Regimi, dittature e affini

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kurt2409
00martedì 12 dicembre 2006 21:11
Mancava un bel topic generale sullo schifo di paesi come Russia, Iran e chi più ne ha più ne metta...

Ultim'ora:

12 dic 20:51
Russia: vietata marcia in memoria giornalisti assassinati
MOSCA - L'amministrazione Putin ha vietato una marcia in ricordo dei giornalisti uccisi in programma per domenica prossima in Russia. Lo ha denunciato Igor Iakovenko, leader dell'Unione dei giornalisti russi. "Fascisti, estremisti e nazionalisti possono organizzare marce, mentre noi non abbiamo il diritto di onorare la memoria dei colleghi uccisi", ha detto Iakovenko. Sono 14 i giornalisti che dal 2000 hanno pagato con la vita le loro denunce e critiche al governo e agli oligarchi russi. Il 7 ottobre scorso e' stata uccisa Anna Politkovskaya, che aveva denunciato le atrocita' commesse dalle truppe di Mosca in Cecenia. (Agr)
kurt2409
00martedì 12 dicembre 2006 21:13
E via con l'Iran:

12 dic 17:31
Medio Oriente: Ahmadinejad, "Israele scomparira' presto"
TEHERAN - In occasione della controversa conferenza di studio sull'Olocausto, a Teheran, il presidente iraniano Ahmadinejad torna a inveire contro Israele. Quello Stato, afferma, "scomparira' presto". "Il regime sionista e' in fase discendente'', ha dichiarato. (Agr)

[Modificato da kurt2409 12/12/2006 21.19]

kurt2409
00giovedì 21 dicembre 2006 21:50
L'incubo del giorno del secondo olocausto
di Benny Morris
Corriere della Sera, 20.12.2006

Il secondo Olocausto non sarà come il primo. Certo, anche i nazisti ordirono uno sterminio di massa. Ma, in qualche modo, avevano un contatto diretto con le vittime. Che disumanizzavano, dopo mesi, anni di atroce degradazione fisica e morale, prima dell'uccisione vera e propria. Ma con cui avevano pur sempre stabilito un contatto fisico: vedevano, sentivano, talvolta toccavano le loro vittime. I tedeschi — e i loro alleati — rastrellavano uomini, donne e bambini, per poi trascinarli e randellarli lungo le strade, freddarli nel bosco più vicino o scaraventarli e stiparli nei vagoni di un treno, da cui iniziava il viaggio verso i campi di sterminio, dove «Il lavoro rende liberi».
Separavano gli individui di costituzione robusta da quelli completamente inutili, che adescavano nelle «docce» attraverso cui veniva pompato il gas; estraevano o presiedevano alla rimozione dei corpi e preparavano, infine, le «docce» per il plotone successivo.

CRISI - Il secondo Olocausto sarà ben diverso. Un bel giorno, tempo cinque o dieci anni, magari nel pieno di una crisi regionale, o quando meno ce lo aspetteremo, un giorno o un anno o cinque anni dopo che l'Iran si sarà dotato della Bomba, i mullah di Qom convocheranno una seduta segreta, sulla quale campeggerà il ritratto dell'ayatollah Khomeini, con i suoi occhi di ghiaccio, per dare il placet al presidente Ahmadinejad, giunto oramai al secondo o al terzo mandato. Tutti i comandi saranno eseguiti, i missili Shihab-3 e 4 saranno lanciati verso Tel Aviv, Beersheba, Haifa, Gerusalemme e, probabilmente, anche contro alcuni campi militari, comprese le sei basi aeree e missilistiche nucleari (o presunte tali) di Israele. Qualche missile sarà dotato di testata nucleare, in qualche caso addirittura multipla. Altri saranno di tipo standard, muniti solamente di agenti chimici o batteriologici, o stipati di vecchi giornali, per scalzare o spiazzare le batterie anti-missilistiche e le unità dell'esercito israeliano.
Per un Paese delle dimensioni e la conformazione di Israele (una striscia di terra oblunga di circa 21 mila chilometri quadrati), quattro o cinque lanci saranno probabilmente sufficienti. E addio Israele. Un milione o più di israeliani, nelle maggiori aree di Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme, periranno sul colpo. Milioni saranno gravemente irradiati. Israele conta sette milioni di abitanti circa. Nessun iraniano vedrà né toccherà alcun israeliano. Tutto si svolgerà in modo molto impersonale.

