eterna. Se la religione si usa troppo spesso, allora "essa assorbisce l’uomo, e lo distoglie dalla vita attiva;" cioè dalla vita mondana. E non è una tale dottrina quella che corrompe ogni senso religioso?

Radicate una volta cotali massime nel cuor dell’uomo, esse sono assai peggiori della incredulità o della superstizione. L’uomo incredulo sente il suo vuoto; sente che la sua anima ha un bisogno religioso, che non può soddisfare; e se giunge a conoscere Gesù Cristo, è disposto a riceverlo, conoscendo che in lui trova intera e perfetta soddisfazione a tutti i suoi bisogni religiosi accumulando pratiche sopra pratiche; vedendo che esse fanno sulla sua anima quell’effetto che farebbe sopra uno stomaco affamato una quantità di cibi non digeribili, non è difficile ad accettare Cristo, se lo apprende per quello che realmente egli è. Ma il neocattolico è incredulo, lusingandosi di essere vero credente; è razionalista, lusingandosi di essere cattolico; si pasce di fantasmi, e considera Gesù Cristo come un misticismo che lo avvilisce, togliendogli "la sua virtù creatrice, corrompendo il suo senso religioso, e gettandolo nei più deplorabili eccessi."

Al neocattolicismo che si propaga si debbono quelle inesplicabili contraddizioni che si veggono continuamente nelle alte classi della società: si professa altamente la religione cattolica, e si calpestano le sue leggi; si va solennemente alla messa, e non si vogliono riconoscere le leggi della Chiesa; si dichiara che al religione cattolica è la sola religione dello Stato, e non si ubbidisce al capo infallibile di essa; si proclama il papa vicario di Cristo e capo santissimo della loro religione, e si ride pubblicamente delle sue scomuniche; anzi se ne fa pompa come di un onore, ed a suo dispetto si vuol continuare ad essere cattolici. Si proclama il Papa capo unico, assoluto, indipendente, infallibile del cattolicismo, e non solo non si ubbidisce ai suoi ordini, ma gli s’impedisce di darli, e si gastigano coloro che, più logici di essi, vogliono ubbidire. Da qui la generale corruzione del senso religioso nel popolo, che con quel fantoccio di religione ha scosso l’antico giogo che pure alquanto lo riteneva; e non ha ad esso sostituito il giogo soave di Gesù, che solo potrebbe moralizzarlo.

Il neocattolicismo per l’Italia è quello che è per l’Inghilterra il puseismo. Il puseismo minaccia di condurre l’Inghilterra al papismo; il neocattolicismo minaccia di condurre l’Italia allo scetticismo religioso. E come in Inghilterra il puseismo ha corrotta una gran parte del clero anglicano e le classi superiori della società; così ha fatto il neocattolicismo in Italia. Come in Inghilterra una porzione del clero anglicano segue e propaga il puseismo fra le alte classi; così in Italia i propagatori del neocattolicismo sono preti, e cercano attrarre gli uomini politici, i nobili, gli scrittori.

Non bisogna dissimularlo: i preti neocattolici non sono pochi; e, generalmente parlando, non sono nè i più corrotti nè i più edificanti; la maggior parte di essi non conoscono che superficialmente la dottrina che propagano. È pure infelice, da un lato, la condizione del prete italiano! Se egli vuol essere ubbidiente interamente al papa ed al vescovo, come ha giurato di fare, è malveduto, è retrogrado, è nemico della unità italiana e del governo; perchè a ciò lo costringe il giuramento col quale si è legato nella sua ordinazione; egli è perseguitato, è sfuggito, è disprezzato, è dileggiato; ed è obbligato a restringere le sue relazioni nella piccola cerchia de’ devoti. Un prete che spinto dal bisogno religioso abbandona la Chiesa romana per darsi al Vangelo, non solo perde ogni mezzo di sussistenza; ma ordinariamente perde la famiglia che non vuol più sentir parlare di lui; è in odio ai bigotti che lo chiamano Giuda, agl’increduli e politici che lo chiamano fanatico, ai neocattolici che lo chiamano pazzo; ed è costretto a limitare le sue relazioni fra i pochi proseliti evangelici, e qualche Cristiano straniero. Ma il prete neocattolico è sicuro di ritenere il suo beneficio, quand’anche fosse stato solennemente scomunicato e deposto dal papa; anzi in questo caso è sicuro di avere per soprassello la croce di cavaliere; le promozioni, le pensioni, le cattedre, ed anche i posti nel parlamento sono per lui; egli è protetto dal governo, acquista il favore de’ liberali moderati e si confonde con essi; sa che col neocattolicismo nulla ha a perdere, molto a guadagnare; ed ecco il perchè molti e molti preti sono neocattolici.

