Questioni legali nei confronti della WTS

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00sabato 21 novembre 2020 14:58
In questa sezione riporteremo alcune questioni legali che coinvolgono la wt, indicando la fonte delle notizie o rimandando con dei link alla pagina di origine, per eventuali verifiche.
Alcune questioni sono state concluse, altre sono tutt'ora in corso di approfondimento


TRIBUNALE CONFERMA: LA CRITICA SOSTANZIALE AI TESTIMONI DI GEOVA È GIUSTIFICATA
Written by Ileana Mortari   
Saturday, 11 July 2020 05:14

Comunicato stampa di INFOSEKTA - Zurigo, 8 luglio 2020, con JZ Opfer Hilfe eV-Augsburg- Germania

TRIBUNALE CONFERMA: LA CRITICA SOSTANZIALE AI TESTIMONI DI GEOVA È GIUSTIFICATA

• La pratica religiosa dei Testimoni di Geova viola i diritti fondamentali dei membri

• Anche i bambini sono colpiti dall'ostracismo

• La regola dei due testimoni promuove la violenza sessuale contro i bambini

Nel luglio 2019 il tribunale distrettuale di Zurigo ha assolto un'espressione di sette ed ex dipendente dell'ente InfoSekta da tutte le accusate. Era stata accusata di diffamazione dall'Associazione dei Testimoni di Geova della Svizzera a seguito di un'intervista a Tagesanzeiger (2015) e di un comunicato stampa (2015).

 

A partire dalla primavera del 2020 è chiaro che i Testimoni di Geova della Svizzera non faranno ricorso. La sentenza, che è stata devastante per i Testimoni di Geova, è quindi definitiva. Per quanto sappiamo, la sentenza è unica al mondo nel suo genere. Sulla base di ampie prove, il tribunale ha esaminato in dettaglio le dichiarazioni dell'esperta di sette sui punti centrali della critica agli insegnamenti dei Testimoni di Geova. Esso ha concluso che la critica era giustificata: la pratica dei Testimoni di Geova viola i diritti elementari dei membri e delle loro famiglie. Il giudizio è importante per tariffa chiara - perché l'insegnamento dei Testimoni di Geova è lo stesso in tutto il mondo. Ma la sentenza è importante anche perché solleva interrogativi sul riconoscimento dei Testimoni di Geova in Germania come ente pubblico.

Di che cosa trattava il processo . L'esperta di sette, la dottoressa Regina Spiess, è stata accusata dalla cosiddetta calunnia, un reato di diffamazione (art. 173 cp). Queste dichiarazioni diffamatorie sono di solito impunite , il procedimento giudiziario è preoccupato di dimostrare che le dichiarazioni erano veritiere.

 

L'esperta è riuscita a dare le cosiddette dimostrarsi esonerativo in tutti i punti dell'accusa. È stata in grado di dimostrare che le affermazioni erano veritiere (prova della veridicità) o che potevano essere considerate veritiere in buona fede (prova della buona fede). Inoltre, le dichiarazioni sono state fatte nell'interesse pubblico. Sono stati nominati 24 testimoni. Tuttavia, la corte ha rinunciato alla loro testimonianza perché la prova esonerante era già stata fornita dalla vasta prova scritta. L'esperta di sette ha ricevuto una risarcimento di CHF 20'500. per gli onorari degli avvocati, che per gli standard svizzeri è enorme, e un ulteriore risarcimento per compensare le attività personali di CHF 4'000. dalla tesoreria del tribunale. All'inizio, i Testimoni di Geova della Svizzera avevano annunciato di andare in appello. Tuttavia, dopo la sentenza scritta emessa a gennaio, non è stato rispettato il termine per il deposito e la presentazione dei ricorsi.

Ostracismo. I membri battezzati dei Testimoni di Geova che si allontanano dalla fede o infrangono le regole sono espulsi dalla comunità. Gli altri Testimoni di Geova non possono più avere contatti con loro, nemmeno salutarli. Questo vale anche per i parenti stretti. Così le vittime spesso perdono di colpo tutti i loro cari, anche quelli più stretti: genitori, figli, fratelli e sorelle, partner, nonni e amici. Gli ostracizzati spesso vengono a conoscenza del matrimonio, della nascita o della morte di parenti stretti da parte di terzi. Oggigiorno i bambini vengono spesso battezzati nella Congregazione geovista già a 11 anni o più giovani. Dopo di che non possono più decidere liberamente come vogliono vivere e in cosa vogliono credere - perché altrimenti perderebbero tutti i loro cari.