DANNI COLLATERALI - Ci saranno inevitabilmente anche morti di nazionalità araba. Circa 1,3 milioni di abitanti di Israele sono arabi e altri 3,5 milioni vivono nelle aree ancora in parte occupate della Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Gerusalemme, Tel Aviv, Jaffa e Haifa contano nutrite minoranze arabe. E attorno a Gerusalemme (vedi El Bireh, vicino a Ramallah, Bir Zeit e Betlemme) e Haifa sorgono vaste aree a densa popolazione araba. Anche qui saranno in moltissimi a morire, sul colpo o poco a poco.
È improbabile che un simile massacro possa turbare Ahmadinejad e i mullah. Gli iraniani non amano particolarmente gli arabi, nutrono particolare disprezzo per i palestinesi sunniti che, in fin dei conti, pur essendo inizialmente dieci volte più numerosi degli ebrei, nel corso di un conflitto che si è protratto per anni non sono riusciti a impedire loro di fondare lo Stato ebraico, né di prendere possesso di tutta la Palestina. Di più, i leader iraniani considerano la distruzione di Israele come un supremo comando divino, l'araldo della Seconda Venuta, e la morte collaterale degli islamici come il sacrificio di shuhada (martiri) sull'altare di una causa nobile. In ogni caso, il popolo palestinese, sparso un po' in tutto il mondo, sopravviverà, assieme alla grande nazione araba di cui è parte integrante. E va da sé che, per liberarsi dello Stato ebraico, gli arabi devono essere pronti a qualche sacrificio. E il gioco, considerandolo nel bilancio generale, vale la candela.
Ma un'altra questione potrebbe essere sollevata nel corso di queste consulte: e Gerusalemme? La città, infatti, ospita due dei luoghi più sacri dell'Islam (dopo la Mecca e Medina): le moschee di Al Aqsa e di Omar. Con ogni probabilità, però, la suprema guida spirituale Ali Khamenei e Ahmadinejad darebbero a questa domanda la stessa risposta che sfoggerebbero per il più generale problema della distruzione e dell'inquinamento radioattivo dell'intera Palestina: la città e la terra, per grazia di Dio, in venti, cinquanta anni al massimo torneranno come prima. E saranno restituite all'Islam (e agli arabi). Senza la benché minima traccia di contaminazioni radioattive.

RISCHIO CALCOLATO - A giudicare dai continui riferimenti, da parte di Ahmadinejad, alla Palestina e all'urgenza di distruggere Israele, e dalla negazione, di cui si è fatto portavoce, del primo Olocausto, si direbbe che l'uomo sia ossessionato. Tratto che condivide con i mullah: entrambi vengono dalla scuola di Khomeini, prolifico antisemita noto per le folgori scagliate contro il «piccolo Satana». E a giudicare dal concorso, da lui promosso, per le vignette sulla Shoah, o dalla Conferenza sull'Olocausto (appena conclusasi), emerge un presidente iraniano arso da un vortice di odio profondo (oltreché, naturalmente, insolente).
Ahmadinejad, infatti, è pronto a mettere a repentaglio il futuro dell'Iran, se non addirittura di tutto il Medio Oriente musulmano, in cambio della distruzione di Israele. Non v'è alcun dubbio che egli creda che Allah, in un modo o nell'altro, proteggerà l'Iran da una risposta nucleare israeliana o da un'eventuale controffensiva Usa. E, Allah a parte, è facile che egli creda che i suoi missili polverizzeranno lo Stato ebraico, annienteranno i suoi leader, distruggeranno le basi nucleari terrestri e demoralizzeranno o spiazzeranno i comandanti dei sottomarini nucleari in modo così drastico ed efficace da neutralizzare qualsivoglia reazione. E, con il suo profondo disprezzo per il pavido Occidente, è improbabile che il leader iraniano prenda in seria considerazione la minaccia di una rappresaglia nucleare Usa.
Ma può anche darsi che egli sia consapevole del rischio di un contrattacco e si professi tout court — e, secondo il nostro modo di pensare, in modo assolutamente irrazionale — disposto a pagarne le conseguenze. Come il suo mentore Khomeini ebbe a dire, nel 1980, durante un discorso ufficiale a Qom: «Noi non veneriamo l'Iran, ma Allah... Per questo dico: che questa terra bruci. Che vada in fumo, purché l'Islam ne esca trionfante...». Per tali cultori della morte, persino il sacrificio della propria patria vale bene la cancellazione di Israele.
Come il primo, anche il secondo Olocausto sarà preceduto da lustri di indottrinamento dei cuori e delle menti da parte di leader arabi e iraniani, intellettuali occidentali e sfoghi mediatici. Il messaggio è cambiato a seconda del pubblico ma, di fatto, l'obiettivo di fondo è stato sempre lo stesso: la demonizzazione di Israele. Ai musulmani di tutto il mondo è stato insegnato che «i sionisti e gli ebrei incarnano il male» e che «Israele dovrebbe essere distrutto». E agli occidentali, in modo più subdolo, è stato inculcato che «Israele è uno Stato tiranno e razzista» che «nell'età del multiculturalismo, è inutile e anacronistico».