Potremmo ancora dir molto su questa piaga religiosa e sociale del neocattolicismo, ma per una nota abbiamo detto anche troppo.
pedrodiaz
00mercoledì 15 settembre 2010 17:45
Nota 3. - Abuso de’ passi della Bibbia.
Il Concilio di Trento nella sessione quarta vieta sotto pene di diritto e di arbitrio: juris et arbitrii poenis: di usare i passi della S. Scrittura, in scurrilità, in cose favolose, e vane; in adulazioni, maldicenze, superstizioni empie, incantesimi, divinazioni, sorti, satire ec. Questo decreto, che non si è mai dovuto fare in alcuna Chiesa protestante, dimostra che nella Chiesa romana esisteva questo empio abuso: ma esso non è stato mai riformato, sebbene il Concilio di Trento lo avesse condannato per la forma. Diciamo per la forma; perchè in primo luogo le pene di diritto minacciate dal Concilio di Trento non esistono; non essendovi nel diritto canonico niuna pena per tale delitto: le pene di arbitrio non sono mai state applicate; ed io sfido tutti i teologi romani a citarmi un solo fatto di chi sia stato gastigato per avere scherzato co’ passi della Bibbia.

I preti ed i frati alquanto dotti, in Roma, si fanno un pregio nelle loro conversazioni arcimondane di ornare sempre i loro discorsi con passi della Bibbia: ciò mostra il loro spirito, e cotali empietà sono accolte con risa sgangherate dai preti e frati che ascoltano, e sono spesso ricambiate. Esiste un libro, alquanto raro invero, chiamato nungoe lambertinianoe, ed è una raccolta di facezie, quasi tutte tratte dalla Scrittura, che si attribuiscono a Papa Benedetto XIV. Si dice per esempio, che quel papa rispondesse ad una supplica di certi canonici che chiedevano l’uso della bugia: Filii hominum usquequo gravi corde; ut quid diligitis vanitatem, et quoeritis mendacium? Parole tratte dal salmo quarto. Il cardinal della Somaglia, da me conosciuto, che era uno dei luminari del Sacro Collegio, soleva, citando il salmo 119 (secondo la volgata), dire delle leggi di Roma che di esse si dice la mattina legem pone; a mezzo giorno deficit; e se arrivano al dopo pranzo mirabilia: e questo detto è ripetuto continuamente da’ preti, prelati e cardinali, come cosa sapientissima. Quando, dopo un lauto desinare, i preti ed i frati si dànno a strabocchevole allegria, citano il passo dei proverbi vinum cor hominis loetificat. Quando si fanno satire, e si fanno parlare Pasquino e Marforio; se le satire sono fatte da preti si vede subito, perchè sono composte di parole scritturali. Quando s’impose la gabella sulla carta bollata, e la regìa sui tabacchi, Pasquino diceva al papa: "Contra folium quod vento rapitur ostendis potentiam tuam, et stipulam siccam persequeris, e si trovò da tutti spiritosissima. Quando si celebra il conclave, si fanno delle satire chiamate il setaccio, perchè sono passati in rassegna tutti i cardinali, ed a ciascuno di essi è applicato in senso di satira un passo della Bibbia. Insomma l’abuso della Bibbia è così innestato nel clero romano, che è più bravo e più lepido, chi ne’ suoi discorsi può cucire più passi di Bibbia, sempre a sproposito.

Nota 4. - Parrocchietta.
In ogni parrocchia di Roma vi è una camera al piano terreno che si chiama la parrocchietta: è là che sono gli archivi parrocchiali, è là che il parroco dà udienza al popolo nelle ore destinate, è là ch’egli riceve in altre ore le sue bigotte. Se quelle mura potessero parlare, se ne sentirebbero davvero delle belle!

Nota 5. - Il beccamorti.
Il beccamorti è una persona importante in una parrocchia. Ve ne erano tre principali a Roma, ed uno di essi era così ricco che teneva carrozza. Ognuno di essi serve molte parrocchie, ed in ogni parrocchia deve tenere un garzone beccamorti, il quale deve servire il parroco in tutto e per tutto, ed essere sempre a sua disposizione. Questo servo di nuovo genere fa le commissioni per il parroco, va a portare le lettere di risposta ai tribunali ed ai dicasteri; sorveglia a che l’udienza quotidiana vada regolarmente, e soprattutto a lui appartiene andare dalle di mala vita a chiamarle quando il parroco le domanda per ammonirle: allora egli va con la massima pubblicità, chiama la donna dalla strada, e fa la sua ambasciata pubblicamente.
pedrodiaz
00mercoledì 15 settembre 2010 17:46
Nota 6. - Il sagrestano.
Un’altra persona assai interessante nella parrocchia è il sagrestano laico. Fuori delle ore di udienza, è il sagrestano che riceve dai parrocchiani le commissioni; è egli che è consultato. Egli ordinariamente è anche l’archivista ed amanuense del parroco: egli estrae dai libri le fedi di nascita, di morte, di matrimonii; egli fa le fedi di vita per coloro che devono riscuotere pensioni, e poi porta tutto, al principio della udienza, alla firma del parroco. Esso può dirsi il segretario del parroco.

