Roma, 11/03/2007 Domenica III di Quaresima

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ale3000
00sabato 10 marzo 2007 14:58
Roma, 11/03/2007 JMJ
Domenica III di Quaresima

Introduzione: Due fatti di cronaca fanno scattare la pedagogia di Dio agli occhi della storia.

A) Due fatti di cronaca:
San Luca ce li riporta in questi termini:
1) «In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici» (3° lettura).
Si tratta dunque di un intervento sanguinario di Pilato contro alcuni Galilei ribelli a Roma, mentre offrivano sacrifici religiosi.
2) Il secondo episodio ci riporta invece una disgrazia fortuita, cioè il crollo della fatiscente torre di Siloe a Gerusalemme su diciotto persone, forse anziani che si erano rifugiati all’ombra di quel vecchio monumento.
Riflessione: Ebbene, su questi due spiacevoli fatti di cronaca, «alcuni anonimi» interpellano Gesù di Nazareth per saperne cosa ne pensasse. La risposta del Maestro è quanto mai chiarificatrice, perché:
a) Innanzitutto Gesù fa capire che le disgrazie non sono imputabili a Dio, ma agli uomini che vengono meno alle leggi e alle opere di Dio (Cfr. Sodoma, Gomorra, Pompei, Ercolano, Torri Gemelle, ecc. insegnano).
b) Inoltre, come rimedio preventivo o riparatore di qualunque sventura e calamità Gesù lascia intuire un cambiamento di rotta nel giudicare gli eventi della storia. Infatti nell’analisi di qualunque disgrazia, il Signore fa capire che le cause vanno ricercate:
1) sotto l’aspetto esistenziale nella stessa natura umana ferita fin dall’inizio della storia dal peccato originale
2) sotto l’aspetto sociale nelle responsabilità delle pubbliche istituzioni, che forse non garantiscono la dovuta sicurezza ed efficienza nei confronti dei loro cittadini.
Dinanzi a questa duplice realtà esistenziale e sociale, quale deve essere il nostro ruolo di cristiani sul palcoscenico della storia? Rispondo con una significativa riflessione di don Alessandro Pronzato:
«Con le strade invase dalla melma, i marciapiedi macchiati di sangue, le piazze contaminate da parole e scritte assurde (magari a cinque punte), l’atmosfera avvelenata dall’odio o dall’indifferenza, è naturale, è logico e giusto che la gente pretenda da noi cristiani frutti di giustizia, di pulizia, di onestà, di perdono, di lealtà, di coerenza, o anche soltanto la capacità di riconoscere i nostri torti. Sono le nostre azioni, e soltanto esse, che indicano che il nostro è un Dio di giustizia, di misericordia, di verità e di amore» (Da A. Pronzato, «Pane della domenica C»).
Ma se la nostra vita cristiana, che potremmo identificare nel fico senza frutti di cui ci parla il Vangelo di oggi, producesse invece solo delusioni, scandali e piccinerie di ogni genere, allora dobbiamo sentirci responsabili anche noi di quanto accade di spiacevole ogni giorno. Noi cristiani però non vogliamo il male dell’umanità, potrebbe obiettare qualcuno; sì è vero! Ma «amare l’umanità non è una gran fatica — ha detto il disegnatore argentino Quino — faticoso è amare il vicino della porta accanto», ed è proprio quello che dovremmo cominciare a fare noi credenti, partendo dai vicini di casa e della Parrocchia.