COMUNITÀ INTERNAZIONALE - La campagna per il secondo Olocausto (che, tra l'altro, alla fine provocherà all'incirca tanti morti quanti ne fece il primo) si è svolta in una comunità internazionale lacerata e guidata da ambizioni egoistiche e discordanti, con Russia e China ossessionate dalle prospettive di mercato nei Paesi musulmani, la Francia dal petrolio arabo e gli Usa portati, dopo la débâcle irachena, a un profondo isolazionismo. L'Iran è stato lasciato libero di proseguire sulla china del nucleare, e la comunità internazionale non è intervenuta nello scontro tra Israele e il regime degli Ayatollah.
Ma uno Stato israeliano sostanzialmente isolato — come un coniglio improvvisamente abbagliato dai fari di una macchina —, non può essere all'altezza della situazione. La scorsa estate, guidato da un mediocre politicante come Primo ministro e da un sindacalista da strapazzo come ministro della Difesa, schierando un esercito addestrato per gestire le inesperte e sguarnite bande palestinesi nei Territori occupati (e troppo intento a fare fronte a eventuali disgrazie o a provocarle), Israele è uscito perdente da un mini-conflitto di appena trentaquattro giorni contro una piccola guerriglia di fondamentalisti libanesi spalleggiata dall'Iran. Quell'episodio ha totalmente demoralizzato la leadership politica e militare israeliana.
Da allora, i ministri e i generali israeliani, così come i loro omologhi occidentali, assistendo al graduale approvvigionamento di armi letali a Hezbollah da parte dei fiancheggiatori di quest'ultimo, sono divenuti sempre più sfiduciati e pessimisti. Paradossalmente, è addirittura possibile che i leader israeliani abbiano gradito gli appelli alla moderazione da parte dell'Occidente. E, con ogni probabilità, hanno voluto disperatamente credere alle promesse occidentali che qualcuno — l'Onu, il G7 —, in un modo o nell'altro, avrebbe cavato la castagna radioattiva dal fuoco. C'è stato addirittura chi ha abboccato alla bislacca promessa di un cambio di regime a Teheran il quale, pilotato dal cosiddetto ceto medio laico, avrebbe progressivamente messo il bastone tra le ruote al fanatismo dei mullah.

NUCLEARE - Ma, fatto ancor più rilevante, il programma iraniano ha costituito una sfida infinitamente complessa per un Paese con risorse militari limitate e di tipo convenzionale qual è Israele. Prendendo l'imbeccata dall'operazione con cui l'Aeronautica militare israeliana, nel 1981, riuscì a distruggere il reattore nucleare iracheno di Osiraq, gli iraniani hanno raddoppiato e dislocato i propri impianti, nascondendoli anche molti metri sottoterra (e a ciò va aggiunto il fatto che la distanza tra Israele e gli obiettivi iraniani è doppia rispetto a quella con Bagdad). Per smantellare con le armi convenzionali gli impianti israeliani conosciuti, occorrebbe una capacità aeronautica pari a quella Usa impegnata giorno e notte, e per oltre un mese. Nella migliore delle ipotesi, l'aeronautica, la marina e il commando israeliano potrebbero sperare di fermare solo in parte il progetto iraniano. Il quale, tutto sommato, non subirebbe sostanziali modifiche. Con gli iraniani ancora più determinati (ammesso che ciò sia possibile) a sviluppare quanto prima la Bomba. (Altra conseguenza immediata sarebbe senz'altro una nuova campagna terroristica di stampo islamista e su scala globale contro Israele — e forse anche contro i suoi alleati occidentali — assieme, naturalmente, a un'involuzione pressoché generale. Manipolati da Ahmadinejad, tutti rivendicherebbero che il programma iraniano aveva scopi pacifici). Tutt'al più, un attacco convenzionale da parte di Israele potrebbe procrastinare il progetto iraniano di uno o due anni.

