Rito ambrosiano. La scure del cardinale Biffi sul nuovo lezionario

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S_Daniele
00lunedì 1 febbraio 2010 12:03

Rito ambrosiano. La scure del cardinale Biffi sul nuovo lezionario

È entrato in uso a Milano con l'approvazione del Vaticano. Ma l'arcivescovo emerito di Bologna, milanese e grande esperto di sant'Ambrogio, l'ha trovato pieno di stravaganze ed errori. Vuole che Roma lo riesamini da capo

di Sandro Magister



ROMA, 1 febbraio 2010 – Dai primi di quest'anno la congregazione vaticana per il culto divino ha un caso scottante da dirimere. Col rischio di dover contraddire se stessa.

Il caso riguarda il nuovo lezionario della messa di rito ambrosiano, cioè il rito che è in uso nell'arcidiocesi di Milano e in alcune località delle diocesi limitrofe di Bergamo, Novara, Lodi e Lugano, quest'ultima nella Svizzera italiana, per un insieme di quasi 5 milioni di battezzati.

A imporre il caso alla congregazione vaticana è stato un cardinale competentissimo in materia, Giacomo Biffi (nella foto), milanese, teologo, studioso eminente di sant'Ambrogio e del rito che da lui prende nome, già coautore, negli anni Settanta, di una prima edizione del lezionario ambrosiano, aggiornata secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II.

A quella prima e apprezzata edizione, entrata in uso a Milano nel 1976, ne è seguita una seconda nel 2008, elaborata dalla locale "congregazione del rito ambrosiano" e presentata con grande pompa come "definitiva" dal cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo in carica e quindi "capo del rito".

Come è d'obbligo, prima di entrare in vigore, questa seconda edizione del lezionario ambrosiano ha dovuto passare l'esame della congregazione vaticana per il culto divino, che l'approvò in blocco con insolita rapidità.

Prefetto della congregazione vaticana era il cardinale Francis Arinze, oggi in pensione, e segretario era l'arcivescovo Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, oggi alla testa della diocesi di Colombo, nello Sri Lanka.

Ma quando il cardinale Biffi – che vive a Bologna, di cui è stato arcivescovo dal 1984 al 2003 – vide questo nuovo lezionario entrato in uso nella sua Milano, trasecolò.

E ne scrisse di getto questo giudizio lapidario, con sovraccarico di pungente ironia, che inserì nell'ultima ristampa della sua autobiografia:

"Vi si trova di tutto: archeologismi vani e talora fuorvianti; avventurose iniziative rituali; prospettive teologiche poco fondate ed equivoche; proposte pastorali senza buon senso e perfino qualche curiosa amenità linguistica.

"È un'impresa di grande respiro, audace senza dubbio e ambiziosa: più audace che saggia, più ambiziosa che illuminata.

"Rimarrà viva a lungo nella memoria allibita della nostra Chiesa".

Ma Biffi non si fermò qui. Lo scorso dicembre riprese carta e penna, riassunse in otto capitoli le sue "osservazioni critiche al nuovo lezionario ambrosiano" e trasmise il tutto alla congregazione vaticana per il culto divino.

Che nel frattempo aveva cambiato dirigenza, con nuovo prefetto il cardinale Antonio Cañizares Llovera e con nuovo segretario l'arcivescovo Joseph Augustine Di Noia.

I titoletti che seguono sono quelli che Biffi ha scritto in cima a ciascuna delle sue otto osservazioni critiche.


1. IL "DERAGLIAMENTO"


La prima critica è di carattere generale. La logica voleva, scrive Biffi, che il nuovo lezionario fosse elaborato in esecuzione delle "norme generali per l'ordinamento dell'anno liturgico" del messale in vigore.

E invece no. Queste norme sono state disattese. Il nuovo lezionario "è uscito di rotaia" e va per conto suo, come se mirasse ad avviare "alla chetichella" una riforma liturgica generale di suo gusto.


2.  A PROPOSITO DI SAN MARTINO


Per cominciare, al tempo d'Avvento il nuovo lezionario ambrosiano dà un secondo nome: "Quaresima di San Martino".

Biffi obietta che si tratta di un "archeologismo vano e fuorviante". Vano perché quel nome è in disuso da almeno mille anni, e fuorviante perché induce a confondere l'Avvento, che è "tempo di gioiosa attesa", con la Quaresima che ha tutt'altro significato, oltre che con un santo con il quale non c'entra nulla.