Nota 7. - Legge sugli alimenti.
Vi è una legge in Roma riguardo agli alimenti, che se ha il suo lato buono, ne ha però molti cattivi. La legge è questa. Quando una moglie è separata dal marito, un figlio od una figlia da’ genitori; quando un fratello, un cugino, un nipote è povero, e l’altro fratello, il cugino, lo zio non lo sono; la parte che domanda gli alimenti fa una supplica al cardinal Vicario o a Monsignor vicegerente, la munisce di un certificato di povertà del parroco, ed all’istante ottiene il decreto degli alimenti in quella quantità benevisa al cardinal Vicario o a Monsignor vicegerente; ed il cursore va senz’altro ad eseguire il decreto anche con la forza. La signora di cui si parla nella lettera (poichè è un fatto vero, non una finzione) ottenne dieci scudi al mese sui venti che ne aveva il marito, al quale restava anche il peso di mantenere due figli. La parte che si crede gravata può appellare è vero; ma durante la causa deve pagare gli alimenti tassati; più dare una somministrazione alla moglie acciò possa sostenere la lite contro di lui. E quando per caso vincesse, non può essere rimborsato nè degli alimenti prestati durante l’appello, nè della somministrazione per la lite. Oltre il fatto di questa signora che potrei nominare, io ricordo il fatto seguente. Un tal Domenico Martucci, cappellaio al Corso, uomo laboriosissimo e padre di famiglia, aveva un fratello di ottima salute, padre anch’esso di famiglia;... ma che non voleva lavorare. Fece l’istanza per gli alimenti, la corredò col certificato del parroco; ed il fratello laborioso fu condannato a pagare gli alimenti al fratello ozioso.

Nota 8. - Teoria delle bugie.
Non sarà discaro ai nostri lettori, conoscere la teoria delle bugie secondo la Chiesa romana.

Le bugie secondo il diritto canonico sono di otto differenti specie (part. 2, causs. 22, q. 2, cap. primum), tre delle quali formano il peccato mortale: le altre cinque specie non sono che peccati veniali. I teologi però han voluto rendere più semplice la teoria della menzogna, e la dividono solamente in tre classi; cioè, bugia giocosa, bugia ufficiosa, e bugia dannosa. La bugia giocosa è quando si mentisce per giuoco, senza alcuno scopo serio, e per il solo piacere di mentire. La bugia ufficiosa è quando si mentisce per iscusarsi, ovvero per produrre un qualche vantaggio a sè stesso o ad altri, senza che però ne venga per essa danno ad alcuno. La bugia dannosa è quando per essa ne viene ingiusto danno al prossimo. Le prime due classi di bugie, secondo la teologia romana, non sono che peccato veniale. Questa dottrina non solo s’insegna ne’ libri di teologia, ma s’insegna ai fanciulli nel catechismo.

In forza di questa dottrina, la bugia è disgraziatamente la cosa più comune in Italia. La prima cosa che apprendono i bimbi è la menzogna. Le madri, le nutrici, le serve, acciò i bimbi non piangano, acciò facciano quello che si vuole, li ingannano sempre con bugie. Il fanciullo, per esempio, non vuol prendere una medicina: gli si dice che essa non è medicina, ma un dolce; e così delle altre cose: sicchè i bimbi appena parlano, imparano a mentire. Ne’ seminari poi, ove si educano i ragazzi che debbono essere preti, la bugia è un elemento necessario, come il pane e l’acqua. Essa è ridotta ad arte, e chi sa meglio mentire mostra più talento, e dà di sè migliori speranze. Tutto ciò avviene, perchè ne’ seminari i giovani sono educati non col sistema di amore, come si dovrebbe usare nelle famiglie cristiane; ma col sistema de’ gastighi, come si usa fra padroni e schiavi: quindi è naturale che que’ poveri giovanetti, per evitare le punizioni, mentiscano; quindi la bugia diviene una tale abitudine che non vi si fa la menoma attenzione.