OPZIONI - In quattro e quattr'otto, dunque, la sprovveduta leadership di Gerusalemme si troverà davanti a uno scenario apocalittico, sia che lanci un'offensiva convenzionale dagli effetti marginali, sia che opti per un attacco nucleare preventivo contro gli impianti iraniani, alcuni dei quali situati vicino o dentro le principali città. Ne avrebbe il fegato? La sua determinazione a salvare Israele basterebbe a giustificare l'attacco preventivo, con la conseguente morte di milioni di iraniani e, di fatto, la distruzione dell'Iran?
Il dilemma è stato rigorosamente chiarito già molto tempo fa da un generale molto saggio: l'arsenale nucleare israeliano a nulla può servire. Può soltanto essere schierato «troppo presto» o «troppo tardi». Il momento «giusto» non arriverà mai. Se schierato «troppo presto», ossia prima che l'Iran si fosse procurato gli ordigni nucleari, Israele sarebbe stato degradato a paria nello scacchiere internazionale, bersaglio della furia della comunità musulmana mondiale, senza più alcun Paese disposto a spalleggiarlo. Schierarlo «troppo tardi», invece, vorrebbe dire colpire ad attacco iraniano già avvenuto. E a che pro?
I leader israeliani, quindi, stringeranno i denti sperando che, in qualche modo, le cose si aggiustino da sé. Magari, una volta ottenuta la Bomba, gli iraniani si comporteranno in modo «razionale»?

CATASTROFE - Ma questi ultimi sono guidati da una logica superiore. Lanceranno i loro missili. E, come per il primo Olocausto, la comunità internazionale non muoverà un dito. Tutto avverrà, per Israele, in pochi minuti; non come negli anni '40, quando il mondo stette cinque lunghi anni a torcersi le mani senza battere ciglio. Dopo i lanci di Shihab, la comunità internazionale manderà navi di soccorso e assistenza medica per quanti sopravviveranno alle esplosioni. Ma non attaccherà l'Iran. Quale sarebbe il prezzo? E il tornaconto? Optando per una controffensiva nucleare, gli Usa si alienerebbero definitivamente l'intero mondo musulmano, esasperando e generalizzando il già acceso scontro di civiltà. Ovviamente, senza potere riportare in vita Israele. E allora che senso avrebbe? Il secondo Olocausto, però, sarà diverso nel senso che Ahmadinejad non vedrà né toccherà concretamente gli individui di cui sogna tanto la morte. Anzi, non vi saranno scene come quella che sto per raccontarvi, riportata da Daniel Mendelsohn nel suo recente libro The Lost, A Search for Six of Six Million, in cui viene descritta la seconda Aktion dei nazisti a Bolechow, piccolo paesino della Polonia, nel settembre 1942.
«La signora Grynberg fu vittima di un episodio terribile. Gli ucraini e i tedeschi, facendo irruzione nella sua casa, la trovarono che stava partorendo. A nulla valsero le lacrime e le suppliche degli astanti: la portarono via, ancora in vestaglia, dalla sua casa, e la trascinarono fino alla piazza davanti al municipio. E lì... fu spinta a forza sopra un cassonetto per l'immondizia nel cortile del municipio, e tra gli scherni e i dileggi della folla di ucraini presenti, insensibili al suo dolore, partorì. Il bambino le fu immediatamente strappato dalle braccia con tutto il cordone ombelicale. Fu scaraventato verso la folla, che prese a schiacciarlo coi piedi. Lei fu lasciata sola, con le ferite e i brandelli di carne sanguinanti, e così rimase per qualche ora, appoggiata a un muro, fino a che non fu portata alla stazione ferroviaria e, assieme agli altri, fatta salire su un vagone verso il campo di sterminio di Belzec».
Nel prossimo Olocausto non ci saranno episodi così strazianti. Non vedremo vittime e carnefici coperti di sangue (anche se, a giudicare dalle immagini di Hiroshima e Nagasaki, le conseguenze delle esplosioni nucleari possono essere altrettanto devastanti). Ma sarà comunque un Olocausto.
( Traduzione di Enrico Del Sero)
kurt2409
00giovedì 21 dicembre 2006 21:55
Ricordiamo ai nostri lettori che giovedì 21 dicembre 2006 alle ore 20 a Roma, sotto l'ambasciata di via Nomentana 361 si terrà una manifestazione di solidarietà con gli studenti iraniani che hanno contestato Ahmadinejad.
Manifestazione anche a Milano, contemporaneamente a quella di Roma, davanti al consolato iraniano, in piazza Diaz 6

