Regole x un HaCkEr

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Cyclops 55
00domenica 4 maggio 2003 13:43
Vorrei proporvi alcune regole che un buon HaCkEr deve rispettare. Una sorta di codice di vita....
1) L'accesso ai computer deve essere illimitato e completo. L'imperativo è hands-on (metterci su le mani).
2) Tutta l'informazione deve essere libera. Ogni controllo proprietario su di essa è negativo. La condivisione delle informazioni è un bene potente e positivo per la crescita della democrazia, contro l'egemonia, il controllo politico delle élite e degli imperativi tecnocratici. Dovere etico degli hacker è la condivisione del proprio sapere ed esperienza con la comunità d'appartenenza (comunità di pari), separata dal resto della società. Dominano fedeltà, lealtà, supporto reciproco, aspettative di condotta normativa: proprio perché in una comunità virtuale come questa non ci si può né vedere né sentire la fiducia reciproca è un valore ancora più prezioso. Inoltre, nelle comunità informatiche, il tutto è più grande della somma delle parti quando si tratta di condividere le informazioni: ci si scambiano account, si copiano le ultime versioni del software e chi ha una maggiore conoscenza la condivide con chi non ne ha altrettanta, mettendo in gioco un "saper fare" programmato al servizio di un "far sapere". Vengono scritti manuali sui vari argomenti (come usare i telefoni cellulari, come costruire dispositivi per telefonare gratis...) che sono poi distribuiti sulle varie BBS o pubblicati da riviste, senza che gli autori si aspettino qualcosa in cambio. Nell'underground tutto circola liberamente e rapidamente, sia che si tratti di materiale coperto da copyright o meno: il copyright è infatti un concetto ormai superato nella futura società dell'informazione per questa ideologia. In questo modo gli hacker hanno costruito volontariamente un sistema privato di educazione che li impegna, li socializza modellando il loro pensiero: tale processo di apprendimento all' "arte dell'hackeraggio" (Sterling 1992) per il neofita si modella sull'esempio delle società iniziatiche, di cui si dirà in seguito. L'hackeraggio per esplorazione e divertimento è, secondo questa politica, eticamente corretto, finché non siano commessi intenzionalmente furti, atti di vandalismo, distruzione di privacy, danno ai sistemi informatici: è contro l'etica alterare i dati che non siano quelli necessari per eliminare le proprie tracce, evitando così d'essere identificati.
3) Dubitare dell'autorità. Promuovere il decentramento. La burocrazia, industriale, governativa, universitaria, si nasconde dietro regole arbitrarie e si appella a norme: è quindi politicamente inconciliabile con lo spirito di ricerca costruttiva e innovativa degli hacker, il quale incoraggia l'esplorazione e sollecita il libero flusso delle informazioni. Il sogno, l'utopia hacker, come sintetizza Levy (1996: 310), è portare i "computer alle masse, i computer come giradischi" livellando le ineguaglianze di classe. Il simbolo più evidente del conflitto politico-culturale tra informalità hacker e rigidità burocratica è l'International Business Machine (IBM). Il computer, e con esso la tecnologia, viene ricontestualizzato dagli hacker, ricollocato cioè in un contesto alternativo a quello dominante: non più, cioè, strumento di potere nelle mani delle classi egemoni, ma potenziale e potente mezzo sovversivo, di opposizione e intrusione nelle cerchie del potere politico-economico; è quindi nelle "periferie" che si viene producendo il significato.
4) Gli hacker dovranno essere giudicati per il loro operato e non sulla base di falsi criteri quali ceto, età, etnia, gender e posizione sociale. La comunità hacker ha un atteggiamento meritocratico: non si cura dell' apparenza mentre è attenta al potenziale dell'individuo nel far progredire lo stato generale dell'hackeraggio e nel creare programmi innovativi degni d'ammirazione; la stratificazione di status si basa quindi sulla conoscenza, l'abilità e l'estro digitale. Infatti le innovazioni in questo settore di solito derivano da singoli o da piccoli gruppi che cercano di assolvere compiti di regola giudicati impossibili dal mainstream.