Sembrerà strana forse a qualcuno la teoria del nostro parroco che la bugia si cancella coll’acqua santa. Ma questa non è una facezia, è una dottrina della Chiesa romana. La bugia (non dannosa) è un peccato veniale: ora insegnano i teologi che i peccati veniali non è necessario confessarli, ma che se ne può acquistare la remissione in più modi senza la confessione: così insegna il Concilio di Trento sess. XIV, cap. V. I teologi poi spiegano quali sieno questi modi per i quali si ottiene il perdono de’ peccati veniali; ed essi sono, primo: la contrizione; secondo, le opere buone fatte con quella intenzione; terzo, ricevendo i sacramenti; quarto, con la preghiera, e specialmente col Pater noster, perchè in esso si dice dimitte nobis debita nostra: il diritto canonico dice (decr. 2 p. causa 33, q. 3, de poenit. dist. 3, cap. De quotidianis): "La quotidiana orazione de’ fedeli soddisfa pe’ quotidiani e piccoli peccati che in questa vita non si possono evitare; imperciocchè ai fedeli appartiene il dire Padre nostro che sei nei cieli... questa orazione scancella interamente i piccoli peccati di ogni giorno:" quinto, con l’acqua benedetta. E su questo punto ci piace citare un decreto che è nel diritto canonico nella 3 part., dist. 3 de consecrat., cap. acquam: "Noi benediciamo i popoli con acqua aspersa con sale, affinchè tutti coloro che ne sono aspersi sieno santificati e purificati. E comandiamo che così sia fatto da tutti i sacerdoti; imperciocchè se la cenere della giovenca aspersa con sangue santificava e mondava il popolo, quanto più lo santificherà e monderà l’acqua aspersa con sale, e consacrata con preci divine!" sesto, si cancellano con le elemosine: e qui citano due passi della Bibbia, uno tolto dal libro apocrifo di Tobia: "La elemosina libera da ogni peccato;" l’altro falsificato che secondo la Volgata direbbe: "Riscatta i tuoi peccati con le elemosine;" settimo si cancellano finalmente con la benedizione del vescovo o di un abate. Ecco con quanta ragione il nostro parroco parlava così leggermente delle bugie.

pedrodiaz
00mercoledì 15 settembre 2010 17:46
Nota 9. - Il crocchio.
Il crocchio italianamente significa una adunanza privata di più persone fatta nello scopo di parlare fra loro. I parrochi di Roma si raunano a crocchio ogni giovedì mattina, eccettuati i giovedì di quaresima. Il crocchio si fa per turno nella casa di uno di loro, ed è distribuito in modo che ogni parroco debba ricevere i suoi colleghi una volta all’anno. Quello nella casa del quale si fa il crocchio deve dare a tutti i suoi colleghi la colezione, che consiste in caffè, latte e cioccolata. Nel crocchio non sono ammessi altri, benchè preti, che non sieno parrochi. In essi si dànno e si ricevono scambievolmente tutte le informazioni riguardo alle donne di cattiva vita che da una parrocchia passano ad un’altra, riguardo a persone sospette o sconosciute; qualche volta si parla anche del come regolarsi in alcuni casi parrocchiali. Questa istituzione è buona; essa serve a mantenere i parrochi in comunicazione fra loro; e, se essa fosse diretta ad uno scopo spirituale, potrebbe essere utilissima.

Nota 10. - Parrochi bastonati.
In prova di quello che qui accenna il nostro parroco, addurremo alcuni pochi fatti accaduti in Roma al nostro tempo.

Il P. Jacobini, parroco de’ SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi, fu avvisato da una delle sue devote spie che nel pianterreno della casa A. in via Rasella era andata ad abitare una donna di cattiva vita: egli la notte andò per verificare la cosa, e, giunto pian pianino alla porta della casa indicatagli, si pose a guardare dal buco della toppa. Realmente un uomo era dentro; ma il compagno era in una porta di una casa vicina aspettando, e si teneva celato per non essere veduto. Quando vide il parroco in quella postura, andò pian pianino dietro a lui ed appoggiò sulla nuca del parroco un colpo così forte, che questi urtò di gran forza col viso contro la porta, e ne riportò contusioni e ferite. L’uomo che era dentro credendo che fosse la forza, corse ad aprire, e vedendo che invece era un prete gli diè il resto; e male sarebbe finita per il mal capitato parroco, se non si fosse raccomandato alle gambe.

Il parroco di S. Maria in Traspontina una notte travestito volle andare a sorprendere una sua parrocchiana. Entrò nella casa di lei, e la trovò con un uomo del popolo, il quale dato di piglio ad un randello incominciò a picchiare, gridando: Al ladro. Il povero parroco diceva: "Fermati, sono il curato." Ma il popolano picchiava più forte dicendo: "Non è vero, il nostro curato è frate, tu sei un ladro;" e picchiò finoacchè accorsero gente a levarglielo di mano. Il parroco fu condotto al convento (era frate carmelitano) così malconcio, che restò storpio per tutta la sua vita. Visse ancora sedici anni, ma senza potersi muovere dalla sua poltrona.