Perché questo giudizio è così importante.

Finora la Svizzera ha tollerato le direttive religiose criticate che mettono in pericolo l'integrità psicologica e fisica dei bambini e degli adulti all'interno della comunità dei Testimoni di Geova. In seguito a questa sentenza, i politici svizzeri sono chiamati ad agire e a rivedere la legislazione e a decidere quali misure politiche adottare.

La Germania e l'Austria devono spiegare perché, come stati, approvano una legge religiosa,

• che mette a tacere i bambini e le donne vittime di violenza (sessuale),

• che esorta i genitori a ostracizzare i loro figli minorenni e

• che abbandona le persone in pericolo di vita.

Inoltre, la sentenza mostra chiaramente che i Testimoni di Geova nella procedura di riconoscimento come ente pubblico evidentemente non hanno detto la verità allo stato, perché l'ostracismo colpisce anche il nucleo della famiglia: i rapporti genitori-figli, fratelli e sorelle e le relazioni di coppia, colpisce anche i bambini e i giovani. L'ostracismo distrugge le famiglie - in Germania e in Austria con l'approvazione dello stato.

Ma questo giudizio è importante anche perché la comunità religiosa cerca di intimidire in tutto il mondo esperti di sette, giornalisti o attivisti che li querelano.

Assistenza per politici, rappresentanti dei media e altri professionisti.

Nel frattempo, le prove complete fornite dall'esperta di sette sono state ulteriormente ampliate dall'associazione JZ Opfer Hilfe. In diversi casi, sono state messe a disposizione di giornalisti ed esperti che hanno criticato l'organizzazione dei testimoni di Geova e sono stati successivamente minacciati di azioni legali. L'associazione JZ Opfer Hilfe è lieta di fornire informazioni a rappresentanti dei media, avvocati, psicoterapeuti, dipendenti delle autorità e politici su questioni riguardanti gli insegnamenti dei Testimoni di Geova. Essa mantiene un grosso archivio e dispone di un'ampia gamma di competenze.

https://www.infosekta.ch/media/pdf/200708_Comunicato_stampa_jzhelp_infoSekta.pdf

INFOSEKTA.CH

www.infosekta.ch

Tradotto da: Christian Rossi, infoSekta, Zurigo

Link a sentenza integrale del Tribunale Distrettuale di Zurigo (inglese)
Link al comunicato stampa di Infosekta (inglese)
Link al comunicato stampa di Infosekta (italiano - parziale)

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00sabato 21 novembre 2020 15:08
Il giudice Mc Cellan convoca Geoffrey Jackson davanti alla Commissione Reale Australiana in merito a più di 1000 casi di pedofilia perpetrati all'interno dell'organizzazione dei testimoni di Geova dagli anni '50 sino ad oggi, con la produzione di 5000 documenti in merito.
A peggiorare la situazione vi è anche il fatto che non sono mai state avvertite le autorità competenti, incentivando il perpetrarsi nel tempo di questo fenomeno.
Altro aspetto importante è l'incapacità dei minori di essere ascoltati e di avere giustizia all'interno dell'organizzazione e delle donne che si trovano ad essere ascoltate giudicate da soli uomini.
Questo e altri aspetti sono trattati nel video.





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00sabato 21 novembre 2020 15:10
video della stessa questione trattata sopra

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00sabato 21 novembre 2020 15:34
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Regno Unito. Testimoni di Geova condannati a risarcire una vittima di abuso sessuale infantile e al pagamento di un milione di sterline di spese legali. La sentenza confermata in appello


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I TESTIMONI DI GEOVA DEVONO PAGARE I 1 MILIONE DI STERLINE DI SPESE LEGALI IN SEGUITO ALL’ABUSO SESSUALE DI UNA BAMBINA DA PARTE DI UNO DEI LORO MEMBRI 


ANTEFATTO:


Lo scorso anno una donna che non può essere nominata, aveva ottenuto dall’Alta Corte di Londra un importante risarcimento in relazione a una causa civile intentata contro la Società Torre di Guardia per una vicenda di abusi sessuali commessi a suo danno da Peter Stewart, un servitore di ministero dei Testimoni di Geova.


Il caso ha rappresentato la prima causa civile contro l’organizzazione religiosa nel Regno Unito.


La vittima, secondo quanto testimoniato nel corso del procedimento, aveva subito ripetute molestie quando aveva tra i 4 e i 9 anni di età. La chiesa geovista era informata delle accuse mosse contro Stewart poiché l’uomo aveva abusato anche di un altro bambino nella comunità religiosa ma nonostante gli atti di pedofilia perpetrati, aveva potuto continuare a essere membro dell’organizzazione e a ricoprire il suo incarico dichiarandosi pentito.