->
Perchè questa cosa la devo venire a sapere solo da informazionecorretta.com?
Perchè quando c'è una manifestazione a favore della Palestina, in cui bruciare qualche bandiera e dare sfogo al proprio fascismonoglobal, abbiamo migliaia di articoli e dirette tv?
Perchè nessuno dà notizia di una manifestazione contro un nuovo nazista che incarcera degli studenti e li MARCHIA CON DELLE STELLETTE segnalandoli come dissidenti?
Perchè i colletivi delle nostre università, i vari sinistrauniversitaria, pantera, marxisti ecc, sempre pronti a commemorare anche l'ultimo partigiano dell'ultima montagna italiana, non organizzano nulla per SOLIDARIETA' A COLLEGHI STUDENTI MARCHIATI E INCARECERATI DA UNA DITTATURA?
Che schifo questo paese.
kurt2409
00giovedì 21 dicembre 2006 22:01
«La carità che nega l'Olocausto»
Di Ayaan Hirsi Ali

Corriere della Sera, 17.12.2006


Un giorno, era il 1994 e vivevo ancora a Ede, piccola cittadina olandese, la mia sorellastra mi venne a trovare. Entrambe avevamo chiesto asilo politico nei Paesi Bassi.
A me fu concesso, a lei no. Così, io ho avuto la possibilità di studiare. Cosa che lei non ha potuto fare. Per frequentare l'Università che mi piaceva, c'era un esame di ammissione da superare: una prova di lingua, una di educazione civica e una di storia. Fu durante il corso di preparazione all'esame di storia che, per la prima volta, sentii parlare dell'Olocausto. Allora io avevo ventiquattro anni, e la mia sorellastra ventuno. Erano i giorni in cui, alla tv e sui giornali, non si parlava che del genocidio del Ruanda e della pulizia etnica nell'ex Jugoslavia. Il giorno in cui la mia sorellastra venne a farmi visita, ero fuori di me. La storia delle peripezie ai sei milioni di ebrei in Germania, Olanda, Francia e nell'Europa orientale mi aveva profondamente sconvolto.
Avevo appreso che uomini, donne e bambine innocenti erano stati strappati alle proprie famiglie. La stella di David appuntata al petto, venivano ammassati sui treni che li avrebbero portati ai campi di concentramento, per poi essere gassati, per la sola colpa di essere ebrei.
Avevo visto foto con ammassi di scheletri e cadaveri, anche di bambini. Sentito storie agghiaccianti da alcuni dei sopravvissuti all'inferno di Auschwitz e Sobibór. Raccontai tutto ciò alla mia sorellastra, e le mostrai le foto riportate dal mio libro di storia. La sua reazione, però, mi fece impallidire più delle istantanee del mio libro.
Con grande convinzione, prese a sbraitare: «È una menzogna, non farti abbindolare dagli ebrei! Non furono sterminati, né gassati, né trucidati. Ma io prego Allah che cancelli il popolo ebraico dalla faccia della terra».
La mia sorellastra ventunenne non diceva nulla di nuovo. Il mio impallidire era dovuto in parte alle agghiaccianti testimonianze che avevo appena visto e ascoltato, in parte ai genocidi di cui allora ci veniva data notizia.
La stigmatizzazione del popolo ebraico, bollato quale incarnazione del male e nemico giurato dell'Islam, di cui sarebbe intento a ordire la distruzione, è stato il topos della mia infanzia in Arabia Saudita. A indottrinarci, le nostre maestre, le nostre madri e i nostri vicini di casa. Nessuno ci ha mai parlato dell'Olocausto.
E ricordo come, durante l'adolescenza in Kenya, quando i filantropi dell'Arabia Saudita e degli altri Paesi del Golfo arrivarono in Africa, le costruzione delle moschee e le donazioni agli ospedali e agli indigenti si accompagnassero alla maledizione del popolo ebraico. Gli ebrei erano i responsabili della morte di bambini, di epidemie come l'Aids e dei vari conflitti. La loro ostinata ambizione li avrebbe portati a fare qualunque cosa pur di annientare tutti i musulmani. Se volevamo la pace e la serenità, e tenevamo alla nostra sopravvivenza, occorreva distruggerli. E chi non era in grado di imbracciare le armi, avrebbe dovuto solamente unire le mani in preghiera e levare gli occhi al cielo supplicando Allah affinché distruggesse il popolo ebraico.
