ROMA PAPALE

pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:52
dodicesima lettera
Lettera dodicesima

La settimana santa
Enrico ad Eugenio

Roma, Aprile 1847.

Mio caro Eugenio,

Dopo quella terribile veglia, di cui ti parlai nella mia ultima; dopo il fatto di quel prete che mercanteggiava l’assoluzione del sacrilego furto, io era immerso in terribili dubbi. Mi pareva impossibile che il Papa non sapesse cotali cose: e se le sapeva, come le sopportava? come le autorizzava? Giunsi perfino a maledire il momento nel quale era entrato in simili ricerche, e desiderava (cosa impossibile) rientrare nella mia semplicità di fervente Cattolico (Nota 1 - Perchè i preti vogliono la ignoranza?).

Era già qualche tempo che il mio professore non mi parlava; ma il giorno dopo quel fatto, finita la lezione, mi chiamò e mi disse che lo seguissi nella sua camera. Usciti dalla scuola, due altri Gesuiti anziani si unirono al professore; mi guardarono da capo a’ piedi con piglio piuttosto severo; ed io seguendoli, giungemmo nella camera del professore (Nota 2 - Povertà e carità gesuitica). Seduti i due reverendi, il professore prese a dirmi, con grande serietà:

"Figliuol mio, io debbo avvertirvi che voi correte un grave pericolo. Voi non avete voluto seguire i miei consigli, avete voluto continuare a discutere con quel protestante; non avete voluto condurre a noi il Puseita; vi siete affratellato con eretici, e così siete causa di molti danni. In quanto a voi, già la vostra fede vacilla; il Puseita tornerà ad esser protestante, e, da amico che ci era, ci diverrà nemico. E di voi cosa avverrà? Voi, figliuol mio, siete sull’orlo di un gran precipizio; ma siete ancora in tempo per salvarvi: perciò vi ho chiamato alla presenza di questi due padri anziani, per vedere se ci riescisse salvarvi; e ci riuscirà, purchè voi lo vogliate sinceramente."

Conoscendo tu il mio naturale timido, e la mia complessione nervosa, penserai che restassi spaventato da quelle parole. Se ti dicessi che restai tranquillo, mentirei; ma non restai spaventato in modo da non sapere cosa rispondere. Risposi dunque che se la mia fede vacillava alquanto, ciò era non tanto per le discussioni col Valdese, quanto per le cose che io stesso aveva vedute co’ propri occhi.

Allora raccontai le cose che mi aveva scritte il sig. Manson, quello che aveva veduto nelle segreterie, e quello che aveva appreso da quel parroco; ed ebbi la imprudenza di pronunziare il suo nome (Nota 3 - Calunnie del P. P. gesuita).

"Queste son bagattelle, rispose il padre: le segreterie sono dirette da uomini; e gli uomini, o per mancanza di discernimento, o per qualche altra ragione, possono abusare della loro posizione; ma il principio sopra il quale esse basano è santissimo, e non può mancare: esso è la podestà illimitata del S. Padre come Vicario di Gesù Cristo e come successore del grande Apostolo S. Pietro. Voi sapete quello che insegna il gran Fagnano, il più grande ed il più dotto de’ nostri canonisti, che non è permesso ad un Cattolico discutere le azioni del Papa: imperciocchè, egli dice, ciò che il Papa fa, lo fa per l’autorità di Dio che gli è confidata. Voi sapete che il cardinal Zabarella, teologo e sopratutto canonista dottissimo, ha sostenuto, che Dio ed il Papa sono una stessa cosa nelle loro decisioni: Deus et Papa faciunt unum consistorium. Voi sapete che questo insigne canonista ha anche detto, ed in un certo senso ha ragione, che il Papa, in un certo senso, è più di Dio; imperocchè egli può fare in buona coscienza delle cose che per gli altri sarebbero illecite, e che Dio stesso non potrebbe fare (Nota 4 - Dottrine sul papa). Voi sapete che il più grande de’ teologi, il nostro cardinal Bellarmino, insegna, che dato anche il caso impossibile, che il Papa errasse comandando il vizio, e proibendo la virtù; tutti i veri Cristiani sarebbero obbligati sotto pena di peccato a credere che i vizi sono virtù e le virtù sono vizi (* Bellarmino de R. P. lib. IV, cap. 5.), Voi sapete che il sacrosanto concilio Lateranense quinto ha chiamato il papa un vero Dio in terra ed il salvatore della Chiesa. E, sapendo queste cose, come può essere scossa la vostra fede per qualche abuso de’ ministri subalterni? Gli sbagli dello scolaro alterano forse la dottrina del maestro? Gli abusi de’ servi fanno diventare cattivi gli ordini del padrone?"

"Ma, padre mio, risposi, quello che io ho veduto e saputo non sono abusi de’ ministri, ma sono errori di dottrine e di principii. Dichiarare reliquie di un santo quelle che non sono che resti di un cadavere non si sa di chi, vendere le indulgenze, assolvere per denaro da furti sacrileghi, a me pare che sieno orribili abusi di principii."

Queste parole furono dette da me con una certa forza. I due gesuiti anziani si scambiarono delle occhiate che mi sembravano alquanto misteriose; ma il mio maestro non si scompose punto, e con la usata freddezza, ma con un poco d’ironia, mi rispose, che "colui che con una parola cambiava il pane nel corpo santissimo di Gesù, poteva con molta più facilità fare per la sua parola che colui che con fede prega, anche avanti le ossa di un pagano, fosse come se pregasse un santo. In quanto poi al pagare le grazie, voi sapete, ed avreste dovuto dirlo ai vostri protestanti, che quel denaro non è il prezzo della grazia; non vi sarebbe oro bastante nel mondo per pagare il prezzo di una indulgenza, o di un’altra qualunque grazia pontificia: quel denaro è una porzione del riscatto dell’opera meritoria che dovrebbe farsi per meritare quella grazia (Nota 5 - Legati pro remedio animae): difatti osservò, chi non paga è obbligato a fare una penitenza corporale (Nota 6 - Scopatori) per ottenere quella grazia."

Io non mi mostrava abbastanza convinto. Allora uno dei due padri anziani mi disse che la mia anima era in uno stato pericoloso: che, in quello stato, mi guardassi bene dall’accostarmi alla comunione pasquale; che essi avrebbero pensato a farmi tenere il biglietto pasquale per presentare al mio parroco (Nota 7 - Biglietti pasquali); che dopo la Pasqua vi sarebbero stati gli esercizi a S. Eusebio, ed io vi sarei andato di nuovo, e così avrei riacquistata la perduta pace della mia coscienza.

"Tutto ciò va bene, disse il mio maestro; ma intanto voi ci dovete promettere di non parlare più con quei Protestanti."

Io che amo la mia pace, promisi tutto: solo per riguardo ai miei amici dissi, che li avrei evitati per quanto mi era possibile; ma che se essi fossero venuti da me contro mia voglia, o incontrandomi mi avessero parlato, non era nella mi educazione nè di scacciarli, nè di fargli uno sgarbo.

Il professore allora si alzò bruscamente, e mi disse in un tuono assai concitato: "Fate pure a vostro modo, come avete fatto finora, seguite pure i dettami della vostra pretesa civiltà; ma vi avverto, che se voi parlate ancora una volta con essi, siete irreparabilmente perduto." E, senza darmi altro tempo, mi licenziò bruscamente.

Le ultime parole del professore m’irritarono: esse mi parevano un attentato alla mia libertà; e la sua minaccia un semplice spauracchio per impormi i suoi voleri: quindi mi decisi a non cercare più i miei amici, a non rispondere alle loro lettere, se mi scrivevano; ma se venivano o se li avessi incontrati, non li avrei nè scacciati, nè sfuggiti; solo avrei cercato di non discutere.

La domenica seguente era la domenica delle palme. Andai nella chiesa di S. Pietro per assistere alla benedizione delle palme che faceva il Papa. Io era stretto nella folla (Nota 8 - Chi può entrare nella cappella papale), ed ammirava il Papa nella sua maestà, il quale dal sublime suo trono, circondato da cardinali e prelati, distribuiva le palme benedette alla sua corte, ed a qualche signore forestiere ammesso a quel grande onore (Nota 9 - Protestanti che ricevono la palma); e restava assai edificato nel vedere i forestieri, anche protestanti, che facevano a gara per essere ammessi a quell’onore, e, dopo aver baciato il piede al papa, ricevevano con gioia dalla sua mano un ramoscello di olivo benedetto!

Finita la distribuzione delle palme, la calca diminuì; allora sentii dietro a me una voce che diceva: "Oh! Che sublime spettacolo!" Sì, rispose un’altra voce, spettacolo orribilmente sublime! È una delle più sublimi azioni della vita di Gesù Cristo, posta in commedia.