5) Con un computer puoi creare arte. Emerge una certa estetica dello stile di programmazione: il codice del programma possiede una bellezza propria in quanto è un'unità organica con una vita indipendente da quella del suo autore. Nei computer si può ritrovare la bellezza e la fine estetica di un programma perfetto che, spinto al massimo delle sue potenzialità, può liberare la mente e lo spirito: ogni programma dovrebbe essere infinitamente flessibile, ammirevole per concezione e realizzazione, progettato per espandere le possibilità dell'utenza. Il computer è l'estensione illimitata della propria immaginazione personale, uno specchio nel quale è possibile incorniciare qualsiasi tipo di autoritratto desiderato.
6) I computer possono cambiare la vita in meglio. Gli hacker hanno dilatato il punto di vista tradizionale su ciò che i computer avrebbero potuto e dovuto fare, guidando il mondo verso un modo nuovo di interagire con essi. Gli hacker hanno profonda fede nel computer come arma di liberazione e auto-liberazione, come mezzo di trasformazione e costruzione della realtà. Nella tecnologia essi vedono arte: così come alcune "avanguardie" del passato, i poeti romantici ottocenteschi, i futuristi e i surrealisti di inizio Novecento, anche gli hacker si considerano dei visionari che vogliono cambiare la vita umana, anche se solo ai margini o per un breve momento. Per questo essi attuano, tramite la giustapposizione di fantasia e realtà altamente tecnologica, un irriverente sovvertimento di senso, un "disordine semantico"" (Hebdige 1979: 100), seppur temporaneamente oltraggioso, dei codici dominanti e convenzionali, un loro abuso e l'invenzione di nuovi usi. Ogni generazione che cresce con un certo livello tecnologico deve poi scoprire i limiti e le potenzialità di tale tecnologia sperimentandola quotidianamente in una sfida continua col progresso. Così come le sottoculture, dai mod ai punk, sperimentavano nuovi stili musicali e nuove mode, gli hacker sperimentano nuove mode nel campo tecnologico; la tecnologia diviene strumento per l'immaginazione poiché apre il terreno a nuove immagini, suoni, esperienze e concetti.
Tempi duri anche per gli hacker italiani. Dopo anni di vuoto normativo, l'applicazione della legge n. 547 del 93, sanziona come reati alcune abitudini tipiche dei pirati della Rete. É diventato così reato contro l'inviolabilità del domicilio il semplice accesso non autorizzato a sistemi telematici o informatici In base alla nuova normativa, quindi, l'hacker che s'introduce in un sistema protetto da dispositivi di sicurezza, anche se curiosa solamente senza fare danni, rischia una condanna fino a tre anni di reclusione. La pena può salire fino cinque anni nel caso in cui l'accesso riguardi sistemi di interesse militare, relativi all'ordine pubblico, alla sanità alla protezione civile o quando l'accesso derivi un danneggiamento del sistema. Nel caso in cui più aggravati si sommino si potrebbe rimanere in prigione fino a otto anni. La legge ha anche previsto il reato di intercettazione abusiva, punendo con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi intercetta in modo fraudolento, impedisce o interrompe le comunicazioni tra sistemi informatici o telematici o riferisce mediante qualsiasi mezzo d'informazione al pubblico il contenuto delle comunicazioni intercettate. La 547 del '93 individua poi degli altri comportamenti comunemente considerati come degli illeciti: il danneggiamento informatico, la frode informatica, il falso informatico, lo spionaggio informatico, la violenza su beni informatici, l'attentato a impianti di pubblica utilità, la violazione di corrispondenza. Come si vede, si tratta di reati già contenuti nel Codice Penale, che sono stati solo meglio descritti nel loro nuovo modo di configurarsi nei sistemi informatici. Tipico del mondo cyber è invece un altro illecito sanzionato dalla 547: la detenzione e la diffusione abusiva di codici d'accesso. A sollievo degli hacker, in questo caso, per configurare il reato non basta la detenzione di password, ma è necessario quello che i giuristi definiscono dolo specifico: ci deve essere, cioè, la volontà di procurare a se o agli altri un profitto o di arrecare ad altri un danno. Sola in quest'ipotesi la detenzione e la diffusione dei codici d'accesso viene punita con la reclusione fino ad un anno e la multa fino a dieci milioni.