Stewart era stato inoltre condannato nel 1991 per il crimine di stupro, in un caso non correlato, ma quando nel 2001 stava per essere interrogato dalla polizia dopo le accuse della donna, era deceduto. In una dichiarazione resa alla BBC, la vittima aveva affermato che i Testimoni di Geova considerano gli abusi sessuali un peccato che deve essere risolto internamente all’organizzazione.


La Società Torre di Guardia aveva presentato appello contro la sentenza.

fonte
https://retelabuso.org/2016/07/10/regno-unito-testimoni-di-geova-condannati-a-risarcire-una-vittima-di-abuso-sessuale-infantile-e-al-pagamento-di-un-milione-di-sterline-di-spese-legali-la-sentenza-confermata-in-appello/


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00sabato 21 novembre 2020 15:41
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“È testimone di Geova non può educare nostro figlio”: sentenza sul ricorso di una madre



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La decisione del Tribunale di Cagliari sul ricorso di una donna cattolica:
"davanti alla Legge tutte le religioni hanno uguale dignità"

“È testimone di Geova non può educare nostro figlio”: sentenza sul ricorso di una madre
 

Materia scivolosa quella della religione, soprattutto se si tratta di insegnarla, o impartirla, a un minore. E peggio va quando i due genitori si separano e, per soprammercato, professano fedi diverse. In questo caso, in una famiglia religiosamente divisa, un genitore può ritenersi più idoneo dell’altro solo perché professa la religione di maggioranza? Può chiedere l’affidamento esclusivo del figlio solo perché il coniuge ha cambiato religione? Il giudice può esprimere una preferenza per un orientamento religioso nell’educazione del minore?

A questi interrogativi ha risposto la sentenza n. 494/2020 della I sez. civile del Tribunale di Cagliari rigettando la richiesta di affidamento esclusivo del figlio presentata da una madre esclusivamente per motivi religiosi. La signora infatti riteneva che il marito non fosse più idoneo come genitore per il solo fatto che si era avvicinato alla religione dei Testimoni di Geova. L’affidamento esclusivo avrebbe impedito al padre di trasmettere al figlio i propri convincimenti religiosi. La donna aveva inoltre chiesto l’addebito della separazione a carico del marito al quale contestava di avere violato la condizione posta all’inizio del loro rapporto di allontanarsi dall’ambiente religioso dei Testimoni di Geova di cui facevano parte i genitori del marito.

L’idoneità di genitore

I giudici non hanno tuttavia ravvisato alcun pregiudizio per il minore dal cambiamento religioso maturato dal padre che si era avvicinato alla religione dei testimoni di Geova, affermando che tale cambiamento “non comportava alcuna prognosi negativa in ordine alla sua idoneità di genitore”, come invece sostenuto dalla madre. La madre ricorrente non era infatti stata in grado di fornire alcuno specifico episodio che dimostrasse come l’affidamento al padre costituisse un pregiudizio per il minore, nemmeno quando accompagnato dal padre alle riunioni religiose che egli frequentava.

Richiesta rifiutata

La richiesta di affidamento esclusivo è stata così rigettata dal Collegio che ha precisato: “Ogni differente valutazione presupporrebbe al tempo stesso una valutazione di preferibilità di un orientamento religioso rispetto ad un altro”. In altre parole, davanti alla Legge tutte le religioni hanno uguale dignità.

Affido condiviso

Il minore è stato così affidato a entrambi i genitori. La sentenza riconosce inoltre anche ai nonni un ruolo importante nella crescita del minore, al quale deve essere garantita la possibilità di “conservare con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale rapporti significativi”.

Libertà religiosa dei genitori

I giudici di Cagliari riaffermano, quindi, il principio di libertà religiosa dei genitori, garantito e tutelato dalla Costituzione. Sulla scorta di quanto ribadito recentemente dalla Suprema Corte di Cassazione (Ordinanza 21916/2019) i giudici ricordano che è nell’interesse del minore che ciascun genitore gli trasmetta i propri convincimenti personali, anche se questi possono mutare col tempo, e che dunque “non sia possibile inibire ad uno dei due genitori di trasmettere, con le dovute cautele, anche il proprio pensiero religioso, partecipando all’educazione del figlio e fornendogli gli elementi necessari per poter decidere liberamente, al momento corretto, quale sarà il suo orientamento religioso”.