Il parroco di S. Pietro in Vaticano fu una notte percosso così orribilmente (con sacchetti lunghi a guisa di randelli ripieni di sabbia) sul petto e sul ventre, che fu lasciato morto sulla via; condotto in casa, visse ancora tre giorni, poi morì.

Il parroco D. Reginaldo Mattioli, di S. Tommaso in Parione, fu da me incontrato più volte di notte travestito; lo ammonii a non esporsi così al pericolo; poi lo avvisai che un tale si era vantato di volerlo uccidere, e gli dissi che chi lo minacciava era uomo da mantenere la parola; mi rispose ch’egli non temeva nessuno: forse andava armato, io non lo so. Ma pochi giorni dopo lo seppi malato di emottisi; era stato bastonato co’ sacchetti di sabbia. Egli però si ostinò a non voler dire cosa gli era accaduto, e non volle accusare nessuno. Tuttociò accade perchè i parrochi devono essere ministri di polizia nella loro parrocchia.

Nota 11. - Tribunali romani.
Roma abbonda talmente di tribunali, che nel ramo giudiziario può senza esagerazione dirsi una vera Babele. Noi non faremo che enumerare que’ tribunali, de’ quali, dopo tanti anni di assenza, ci potremo ricordare. Incominciamo dai tribunali civili.

Il tribunale della S. Rota romana, composto di dodici prelati di diverse nazioni. Esso giudica in primo ed ultimo grado le cause sul valore de’ rescritti o chirografi pontifici, e le cause di restituzione in intero con sentenza passata in cosa giudicata, quando però ne ha ottenuto il permesso dal papa. Giudica poi in appello tutte le cause maggiori di scudi 500, le cause di valore indeterminato; giudica altresì in terza ed ultima istanza le cause minori del suddetto valore, quando fossero state giudicate da due tribunali con sentenze contradittorie, lochè arriva assai sovente.

Il tribunale Supremo di Segnatura, composto parimente di prelati, giudica le cause di annullamento o circoscrizione di atti giudiziali e di sentenze: le quistioni di competenza, di unione o di avocazione di cause, di ricusa di giudici per legittimo sospetto, e di restituzione in intero. In questi due tribunali le cause si trattano solo per iscritto ed in latino, e non sono ammessi innanzi al tribunale nè gli avvocati nè i procuratori, né i liticanti.

La Piena Camera, o come volgarmente si dice il tribunale della Camera, è composto di prelati, e giudica in appello le cause che interessano il pubblico erario: inguisachè quando il governo perde una causa contro un particolare, appella al tribunale della Camera, cioè a sè stesso.

La congregazione camerale è un tribunale pel contenzioso amministrativo; è presieduto dal tesoriere, ossia ministro delle finanze, ed è composto di quattro prelati. Hanno in esso voto consultivo l’avvocato generale del fisco ed il commissario della Camera.

Il tribunale dell’Uditore della Camera, detto volgarmente l’A. C., ha molte ramificazioni.

Monsignore Uditore della Camera giudica per mezzo del suo uditore, in prima istanza le cause appartenenti al foro ecclesiastico, le quistioni sulla esecuzione delle bolle e lettere apostoliche; giudica in appello tutte le cause decise dai vicari generali delle diocesi dello Stato pontificio, non maggiori di scudi 500. L’uditore di Monsignore è un laico, ed oltre all’essere magistrato esercita anche la professione di avvocato patrocinante. Egli dà le sentenze; ma il prelato deve firmarle, anche se fossero contrarie alla sua convinzione.

Oltre l’uditore, il prelato dell’A.C. ha due assessori togati, i quali giudicano separatamente in prima istanza le cause di Roma al di sotto dei scudi 200, le cause di alimenti, di mercedi, e di danni dati.

La congregazione civile dell’A.C. è divisa in due turni. Essa giudica alternativamente in prima istanza le cause di Roma e Comarca maggiori di scudi 200, ed anche minori se trattasi d’interessi comuni, di provincie e del pubblico erario; di qualunque somma se trattasi di riduzione, di liberazione, di cancellamento d’ipoteche ec.; e quando si tratta contro esteri o assenti dallo Stato. Giudica in appello le cause decise dagli assessori e dai tribunali civili delle provincie, purché non superino i 500 scudi.