Mi era rivolto per vedere a chi appartenevano quelle voci, e vidi i miei tre amici, i quali mi riconobbero e mi si avvicinarono stringendomi amichevolmente la mano. Eccomi di nuovo con loro; e come onestamente fuggirli?

Dopo la funzione delle palme, incominciò la messa cantata da un Cardinale, alla quale assisteva il Papa dal suo trono. In vece di una piccola porzione di Vangelo, si canta in quel giorno tutta la storia della passione del Signore secondo è scritta nell’Evangelo di S. Matteo. Tre diaconi con i loro libri del Vangelo posti in note musicali, vanno prima a baciare il piede al papa, poi montano sopra tre pulpiti, e cantano alternativamente la storia della passione. Uno di essi rappresenta l’Evangelista, e canta in voce di basso tutta la parte storica; un altro che sta alla sua destra, rappresenta Gesù Cristo, e canta in voce di tenore, ma in tuono basso, tutte le parole di Gesù Cristo; il terzo che è a sinistra rappresenta Pilato, Caifa e le turbe, e canta in voce di falsetto, tutte le parole pronunziate da cotestoro.

Il signor Sweeteman si mostrò scandolezzato: pareva a lui che cantare quella storia dolorosa della passione, ed a quel modo, derogasse alla serietà, e che fosse una scena più degna da teatro che da chiesa. Ma il signor Manson che apprezza meglio le cose, vi trovava della edificazione; inquantochè questa cerimonia esteriore agiva maggiormente sui sensi. "Eppoi il canto del Vangelo, diceva egli, è antichissimo nella Chiesa."

"Il Vangelo, rispondeva il Valdese, non è stato scritto pei sensi, ma per il cuore. Credete voi che S. Pietro abbia cantato il Vangelo?"

Mentre i tre diaconi salivano sui loro pulpiti, il papa quatto quatto era passato dietro il trono, e si era ritirato in una camera fatta con arazzi e damaschi in un angolo della chiesa (Nota 10 - Il papa si diverte mentre si canta la passione). In tutto il tempo che si cantò la passione, si vedeva un vai vieni di cardinali, che passavano dietro al trono del papa, e non sapeva ove andassero. Il Valdese ci fece segno di seguirlo, come se ci volesse mostrare qualche gran cosa. Andammo; ed egli ci condusse dietro al trono per vedere la ragione di quell’andirivieni. Vedemmo da lontano la camera posticcia fatta con arazzi; ma le guardie svizzere che ne bloccavano le vie, c’impedirono di avvicinarci. Questo divieto fece nascere anco in me la curiosità di sapere cosa si facesse in essa. Mi avvicinai all’ufficiale degli Svizzeri che era mio amico, e gliene domandai.

"È il papa, mi disse, che, increscendogli di restare in piedi tutto il tempo del canto della passione, si ritira in quella camera fatta appositamente."
"E cosa fa in quella camera?" domandò il Valdese.
"Si trattiene a parlare co’ cardinali che lo vanno a vedere ed a prendere de’ rinfreschi."
Ringraziai l’ufficiale, e partimmo.
"Ecco cosa fa il papa, disse il Valdese: mentre nella chiesa si legge la passione del Signore, egli si nasconde per passare il suo tempo in conversazioni, sorbetti, e confetture! Mentre ogni Cristiano che ha ombra di fede, piange alla lettura della passione del Figlio di Dio, colui che si dice suo Vicario non si vergogna di starsene fra le risa ed i sorbetti; e ciò nella chiesa stessa! Signor Abate, signor Manson, voi tacete? Difendete, se ne avete il coraggio, questa azione che io non voglio qualificare."
Noi eravamo mortificati, e non sapevamo cosa rispondere; io, per mia parte, voltai le spalle ed uscii dalla chiesa.
Non ti dirò nulla, per non annoiarti, circa i pensieri che si suscitarono nella mia mente dopo questo fatto. Quei giorni erano giorni di vacanza, per cui non vidi il mio maestro, e neppure andai al Collegio.

Il giovedì santo tornai in S. Pietro, e montai alla cappella Sistina (Nota 11 - Cappelle Sistina e Paolina), per assistere alle funzioni di quel giorno; e sebbene sapessi, quasi per cosa certa, trovarvi i miei tre amici, pure non volli per ciò astenermi dall’andarvi. Dopo la messa, il papa portò il Sacramento nella cappella Paolina processionalmente, e lo ripose nel sepolcro (Nota 12 - I sepolcri). Scesi poscia sulla gran piazza per ricevere la benedizione che il papa dà in quel giorno urbi et orbi, cioè non solo a coloro che sono presenti, non solo alla città di Roma, ma altresì ai Cristiani di tutto il mondo. Oh! qual momento solenne, mio caro Eugenio! Il Papa è portato nella gran loggia sul suo trono a spalle di uomini: non appena egli si alza per benedire il popolo, che tutte le bande militari, che sono sulla piazza insieme colla guarnigione, suonano; i cannoni di Castel S. Angelo sparano; e le campane aggiungono col loro suono festivo alla maestà di quella cerimonia. Il signor Manson era come estatico. Dopo che si fu ritirato il papa, il signor Pasquali mi disse in presenza degli altri due: "Signor abate, qual differenza si fa nella vostra Chiesa, fra quello che voi chiamate il Santissimo Sacramento ed il papa?" Risposi che nel Santissimo Sacramento vi è personalmente Gesù Cristo, in corpo, sangue, anima e divinità; ed il papa è il suo Vicario. "Allora, rispose egli, perchè onorate più il vicario che il principale? Perchè quando benedite il popolo col Sacramento, lo fate senza alcuna solennità e quando benedice il papa sparate i cannoni, suonate le campane, mettete in gran gala le truppe? A me sembra che, sebbene a parole confessiate Gesù Cristo, coi fatti lo diciate minore del Papa."

Questa osservazione mi giunse nuova e ti confesso che non seppi cosa rispondere in quel momento.

parte prima
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:52
parte prima/2

Intanto rientrammo in S. Pietro: il Papa scese con tutti i Cardinali, e si assise sopra il suo trono. Allora un cardinale diacono cantò i primi quindici versetti del capo XIII di S. Giovanni; dopo di che il papa si cinse con grembiule di lino finissimo, scese dal trono, ed andò a lavare i piedi ai dodici Apostoli. Questi sono dodici preti appartenenti a varie nazioni, i quali rappresentano i dodici Apostoli. Sono vestiti di flenella bianca alla orientale, con un grande berretto bianco sulla testa, sono seduti sopra una piattaforma, ed hanno i loro piedi nudi, sopra un bacino di rame ben forbito ripieno di acqua; il papa passa avanti ciascun di loro, che all’appressarsi del papa tuffano i piedi nell’acqua, esso li tocca, poi torna a sedere sul suo trono. Questa funzione si chiama la lavanda.

Io aveva trovato altre volte questa funzione molto edificante; credei anzi aver in essa trovata la risposta a quello che mi diceva il Valdese poco prima. "Voi, gli diceva, che poco fa accusavate il papa di superbia, non vedete ora la sua umiltà?" "E chiamate voi umiltà, mi rispose, un atto di commedia? Io non vedo in quest’atto che un colpo di scena, ed una parodìa studiata dell’atto santissimo operato dal Signore: non vedete voi che tutto è finzione studiata?"

Dopo quella funzione, si passò a vederne un’altra che parimente fu chiamata commedia dal Valdese: era la rappresentazione della cena del Signore. In una immensa sala sopra il portico della chiesa di S. Pietro, sopra una piattaforma, era imbandita una gran tavola per dodici persone; ma accomodata in modo che coloro che mangiavano avessero tutti la faccia voltata verso gli spettatori. La tavola era riccamente imbandita: argenterie, vasi di porcellana con fiori, frutta di tutte le sorta la rendevano di una eleganza straordinaria. Più migliaia di spettatori, per lo più forestieri, accalcati erano per osservare quello spettacolo che parodiava la cena del Signore. I dodici preti che figuravano i dodici Apostoli, erano in piedi avanti la tavola, ed ognuno di loro aveva dietro un loro servo con un grande paniere. Il Papa entrò, e con un boccale di oro versò un poco di acqua sulle mani di ciascuno, poscia benedisse la mensa, portò un piatto, e si ritirò. I dodici preti allora si assisero, e mangiarono di buon appetito di tutti i piatti portati dai prelati, e tutto quello che avanzava, insieme co’ piatti, posate d’argento, bottiglie, bicchieri, salviette, furono messi ne’ panieri de’ servi, e portati via (Nota 13 - Parodia della lavanda e della cena).

Finito quel desinare, uscimmo; ed il Valdese con gran serietà ci disse: "Sapete voi come può definirsi il papismo? Il Vangelo messo in commedia" (Nota 14 - Profanazione di cose sante).

Io cercai, per quanto mi fu possibile, giustificare quegli usi; ma, ti dico la verità, io stesso non ne restava molto edificato.