No all’addebito della separazione per motivi religiosi

Tantomeno il cambiamento religioso del coniuge può essere considerato una violazione dei doveri coniugali, come invece sostenuto dalla signora che aveva chiesto l’addebito della separazione a carico del marito proprio perché era diventato testimone di Geova.


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00sabato 21 novembre 2020 15:49

RESPONSABILITÀ GENITORIALE NELLA DIALETTICA DEL RAPPORTO EDUCATIVO FAMILIARE



Sommario1. Il diritto alla libertà religiosa e all’autonomia del minore – 2. La tutela della libertà religiosa del minore in ambito internazionale e nell’ordinamento giuridico italiano – 3. I contrasti tra genitori sull’educazione religiosa ed il ruolo del giudice nella risoluzione degli stessi alla luce del preminente interesse del minore – 4. Libertà religiosa del minore e trattamenti sanitari. L’ipotesi di conflitto tra il diritto-dovere dei genitori all’educazione religiosa della prole e la tutela della salute – 5. Educazione e libertà religiosa del minore in ambito scolastico

 


 


1. Il diritto alla libertà religiosa e all’autonomia del minore


La libertà religiosa, secondo una celebre definizione del Ruffini, è la «facoltà spettante all’individuo di credere quello che più gli piace, o di non credere, se più gli piace, a nulla»[1] E’ ritenuta generalmente un diritto indisponibile, inalienabile, inviolabile, intransigibile e personalissimo. La libertà religiosa è stata ampiamente tutelata quale irrinunciabile valore della persona[2], nucleo centrale e struttura portante dell’intero sistema giuridico. Si tratta della prerogativa che ciascun individuo ha di scegliere e professare liberamente e apertamente la propria fede, se lo vuole, o di non professarne alcuna se meglio crede: un diritto inviolabile[3] e fondamentale, intrinsecamente connesso al riconoscimento della dignità umana e allo sviluppo della personalità individuale che richiede l’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale. Perciò la Carta Costituzionale ha garantito il diritto di libertà religiosa sia alle persone fisiche e alle formazioni sociali, sia gli enti e alle confessioni religiose. All’art. 19, con specifico riferimento agli individui, essa ha stabilito che «tutti» hanno il diritto di professare la propria fede religiosa, in forma individuale o associata, di farne propaganda e/o esercitarne il culto nel rispetto del buon costume e senza alcun limite preventivo[4]. La libertà religiosa può definirsi, più in generale, come la libertà garantita dallo Stato ad ogni individuo di scegliere la propria credenza in fatto di religione. Il diritto di religione è quindi un diritto pubblico che s’inquadra all’interno dei diritti di libertà. Come tutti i diritti di libertà, essa si differenzia dai c.d. «diritti sociali» (es. diritto all’assistenza) perché, mentre questi comportano la pretesa verso lo Stato ad una prestazione positiva, il diritto di libertà religiosa postula, invece, la pretesa di una prestazione negativa, sia da parte dello Stato che degli altri cittadini, tenuti ad astenersi da quegli atti che possono impedirne il libero esercizio. E’ una libertà che non può subire restrizioni che non siano espressamente previste dalla Costituzione giacché diversamente, il correlato diritto degraderebbe all’inferiore rango di interesse legittimo. L’unico limite che espressamente l’art. 19 Cost. pone all’esercizio della libertà religiosa è rappresentato dal divieto di riti contrari al buon costume. Questa espressione è stata intesa da taluni in maniera restrittiva, come esclusione della legittimità dei riti che offendono la libertà, il pudore e l’onore sessuale, e da altri in modo più ampio intendendola come esclusione della legittimità dei riti contrari al sentimento etico. Si tratta di un concetto elastico, caratterizzato da relatività storica. L’appartenenza ad una religione non può, tuttavia, costituire un obbligo per l’individuo, né la prerogativa di praticare la propria fede religiosa può pregiudicare altri valori costituzionalmente protetti. Il diritto di libertà religiosa, infatti, non si identifica unicamente in un diritto di libertà positiva che lo Stato di volta in volta si impegna a realizzare concretamente, ma si sostanzia anche in una libertà negativa nella quale si fa rientrare l’ateismo, vale a dire la facoltà di non professare alcuna fede e a non ricevere alcun indottrinamento religioso: anche questo diritto viene ricompreso nelle fattispecie garantite dall’art 19 Cost. Perciò, nel generale presupposto del rispetto della dignità umana e dei principi di libertà e di uguaglianza applicabili a chiunque, non è ammissibile la suddivisione degli individui in base alle condizioni fisiche, opinioni personali, origini razziali e, finanche, in fasce d’età.