B) La parola magica che fa scattare la pedagogia di Dio: la Conversione (metanoia: in dialetto romanesco = cambiamento de capoccia).
La «conversione» intesa come «cambiamento di rotta verso il bene e verso Dio» è il toccasana, che predispone la misericordia e l’aiuto di Dio nell’allontanare o lenire le disgrazie e le sofferenze degli uomini, sia sotto l’aspetto personale, che sociale.
Nell’esperienza di ciascun essere umano si possono registrare vari significati di cambiamento «salvavita e salvasocietà»; pertanto:
1) Convertirsi significa credere in Dio: Molti non credono in Dio per ignoranza; costoro avrebbero bisogno di essere illuminati da persone ed esempi convincenti. Molti altri non credono in Dio, perché o non vogliono, o sono rimasti delusi da un Dio che credevano un «tappabuchi», o «un Dio prestigiatore». Altri infine non solo negano Dio, ma fanno del tutto perché Egli scompaia dalla vita e dalla società degli uomini. Nel 1843 un noto uomo politico ateo francese, Pierre-Joseph Proudhon, così affermava:
«Bisogna cacciare Dio dal palcoscenico della storia e dalla mente dell’uomo, perché Dio è il male. Dio è contro l’uomo. Ogni progresso dell’uomo è una vittoria contro Dio» (Da «Sistema delle contraddizioni economiche: filosofia della miseria»).
Per noi, il primo passo della conversione consiste in una robusta, costante e gioiosa fede in Dio.
2) Convertirsi significa credere alla Rivelazione di Dio attraverso Cristo Gesù: Oggi ormai il mondo è per lo più quasi tutto pagano; anche i cristiani risentono l’influsso deleterio della secolarizzazione e del pensiero relativista, che in pratica spingono i credenti ad una fede «fai da te» o ad accettare una visione molto riduttiva verso Cristo e la sua Chiesa.
È di questi giorni l’uscita di un libro deleterio: «Perché non possiamo essere cristiani» del matematico ateo Piergiorgio Odifreddi, il quale con tanta «sicumera» e «disinvoltura» afferma:
«Leggere i Vangeli è un ottimo motivo per non credere… tutto questo in nome della razionalità occidentale, quella nata in Grecia e alimentata dall’illuminismo del settecento fino ad oggi… La Bibbia è piena di sciocchezze, orrori, massacri e contraddizioni… Dirsi cristiani non costa nulla… gli stupidi non mancano…».
Se non si accetta la Bibbia come rivelazione di Dio, conclusasi con la Risurrezione, Ascensione di Cristo Gesù, non si può essere cristiani.
3) Convertirsi significa credere alla Provvidenza di Dio: «Cercate prima il Regno di Dio — ci ricorda Gesù — e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta…» (Mt 6,33). E ancora: «Se voi dunque che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!» (Mt 7,11). Dunque convertirsi significa fidarsi di Dio.
4) Convertirsi significa credere alla pazienza di Dio: La parabola del fico nella quale il padrone dell’albero ordina di tagliarlo, perché senza frutti, ma la pazienza del contadino, immagine di Cristo, ritarda l’inevitabile soppressione, sta a significare che il Signore prima di dire la parola «fine» aspetta con pazienza la nostra capacità di portare frutti buoni.
5) Convertirsi significa credere alla misericordiosa giustizia di Dio: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (3° lettura). Dio è paziente e misericordioso; però quando termina le cartucce della misericordia è costretto ad usare quelle della giustizia.
6) Convertirsi infine significa credere alla nostra possibilità di diventare santi: Come diventare santi in pratica? La risposta ci viene dal richiamo che San Paolo nella seconda lettura fa ai cristiani sofisticati di Corinto: «Fratelli… i nostri padri… tutti furono battezzati… nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale (= la manna), tutti bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo» (2° lettura).
Gli ebrei nell’uscita dall’Egitto fecero tre esperienze forti:
1) Il passaggio del Mar Rosso figura del Battesimo;
2) Il cibo della manna figura dell’Eucaristia;
3) L’acqua della roccia simbolo della fede in Cristo che scaturisce dalla sua Parola.
Dunque convertirsi significa diventare santi vivendo bene il nostro Battesimo, nutrendoci dell’Eucaristia, abbeverarci nella Parola di Dio, l’unica capace di estinguere le fiamme del peccato e la sete di infinito.
Sul biglietto da visita di un solerte parroco si leggeva: «Evitate la ressa in occasione del Giudizio Universale: convertitevi adesso!».

Conclusione: Soltanto nel contare sulla pazienza misericordiosa di Dio e sul diritto che sapremo offrire agli altri di cogliere frutti buoni dall’albero di fico della nostra vita cristiana, solo allora, potremo dire che la nostra esistenza non occupa abusivamente il terreno della storia, della società e della Chiesa.


Don Remo Bonola
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