Il venerdì santo tornai la mattina alla cappella papale. Si cantò, come nella domenica, la passione del Signore secondo S. Giovanni. Il trono del Papa era senza parati; ma egli non venne se non che dopo finito il canto della passione. Allora incominciò la adorazione della croce, che si fa a questo modo. Il Cardinale celebrante si mette con gran riverenza alla sinistra dell’altare a’ piedi di tutti i gradini, il diacono prende la croce coperta con velo nero, che è sopra l’altare, e la consegna al celerante, il quale scuopre soltanto la sua sommità; quindi, mostrando al popolo quella sommità scoperta, canta in latino: "Ecco il legno della croce, nel quale pendeva la salute del mondo; venite, adoriamo:" allora il Papa per il primo, poi tutti i Cardinali, Vescovi, Prelati, e popolo, ad eccezione del celebrante, si prostrano, chinano il capo, ed adorano la croce. Dopo breve adorazione tutti sorgono: allora il celebrante monta i gradini dell’altare, e si ferma alla sinistra di esso rivolto verso il popolo; scuopre il braccio destro della croce, la solleva più della prima volta, e canta in tuono più alto le stesse parole; e tutti adorano di nuovo. Finalmente via in mezzo dell’altare, scuopre la croce, la solleva quanto più può, ed in tuono altissimo canta le stesse parole, e si fa la terza adorazione. Dopo la terza adorazione, tutti restano inginocchiati, ed il Cardinale celebrante va, accompagnato dal cerimoniere, a posare la croce sopra un ricco tappeto e cuscino posto in mezzo del coro, adora di nuovo la croce con una genuflessione, e torna al suo posto.

Allora i cantori incominciano a cantare con un canto flebile i rimproveri che Dio faceva nella Bibbia agli Ebrei: ad ognuno di essi risponde un coro in greco Hagios ò Theos, un altro coro ripete le medesime parole in latino Sactus Deus: ad un altro rimprovero il coro dice in greco Hagios ischyros, e l’altro in latino ripete le stesse parole Sactus fortis: dopo il terzo rimprovero, il coro in greco dice: Hagios ò Athanatos elison imas; ed il coro latino Sanctus immortalis miserere nobis.

Mentre il coro canta, il Papa si fa togliere le scarpe, scende dal trono e va ad adorare la croce e baciarla prostrato; sieguono i Cardinali, tutti senza scarpe, poi i Vescovi, i Prelati, ed i circostanti; tutti prima di avvicinarsi alla croce, debbono adorarla tre volte inginocchiandosi, prima di baciarla prostrati (Nota 15 - Adorazione della croce).

Un tale spettacolo mi commosse fino alle lacrime. Vedere il Papa, colui innanzi al quale piegano il ginocchio i più augusti personaggi, scendere dal suo trono umiliato e scalzo per andare ad adorare la croce di Cristo, è spettacolo tale da commuovere ogni cuore cattolico! Il signor Manson era come estatico; ed il sig. Pasquali stesso mostrò gran turbamento. Io credei che quello spettacolo lo avesse commosso, e nell’uscire gli domandai la ragione del suo turbamento. "Un Cristiano, mi rispose, non può non essere turbato nel vedere cotali cose: della cena del Signore e della lavanda de’ piedi se ne fa una specie di commedia; e poi con tanta serietà si adora una croce, che in fin de’ conti non è che un legno" (Nota 16 - Pensieri di Claudio di Torino).

Finita la adorazione della croce, si fa la processione, si va alla cappella Paolina a levare il sepolcro, e si finisce così la messa de’ presantificati (Nota 17 - Messa de' presantificati).

Le funzioni del sabato santo sono poca cosa in paragone, e perciò non le descrivo: esse consistono nella benedizione del fuoco, dell’incenso, del cero pasquale, e poi si finisce con la messa (Nota 18 - Benedizione del fuoco, incenso, cereo e fonte).

La domenica di Pasqua vi è il grande pontificale (Nota 19 - I tre pontificali), nel quale il papa canta la messa. La chiesa di S. Pietro è tutta parata a festa; tutta la guarnigione di Roma è in parata sulla gran piazza. Una compagnia di granatieri; le guardie svizzere, le guardie capitoline, le guardie nobili, formano un cordone dalla gran porta della chiesa fino all’altar maggiore, e lo circondano in largo cerchio, e dentro di esso non possono entrare che coloro che hanno luogo nella cappella (* Vedi Nota 8 - Chi può entrare nella cappella papale). Il suono delle trombe militari annunzia l’arrivo del papa col suo magnifico corteggio. Io non te lo descrivo; perchè per farsene un’idea bisogna vederlo (Nota 20 - Corteggio del papa).

Quel benedetto Valdese che trova a ridire su tutto, vedendo il Papa entrare in chiesa sul suo magnifico trono portato a spalle d’uomini, rivoltosi a me, disse: "È egli a questo modo che S. Pietro entrava nella raunanza de’ fedeli?" Ogni parola di quell’uomo è una spada al mio cuore: egli parla poco; ma la sua serietà, il suo profondo sentimento religioso, dànno un gran peso alle sue parole.

Il Papa giunto innanzi all’altar maggiore scende dal suo trono portatile, e monta sopra un trono fisso alla sinistra dell’altare. Intuona terza, e mentre i cantori cantano i salmi; il Papa stando sul trono cangia di abiti, ed assume gli abiti preziosi della messa pontificale. Poi scende da quel trono, e va sull’altro ricchissimo che è in faccia all’altare, ma ad una grande distanza, ed incomincia dal suo trono la messa.

Mentre dai cantori si canta il Kirie eleison, i Cardinali vanno alla adorazione del Papa (Nota 21 - Come il papa è adorato).

Per mostrare la unione delle due chiese, cioè la greca e la latina, il Papa, quando canta la messa solenne, sugli abiti latini mette un abito greco che si chiama il fanone; è assistito anche da un diacono ed un suddiacono greci negli abiti della loro Chiesa (Nota 22 - Unione delle due Chiese), ed il Vangelo è cantato in latino ed in greco; però vi è questa differenza: il Vangelo latino è cantato prima del greco; quello è cantato da un Cardinale, questo da un semplice diacono: il libro del Vangelo latino è portato in mezzo a sette candelieri, e quando viene il libro del Vangelo greco cinque de’ candelieri portati da’ Prelati, accompagnano e corteggiano il libro del Vangelo latino, e per quello greco non ne restano che due. Il signor Sweeteman mi domandò il perchè di quella differenza, ed io ti confesso non seppi trovare una buona ragione.

Era la prima volta che io assisteva alla messa pontificale; e sebbene restassi ammirato, come tutti, dallo splendore e dalla magnificenza, pure restai scandolezzato di due cose: dalla mancanza assoluta di devozione in tutti: non si bada che alle cerimonie, e per nulla alla messa: in secondo luogo mi spiacque il modo come il Papa prende la comunione.

Dopo il Vangelo, il Papa scende dal trono e va all’altare, e continua la messa fino all’Agnus Dei: allora torna sul suo trono, ed il suddiacono prende l’ostia consacrata dall’altare, e la porta al Papa; ed egli, che il venerdì era sceso scalzo dal trono, e si era inginocchiato per adorare la croce, resta in piedi avanti il sacramento e si comunica in piedi e sopra il suo trono. Il Cardinale diacono prende allora dall’altare il calice, lo porta al trono del Papa, il quale, per mezzo di un cannello d’oro tutto brillantato, sorbisce un poco di quel vino, dando il resto ad diacono e suddiacono. Ti risparmio le osservazioni de’ miei amici, e specialmente del Valdese, su questo punto, che non piacque neppure a me; ma vi debbono essere delle buone ragioni che a me sono ignote.

Dopo la comunione, il Papa si pose a sedere; il principe assistente al soglio gli porse inginocchiato l’acqua alle mani (Nota 23 - Principe assistente al soglio), poi il Senatore presentò la sua offerta a nome del popolo romano (Nota 24 - Pro missa bene cantata).

Finita la messa, si riordinò il corteggio, ed il Papa come era venuto, così partì sul suo trono, portato a spalle di uomini, e fu condotto sulla gran loggia a benedire il popolo, allo sparo delle artiglierie, ed al suono di tutte le campane e delle bande militari.

Tutte queste cose messe insieme colle antecedenti mi hanno talmente turbato, che io non so in che mondo mi sia. La mia coscienza è turbata; non oso accostarmi alla comunione pasquale; voglio tornare a fare i santi esercizi secondo il consiglio de’ buoni Padri; e spero riacquistare interamente la mia pace. Prega anche tu per me, caro Eugenio, perchè sono in uno stato veramente deplorabile. Addio.