Il costituente stigmatizzando gli atti di barbarie[5] che in passato hanno offeso gravemente la coscienza umana, ha fatto proprio il divieto di discriminazione fondata sul sesso, origini etniche, colore della pelle, opinioni politiche e/o diversità culturale, sociale e linguistica, convinzioni religiose e condizioni personali. Nel corso dei decenni, è cresciuta esponenzialmente la protezione giuridica nei confronti di soggetti non autosufficienti e la stessa libertà di coscienza e di religione del minore ha tagliato traguardi importanti. Dottrina e giurisprudenza sono sempre più attente e sensibili a considerare il minore un soggetto di diritto, membro a tutti gli effetti della comunità sociale, colto nel suo progressivo inserimento in essa. Ciò determina un processo di rivalutazione del minore nella sua qualità di persona. Su tali presupposti, si delinea un quadro generale di protezione dell’infanzia e della condizione minorile che assume dimensioni ampie e complesse, coinvolgendo ogni settore della società in cui opera il minore. E’ necessario, pertanto, che la tutela della personalità del minore venga sempre assicurata e siano riconosciuti alcuni spazi di libertà nel suo difficile itinerario di crescita. La presa in carico, da parte dell’ordinamento, della dimensione umana dei minori ha l’effetto di non tralasciare nulla della componente integrativa della personalità dei minori, anche alla luce delle loro convinzioni religiose e filosofiche e soprattutto delle scelte in materia di religione o credenza. Si tratta, perciò, di una scelta che punta a non ancorare le preferenze dei minori a schemi comportamentali prestabiliti dai genitori o dalla società, espressivi di modelli di credenze valutati come prevalenti o tradizionali. Ciò che si impone è che l’esercizio della libertà religiosa da parte del soggetto in età evolutiva si realizzi in armonia tra le contrapposte esigenze di libertà e di protezione.


Con il riconoscimento nell’ordinamento giuridico dei diritti inviolabili dell’uomo, ex art 2 Cost., parte della dottrina ritiene costituzionalizzato il diritto del minore non solo alla vita fisica, ma anche ad una esistenza pienamente umana, attraverso un adeguato processo educativo che gli permetta l’esercizio dei diritti fondamentali[6]. Questo diritto è inteso come la possibilità del minore di maturare una personalità autonoma e capace di determinarsi liberamente nella vita, di far propri, interiorizzandoli, i valori fondamentali della comunità a cui appartiene e di realizzare validi e profondi rapporti interpersonali. In altre parole, la Costituzione appronta i mezzi attraverso i quali l’individuo, nel nostro caso il minore, acquista coscienza d’essere persona; diviene persona[7]. Ciò ha permesso l’individuazione, nella Costituzione, di un diritto all’educazione dal contenuto ampio, che non investe soltanto lo status familiare dei minori, ma riguarda complessivamente la loro posizione nell’universo sociale, come il mezzo attraverso cui raggiungere la libertà responsabile dell’uomo cosciente di sé e del mondo. In quest’ottica, una certa autonomia in campo religioso appare funzionale ai fini educativi, in quanto «ben si può sostenere che la libertà religiosa fa parte dei valori positivi cui tende l’educazione e che pertanto si inserisce in una corretta educazione del minore il consentirgli l’autodeterminazione anche sotto il profilo religioso»[8]. «Dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità a quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana, ed anzi talvolta vi riconosce la Divinità suprema o il Padre. Questa sensibilità e questa conoscenza compenetrano la vita in un intimo senso religioso»[9].


Il sentimento religioso è una dimensione costitutiva dell’uomo. Esso orienta la persona a cercare il senso dell’esistenza, le risposte alle domande del Mistero. L’educazione religiosa è un percorso profondo, non solo culturale, che avvia la persona all’autonomia di valutazione, di giudizio e di sintesi nella dimensione religiosa della propria esistenza.


Tutti devono essere accompagnati lungo il percorso delle domande fondamentali della vita per appropriarsi, consapevolmente, della propria religiosità[10]. Aderire infatti ad una religione per bisogni diversi da quelli posti dalla natura umana e senza un percorso della ragione, porta alla superstizione e alla suggestione. Per questo, quando la persona ha una maggiore coscienza di sé, deve essere educata ad una scelta responsabile, anche nella sfera religiosa.