La congregazione civile dell’A.C. si compone in turno camerale composto di cinque giudici, ed allora giudica in prima istanza le cause concernenti lo stato delle persone e gl’interessi del pubblico erario.

La Congregazione civile prelatizia dell’A.C. decide in terza istanza le cause non maggiori di scudi 500. Presidente di tutte queste congregazioni o tribunali è Monsignor Uditore della Camera, il quale non interviene mai alle udienze, ma è obbligato a firmare le sentenze.

La Congregazione di revisione è presieduta da un cardinale, ed è composta di prelati e nobili laici. Essa decide in appello le questioni decise dalla Congregazione camerale; ed in via amministrativa decide se e come possano ammettersi le offerte per gli appalti, forniture ec.

Il Consiglio supremo è un tribunale composto di tre cardinali, cioè del cardinal decano, del segretario di Stato, e del presidente della Congregazione di revisione; e di tre prelati: esso decide in appello le cause giudicate dai cardinali legati e dalla Congregazione di revisione.

La Congregazione Lauretana era un tribunale eccezionale civile e criminale che si divideva in due turni: ma siccome l’anno scorso fu soppresso, così non ne parliamo.

La Congregazione del buon governo è presieduto da un cardinale, ed è composta di molti prelati, e giudica in appello le cause decise dalle congregazioni governative delle provincie.

Il Camarlingato ha due tribunali: uno che giudica sulle cause di conservazione, acquisto e ristauro de’ monumenti antichi, ed ha un numero indeterminato di consiglieri, ma giudice è un prelato; l’altro è composto di un giudice laico chiamato il Governatore di piazza Navona, che giudica sommariamente le cause che nascono nel mercato.

La Congregazione della Rev. Fabbrica di S. Pietro giudica tutte le cause appartenenti alla esecuzione dei legati pii.

La Curia Capitolina è composta di due giudici chiamati Collaterali e dell’uditore del Senatore, i quali giudicano indipendentemente l’uno dall’altro le cause di Roma che non sorpassano gli scudi 200, e le altre cause come gli assessori togati dell’A.C.

Il tribunale Civile collegiale Capitolino giudica in prima istanza le cause maggiori di scudi 200, ed in grado di appello quelle decise dai collaterali e dal giudice de’ mercenari.

Il giudice de’ mercenari conosce le cause di Roma e dell’agro romano non maggiori di scudi 200 concernenti mercedi campestri, caparre, anticipazioni, o prestiti dati per lavori di campagna.

Il tribunale di Commercio giudica tutte le questioni commerciali e quelle che riguardano i teatri.

Il cardinal Vicario giudica per mezzo di un prelato suo luogotenente civile tutte le cause ecclesiastiche di Roma e suo distretto, non che le cause fra’ laici non maggiori di 25 scudi.

L’uditore del cardinal Vicario giudica in appello le cause giudicate dal luogotenente e dal Vicegerente.

Il Vicegerente giudica per mezzo di un suo uditore le stesse cause che può giudicare il luogotenente del cardinal Vicario.

Ecco ventidue tribunali civili, senza calcolare i tribunali puramente ecclesiastici, cioè Concilio, Vescovi e regolari, Disciplina ec.: e forse ne abbiamo dimenticato qualcuno.

I tribunali criminali in Roma sono i seguenti, per quanto possiamo ricordare.

Il tribunale del Governo presieduto da Monsignor Governatore, il quale, come l’Uditore della Camera, non interviene mai alle sedute. Esso è composto di due prelati assessori, e di due giudici laici luogotenenti. Giudica tutte le cause criminali di Roma fino alla pena di morte inclusivamente.

Il tribunale supremo della Consulta è composto di dodici prelati, diviso in due turni, e giudica in appello ed anche in cassazione le cause criminali maggiori.

Il tribunale criminale Capitolino giudica le piccole cause criminali delle persone appartenenti in qualche modo alla giurisdizione del Senato.

Il tribunale criminale dell’A.C. giudica le cause criminali degli ecclesiastici, o de’ delitti commessi contro persona ecclesiastica, o nelle chiese o in vicinanza di esse, ed anche i piccoli delitti commessi nelle vicinanze di Montecitorio.

Il tribunale criminale del Maggiordomo giudica tutti i delitti commessi ne’ sacri palazzi.

Il tribunale criminale del Vicariato, giudica specialmente i delitti contro il mal costume, e fa pagare le multe ai trasgressori delle feste e delle vigilie, e procede contro coloro che non si comunicano nella Pasqua.

Il tribunale militare giudica tutti i delitti commessi dai militari, i quali non possono essere giudicati dai tribunali ordinari.

Il tribunale militare per la truppa di finanza è separato dal tribunale militare comune, ed è composto di un consiglio di prima istanza e di uno di appello.