Il tuo Enrico.

pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:53
Perchè i preti vogliono la ignoranza?
Nota 1. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Si fa generalmente un delitto per i preti di volere che il popolo sia ignorante; ma se la ignoranza de' popoli è la ragione essenziale della loro esistenza, se fomentando la conoscenza essi si suiciderebbero, vorrete ascrivere loro a delitto se non vogliono suicidarsi? Fate che la ignoranza religiosa sia bandita; che il popolo si persuada che la vera religione non può venire che da Dio, e che in conseguenza che essa non si trovi che nel libro di Dio; date in mano al popolo la Bibbia, lasciate che il popolo s'istruisca in essa; e poi mi saprete dire cosa diviene la religione de' preti. Fate che il popolo sia istruito nelle scienze naturali, secondo la sua capacità; eppoi mi saprete dire cosa divengono le Madonne che aprono gli occhi, le immagini che sudano, e tanti altri miracoli inventati da' preti. "La fede, diceva il cardinal Bellarmino, consiste nella ignoranza." Il fervente Cattolico, diceva bene il nostro abate, deve essere semplice; vale a dire credere a quello che dicono i preti.

Ma i preti, ci si dirà, sono quelli che nel medio evo han salvato e le lettere e le scienze.

Sarebbe peccare d'ingratitudine se non si riconoscesse che i preziosi manoscritti dell'antichità ci sono stati conservati dai monaci; ma non prendiamo per tutt'oro quello che in gran parte non è che orpello. Il clero ne' tempi barbari aveva preso invero il monopolio della conoscenza, ma il popolo a che era ridotto? Ad un gregge di schiavi, che per vivere bisognava che dipendesse in tutto e per tutto dal clero. E la conoscenza cosa era divenuta nelle mani del clero? quali progressi essa faceva? I progressi del gambaro.

Citeremo alcuni documenti per dimostrare quale fosse la scienza de' chierici, allorchè tutto il sapere era esclusivamente nelle loro mani.

Il Concilio Toletano VIII, tenuto nell'anno 653, lamenta che i preti erano così ignoranti che non sapevano neppure quello che si facevano quando esercitavano il loro ufficio; quindi ordinò che nessuno fosse più promosso ad una dignità ecclesiastica, se non sapessero leggere il salterio, gl'inni e il rito del battesimo. E per coloro che si trovassero già nelle dignità ecclesiastiche, o si sottomettessero spontaneamente, o si costringessero ad imparare a leggere "è cosa assurda ammettere alle dignità ecclesiastiche coloro che no conoscono la legge di Dio e non sanno almeno mediocremente leggere." (Sacros. Concil. studio Philip. Lbbaei, et Gabr. Cossartii, tom. VI, pag. 403, ediz. di Parigi 1671).

Mezerai, istoriografo di Francia, nel suo compendio cronologico, parlando de' tempi di Carlo M. dice: "L'ignorance etait affreuse parmi les Evêque, puisq'on les obligait d'etendre l'oraison Dominicale, e que Charlemagne, après tant de reformations, eut bien de la peine à leur faire seulement quelque exhortations aux peuples."

Il Concilio di Troia (Francia), tenuto nell'anno 909, lamenta che innumerevoli ecclesiastici erano giunti alla loro vecchiezza senza avere imparato ancora le cose le più necessarie della fede, e senza sapere neppure il simbolo degli Apostoli e la orazione domenicale (Labbaei, tom. IX, pag. 571). Ecco i dotti del medio evo, i custodi della scienza!

Il Fleury nella sua Storia ecclesiastica, libr. 61 all'anno 1072, cita un passo di S. Pier Damiano, nel quale dice che la ignoranza del clero era tale che ve ne erano di coloro che non erano capaci di leggere due sillabe di seguito.

Roberto Testagrossa, vescovo di Lincoln, nel decimoterzo secolo, scriveva che vi erano molti preti i quali non sapevano esporre neppure un articolo di fede, non un solo comandamento di Dio.

Nell'ottavo secolo, Bonifacio vescovo scriveva a papa Zaccaria, domandandolo se era valido il battesimo amministrato da un prete in nomine Patria, Filia et Spiritu sancta: il papa risponde che era validissimo, a cagione della ignoranza: e questo decreto è nel diritto canonico, 3 p. de consecr. dist. 4, cap. Retulerant.

I capitolari di Carlo M. ordinano che i preti devono comprendere il loro messale, e l'orazione domenicale.

Alfredo il grande re d'Inghilterra, verso la fine del secolo nono, lamenta che in tutto il suo reame non vi era un sol prete che avesse una qualche idea de' suoi doveri, che comprendesse la liturgia, e che fosse capace di tradurre dal latino in inglese una benchè piccola porzione delle S. Scritture.

Che se all'epoca del rinascimento si sono ancora trovati nelle biblioteche de' monaci preziosi manoscritti, ciò è dovuto alla provvidenza, la quale non ha permesso che i monaci distruggessero interamente que' tesori che erano a loro insaputa nelle loro biblioteche. L'abate Muratori nelle sue Antichità Italiane del medio evo, tom. 1 p. 1296, ci ha conservato un prezioso fatto su questo proposito scritto da Benvenuto da Imola, il quale dice averlo sentito raccontare dal suo maestro Boccaccio, come accaduto a lui nel famoso monastero di Montecassino, che gode la fama di essere uno di que' monasteri che ci ha conservato il più gran numero di codici. Lo ripeteremo ne' suoi termini originali.

"Dicebat enim (Boccaccius de Certaldo) quod dum esset in Apulia, captus fama loci, accessit ad nobile monasterium Montis Cassini… et avidus videndi librariam, quam audiverat illic esse nobilissimam, petivit ab uno monacho humiliter, velut ille qui suavissimus erat, quod voleret ex gratia sibi aperire bibliothecam. At ille rigide respondit, ostendens sibi altam scalam: Ascende quia aperta est. Ille laetus ascendens, invenit locum tanti thesauri sine ostia vel clavi: ingressusque, vidit herbam natam per fenestras, et libros omnes cum bancis coopertis pulvere alto. Et mirabundus coepit aperire, et volvere nunc istum librum nunc illum, invenitque ibi multa et varia volumina antiquorum et peregrinorum librorum. Ex quorum aliquibus erant detracti aliqui quinterni, ex aliis recisi margines chartarum, et sic multipliciter deformati. Tandem miratus labores et studia tot inclitorum ingeniorum devenisse ad manus pertitissimorum hominum, dolens et illacrymans recessit. Et occurrens in claustro, petivit a monacho obvio, quare libri illi pretiosissimi essent ita turpiter detruncati. Qui respondit, quod aliqui monachi volentes lucrari duo vel quinque solidos, radebant unum quaternum, et faciebant psalteriolos, quos vendebant pueris: et ita de marginibus faciebant brevia, quae vendebant mulieribut. Nunc ergo, o vir studiose, frange tibi caput pro faciendo libros!" Ecco come erano custodite le librerie più celebri de' monaci! senza chiave, senza porta, altissima polvere fino a formarsi in esse la terra vegetale e le erbe: i monaci radevano le pergamene per venderle a pochi soldi; inguisachè quello che ci è restato, ci è restato per opera della provvidenza, non per la cura de' monaci.

Innoltre il monopolio del sapere in mano del clero, ci ha condotti a quello scetticismo necessario nella critica; per cui è difficile di conoscere la genuinità de' codici. Il clero ci ha regalata la famosa donazione di Costantino, le false decretali, le leggende; cose tutte inventate dal clero nel tempo del suo monopolio del sapere. È chiaro dunque che la conoscenza non solo non è frutto del Cattolicismo romano, ma è da esso avversata. Il cattolicismo romano abbisogna d'ignoranza, e cerca tutti i mezzi di propagarla. Se vi è qualche prete veramente dotto è anatematizzato: ed ai nostri tempi abbiamo gli esempi di Lamennais, Gioberti, Rosmini, P. Ventura, ed altri ancora.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:54
Povertà e carità gesuitica
Nota 2. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