Il rapporto educativo è anzitutto l’incontro di due libertà e l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane; occorre dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate[11]. Tutte le nostre esperienze, fin dal concepimento, si depositano nella nostra memoria profonda, nell’ inconscio. Il nostro Io si ricorda di tutto quello che abbiamo percepito, vissuto, anche senza accorgercene. Andiamo a vedere un film, ci spaventiamo a morte, poi piano piano le paure passano. Ebbene, quel vissuto di immagini, sentimenti, emozioni rimane per sempre depositato nel nostro inconscio. Ciò vale anche per le gioie, per le esperienze felici, per fortuna. Quando siamo bambini viviamo più nel subconscio e sentiamo le paure in modo più forte. Il male e la morte assumono nei bambini rappresentazioni mentali terrificanti e, a volte, persistenti ma il gioco, quasi sempre, riesce a dominare queste paure. Crescendo, poi, le paure diventano sempre più domande che ci chiedono in modo pressante di trovare risposte. Crescere significa scoprire come funziona il mondo e la vita[12].


L’esperienza religiosa, come è noto, rappresenta uno dei fattori che maggiormente può incidere non solo nella crescita di un fanciullo, ma anche nella costruzione ed edificazione della sua personalità. Infatti, sono i valori etici e religiosi quelli che investono gli aspetti più sensibili di un soggetto in formazione e che lo accompagneranno nel corso della vita, soprattutto nei casi in cui si troverà di fronte a scelte critiche in merito alla sua esistenza e al suo futuro. L’uso corretto della libertà, inserito nell’ottica più ampia della giustizia e della solidarietà, diviene quindi un valore centrale nella promozione della giustizia e della pace «…che richiedono il rispetto per se stessi e per l’altro, anche se lontano dal proprio modo di essere e vivere»[13].


Dal punto di vista sistematico, pertanto, il diritto alla libertà religiosa e il diritto all’educazione possono essere annoverati tra i diritti della personalità, ed il secondo si può ritenere fondato anche nel riconoscimento del primo.


L’educazione, in generale, comporta il compito di promuovere libertà responsabili dei minori, affinché sappiano scegliere con buon senso e intelligenza, comprendendo senza riserve che la loro vita e quella della comunità in cui vivono è nelle loro mani e che questa libertà è un dono immenso. Mansuetudine, capacità di ascolto e di dialogo costituiscono tre doti indispensabili a ogni educatore; esse, insieme alla gioia e all’ottimismo, devono caratterizzare, per Papa Francesco, il modo di essere di chi svolge dei compiti educativi o formativi ed è perciò proiettato sulle esigenze degli altri. «Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri. Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa. Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene»[14]. L’educazione viene invocata come una risposta efficace, quasi risolutrice dei problemi. Come giustamente è stato da molti osservato, il superamento di ogni forma di discriminazione e di intolleranza e la promozione di un clima di libertà e di rispetto, esige dagli individui un cambiamento interiore[15] che non può essere solo frutto di leggi, ma di una nuova consapevolezza che nasce da una più compiuta educazione a livello morale e spirituale. Tale educazione deve far sì che ogni essere umano venga riconosciuto come dotato di un’innata dignità, da proteggere e rispettare. La libertà religiosa sfida l’educazione perché la costringe ad andare al cuore del suo obbiettivo: la persona umana e la sua dignità. Infatti, il beato Giovanni XXIII nella Pacem in terris affermava: «In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona e quindi soggetto di diritti e di doveri, che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri, che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili»[16].


2. La tutela della libertà religiosa del minore in ambito internazionale e nell’ordinamento giuridico italiano


«Infanzia» è una parola di origine latina che individua un periodo ben preciso della vita umana, che corrisponde alla breve stagione della «mancanza della parola». Da qui anche «fanciullo» che deriva da «infans», cioè colui che ancora non parla; si tratta dunque di termini connotati negativamente, in quanto indicatori di incapacità, impossibilità di esprimersi e quindi di farsi capire. Anche «minore» deriva dal latino: «minor» era, nella società romana, colui che viene temporalmente dopo i «majores», depositari del sapere e del senso della società, da tramandare ai «minores», ovvero alle nuove generazioni, che avevano il compito di proseguire il sentiero dei padri, sulle quali bisognava investire affinché il presente non andasse perduto e si arricchisse nel futuro.


Ciò dimostra che, già dal punto di vista etimologico, la parola «fanciullo» o «minore», rimanda immediatamente ad una condizione di «mancanza». Questa concezione si è per lungo tempo riflettuta anche nella concezione che la società aveva del bambino, inteso unicamente come individuo oggetto di tutela e protezione e non, invece, come un soggetto pienamente titolare dei suoi diritti.