7)Gli hacker condividono un linguaggio o, come loro stessi lo definiscono, un gergo comune che è il vero e proprio sedimento della cultura hacker American-English: esso costituisce perciò il mezzo privilegiato di comunicazione istituzionale di tale controcultura sia al suo interno che verso l'esterno.
Tale linguaggio, che è un sistema di segni deliberatamente opaco e allusivo, è determinante nella formazione dell'identità socio-culturale, ne è un elemento di aspettualizzazione, una sorta di marchio di unicità; è così come una finestra sulla cultura hacker che ne riflette la costante evoluzione.
Tramite Internet è possibile accedere al documento Jargon File: questo file ipertestuale, messo a disposizione per tutti gli utenti della Rete, nacque nel 1975 a Stanford e viene periodicamente aggiornato, per cui ne sono disponibili numerose versioni. E. Raymond mantiene attualmente questo File e da esso ha ricavato un libro "vero", un dizionario Hackerish-English di 1961 termini.
8)Il linguaggio informale tipico della cultura hacker è una potente arma di esclusione dalla comunità, ma anche di inclusione qualora sia d'ausilio come collante ideologico. Questo gergo colorito è sorprendentemente ricco di implicazioni, variazioni e sfumature sulla lingua inglese. "Parole come winnitude [la stoffa del vincente] e foo [nome simbolico che indica file, nomi o programmi] erano costanti del vocabolario hacker, scorciatoie usate da persone relativamente poco discorsive e introverse per comunicare esattamente quel che avevano in testa" (Levy 1996: 114).
Mentre il linguaggio di una cultura si dice derivi inconsciamente dal proprio ambiente e lo rifletta (per esempio l'idea che gli Esquimesi abbiano trenta parole diverse per indicare la neve), l'invenzione e la creazione linguistica di nuove espressioni è per l'hacker un gioco cosciente e divertente: essi sono consapevoli che col loro rifiuto delle comuni pratiche linguistiche stanno anche sfidando e provocando le norme e le visioni del mondo dominanti. Il loro linguaggio è quindi un regno conflittuale dove opposte definizioni del mondo si contrappongono: l'identità linguistica si definisce come opposizionale, riflettendo cosa rigetta e nega. In questo caso, il linguaggio non emerge inconsapevolmente dall'esperienza empirica, non riflette una mappatura oggettiva del mondo, ma è una sperimentazione spontanea e intenzionale, un laboratorio in continua e dinamica evoluzione, una sorta di continuo bricolage che non esiste solo per alienare l'outsider, ma soprattutto per esplorare nuove possibilità e opzioni rispetto al linguaggio ufficiale.
Tale linguaggio non è solo produttore di senso positivo ma implica una sfida alle convenzioni linguistiche dominanti al livello della decodifica: una rinnovata "guerriglia semiologica" (Eco 1975: 199) che vuole demitizzare e decostruire l'ideologismo implicito nel codice dell'emittente, svelare i codici culturali naturalizzati e decifrare le strategie nascoste di dominio. Il discorso fatto dagli hacker, come anche la loro sperimentazione tecnica, è in continuo mutamento e riflette il desiderio di vedere i sistemi adattati agli ambienti dinamici della società dell'informazione: usando il loro gergo, gli hacker guidano letture del mondo verso direzioni nuove e inaspettate, testano e promuovono "percorsi di sviluppo", stili di vita alternativi intenzionalmente comunicativi e innovazioni significative nello stile popolare. Sembra proprio che il processo generativo sottostante alla formazione di tale linguaggio abbia una logica così potente da creare parallelismi con altre sottoculture e linguaggi diversi: tale bricolage (Lévi-Strauss 1962: tr.it., 1964) coscientemente sovversivo deriva dall'incrocio e dall'appropriazione da culture giovanili precedenti, pop culture, realtà virtuale e mass media.