È cosa piuttosto difficile entrare nella camera di un Gesuita: non vi sono ammessi che gli adepti: io ne ho vedute parecchie, e posso descriverle. La camera di un Gesuita è semplicissima: un piccolo letto discretamente comodo e ben netto, una semplice tavola da scrivere, uno scaffale con libri, un genuflessorio e due sedie di paglia formano tutto il mobilio: in luogo di tende alla finestra, vi sono due telarini in legno con carta verde, che dànno una luce comoda e sana. La camera di un professore ha le pareti coperte di scaffali ripieni di libri, che trattano il ramo della scienza ch'egli professa. Ogni professore ha libero accesso alla magnifica biblioteca del Collegio Romano, forse l'unica biblioteca di Roma che sia al corrente di tutte le opere teologiche ed ecclesiastiche che si pubblicano nel mondo. Io domandai un giorno al P. P., maestro del nostro Enrico, come si regolavano per avere i libri, la cui introduzione nello stato era assolutamente proibita: e mi rispose che li facevano venire diretti a qualche cardinale loro amico; e siccome i pacchi diretti ad un cardinale non pagano nulla nè per il trasporto postale, nè per il dazio, e non sono soggetti ad essere visitati; così essi (i Gesuiti) hanno i libri proibiti a miglior mercato degli altri non proibiti.
Oltre la biblioteca, hanno un prezioso museo, composto per lo più di oggetti mandati dai missionari gesuiti. A proposito di questo museo mi sovviene che un giorno un pover'uomo venne a confessarsi da me e mi disse di avere rubate delle cose al detto museo, ma nel tempo che il Collegio Romano era in mano de' preti; e di avere rubate altre cose nella guardaroba del principe Borghese. Come era giusto, lo obbligai alla possibile restituzione: ma egli era ridotto ad estrema miseria, era vecchio e malato. Aveva alcuni oggetti ancora di qualche valore appartenenti ai due derubati, e me li consegnò pregandomi di farne la restituzione, e domandare l'assoluzione per il resto che più non aveva, e che gli era impossibile di restituire nell'equivalente. Andai dal principe Borghese, raccontai il fatto, e la miseria dell'incognito restitutore; ed il principe prese gli oggetti, mi diede una elemosina che superava il prezzo di essi, acciò la rimettessi al convertito ladro ridotto in quello stato compassionevole, e mandò il perdono per tutti gli altri oggetti non restituiti. Andai dal P. Rettore del Collegio Romano; ma egli prese gli oggetti, e non volle condonar nulla per le altre cose non restituite: inguisachè se la giustizia di Dio si misurasse dalla carità de' Gesuiti, quell'anima sarebbe andata dannata per la loro avarizia.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:54
Calunnie del P. P. gesuita
Nota 3. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Il P. P. con la sua sincerità e carità gesuitica ha avuto la imprudenza, in un libro pieno di fiele che ha pubblicato, di vomitare calunnie e ingiurie contro quel parroco che era pure suo amico. Sappia il P. P. che non ho risposto perchè non lo curo, e perchè le sue ingiurie mi onorano: chi mi conosce in Roma e fuori sa che sono calunnie. Del resto ho nelle mie mani più di cento documenti originali per ricacciare in gola al Gesuita le sue calunnie, documenti che mostrano quale è sempre stata la mia condotta in Roma.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:54
Dottrine sul papa
Nota 4. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Vedi il nostro libro "Il Papa," ove al capo 1 della prima parte sono citate le dottrine della Chiesa romana sul papa.

pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:55
Legati pro remedio animae
Nota 5. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

L'abate Muratori, nella sua dissertazione 68 delle Antichità Italiane, prova con molti documenti che non solo col denaro si comperano le grazie e le indulgenze, ma si scontano anche i peccati; e dice che nel medio evo in quasi tutte le donazioni fatte alle chiese od a' preti, s'incontra alcuna delle seguenti formule: pro remissione peccatorum; pro mercede; ad mercedis augmentum; pro remedio o redemptione animae meae. Rapporta lo stesso autore una epigrafe inventata da' preti che si faceva porre da' notai sopra quegli atti; che in que' tempi d'ignoranza faceva un grandissimo effetto: eccola: "Quisquis in sanctis et venerabilibus locis ex suis aliquid contulerit rebus, juxta auctoris vocem, in hoc seculo centuplum accipiet; insuper, et quod melius est, vitam possidebit aeternam."
Nell'antica Chiesa, per i pubblici peccati erano da' canoni assegnate pubbliche penitenze. Nel medio evo, s'incominciarono a tramutare in pagamento alla Chiesa, ossia a' preti, le penitenze; allora il denaro dato a' preti si chiamò la redenzione dell'anima. Da questa idea sono venute le tasse della cancelleria, che non sono, come male interpretano alcuni, il prezzo del peccato; ma il prezzo equivalente alla penitenza a quello annessa. Con questa teoria, le sacre congregazioni di Roma fanno tuttora pagare le grazie che concedono.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:55
Scopatori
Nota 6. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Quando i poveri contadini domandano una qualche grazia a Roma, e non hanno denari come pagarla, sono condannati per un certo tempo, prima di ottenere la grazia, di restare in Roma, e sono obbligati di lavare il pavimento della chiesa di S. Pietro, e di strappare l'erba che cresce fra gl'interstizi delle piccole pietre che formano il pavimento di quella immensa piazza. Il lavoro dura molti giorni, e quegli infelici, dopo avere lavorato l'intero giorno, sono obbligati la sera andare a mendicare un tozzo di pane, e poi stendersi a dormire sulla nuda terra sotto il porticato della piazza di S. Pietro. Chi poi ha denari paga, ed è tutto accordato. Accade qualche volta che una grazia è domandata da qualche storpio impotente a pagare ed a lavorare: allora egli è condannato a restare per un numero determinato di giorni ritto avanti la pila dell'acqua benedetta in S. Pietro, e presentare con la sua mano l'acqua benedetta a tutti coloro che entrano. Salvo poi di andarsi a mendicare il pane dopo chiusa la chiesa.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:55
Biglietti pasquali
Nota 7. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Vi sono in Roma alcuni parrochi coscienziosi, i quali non vogliono costringere i loro parrocchiani a comunicarsi, e vogliono per quanto è possibile salvare la legge: allora dànno de' biglietti di comunione ai confessori, acciò possano distribuirli a coloro i quali non sono disposti alla comunione, e che facendola forzatamente commetterebbero un sacrilegio. Costoro hanno il documento da mostrare che hanno soddisfatto al precetto pasquale, sebbene non sia vero. Quando poi un confessore accreditato domanda ad un parroco un biglietto di comunione pasquale, non è mai negato: ecco la spiegazione della offerta de' padri.

pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:56
Chi può entrare nella cappella papale
Nota 8. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Alle funzioni papali non sono ammessi tutti ad assistervi, tanto a quelle che si fanno nelle cappelle, come a quelle che si fanno in S. Pietro, ed in qualunque altra chiesa. Le donne non sono ammesse senza un biglietto, e debbono andarvi non co' loro cappellini, ma con un velo sul capo. Esse sono sopra una bassa piattaforma in luogo assai distante dal trono del papa.
In quanto agli uomini, i frati sono ammessi nel loro abito; i preti in abito talare; i secolari in abito nero, ma non in soprabito: nonostante tali restrizioni, la calca è sempre grande, per il gran numero di frati e di collegiali che vi vanno.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:56
Protestanti che ricevono la palma
Nota 9. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Non è raro di vedere anche de' Protestanti ambire l'alto onore di ricevere un ramoscello di ulivo benedetto dalle mani del papa: allora essi si prostrano davanti al papa, baciano la S. Pantofola, e ricevono il ramoscello di ulivo a prezzo di una idolatria: costoro disonorano se stessi, e la religione alla quale esteriormente professano di appartenere.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:57
Il papa si diverte mentre si canta la passione
Nota 10. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Questo fatto è storico. Esso fu inventato dai cortigiani di Gregorio XVI. Era divenuta tale l'affluenza dei forestieri che volevano ricevere la palma dalle mani del papa, che bisognò persuadere il papa di fare quella funzione non più nella cappella, ma nella chiesa di S. Pietro. Ma perchè, mi si dirà, tanta premura nei cortigiani di contentare tanti forestieri? Ecco la sua ragione. Coloro che vanno a ricevere il ramoscello di ulivo chiamato palma, sono in un posto distinto: per essere ammessi in quel posto vi vuole un biglietto di Monsignor Maggiordomo: questo biglietto si ottiene per mezzo dei cortigiani. Il biglietto si rilascia gratis: il cortigiano che lo dà non può esigere nulla; ma senza una mancia, egli vi dice di non averne; per cui il biglietto si dà gratis, ma se non pagate non potete averlo.

La difficoltà d'indurre papa Gregorio a fare la funzione in S. Pietro era questa: in tutto il tempo che si canta la passione, il papa dovrebbe stare ritto in piè; e papa Gregorio non avrebbe voluto quell'incomodo per tutto l'oro del mondo. Quando la funzione si faceva nella cappella, egli facilmente si ritirava nelle sue camere; ma per ritirarsi da San Pietro doveva attraversare tutta la chiesa, e fare un lungo cammino; per cui il papa non voleva acconsentire di cambiare il luogo della funzione. Allora i cortigiani inventarono il ripiego di fare una camera con arazzi in un angolo della chiesa dietro al trono, e per quivi intrattenere il papa preparavano dei rinfreschi e delle confetture, e chiamavano cardinali e prelati a tenere il papa in allegria, finchè fosse finito il Passio, e potesse ritornare sul suo trono. Noi non sappiamo se Pio IX abbia continuato lo scandaloso sistema; ma crediamo di no: però è certo che quel sistema era praticato da Gregorio XVI.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:57
Cappelle Sistina e Paolina
Nota 11. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Nel palazzo del Vaticano vi sono due magnifiche cappelle, nelle quali il papa fa le sue funzioni.
Prendendo dal lato sinistro della chiesa, si sale per la magnifica scala chiamata di Costantino, perchè ai piedi di essa vi è la statua equestre di quell'imperadore. Quella scala è quanto di più magnifico abbia saputo immaginare l'arte in quel genere. La scala conduce alla spaziosissima sala chiamata dei re; perchè è tutta piena di affreschi rappresentati re umiliati ai piedi dei papi. Potrebbe meglio chiamarsi la sala dell'orgoglio papale. Due grandi porte corrispondenti a quella sala mettono a due vaste cappelle: quella a sinistra si chiama la Sistina, quella a destra la Paolina.