Inoltre, il nuovo lezionario riporta l'inizio dell'Avvento alla prima domenica dopo l'11 novembre (invece che dopo il 12, come nella precedente edizione) col risultato che qualche volta può capitare che le domeniche prima del Natale siano sette invece di sei.

Le sei domeniche d'Avvento sono un tratto distintivo del rito ambrosiano e di vari riti orientali, rispetto al rito romano che ne ha quattro. E allora come se la cavano con la settima, gli estensori del nuovo lezionario?

"Non hanno trovato di meglio – scrive Biffi – che inventare una 'domenica prenatalizia non di Avvento', della quale nessuno aveva mai sentito parlare, anche perché sembra un concetto contraddittorio: 'prenatalizia' non può che essere di 'preparazione al Natale', e una domenica di preparazione al Natale, nella sostanza, è una domenica di Avvento".


3. UNA DIFETTOSA PROSPETTIVA TEOLOGICA


Il nuovo lezionario scandisce l'anno liturgico in tre tempi: di Natale, di Pasqua, di Pentecoste.

Biffi obietta che la Pentecoste non è mai stata considerata dalla Chiesa un "mistero a parte", ma è l'ultimo giorno, il cinquantesimo, del tempo pasquale dilatato su sette settimane.

Quindi fa bene la liturgia romana a chiamare le domeniche successive non "domeniche dopo Pentecoste" ma semplicemente "domeniche del tempo ordinario" o "per annum". E lo stesso faceva il precedente lezionario ambrosiano.

Il nuovo lezionario, invece, ripristinando la dizione "domeniche dopo Pentecoste", "dimostra in tal modo una debole conoscenza della teologia liturgica".


4. GLI ARCAISMI RICUPERATI


Ma non è tutto. Dopo quattordici domeniche chiamate "dopo Pentecoste", il nuovo lezionario prosegue con altre curiose denominazioni ripescate dal passato. Nell'ordine: una domenica "che precede il Martirio di Giovanni Battista" (29 agosto), sette domeniche "dopo il Martirio di Giovanni Battista" e tre domeniche "dopo la Dedicazione della Cattedrale" (che cade nella terza di ottobre).

In antico, tali denominazioni erano di semplice calendario. Il nuovo lezionario, invece, caratterizza le domeniche prima e dopo la festa di San Giovanni con un ciclo speciale di letture bibliche. Producendo così, scrive Biffi, "un sistema farraginoso senza nessun vantaggio pastorale".


5. LE MESSE CON DUE LETTURE DEL VANGELO


C'è poi una novità che Biffi definisce "la più avventurosa". Con l'idea che la messa è rievocazione misterica della risurrezione di Gesù, il nuovo lezionario introduce nelle messe domenicali anticipate alla sera del sabato precedente – e solo in queste – la lettura di un brano del Vangelo riguardante la risurrezione, oltre la normale lettura del Vangelo del giorno.

"In tal modo a Milano, caso unico in tutta la cristianità, si possono incontrare delle celebrazioni eucaristiche con due diverse pagine del Vangelo".

Il brano evangelico supplementare è letto all'inizio della messa, prima del Gloria. "E non pare – commenta Biffi – una gran bella trovata, esteticamente e pedagogicamente".


6. UN'INCREDIBILE ABERRAZIONE


Un altro punto su cui il nuovo lezionario ambrosiano fa di testa sua riguarda le feste dell'Ascensione e del Corpus Domini.

Per antica tradizione esse cadono di giovedì. Ma dal 1977, da quando il governo italiano le abolì come feste civili, la conferenza episcopale ordinò di trasferire la celebrazione dell'Ascensione e del Corpus Domini alla domenica successiva. E così stabiliscono le "Norme generali" del messale romano e del messale ambrosiano attualmente in vigore.

Ma il nuovo lezionario ambrosiano "impavidamente infrange la normativa", scrive Biffi. Riporta l'Ascensione e il Corpus Domini al giovedì lavorativo. E concede soltanto che "in una o più messe" della domenica successiva i preti, se lo desiderano "per ragioni pastorali", ripetano la messa già celebrata tre giorni prima.

Biffi commenta:

"Ci avvediamo ancora una volta che l'irrazionale attaccamento ad arcaismi che oggi hanno perso ogni attualità impedisca una sufficiente attenzione alla vita ecclesiale e ai suggerimenti di un elementare buon senso.

"Ho inoltre qualche dubbio che siffatta avventurosa iniziativa abbia legittimità canonica. Sarebbe opportuno che gli organi competenti della Santa Sede chiariscano tale questione".