Vi è finalmente un consiglio di disciplina per le piccole mancanze disciplinari.

In questa enumerazione non abbiamo calcolati i Presidenti regionarii che sono quattordici, i quali giudicano ogni giorno sommariamente le piccole cause sia civili che criminali; non abbiamo contati i tribunali dell’Inquisizione, de’ Vescovi e regolari, e della Disciplina regolare: i due ultimi giudicano le cause criminali de’ frati e delle monache.

Un povero parroco deve essere in corrispondenza con tutti questi tribunali.

Nota 12. - Tribunale criminale del Vicariato.
La polizia romana non può far nulla sopra le donne di mala vita; esse sono sotto la giurisdizione assoluta del Vicariato. Affinchè si conosca alquanto questo tribunale, vediamo come esso procedeva fino al 1842. Quando un parroco denunciava o faceva carcerare una donna, od anche un uomo, per mal costume, la informazione del parroco formava la base del processo. Il parroco nel fare la sua denuncia la dirigeva o al cardinal Vicario, o a Monsignor Vicegerente, come meglio gli piaceva; e mandava la informazione al luogotenente criminale per mezzo del suo beccamorti. Il luogotenente criminale procedeva alla carcerazione, e poi mandava alle carceri il giudice istruttore per fare il costituto: di rado era ascoltato un qualche testimonio. Dopo questo che chiamavasi processo, il luogotenente portava la causa avanti il Vicario o Vicegerente, secondochè era indirizzata la relazione del parroco. Il cardinal Vicario o Vicegerente, testa a testa col luogotenente, senza ascoltare l’imputato, senza ammetterlo alla difesa, pronunziava la condanna che poteva estendersi fino a dieci anni, senza appello.

Quando nel 1842 (o 1843, non ricordo bene) fu fatto Vicegerente Monsignor Vespignani, uomo non dotto, ma coscienzioso, raccappricciò nel dover condannare persone senza neppure ascoltarle. Parlò col cardinal Patrizi Vicario, per moderare quella infame pratica, e lo trovò contrario: allora ne parlò al papa, il quale comprese la ragione e con un chirografo moderò quella pratica: ed ora le difese sono ammesse: il cardinal Vicario e Vicegerente non sono più giudici singolari, ma giudicano con due assessori; non possono pronunziare una pena maggiore di tre mesi; e le cause di pena maggiore devono essere giudicate in una congregazione di otto giudici, alla quale deve assistere il procuratore del fisco e l’avvocato de’ poveri.

Il povero Monsignor Vespignani incorse per cotal cosa l’odio del cardinal Patrizi, il quale lo fece levare da Vicegerente, e lo fece mandare vescovo ad Orvieto, ove è ancora senza aver potuto avere il cappello cardinalizio.

Nota 13. - Potere de’ parrochi di Roma.
I parrochi in Roma hanno il potere di ordinare ai carabinieri l’arresto di una persona. Fra i tanti arbitrii di questo genere, fece gran chiasso in Roma l’arresto della moglie dell’avvocato M. Il parroco di S. Maria in Aquiro, non si sa perchè avesse in uggia quella giovane signora, moglie di un vecchio avvocato. Il fatto sta che una notte, egli stesso alla testa de’ carabinieri andò ad eseguire quell’arresto. La signora fu trovata in letto col suo marito, fu costretta ad alzarsi ed andare in prigione, non ostante le proteste del marito. Due giorni dopo è vero uscì innocente, ma lo scorno lo ebbe, ed il parroco non fu per nulla gastigato.

Le donne condannate dal tribunale del vicariato stavano nelle prigioni di S. Michele, oggi prigioni politiche: e tutte dicevano di essere là per non avere voluto ascoltare le proposizioni del parroco. Molte di esse avranno mentito; ma mentivano tutte? Dio lo sa.

Nota 14. - Il parroco Sorrentino.
Il parroco di S. Andrea delle Fratte, P. Gaspare Sorrentino, era celebre per la indulgenza che usava verso le donne di cattiva vita. Un giorno il cardinal Vicario lo sgridò severamente per cotale indulgenza; e gli ordinò di portargli immediatamente la nota delle cattive donne della sua parrocchia. Egli promise obbedire, ed il giorno dopo tornò dal cardinale con una lunghissima lista, nella quale in primo luogo figuravano parecchie dame, poi venivano le signore del ceto medio, finalmente quelle infelici costrette al male della miseria. Il cardinal Vicario incominciò a cancellare da quella lista le dame; allora il parroco ripresa la lista la stracciò, e disse: "O tutte o nessuna." Quel parroco dovè rinunciare alla sua parrocchia.