La cappella Sistina è quella ove il papa funziona. Essa chiamasi Sistina, perchè fu fatta erigere da papa Sisto IV. La vastissima facciata di fondo è tutta occupata dal capo d'opera in pittura a fresco di Michelangelo, ove egli rappresentò la scena del giudizio universale. Quella pittura mostra fin dove giungesse il genio del pittore; ma per il luogo ove essa è, dimostra quale sia la dottrina della Chiesa romana sopra alcuni punti. Gesù Cristo giudice è la figura principale; ma egli è in piedi sulle nuvole in atto minaccioso, e come Giove tuonante, con la mano destra sollevata in atto di scagliare il fulmine. Maria è alla sua destra in atto di trattenere la sua ira. Dunque con quella pittura il papa testimonia che Maria è più misericordiosa di Gesù; che Gesù il quale ha dato la sua vita pei peccatori, poi li fulmina, e Maria lo arresta; Maria adunque ama più i peccatori di quello che non li ami Gesù. La composizione, il disegno, il colorito sono tali che sarà difficile che un altro pittore possa giungere a quella altezza; ma, oltre quello che abbiamo osservato, vi sono altri inconvenienti teologici, che sebbene sieno leciti al pittore, non dovevano però essere permessi in una cappella, specialmente nella cappella ove ufficia il papa. Si vedono, per esempio, gli angeli che combattono coi demoni e si disputano le anime; fatto assolutamente contrario alla Bibbia. Si vede Caronte che carica la sua barca dei condannati, e batte col remo i restii. Che codesta pittura sia ammirata dagli amatori di belle arti, è giusto; ma che sia stata fatta fare da papi per la loro cappella, non prova altro se non che l'accecamento religioso in cui essi sono.

La cappella Paolina si chiama così perchè eretta da Paolo III. Anche in essa vi è una pittura di Michelangelo rappresentante la crocifissione di S. Pietro. Questa cappella, più piccola dell'altra, serve per la esposizione delle quarantore, e del sepolcro nella settimana santa.

pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:57
I sepolcri
Nota 12. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Per il sepolcro nella Cappella Paolina si fa un altare provvisorio, posto in mezzo alla cappella: un'alta e graziosa gradinata parte dall'altare e s'innalza a grande altezza: i gradini sono pieni di alti candellieri con grossi cerei. Nel centro della gradinata vi è una preziosa urna sepolcrale tutta fatta di cristallo di rocca, ed ornata di metalli dorati; là dentro si pone l'ostia chiusa in calice, come in sepolcro, e si chiude l'urna con chiave che si porta via. In qualche paese si usa consegnare la chiave del sepolcro a qualche personaggio benemerito della chiesa; ed egli lo ritiene per un grande onore.

In tutte le chiese di Roma si fanno questi sepolcri, e si gareggia in lusso, specialmente di fiori. Le chiese che più si distinguono per ricchezza e sfarzo nel sepolcro sono S. Antonino dei Portoghesi, San Silvestro in capite, la chiesa delle monache di Torre dei specchi, la quale per quella circostanza è tutta coperta con un parato di paglia, così ben lavorato che le mura della chiesa sembrano d'oro.

Quello che vi è d'incoerente in questi sepolcri è l'anacronismo. Si mette Gesù nel sepolcro il giovedì mattina; cioè più di un giorno prima della sua morte. Il venerdì mattina si fa la predica della passione, poi si canta la storia della passione, poi immediatamente si toglie dal sepolcro, e sole ventiquattro ore dopo si fa risuscitare. Il venerdì dopo mezzogiorno si fanno le tre ore dell'agonia del Signore, e si rappresenta la scena del Calvario, da quelli stessi preti che già lo avevano il giorno avanti sepolto, e la mattina tolto dal sepolcro. Tutte queste incoerenze accadono perchè si vuol fare uno spettacolo delle cose le più serie.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:58
Parodia della lavanda e della cena
Nota 13. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Lo spettacolo della lavanda dei piedi fatta da Gesù Cristo agli Apostoli, e della cena, si fa parimenti dopo che Gesù è stato posto nel sepolcro. Ecco come è descritta la cena degli Apostoli dal Mercurio di Roma del 1843.
"Poco dopo (la lavanda), si ritira il pontefice, e depone gli abiti sacri; si passa in una sala chiamata del concistoro segreto (poi, per dar luogo a' forestieri ed a' curiosi, si trasportò la cena nella vastissima sala che è sopra il vestibolo della Chiesa) o nella sala degli Svizzeri, ove trovasi imbandita una mensa lautissima (per imitare perfettamente la cena del Signore). Giunto ivi il papa, benedetta la tavola dopo la orazione detta da un cappellano, e cinto da monsignor maestro di camera di grembiale, porge l'acqua ai dodici sacerdoti per lavarsi le mani, e seduti che sono a mensa presenta loro una o più vivande, li benedice e si ritira seguitando questo pio uffizio di devota umiltà i principali prelati. Quello che avanza dalla tavola si regala ai medesimi oltre l'abito, ed una medaglia d'oro, ed un'altra di argento, le quali vengono loro consegnate da monsignor tesoriere generale." Coloro che fingono di essere apostoli sono bene pagati per rappresentare quello spettacolo.

pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:58
Profanazione di cose sante
Nota 14. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

È forse un po' troppo forte la espressione del nostro Valdese, e noi non la avremmo usata. Ma veramente si fanno in Roma certe funzioni in questi giorni che hanno molto dello spettacolo. In tutti gli altri paesi cattolici, se ne fanno delle più spettacolose e delle più indecenti ancora: ma io parlo solo di Roma, maestra del Cattolicismo. Per esempio, il mercoledì santo alla sera vi è il grande spettacolo alla Trinità dei pellegrini, ove non si entra senza biglietto, avuto con la solita mancia. Lo spettacolo consiste in questo: alcuni cardinali, prelati, e tutte le dame romane in gran gala vanno all'ospizio della Trinità de' pellegrini. Se non vi sono pellegrini, come accade spesso, si prendono i contadini e le contadine, e si conducono all'ospizio, acciò fingano di essere pellegrini: l'ospizio è magnificamente illuminato come se fosse una sala da ballo, i cardinali e le dame fanno l'atto di lavare i piedi a' pellegrini; poi portano loro in tavola alcuni piatti: questa funzione è una vera soirée voltata in senso sacro.

Un'altra funzione che si fa in Roma nel venerdì santo sembrerà incredibile se noi la descrivessimo: citeremo perciò letteralmente le parole del già citato Mercurio di Roma.

"Alle 4 pomeridiane nella chiesa di S. Atanasio al collegio Greco, si fa un devotissimo funerale ad una immagine di Gesù Cristo posta sopra un suntuoso feretro, e il vescovo greco (cattolico) fa la funzione secondo il suo rito." Noi non aggiungiamo una parola; ma questi fatti possono giustificare fino ad un certo punto la piccante espressione del Valdese.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:58
Adorazione della croce
Nota 15. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Dicano pur quanto vogliono i teologi romani; lambicchino pure il loro cervello per trovare ragioni onde dire che nella Chiesa romana il culto di adorazione si dà solo a Dio; che le loro ragioni, a fronte di questo fatto, non potranno convincere che coloro che fingono di esserlo. Questa funzione è chiamata non solo comunemente, ma ufficialmente dal messale romano, adoratio Crucis, l'adorazione della croce. Il prete usando le parole del salmo XCV che esprimono l'adorazione dovuta a Dio, invita il popolo a prestare quella adorazione alla Croce: Venite adoremus, appena dette queste parole tutti si prostrano: ed il messale romano dice cantantibus ed adorantibus. Innoltre il prete va scalzo ad adorare la croce facendo tre genuflessioni con ambe le ginocchia: mox depositis calceamentis, accedit ad adorandam crucem, ter genuaflectens. Poi tutti i chierici ed i laici vanno due a due, e fatta la triplice genuflessione con ambe le ginocchia, adorano la croce: postmodum ministri altaris deinde alii clerici et laici, bini et bini, ter genibus flexis crucem adorant. È dunque una vera adorazione.