In ordine alla questione inerente alla libertà religiosa del minore, in stretta connessione con il raggiungimento, da parte di questo, di una capacità di discernimento, gli atti internazionali sanciscono, per qualsiasi uomo, il diritto al rispetto della libertà religiosa, da intendersi come libertà di aderire a qualsiasi credo o di non averne alcuno[17]. In particolare, la Convenzione Europea per la salvaguardia delle libertà fondamentali prevede all’art. 9 che: «ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione e la libertà di manifestare la propria religione o credo individualmente o collettivamente, sia in pubblico che in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti».


L’art. 2 del Protocollo addizionale del 1952, inoltre, stabilisce che «lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convenzioni religiose e filosofiche»[18]. E’ stato però osservato che «se rapportate ai minori queste enunciazioni si presentano molto attenuate dal fatto che nei medesimi testi viene posta nella massima evidenza la libertà dei genitori di educare i figli secondo le proprie credenze»[19]. Né la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, né il Patto sui diritti civili e politici, infatti, espressamente ricordano che la libertà di dare un’educazione religiosa ai figli sussiste in quanto «tale educazione corrisponda alle credenze del minore»[20]. Anche la Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o il credo, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 25 novembre 1981, impone il rispetto della libertà dei genitori di scegliere per i propri figli istituzioni private che assicurino loro un’educazione religiosa e morale corrispondente alle convinzioni dei genitori stessi, ma non fa riferimenti espliciti alla libertà del minore, capace di discernimento, di non ricevere un’educazione religiosa non corrispondente alle sue personali convinzioni. La svolta decisiva si è registrata con la Convenzione sui diritti del fanciullo ( Convention on the rights of the child ) adottata dall’ O.N.U il 20 novembre 1989, ratificata dal nostro ordinamento con la legge 25 maggio 1991, n. 176 e depositata presso le Nazioni Unite il 5 settembre 1991. Nella cultura giuridica occidentale si è assistito, infatti, pur con le naturali differenze che rispondono alle peculiarità dei singoli stati, ad una nuova sensibilità verso la tutela giuridica dei minori ed, in particolar modo, dei loro preminenti interessi; tale principio è divenuto fulcro della regolazione giuridica sull’infanzia, identificando tale concetto come principio ispiratore dei rapporti tra la sfera pubblica e quella privata, soprattutto in ambito familiare. L’attività legislativa internazionale si è occupata di assicurare al soggetto in età evolutiva un’efficace tutela da ogni forma di negligenza, malvagità, sfruttamento e discriminazione, con l’obiettivo di attuare, nel miglior modo possibile, il suo diritto ad una crescita intellettiva, sociale e spirituale sana ed armoniosa.


Si tratta di un corpus legislativo composto da cinquantaquattro articoli che, ratificato dalla maggioranza assoluta di tutti i paesi, ha modificato radicalmente il concetto giuridico sotteso alla figura del minore innovando, in modo coraggioso e significativo, tutte quelle tutele già attribuite al minore dagli ordinamenti. Essa rappresenta «il più organico tentativo di realizzare la tutela dei diritti umani con riferimento alla condizione minorile»[21] ed introduce, per la prima volta, una definizione di minore come essere autonomo, con delle caratteristiche a sé stanti, delle capacità interpretative, di discernimento e di formulazione di proprie opinioni. Essa affianca ai diritti universalmente riconosciuti, che amplia e specifica (quali il diritto al nome, alla sopravvivenza, alla salute, all’istruzione), una serie di diritti di nuova generazione (come il diritto all’identità del bambino, il rispetto della sua privacy, della sua dignità e della sua libertà d’espressione). Si tratta di un ampio riconoscimento di diritti nelle sfere più diverse: emerge la figura del minore come arbitro del proprio destino, in grado di far valere le proprie scelte e di veder garantito il proprio interesse nei confronti di qualsiasi altro soggetto. Si deve precisare che si parla, nella Convenzione, di «bambino» nella traduzione italiana a cura dell’Unicef. L’art. 1 chiarisce che «bambino» agli scopi della Convenzione, è «ogni essere umano al di sotto dei diciotto anni, a meno che per le leggi del suo Stato abbia già raggiunto la maggiore età»; si tratta dunque dei diritti del bambino e dell’adolescente, in una parola, del «minore», termine che probabilmente non si è voluto usare per l’impatto psicologico negativo e che, tuttavia, ha una connotazione ben precisa, soprattutto dal punto di vista giuridico. La crescente attenzione riservata, nel corso degli anni, all’infanzia ha condotto a qualificare il minore come individuo portatore di diritti soggettivi, perfetti ed autentici, dallo stesso azionabili in modo autonomo. Sicché, il concetto di soggetto bisognoso di aiuto, di speciale protezione e di idoneo orientamento è stato integrato da una inedita considerazione della sua essenza di persona: di individuo alla ricerca della propria identità, la cui ricchezza individuale va rispettata e potenziata nel doveroso accoglimento delle sue idee e del suo diritto allo sviluppo di una specifica personalità.