7. LA SCELTA DELLE LETTURE


Anche nella scelta delle letture il nuovo lezionario ambrosiano si stacca dall'ordinamento del lezionario romano e della sua stessa precedente edizione.

Una delle novità è il frequente ricorso alla "lectio continua": ad esempio, la lettura integrale e continuata dei primi, difficili, diciotto capitoli del profeta Ezechiele nelle prime quattro settimane di Avvento.

Biffi obietta che la "lectio continua" può andar bene nei monasteri, ma non per i semplici fedeli, ai quali la Chiesa ha sempre preferito offrire testi più semplici e comprensibili, "religiosamente più utili e meno problematici".


8. LE AMENITÀ LINGUISTICHE


Infine, Biffi richiama l'attenzione su altre due trovate del nuovo lezionario.

La prima è nel titolo delle letture. Mentre nel lezionario romano e nel precedente lezionario ambrosiano esso dice ad esempio: "Dal Vangelo secondo Luca", a significare che si tratta di un brano tratto "da" questo Vangelo, il nuovo lezionario ambrosiano dice: "Lettura del Vangelo secondo Luca".

Con ciò il nuovo lezionario, "infatuato dall'arcaicità", ricalca la formula latina che dice: "Lectio sancti evangelii secundum Lucam". Ma così, commenta Biffi, esso incappa in un grave inconveniente: "a un orecchio moderno la dizione sembra indicare una lettura integrale, mentre si tratta solo di un brano".

La seconda trovata è nella formula con cui spesso iniziano i brani biblici: "In quel tempo...".

Mentre nel lezionario romano e nel precedente lezionario ambrosiano tale formula si connette direttamente al racconto: "In quel tempo, il Signore Gesù entrò nel tempio...", nel nuovo lezionario ambrosiano la formula si interrompe con un punto: "In quel tempo. Il Signore Gesù entrò nel tempio...".

Biffi commenta:

"Suppongo che in nessun angolo della produzione letteraria italiana sia possibile imbattersi in un complemento di tempo chiuso in se stesso, costruito assolutamente, senza alcun legame con il resto del periodo. Ci piacerebbe conoscere in base a quali ragionamenti si è addivenuti alla decisione di arricchire con questa trovata la nostra bella lingua".

*

In Vaticano, la congregazione per il culto divino ha già preso collegialmente in esame le osservazioni critiche del cardinale Biffi e tornerà a farlo tra breve.

Ma l'imbarazzo è evidente. Se desse ragione anche a una sola delle osservazioni di Biffi e imponesse delle correzioni al nuovo lezionario ambrosiano, la congregazione smentirebbe se stessa, per aver in precedenza approvato lo stesso lezionario in tutte le sue parti.

Non è escluso che il cardinale Cañizares Llovera, prefetto della congregazione, sottoponga alla fine a Benedetto XVI la sua proposta di soluzione del caso, rimettendo al papa la decisione.

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Per un'analisi storico-liturgica del nuovo lezionario ambrosiano è imprescindibile il seguente volume, scritto da uno dei maggiori specialisti della materia, nonché membro della "congregazione del rito ambrosiano" che ha preparato il lezionario:

Cesare Alzati, "Il lezionario della Chiesa ambrosiana. La tradizione liturgica e il rinnovato 'ordo lectionum'", Libreria Editrice Vaticana – Centro Ambrosiano, Città del Vaticano – Milano, 2009, pp. 510, euro 29.

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La "congregazione del rito ambrosiano" che ha prodotto il nuovo lezionario ha come presidente l'arcivescovo di Milano cardinale Dionigi Tettamanzi e come pro-presidente l'arciprete del Duomo di Milano, monsignor Luigi Manganini.

In questo servizio del 13 giugno 2006, www.chiesa ha illustrato alcune avventurose performance messe in scena da monsignor Manganini nella cattedrale dell'arcidiocesi:

> Nel Duomo di Milano la Chiesa del futuro si sperimenta così

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Sul cardinale Giacomo Biffi vedi in www.chiesa questo servizio, con brani della sua autobiografia:

> Prima dell'ultimo conclave: "Che cosa ho detto al futuro papa"
(26.10.2007)

Fonte
S_Daniele
00lunedì 15 febbraio 2010 11:33

Conflitti ambrosiani. Biffi batte, da Milano ribattono

Oggetto della contesa è il nuovo lezionario, contro cui il cardinale Giacomo Biffi si è appellato a Roma. Alle sue critiche risponde il professor Cesare Alzati, il principale autore del controverso libro liturgico

di Sandro Magister




ROMA, 15 febbraio 2010 – Le dure critiche rivolte dal cardinale Giacomo Biffi al nuovo lezionario della messa in rito ambrosiano – rese pubbliche da www.chiesa – hanno suscitato grande trambusto non solo nell'arcidiocesi di Milano e nei territori dove è in uso questo rito, ma anche a Roma, dove l'esposto di Biffi è all'esame della congregazione vaticana per il culto divino.