E per confermare maggiormente la cosa, se ne avesse bisogno, abbiamo le parole che canta il coro: "Signore, noi adoriamo la tua croce:" crucem tuam adoramus, Domine; e l'inno della croce che si canta in quel giorno, ed anche in altri, nel quale è detto: "Noi ti salutiamo, o croce, nostra unica speranza: in questo tempo di passione, tu accresci la grazia ai pii, e cancella i peccati dei rei."

O Crux, ave, spes unica:
Hoc passionis tempore,
Piis adauge gratiam,
Risque dele crimina.
E quella croce che così si adora, non è già la vera croce, ma una immagine di essa fatta da un legnaiuolo.

pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:59
Pensieri di Claudio di Torino
Nota 16. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Ecco cosa scriveva nel nono secolo Claudio, vescovo di Torino, intorno alla adorazione della croce:
"Ma dicono questi cultori di una falsa religione e della superstizione: Noi adoriamo, veneriamo, e prestiamo culto alla immagine della croce del Signore per memoria di lui, ed in onore di lui……Ai quali rispondiamo, che se essi vogliono adorare ogni legno fatto in forma di croce, perchè Cristo fu appeso alla croce, sieno conseguenti: adorino egualmente tutte le altre cose che possono rappresentare un mistero di Lui. Appena sei ore Cristo fu sulla croce, ma per ben nove mesi fu nel seno della Vergine. Adorino dunque tutte le vergini, perchè una vergine partorì Cristo; adorino le mangiatoie , perchè Cristo appena nato fu posto in una mangiatoia; adorino le pezze, perchè in esse Cristo fu involto; adorino le barche, perchè esso frequentemente da una barca insegnava, perchè in una barca dormì, perchè ordinò che dalla barca si gettasse la rete… (* Per non incomodare il fisco, abbiamo messi i puntini, e saltiamo un altro bellissimo paragone del vescovo di Torino.) Adorino gli agnelli, perchè sta scritto di Cristo: Ecco l'Agnello di Dio; ma costoro non vogliono adorare gli agnelli, ma li vogliono mangiare. Adorino i leoni, perchè di Cristo è scritto: Ha vinto il leone della tribù di Giuda; adorino le pietre, perchè Cristo fu posto in un sepolcro di pietra, e perchè è scritto: La pietra era Cristo. Adorino le spine, perchè di esse fu coronato; adorino le canne, perchè con una di esse fu percosso; adorino la lancie, perchè con una di esse gli fu forato il costato…… Dio ha comandato una cosa, ed essi ne fanno un'altra. Dio ci comanda non di adorare, ma di portare la croce, ma essi vogliono adorarla, e non portarla. Servire Dio in tal maniera è rinnegarlo."
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 18:59
Messa de' presantificati
Nota 17. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

La messa del venerdì santo si chiama la messa dei presantificati, a riguardo degli elementi che non sono consecrati in quel giorno; il prete mangia in quel giorno l'ostia consecrata il giorno innanzi e messa nel sepolcro: in quel giorno non si fa neppure la consecrazione del vino, ed il prete si comunica con la sola ostia, dopo la quale beve del vino, e dell'acqua con la quale ha lavate le sue dita, ed il calice in cui era l'ostia.

pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 19:00
Benedizione del fuoco, incenso, cereo e fonte
Nota 18. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Le funzioni del sabato santo consistono nella benedizione del fuoco, benedizione dell'incenso, del cereo pasquale fatta dal diacono cantando, e nella messa.
Quello che vi ha di singolare nella benedizione del fuoco è questo: il fuoco deve essere acceso fuori della porta della chiesa, e non può accendersi nè con carboni già accesi, nè con zolfanelli fosforici; perciò in ogni sacrestia deve conservarsi l'antidiluviano acciarino, e la pietra focaia per accendere con essi il fuoco del sabato santo; ed eccone la ragione. Nella benedizione del fuoco si dice: "O Dio che per mezzo del tuo Figliuolo, cioè per la pietra del capo del cantone, dasti ai fedeli il fuoco della tua luce; benedici e santifica questo nuovo fuoco prodotto dal selce, acciò sia giovevole ai nostri usi etc." Quel fuoco così benedetto si consuma; ma la sua benedizione è comunicata a tutto il fuoco che in tutto l'anno si pone negl'incensieri della chiesa.

Questa benedizione si fa sulla porta della chiesa, stando il fuoco fuori, ed il clero sulla porta di essa. Poscia si entra alquanto dentro e si trova una credenza sopra la quale, in un vassoio, sono alcuni pezzi d'incenso, cinque dei quali si affiggono nel cereo pasquale, e gli altri servono per l'uso di quel giorno; e così resta benedetto tutto l'incenso che si adopera in quell'anno, sebbene esso sia ancora nel magazzino del droghiere.

Finita la benedizione dell'incenso, il diacono prende un bastone alla sommità del quale sono infisse tre candele attorcigliate insieme nella loro base, che significano la Trinità; si ordina la processione col diacono alla testa, il quale accende una di quelle candele, s'inginocchia, e canta: Lumen Christi: tutta la processione s'inginocchia, e risponde: Deo gratias. La processione procede e giunta nel mezzo della chiesa, il diacono accende la seconda candela, poi s'inginocchia, ed in tuono più alto canta: Lumen Christi: ed il coro nello stesso tuono risponde: Deo gratias. Giunti avanti l'altare il diacono in tuono altissimo ripete la stessa cosa, ed il coro risponde egualmente. Dopo la domenica in Albis, il parroco dispensa gli avanzi delle tre candele ai grandi benefattori della parrocchia, che li conservano con gran devozione.
Dopo ciò, il diacono si veste della dalmatica bianca, e canta la lunghissima benedizione del cereo pasquale.
Nelle parrocchie poi si fa la benedizione del fonte battesimale, ovverosia dell'acqua che deve servire per battezzare i fanciulli in tutto l'anno.
La benedizione dell'acqua del battesimo si fa sempre cantando, accompagnando il canto con molte ceremonie. Per esempio, quando il prete dice che quell'acqua per ordine di Dio riceve per lo Spirito Santo la grazia di Gesù Cristo, il sacerdote con la mano divide l'acqua in quattro parti, come per far luogo a quella grazia. Quando dice. "Sia quest'acqua una creatura santa ed innocente," la tocca con la mano come per infonderle la santità e la innocenza. Quando vuol paragonare quell'acqua ai quattro fiumi del paradiso terrestre, con la sua mano ne versa verso i quattro venti. Quando vuol significare il soffio dello Spirito Santo, soffia tre volte su di essa. Per significare poi meglio la virtù dello Spirito Santo in quell'acqua, infonde in essa leggermente il cereo pasquale, e dice: Descendant in hanc plenitudinem fontis virtus Spiritus sancti; poi lo infonde una seconda volta più addentro, e canta le stesse parole in tuono più alto; poi, cantandole in tuono altissimo, lo immerge fino al fondo del vaso. Per dare a quell'acqua la virtù di rigenerare, soffia sopra di essa, disegnando col suo fiato un y. Versa poi in quell'acqua l'olio de' catecumeni in modo di croce; nello stesso modo vi versa il crisma; e prendendo le due bottiglie, vi versa i due olii insieme, e poi mescola il tutto con le mani. L'acqua del battesimo conservata per tanto tempo, mescolata con quelli olii, imputridisce, e diviene schifosa; sicchè non è neppure atta a significare il simbolo della mondezza; anzichè mondare, insudicia; eppure è essa che non solo significa, ma opera la rigenerazione ex opere operato.
Nella cappella papale, il papa ordinariamente non assiste alle funzioni del sabato santo.
Quel giorno in Roma è il giorno della grande raccolta pe' parrochi. In quel giorno si vanno a benedire tutte le case de' parrocchiani: il parroco sceglie per sè le più ricche, e distribuisce le altre ad altri preti sotto i suoi ordini. Ogni prete è accompagnato da un chierico in cotta che porta il secchietto dell'acqua benedetta; in quel secchietto ognuno pone la sua offerta in denaro, e la sera il parroco raccoglie per sè tutto quel denaro, dopo aver dato un qualche cosa ai preti ed ai chierici.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 19:00
I tre pontificali
Nota 19. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Il papa canta la messa tre volte sole all'anno: il giorno di Natale, il giorno di Pasqua, il giorno di S. Pietro; e quella messa cantata si chiama pontificale. Quando il papa assiste alla messa, ma non la canta, si chiama non pontificale, ma cappella papale. Qualche papa, come Leone XII e Pio IX, hanno voluto fare il pontificale la vigilia del Natale in Santa Maria Maggiore: allora s'incomincia la ufficiatura alle 8 di sera, ed alle 10 già è detta la prima messa del Natale. Quando il papa non va a S. Maria Maggiore, vi è cappella papale alla Sistina, ed un cardinale canta la messa. Ma siccome la messa si canta prima della mezzanotte, e la legge del digiuno ordina di essere digiuno dalla mezzanotte precedente; così quel povero cardinale dovrebbe in tutto quel giorno osservare un digiuno rigoroso; ma il papa rimedia a tutto. Quel cardinale domanda ed ottiene subito un breve apostolico col quale gli si permette di prendere una cioccolata, con tutti gli annessi e connessi; e quel breve si ottiene pagando la semplice moneta di cinquanta scudi.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 19:00
Corteggio del papa
Nota 20. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Per quelli che non lo hanno veduto, ecco una idea del corteggio papale quando scende in S. Pietro per il pontificale. Forse in diciassette anni che manchiamo da Roma avremo dimenticata qualche cosa; ma scriviamo quello di cui ci ricordiamo.
Il corteggio passa nello spazio vastissimo formato dal cordone di truppe come nel testo. Aprono il corteggio gli scudieri pontifici, vestiti di nero alla foggia de' cavalieri spagnuoli del tempo di Carlo V, sieguono a due a due i procuratori generali degli ordini religiosi, ciascuno di essi avendo dietro il suo frate converso: poi vengono i bussolanti ed i camerieri d'onore, in gran numero, tutti vestiti con una immensa cappa rossa che gli scende fino ai piedi: vengono poscia i cappellani comuni ed i cappellani segreti, vestiti nello stesso modo, ma alcuni di essi portano in bella mostra le mitre ed i triregni preziosi del santissimo successore del pescatore di Galilea. Viene poi il procuratore fiscale col commissario della Rev. Camera apostolica, ambedue in abito prelatizio. Sieguono gli avvocati concistoriali con un abito di strana forma che non è cappa nè pluviale, ma che ha dell'una e dell'altro. Vengono poi i camerieri segreti, ed i cappellani cantori. Succedono tre canonici delle tre patriarcali che hanno il diritto di essere uno suddiacono, l'altro diacono, l'altro prete assistente nelle cappelle papali: i prelati referendari di segnatura vengono poi in rocchetto e cotta: gli altri prelati che sieguono sono gli abbreviatori del parco maggiore, i votanti di segnatura, i chierici di camera, gli uditori di Rota, ed in mezzo ad essi il maestro del sacro palazzo. Vengono poscia i due cappellani uno de' quali porta la mitria, l'altro il triregno leggiero di cui si serve il papa nelle funzioni (* Da che papa Paolo IV morì di un colpo apopletico, per aver voluto funzionare col triregno prezioso che pesa 16 libbre, nessun papa lo ha più portato, ma usano un triregno più leggiero: ed i triregni preziosi si portano solo per mostra).