Nota 15. - La commissione de’ sussidi.
La commissione de’ sussidii è presieduta da un cardinale e dispone di duecentomila scudi (1,080,000 fr) che riceve annualmente dall’erario, oltre una quantità di rendite particolari che possiede. Essa è divisa in dodici regioni; ogni regione ha il suo prefetto regionario ed il suo segretario. Ogni regione abbraccia quattro parrocchie, in ogni parrocchia vi è un deputato ed una deputata che, presieduti dal parroco, determinano i sussidi da accordarsi. Ogni mese vi è la congregazione regionaria presieduta dal prefetto, nella quale i parrochi ed i deputati riuniti, calcolando la somma che il prefetto dice essere a sua disposizione, si distribuiscono i sussidi, ma sempre la somma è assai minore dei bisogni.

I sussidi si dànno in denaro ed in generi. I sussidi in denaro, o sono ordinari, o straordinari. I sussidi ordinari sono o giornalieri o mensili; i sussidi giornalieri non oltrepassano i baiocchi cinque, e questi sussidiati sono in un ruolo, e non si può ad essi levare il sussidio una volta accordato, che in congregazione. I sussidi mensili dipendono dall’arbitrio del parroco, il quale li dà a chi vuole.

I sussidi in generi consistono in abiti, coperte e cose simili, le quali cose si dànno col voto della congregazione. Oltre la Commissione dei sussidi, vi è la Elemosineria apostolica che dà ancora, ma sempre alla raccomandazione del parroco; vi è la congregazione della Divina Pietà che dà, ma sempre per mezzo del parroco. Le distribuzioni straordinarie di sussidi, le doti, si fanno tutte per mezzo del parroco; sicchè i sussidi sono veramente una grande occupazione per un parroco, ma sono per lui un gran mezzo per mantenere con essi la sua polizia, se il parroco è onesto.

Nota 16. - La spiegazione del Vangelo.
La spiegazione del Vangelo dovrebbe farsi da ogni parroco ogni festa; ma non si fa che alle domeniche, e nemmeno in tutte; non si fa nelle domeniche dell’avvento, nelle domeniche di quaresima, con la scusa che vi sono altre prediche; non nel carnevale, non nell’ottobre, perchè è vacanza, In quelle domeniche che si fa, ecco come si fa. Il parroco, dopo letto il Vangelo nella messa, si volge al popolo e fa un breve discorsetto di pochi minuti; la sua udienza è composta di poche bigotte, perchè tutti sfuggono la messa parrocchiale perchè è più lunga.

Nota 17. - Il catechismo.
Il catechismo ai ragazzi che si chiama dottrina, si fa così. Nelle domeniche nelle quali vi è la spiegazione del Vangelo, il dopo pranzo si fa la così detta dottrina. All’ora destinata si suona la campana più piccola della parrocchia a rintocco; accorrono cinque o sei ragazzi dei più piazzaiuoli, e fanno a spintoni ed alle volte a pugni per prendere la croce. Il chierico inserviente è obbligato spesse volte a somministrare degli scappellotti, unica ragione per farli quietare. Uno di que’ ragazzi prende la croce di legno, e due altri gli si mettono ai lati, avendo ciascuno un campanello. Il chierico inserviente li precede in sottana; i due ragazzi scuotono i campanelli con quanta forza hanno; di tanto in tanto si fermano, e cantano queste parole nel linguaggio popolare:
Padre e madre,
Mannate li vostri fijoli
A la dottrina cristiana:
Si vo’ n’ ce li mannerete,
Ne rennerete cont’a Dio.
Accade spesso che altri ragazzacci vorrebbero levare la croce o un campanello dalle mani di quelli che lo hanno, ed allora si dànno crociate, campanellate, calci, finoacchè il chierico scappellottando rimette l’ordine. Così si fa il giro di tutta la parrocchia.

In questo tempo i ragazzi di ambo i sessi del basso popolo (i figli de’ benestanti non vanno al catechismo, perchè è cosa screditata) vanno in chiesa, ove trovano delle panche formate in quadrati, nelle quali si siedono le ragazze; i maschi vanno nella sagrestia. Nel quadrato che sta in mezzo vanno le ragazze grandi. In ognuno de’ quadrati vi è una maestra, la quale fa recitare a memoria il piccolo catechismo del Bellarmino. Il parroco assiste e fa qualche interrogazione, o qualche piccola spiegazione alle ragazze grandi. Al suono del campanello, a volontà del parroco, le maestre cantano le litanie, e tutto finisce. Allora il parroco si mette sulla porta della chiesa, e tutti nell’uscire gli baciano la mano. Così s’insegna la religione in Roma.

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