Al cardinale Biffi – arcivescovo emerito di Bologna ma milanese e studioso eminente di sant'Ambrogio e del rito che da lui prende nome – sono arrivati messaggi di plauso da numerosi esponenti del clero ambrosiano.

Ma vivaci sono anche le reazioni contrarie. E sono parecchi i rimproveri che i difensori del nuovo lezionario rivolgono a Biffi. Nel metodo e nei contenuti.

La prima scorrettezza che rimproverano al cardinale è di non aver fatto appello a chi di dovere, cioè al cardinale Dionigi Tettamanzi che in quanto arcivescovo di Milano è il "capo" del rito ambrosiano.

Appellandosi direttamente alle autorità vaticane e divulgando le sue critiche al grande pubblico, il cardinale Biffi – lo accusano – "ha creato divisione e disorientamento tra il clero ambrosiano" e "ha intaccato la comunione ecclesiale dell'arcidiocesi di Milano".

Recatisi a Roma, i rappresentanti della congregazione del rito ambrosiano che ha prodotto il nuovo lezionario si sono lamentati per l'iniziativa di Biffi con i capi della congregazione vaticana per il culto divino. A loro dire, "i vertici istituzionali della congregazione romana, e segnatamente il cardinale prefetto, sono stati assai sfavorevolmente colpiti dalla scorrettezza con cui l'iniziativa è stata condotta".

C'è anche chi sospetta ed accusa che, dietro al cardinale Biffi, a pilotare l'attacco al lezionario sia un altro ecclesiastico col suo stesso cognome e suo amico, il teologo Inos Biffi, esperto di liturgia e lui stesso membro della congregazione del rito ambrosiano, ma in disaccordo con i colleghi.

Inos Biffi è professore emerito alle facoltà teologiche di Milano e di Lugano. E il vescovo di questa diocesi svizzera nella quale si celebra anche in rito ambrosiano, Pier Giacomo Grampa, gli ha scritto – si fa sapere – "per censurarne il comportamento nei confronti del capo rito e della comunione ecclesiale".

Finora tutte queste reazioni all'iniziativa del cardinale Biffi non si erano mai espresse in forma organica e pubblica. Ma da oggi non è più così.

Come aveva già fatto con la denuncia di Biffi, www.chiesa dà ora voce alla difesa.

In difesa del nuovo lezionario ambrosiano prende infatti qui la parola un "avvocato" molto rappresentativo, perché è colui che più di tutti ha lavorato alla sua stesura: il professor Cesare Alzati, membro della congregazione del rito ambrosiano e docente di storia della Chiesa e delle liturgie occidentali e orientali prima nell'Università di Pisa e poi nell'Università Cattolica di Milano.

Il testo integrale della replica di Alzati al cardinale Biffi è in questa pagina di www.chiesa:

> In difesa del nuovo lezionario ambrosiano

Mentre queste erano le critiche del cardinale:

> Rito ambrosiano. La scure del cardinale Biffi sul nuovo lezionario

Qui di seguito sono riportati alcuni passaggi della replica del professor Alzati, relativi ai punti più criticati da Biffi. I titoli sono redazionali.

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Perché il nuovo lezionario ambrosiano va bene com'è

di Cesare Alzati



SULL'AVVENTO DENOMINATO "QUARESIMA DI SAN MARTINO"

Non è esatto affermare che viene dato al tempo d’Avvento “un secondo nome: Quaresima di san Martino”. Nelle titolature liturgiche del nuovo lezionario figura rigorosamente il termine “Avvento”.

Nelle didascalie esplicative si è ricordato che, analogamente all’ambito bizantino, dove nel corrente lessico ecclesiale il periodo di preparazione al Natale è detto “Quaresima di san Filippo”, in ambito ambrosiano si soleva definire l’Avvento la “Quaresima di san Martino”, con riferimento in entrambi i casi al momento di avvio e alla durata, consonante nelle due tradizioni, del tempo in questione: 6 settimane.