E' un "linguaggio instabile del cut-up" (Scelsi 1994: 253), una pratica significante che seleziona e decontestualizza segni pre-esistenti, assemblandoli e riutilizzandoli, sia come creazione di nuovi discorsi, sia come forma critica. Innanzi tutto la generazione degli hacker degli anni Novanta ha ereditato la maggior parte dell'originale gergo hacker creato al MIT negli anni Sessanta, innestando, però, su di esso dei cambiamenti. Per esempio, ha introdotto termini mutuati dalla nuova fantascienza, soprattutto dal genere Cyberpunk, fusione di comunicazione elettronica e sottocultura punk; si è avvalsa dello stile visionario di Hakim Bey, pseudonimo di una figura misteriosa, artista d'avanguardia, guru della nuova opposizione che agisce con stile situazionista, anarchico, libertario, sempre in bilico tra avanguardia e opposizione.
I "vecchi" hacker, invece, erano stati influenzati da autori fantastici come Tolkien e Caroll, dal loro immaginario fatto di elfi, hobbit, maghi, demoni e incantesimi. Lo stile di giocosa ribellione al dominio di un linguaggio tecnocratico permea la controcultura hacker e si riflette nell'uso frequente di giochi di parole, rime, contrazioni e ironia. Promiscuità stilistica ed eclettismo di codici, parodia, decostruzione, pastiche, collage, celebrazione della forma e dell'apparenza: questi sono, nella loro forma positiva, i mezzi linguistici esemplari di un attacco intellettuale alla cultura di massa atomizzata, passiva, indifferente che, attraverso la saturazione della tecnologia elettronica, ha raggiunto il suo zenith nell'America del dopoguerra. L'appropriazione di materiali linguistici eterogenei, ma omologhi (Lévi-Strauss 1962: tr.it., 1964) ai valori di base degli hacker, provvede la controcultura di una struttura interna ordinata, regolare e coerente: tale unità strutturale, che unisce i partecipanti, provvede quindi il legame simbolico, l'integrazione tra valori e stili di vita del gruppo e come esso li esprima e rinforzi.
E' l'affinità, la similarità linguistica che i membri condividono che fornisce loro la particolare identità culturale e che promuove la nascita di un sentimento di identità di gruppo, comunitario: con uno stile di continua insurrezione, la controcultura hacker costruisce la celebrazione dell'Alterità, di un'identità alternativa che comunica una diversità rispetto alla cultura dominante e che provvede un'unità ideologica per l'azione collettiva.
pantera-nera
00giovedì 9 novembre 2006 14:30
bella guida
Ho letto la guida e l'ho trovata molto interessante, complimenti!!
Aluc@rd
00giovedì 9 novembre 2006 15:16
Se masticate l'inglese:

http://catb.org/jargon/
pantera-nera
00giovedì 9 novembre 2006 22:34
mi spiace
l' inglese nn lo mastico molto bene, lo capisco sl se chatto cn un inglese andando ad intuito.
Aluc@rd
00venerdì 10 novembre 2006 18:55
Re: mi spiace

Scritto da: pantera-nera 09/11/2006 22.34
l' inglese nn lo mastico molto bene, lo capisco sl se chatto cn un inglese andando ad intuito.


Qui trovi la traduzione italiana del Jargon File:

http://jhanc.altervista.org/jargon/Intro.html

Da leggere!
:Cyber:
00mercoledì 21 febbraio 2007 03:12
Sebbene lo jargon file sia stato scritto dall'illustre e Eric S. Raymond, a parer mio e' una buffonata =). L'unica cosa che accomuna gli hacker e' l'insaziabile curiosita' nei confronti della tecnologia. E talvolta distinzioni etiche non sono applicabili ovunque. Molti "cracker" sono anche hacker , ad esempio gli hacktivisti :P.
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