Dopo vengono sette prelati in cotta e rocchetto, ciascuno de' quali porta un candeliere d'oro d'altezza di circa un metro, con cerei accesi superbamente dipinti: in mezzo ai sette candelieri, procede il suddiacono apostolico parato di ricca tonacella, e portando la croce d'oro astata: sieguono il diacono e suddiacono della Chiesa greca co' loro paramenti: poi vengono i penitenzieri della basilica vestiti di pianete semplici, e sono preceduti da due fanciulli che portano due enormi mazzi di fiori dal mezzo de' quali sorge una lunghissima verga, segno del loro potere. Dopo i penitenzieri vengono gli abati mitrati in pluviale e mitra di tela bianca; vengono poi tutti i vescovi, arcivescovi e patriarchi che sono in Roma, compresi i vescovi greci ed armeni: i vescovi portano pluviale e mitra di tela, ad eccezione degli orientali che portano la loro preziosa tiara. Ai vescovi succedono i cardinali: prima i diaconi vestiti di tonacelle di tela d'oro con ricchissimi ricami in oro; poi i preti con pianete preziosissime; poi i sei cardinali vescovi suburbicari in pluviale, il quale è fermato avanti il petto con tre pigne di perle orientali: i cardinali hanno tutti la mitra di damasco bianco. Vengono poi i tre cardinali diaconi che devono assistere il papa nel pontificale, poi viene il papa.

Il papa è portato sul suo trono a spalle di uomini: a questo effetto sono scelti dodici giovani ben fatti e robusti della stessa altezza, che sono addestrati appositamente per questo ufficio: essi sono vestiti tutti di damasco rosso. Il trono è sormontato da ricco baldacchino di tela d'argento raccomandato a dodici aste di metallo dorato, e portato da dodici prelati. Due prelati camerieri segreti portano i flabelli, che sono due enormi ventagli formati con le più rare e preziose piume, raccomandati ad aste coperte di velluto e di oro, che servono per far fresco al papa, e per impedire alle mosche di posarsi su lui. Intorno al trono cammina la guardia svizzera vestita con corazze di ferro e con elmi del medio evo, e con alabarde; ai quattro lati del trono quattro svizzeri in quell'arnese, reggono ritti sulle loro spalle quattro spadoni a due mani del medio evo; la guardia nobile con squadroni sfoderati circonda pure il trono portatile. Subito dopo il trono viene il senatore vestito in gran toga di tela d'oro, co' suoi conservatori, il governatore di Roma, i due prelati uditori di Rota che hanno l'onore di reggere la lunghissima coda della sottana di sua santità, i principi assistenti al soglio, ed i generali degli ordini religiosi. Un picchetto di truppa scelta chiude il corteggio; e così va in chiesa colui che si dice vicario di Gesù Cristo e successore del pescatore di Galilea!

Potremmo avere omessa qualche cosa per fallo di memoria, ma non vi abbiamo aggiunto nulla.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 19:01
Come il papa è adorato
Nota 21. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Non saremo tacciati di esagerazione se abbiamo chiamata adorazione l'omaggio che rendono i cardinali al papa; è il ceremoniale stesso, libro ufficiale, che chiama quell'atto adorazione. Vi sono cinque diverse specie di adorazioni al papa nel ceremoniale romano: la prima si fa nel conclave. Il papa appena eletto si pone nel suo seggiolone e tutti i cardinali per ordine vanno alla adorazione in abito di conclave, diverso dell'abito ordinario. Ogni cardinale giunto davanti al papa s'inginocchia e gli bacia il piede, poi si leva e gli bacia la mano, poi finalmente gli bacia il viso; e questa è la prima adorazione.

Il dopo pranzo del giorno della sua elezione il papa va a S. Pietro in grande solennità; non si siede sopra il suo trono, ma sopra l'altare, e là riceve la seconda adorazione. I cardinali sono vestiti di porpora, si scioglie la loro grande cappa che forma uno strascico o coda lunga almeno due metri: in questo modo salgono i gradini dell'altare, s'inginocchiano, e baciano il santo piede, poi si alzano e baciano la mano, poi montano sopra uno sgabello coperto di velluto e baciano in viso il papa.

La terza adorazione si fa il giorno della coronazione nello stesso modo; con la differenza che il papa non è seduto sull'altare, ma sul suo trono, ed i cardinali non sono in cappa, ma in abiti sacri.

Quando vi è qualche cappella papale solenne nella quale il papa assiste alla messa, i cardinali nel tempo del Kiris (che si prolunga finchè sia finita l'adorazione) vanno col loro strascico lungo a baciare la mano al papa sul suo trono, ed egli la presenta loro sotto il suo pluviale.

Quando poi il papa canta messa, i cardinali vanno alla adorazione in abiti sacri con la mitra in mano e baciano la mano del papa coperta di guanto di seta con ricamo in oro. In questa circostanza anche i patriarchi, arcivescovi e vescovi sono ammessi all'onore dell'adorazione; ma mentre i cardinali fanno solo un profondo inchino, questi devono inginocchiarsi avanti al papa, ed in luogo di baciare la mano, hanno l'onore di baciare il ginocchio.
pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 19:02
Unione delle due Chiese
Nota 22. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Il papa facendo in tal guisa vuol far credere che esista una unione reale fra la Chiesa greca e la Chiesa latina, e ch'egli sia il capo di ambedue; mentre i Greci uniti al papa sono una impercettibile minorità a fronte della grande Chiesa greca.

pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 19:02
Principe assistente al soglio
Nota 23. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

I principi assistenti al soglio sono i capi delle principali famiglie principesche di Roma, i quali ambiscono l'onore di essere servitori del papa. Quando il papa canta messa, uno de' principi assistenti al soglio, quello a cui tocca, ha l'onore di star ritto tutto il tempo della funzione a lato del trono, vestito con spada e cappa nera; ed ha l'onore di dare l'acqua alle mani del papa, stando inginocchiato.

pedrodiaz
00venerdì 8 aprile 2011 19:03
missa bene cantata
Nota 24. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

Ogni volta che il papa canta messa, il senatore deve presentare la offerta a nome del popolo romano. Essa è presentata in un vassoio d'argento, e consiste in una borsa di tela d'oro con cinquanta scudi d'oro (432 fr.), che si chiama la offerta pro missa bene cantata. Il senatore genuflesso presenta la offerta, il papa si degna di prenderla, e trincia una croce colle dita sul senatore, che parte contento come un antico console dopo il trionfo.

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