Si tratta, io credo, di un contributo conoscitivo, che può aiutare il popolo ambrosiano ad assumere piena consapevolezza della solidità storica del proprio patrimonio liturgico, che non è frutto di particolarismo provinciale, ma è patrimonio ecclesiale che si colloca nel più vasto contesto dell’ecumene cristiana.


SULLA "DOMENICA PRENATALIZIA", QUANDO L'AVVENTO NON HA SEI DOMENICHE MA SETTE

Fin dalle più remote testimonianze l’Avvento ambrosiano prevedeva una durata di 6 settimane [...] e iniziava con la domenica dopo la festa di san Martino, 11 novembre, donde l’antico nome popolare sopra ricordato.

Il computo delle 6 settimane, da sempre e ovviamente, ha comportato che la vigilia di Natale, qualora cadesse di domenica, perdesse il proprio carattere vigiliare e venisse celebrata in forma di domenica. Da sempre! Il lezionario riformato continua, secondo la tradizione, a celebrare con rito domenicale la liturgia del 24 dicembre, qualora il 24 cada di domenica. Dunque: non vi è alcuna "invenzione"!

Quanto alla denominazione, per evitare fraintendimenti di lessico liturgico il lezionario ha ritenuto opportuno non ricorrere al termine "vigilia" e ha designato l’eventuale domenica in data 24 dicembre col termine di "domenica prenatalizia", come in effetti è, e come suggerisce il suo collocarsi al termine dei giorni feriali prenatalizi.


SULLA TRIPLICE SCANSIONE DEL TEMPO DOPO PENTECOSTE

La titolatura di tempo “per annum” è perfettamente congrua all’anno liturgico romano, [...] tradizionalmente caratterizzato da un certo numero di domeniche "vaghe" che potevano indifferentemente collocarsi dopo l’Epifania o dopo Pentecoste.

Non così era in ambito ambrosiano, dove, dalla prima parte dell’età carolingia [...] l’anno liturgico era pensato come un tutto unitario, organicamente strutturato in ogni sua singola parte.

Fin dalla tarda antichità, il grande arco temporale che dalla Pentecoste si protrae fino alla I domenica d’Avvento, è scandito da due momenti marcanti: il 29 agosto, festa del martirio di san Giovanni Battista, e, in ottobre, la domenica della Dedicazione della cattedrale di Milano.

Il 29 Agosto segnava l’inizio del computo dell’anno secondo il calendario in uso anche a Milano ai tempi di sant'Ambrogio, calendario tuttora seguito dalle Chiese di tradizione alessandrina: la Chiesa copta e la Chiesa etiopica.

La domenica della Dedicazione quale domenica marcante la parte conclusiva dell’anno liturgico lega la Chiesa ambrosiana a tutto l’Oriente di tradizione antiochena, dalla Chiesa sira a quella maronita, agli assiro-caldei, alle lontane Chiese del Kerala indiano. Nel complesso si tratta di un orizzonte ecclesiale ed ecumenico non banale.

Questa articolazione, che è profondamente radicata nella storia cultuale ambrosiana, ha permesso al nuovo lezionario di sviluppare precisi itinerari di accostamento alle Sacre Scritture.

“La legge e i profeti fino a Giovanni”, si legge nel Vangelo di Luca (Lc 16, 16a): pertanto nelle settimane fino al martirio di Giovanni si sviluppa la lettura dei libri storici relativi all’alleanza con Israele, prevedendo anche una interrelazione tra le letture feriali e la prima lettura delle celebrazioni domenicali.

“Da allora in poi viene annunciato il Regno di Dio” (Lc 16, 16b): sicché, dalla I domenica dopo il martirio di san Giovanni alla Dedicazione si sviluppa la lettura degli scritti apostolici.

“Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni!” (Ap 22, 17): dopo aver celebrato nella domenica della Dedicazione il mistero della Chiesa, nelle settimane successive questa stessa Chiesa è guidata a vivere con particolare intensità la propria proiezione verso la fine dei tempi, ripercorrendo il libro dell’Apocalisse.

Come si vede, si tratta di un’articolazione unitaria e fortemente organica, sicché mi pare che di “sistema farraginoso” si può parlare soltanto stravolgendo la realtà o stravolgendo il senso delle parole.


SUI DUE VANGELI LETTI NELLE MESSE DEL SABATO SERA

La tradizione ambrosiana è sempre stata molto rigorosa nel computare il giorno liturgico a partire dal vespero; sulla scia della tradizione ebraica e del dettato evangelico: “Era il giorno della parasceve e già splendevano le luci del sabato” (Lc 23, 54).