Oggi, i leader occidentali che si dicono scioccati dalla conferenza promossa questa settimana dal leader iraniano Ahmadinejad dovrebbero fare i conti con questo dato di fatto. Per la maggior parte dei musulmani nel mondo, l'Olocausto non è un fatto storico che loro ostinatamente negano. Semplicemente, non sappiamo cosa è successo perché nessuno ce lo ha raccontato. E, peggio ancora, la maggior parte dei musulmani, sin da bambini, sono incitati a sperare nello sterminio del popolo ebraico.
Ricordo bene, in Africa, filantropi occidentali, Ong e istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale presenti sul posto. I loro delegati portavano agli indigenti medicine, preservativi, vaccini e materiale edilizio. Mai una parola, però, sull'Olocausto. A differenza dei filantropi dediti alla causa dell'Islam, i volontari e le associazioni umanitarie cristiane e laiche non arrivavano sotto il vessillo dell'odio. Ma neppure loro si preoccuparono di parlare chiaro e forte contro quest'ultimo. Questa fu la grande occasione mancata per osteggiare il messaggio di incitazione all'odio diffuso dalle organizzazioni provenienti dai Paesi musulmani ricchi di petrolio.
Oggi, la popolazione mondiale ebraica è stimata in circa 15 milioni di persone. Certo non più di 20 milioni. In termini di tasso di crescita e invecchiamento della popolazione, la popolazione ebraica è paragonabile a quella degli altri Paesi sviluppati.
La popolazione mondiale musulmana, invece, è stimata tra 1,2 e 1,5 miliardi. E non solo cresce rapidamente, ma è anche molto giovane.
La cosa che più mi colpisce della conferenza di Ahmadinejad è la (tacita) acquiescenza dei musulmani moderati. E non riesco a smettere di chiedermi: perché nessuno promuove una controconferenza a Riad, Il Cairo, Lahore, Khartoum o Giakarta al fine di condannare Ahmadinejad?
La risposta potrebbe essere semplice quanto agghiacciante: per generazioni, i leader dei cosiddetti Paesi musulmani hanno indottrinato la popolazione a suon di una propaganda simile a quella propinata in passato ai tedeschi (e ai loro vicini europei). Quella secondo cui gli ebrei sono parassiti e dovrebbero essere trattati di conseguenza. In Europa, la conclusione logica di tutto ciò fu l'Olocausto. Se Ahmadinejad proseguirà su questa china, non avrà difficoltà a trovare Paesi musulmani disposti a mettersi ai suoi servigi.
Il mondo, invece, avrebbe bisogno di conferenze sull'amore, della promozione della comprensione reciproca comprensione tra culture e di campagne contro l'odio razziale. Ancora più pressante, però, è il bisogno di un'efficace e continua campagna di informazione sull'Olocausto. E questo non solo nell'interesse degli ebrei sopravvissuti allo sterminio e dei loro figli e nipoti, ma dell'umanità in generale.
Forse, la prima cosa da fare è contrastare il connubio tra filantropia islamica e odio contro il popolo ebraico. Le organizzazioni umanitarie cristiane e occidentali nel Terzo mondo dovrebbero farsi carico di tutto ciò raccontando, a musulmani e non, cosa è stato l'Olocausto.
kurt2409
00giovedì 19 aprile 2007 19:39
Riesumo questo vecchio topic per la nuova performance del moderno e liberale stato che vuole entrare nella Ue, leggi Turchia:

ANKARA - È salito a dieci il numero delle persone fermate come presunte responsabili per l'omicidio dei tre cristiani, tra cui un tedesco, sgozzati a Malatya. «L'inchiesta in corso non trascura la pista degli Hezbollah» ha detto il governatore di Malatyia, Ibrahim Dasoz. E sono arrivate le prime ammissioni da parte degli arrestati. «Siamo andati alla casa editrice con 5 coltelli. Non avevamo previsto di sgozzare, ma eravamo pronti tutti noi a uccidere. La religione si sta perdendo. Che il nostro gesto sia una lezione ai nemici dell'Islam»hanno detto cinque dei giovani. Uno di loro, Emre Gunaydin, di 22 anni, probabilmente il capo del commando, è in fin di vita dopo essere caduto (o essersi gettato) dal terzo piano dell'edificio dove è avvenuto l'eccidio. Nei mesi scorsi erano stati uccisi il prete italiano Andrea Santoro e il giornalista di origine armena Hrant Dink.


Grazie a Dio in Francia sta per vincere Sarkozy, unico con le palle per dire "Turchia in Europa? Ma siamo pazzi??"
kurt2409
00giovedì 19 aprile 2007 19:43
Segnalo inoltre queste nuove uscite (Vezzy, tutta pubblicità gratuita!):



Fiamma Nirenstein, Israele Siamo Noi




Ayaan Hisrsi Ali, Infedele

Una grandissima donna!
"Sono cresciuta tra la Somalia, l'Arabia Saudita, l'Etiopia e il Kenya. Sono arrivata in Europa nel 1992, a ventidue anni, e vi ho trovato una nuova casa. Ho girato un film con Theo Van Gogh che per questo è stato ucciso a sangue freddo da un estremista islamico, e da allora vivo tra guardie del corpo e automobili blindate. Poi un tribunale olandese ha ordinato che lasciassi la mia casa: il giudice ha dato ragione ai miei vicini nel ritenere pericolosa la mia presenza nel quartiere. Per questo me ne sono andata." Con queste parole Ayaan Hirsi Ali apre uno squarcio nel racconto drammatico della propria vita, dall'infanzia, trascorsa con la nonna matriarca, custode tirannica delle leggi del clan e dell'islam, alla tortura della mutilazione genitale, dall'esilio cui fu costretta dall'opposizione del padre alla dittatura di Siad Barre, al rifiuto di un matrimonio imposto con la forza. Fino alla fuga dall'islam, all'approdo in Olanda e infine negli Stati Uniti.
kurt2409
00domenica 22 aprile 2007 17:06
Perché in Turchia uccidere i cristiani non è reato
di Carlo Panella


Non c’è stata e non ci sarà indignazione in Turchia, non c’è stata e non ci sarà indignazione nella grande umma musulmana per il massacro dei cristiani di Malatya. Uccidere cristiani che si siano macchiati della colpa vergognosa di fare proselitismo, non solo non è reato, ma è cosa lecita e doverosa per la mentalità di molti musulmani, moltissimi, la maggioranza. La strage di Malatya, il rito abramitico blasfemo celebrato dagli assassini è solo un nuovo passo, l’ennesimo, di un inarrestabile progredire dello scisma musulmano che si è radicato in due versioni differenti nell’Islam sunnita con i salafiti-wahabiti e in quello sciita con i khomeinisti. Uno scisma basato sul culto della morte –i cinque assassini sgozzatori bramavano essi stessi il martirio e sono sicuramente delusi di non averlo meritato- a celebrare una liturgia oscena che riconosce il momento salvifico solo e unicamente nel sacrificio umano, di sé e degli infedeli.

In pieno ventunesimo secolo, la distorta modernità dell’Islam ripropone il sacrificio umano come momento centrale di una teologia dell’Apocalisse e riesce a farlo, nel disinteresse della umma musulmana, perché a quella la lega una perversa concezione dell’Islam quale “religione naturale” dell’uomo. I moderati musulmani di questo sono convinti: non solo che l’Islam sia l’unica vera religione – come è ovvio- ma anche e soprattutto che essa sia la “religione naturale” dell’uomo, per cui, chi tenta di distogliere il musulmano dalla sua fede infrange il diritto naturale, l’ordine naturale.

Questa follia teologica totalitaria non è solo patrimonio del fondamentalismo, ma anche dell’Islam moderato, tanto che è stata elaborata e definita nella Dichiarazione Islamica dei Diritti dell’Uomo che tutti i paesi musulmani hanno promulgato nel 1990, quale summa del pensiero politico delle più grandi menti teologico-giuridiche del mondo musulmano ufficiale, anche di regime, i “moderati” in prima fila.

Solo avendo presente questo scabroso retroterra religioso, si può capire perché allora la Turchia è divenuta cristianofobica, come ha denunciato nel 2005 il vescovo Farhat, nunzio apostolico ad Ankara, perché tanti cristiani vi vengono uccisi, perché i musulmani turchi e di tutto il mondo “moderato” non si indignano. La cristianofobia è sempre più di moda nel mondo musulmano, perché l’intero suo sistema di valori teologici nel secolo scorso è stato restaurato, dopo la caduta del Califfato, avendo come riferimento ibn Taymmyya, teologo del XIII secolo violentemente anticristiano e perché la società islamica non riesce a produrre secolarizzazione.

Basti pensare che la laica Algeria - il cui regime piace tanto chissà perché a Gad Lerner - ha varato una legge che punisce con 2 anni di prigione e 10.000 euro di multa chiunque faccia proselitismo presso i musulmani. Prova provata di come l’Islam rifiuti il confronto e punti all’egemonia basandosi sulla coercizione e sulla violenza, nella dimensione della “conversione con la spada”, denunciata da Benedetto XVI° a Ratisbona.