Inoltre, da tempo immemorabile le maggiori festività ambrosiane prevedono l’apertura vespertina con la "grande vigilia", che in modo analogo a quanto accade in ambito bizantino inserisce la celebrazione eucaristica vigiliare nel canto dei vesperi, arricchito per l’occasione da specifiche letture.

In un tale contesto la celebrazione “quando ormai splendono le luci” del “primo giorno della settimana” non può concepirsi come una semplice anticipazione dell’adempimento del precetto festivo, [...] ma rappresenta il solenne ingresso nel giorno del Signore, ossia nella Pasqua settimanale.

Secondo lo schema tradizionale delle "grandi vigilie", tale celebrazione è stata configurata come celebrazione vigiliare vespertina, in cui la messa s’inserisce nella struttura dei vesperi, arricchita per l’occasione da una specifica lettura vigiliare, che è il Vangelo della resurrezione.

Definire tutto ciò “la più avventurosa” delle novità significa volutamente ignorare tutto il retroterra che si è ora esposto.

Definire la lettura di un brano evangelico della resurrezione nel contesto dell’officiatura domenicale una “trovata” significa volutamente ignorare l’uso costante dell’Oriente greco fin dalla testimonianza di Egeria, nonché – ai nostri giorni – gli usi della comunità latina gerosolimitana del Santo Sepolcro, dell’anglicana Community of the Resurrection, della comunità di Taizé.

Dichiarare che la cosa non abbia alcun valore pedagogico appare poco conciliabile con la centralità della resurrezione per l’esperienza cristiana.


SULL'ASCENSIONE E IL CORPUS DOMINI CELEBRATI DI GIOVEDÌ

“Gesù si mostrò ad essi vivo, apparendo loro per quaranta giorni” (At 1, 3). Su questo dato scritturistico si sono costruiti i calendari delle Chiese e delle società cristiane, in Oriente come in Occidente, tra i cattolici come tra i protestanti. Per questo, anche in tutti i paesi del Nord Europa che hanno aderito alla Riforma, il 40.mo giorno dopo la Pasqua risulta essere festività civile.

Lo è anche in Svizzera, dove sussistono numerose parrocchie ambrosiane inserite nella diocesi di Lugano. Risulta dunque quanto mai plausibile che il calendario ambrosiano conservi – di principio – l’ordinamento liturgico universale, prevedendo adattabilità pastorali alla concreta situazione italiana [dove la festività è stata cancellata]. E questo non per “irrazionale attaccamento ad arcaismi”, ma per rispetto della realtà nella sua vasta e articolata configurazione.

Del resto, componenti della conferenza episcopale italiana sono pure gli ordinari di rito bizantino (i vescovi di Piana e di Lungro, e l’esarca di Grottaferrata), le cui Chiese celebrano l’Ascensione rigorosamente al 40.mo giorno.

Quanto al Corpus Domini, non è fuori luogo segnalare che in molte diocesi, per ragioni di opportunità pastorale, la celebrazione della festa con solenne processione si compie, in conformità al calendario universale, alla sera del giovedì successivo alla I domenica dopo Pentecoste.


SULLA FORMULA "IN QUEL TEMPO." CHIUSA DA UN PUNTO

“In quel tempo” non è come il “C’era una volta...” che introduce i racconti delle favole.

“In quel tempo” designa lo specifico momento della storia in cui, per l’intervento di Dio, il piano della salvezza è venuto manifestandosi: un momento preciso, collocato entro concrete coordinate spazio-temporali. [...]

Nel caso poi dell’incarnazione, quel tempo che è testimone di tale evento viene a costituire "la pienezza del tempo" Gal 4, 4).

È questo un aspetto nient’affatto secondario dell’annuncio cristiano.

[Quanto al punto che chiude la formula,] se apriamo il "Missale Ambrosianum" nella "editio typica" latina troviamo proprio così: “In illo tempore. Dicebat...”.

Sarà stata questa una punteggiatura funzionale alla proclamazione in canto dei testi, ma si tratta comunque di un’indicazione che inequivocabilmente configura “un complemento di tempo chiuso in se stesso”, ritenuto un enunciato forte in grado di reggersi autonomamente.

Nel contesto culturale contemporaneo, proprio la singolarità di tale elemento, richiamando l’attenzione, può divenire uno stimolo a riflettere sulla dimensione storica dell’evento cristiano – "quel tempo" – e a viverne con più profonda consapevolezza la riproposizione nel mistero.

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