Ci sono ragioni, naturalmente, per cui questa cristianofobia si esprime con tale violenza nella società turca. Non perché, si badi bene, sia frutto di un forte radicamento di massa dei fondamentalisti (che sono ultra minoritari, rispetto ad esempio alla stessa società algerina), ma proprio perché la partita decisiva tra l’Islam secolarizzato, la laicità e il fondamentalismo musulmano si svolge proprio in Turchia. L’unico paese musulmano democratico del Mediterraneo è oggi al centro del confronto di tre forti correnti politico-culturali: il nazionalismo laicista incarnato dai militari, l’islamismo secolarizzato delle confraternite Benktashi, il fondamentalismo moderato incarnato da Tayyp Erdogan. Nelle crepe di questo scontro, si inserisce il terrorismo violento vuoi di matrice musulmana, vuoi di matrice nazionalista (i Lupi Grigi), vuoi di matrice etnica (il Pkk di Ocalan).

Purtroppo, il male antico delle società islamiche, la debolezza culturale e sociale delle élites dirigenti che produce corruzione a livelli cosmici, ha portato nel corso degli anni ottanta e novanta alla crisi più totale dei partiti politici laicisti e delle due loro leadership, incarnatesi dal 1969 in poi in Escevit e Demirel. La frantumazione della rappresentanza politica della Turchia laica, moderna ed europea, che è socialmente ed economicamente enorme (rispetto agli altri paesi musulmani), ma che non supera un terzo del corpo della nazione, ha permesso l’egemonia del fondamentalismo moderato dell’Akp di Erdogan; Nel 2002 infatti, questo partito islamista, grazie ad una legge elettorale sciagurata è riuscito ad avere 2/3 dei seggi parlamentari con solo il 34% dei voti. Solo un partito laico ha superato l’incredibile soglia di sbarramento del 10%, disperdendo così il peso del 56 % dell’elettorato.

Sbilanciata verso l’islamismo, consegnata a Erdogan dall’implosione dei partiti laici corrottissimi e incapaci di proposte politiche adeguate, la Turchia di oggi sente crescere a oriente l’enorme massa critica dello scisma parafascista iraniano, si sente minacciata dall’instabilità crescente dell’Iraq delle stragi, e registra con sorpresa il rigetto dell’Europa, cui pure gli stessi islamisti di Erdogan si erano rivolti. Un rigetto insulso, perché non motivato da una valutazione nel merito dei costi e benefici politici dell’inclusione della Turchia nell’Ue, ma essenzialmente prodotto dalla reazione negativa di tanta parte delle società europee nei confronti dell’immigrazione islamica, senza distinzioni. La Turchia è un immenso “idraulico polacco” coi baffi, nell’immaginario di tanti francesi (che appunto temendo il povero artigiano votarono contro la Costituzione europea) con l’aggravante di un retaggio storico di aggressione e incomprensione. Così è anche per tanti tedeschi, italiani e spagnoli.

Tutte queste dinamiche di radicalizzazione, nei prossimi mesi, sono destinate ad accentuarsi perché in Turchia si deve eleggere il presidente della repubblica ad Ankara e Erdogan può decidere da solo, con i suoi soli voti, chi sarà, mentre i laici non hanno la rappresentanza parlamentare per contrattarla e si devono limitare a manifestare nelle piazze e a chiedere la pressione dei militari. Subito dopo si andrà al voto per le politiche e Erdogan sa bene che può rischiare l’emarginazione politica, se solo il fronte dei partiti laici saprà riorganizzarsi e darsi immagine e programma (ma soprattutto leadership pulite).

Una enorme massa tettonica, ha dunque accelerato i suoi movimenti dall’Anatolia ai Dardanelli. Nei suoi stridori di faglia si aprono voragini infernali di magma. Da lì escono i cultori di un nuovo credo blasfemo che ambiscono solo alla morte, con un bottino di morte.

kurt2409
00mercoledì 25 aprile 2007 17:56


L'ennesimo attaco, come ogni 25 Aprile, da parte dei fascisti di oggi (centri sociali, in questo caso Vittoria) contro gli ebrei vittime dei fascisti di allora.
Lux-86
00giovedì 26 aprile 2007 20:55
solo una precisazione: la brigata ebraica ha sfilato solo quest'anno quindi non ha potuto subire contestazioni prima (anche se a Milano hanno cercato di farla sfilare qualche volta ma non ci sono mai riusciti.)
i centri sociali andrebbero comunque tutti chiusi.
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