La ratio principale della rigenerata valutazione si identifica nell’intento di garantire ad ogni bambino il dovuto riguardo per la sua persona, assicurandogli l’adeguata tutela e l’esercizio dei diritti inviolabili che gli appartengono in quanto individuo. Perciò, unitamente ai diritti rispetto ai quali il soggetto in età evolutiva si pone come destinatario passivo, nell’anzidetta Convenzione, sono stati enunciati diritti fondamentali a lui riconducibili come soggetto attivo.


Una delle questioni più controverse, in sede di stesura della Convenzione sui diritti del fanciullo, ha riguardato le scelte fideistiche del soggetto in età evolutiva[22]. Nella sua originaria formulazione, infatti, l’art. 14, oltre al riconoscimento della libertà di coscienza e di religione, attribuiva al minore il diritto di optare per un credo di sua preferenza. La disposizione ha suscitato un’ampia ed accesa discussione per il disconoscimento, nel contesto islamico, di una qualsivoglia facoltà di scelta del bambino nell’ambito delle decisioni concernenti la sfera spirituale. Si è arrivati così alla decisione di proclamare il suo diritto di pensiero, di coscienza e di religione senza alcun riferimento esplicito a possibili autonome facoltà decisionali e, nella formulazione definitiva, non si è trascurato di affermare che i genitori e/o i tutori legali hanno il diritto-dovere di «guidare il fanciullo nell’esercizio del summenzionato diritto in maniera che corrisponda allo sviluppo delle sue capacità»[23]. La funzione educativa dei genitori si presenta, quindi, come strumentale all’educazione in sé dei fanciulli, i quali sono i principali protagonisti del rapporto educativo. La funzione educativa riconosciuta alla famiglia è finalizzata, in definitiva, al conseguimento e rafforzamento della graduale e completa maturità del minore stesso[24]. L’art. 14, 2 della Convenzione formula tale funzione come diritto-dovere dei genitori ma in termini di «guida» al fanciullo nell’esercizio di tale diritto. Non a caso la Santa Sede, pur essendo tra i primi soggetti di diritto internazionale ad aver sostenuto e ratificato nel 1990 la Convenzione ONU, per richiamare la garanzia del diritto primario e inalienabile della famiglia all’educazione religiosa dei figli, preferì formulare una riserva al riferito art. 14[25] .


La mancanza di espressa previsione convenzionale sulla facoltà di scelta del minore in tale materia non cambia, tuttavia, la sostanza delle cose.


Ciò che rileva, infatti, è la considerazione globale del documento che reclama «un’applicazione concentrata dei diritti del bambino»[26]. Non è immaginabile che il consolidamento della «libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni e idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere in forma orale, scritta, stampata o artistica, o con altro mezzo a scelta del fanciullo»[27] e la contestuale attribuzione al minore, capace di discernimento, di un certo grado di autodecisione su qualsivoglia questione che lo riguardi, escludano una sua progressiva partecipazione nelle specifiche decisioni concernenti la sfera spirituale. Né una tale limitazione sarebbe comprensibile. Va pure precisato che il riferimento dell’art. 14 al diritto-dovere dei genitori di guidare il bambino nell’esercizio del diritto di libertà religiosa in modo da consentire lo sviluppo delle sue capacità, implica la necessità di renderlo partecipe, in modo progressivo, a tale esercizio, proprio perché possa acquisire la graduale capacità nell’assunzione delle responsabilità. Per di più, laddove si negasse al minore la possibilità di optare per una fede religiosa di sua preferenza, non per una sua riscontrata incapacità ma, per il solo fatto di non aver raggiunto la maggiore età, si attuerebbe una disparità di trattamento del tutto incompatibile, sia con il principio di uguaglianza, sia con la ratio legis, vale a dire con gli stessi obiettivi che il legislatore ha inteso perseguire. E, se è vero che la Convenzione non ha espressis verbis inserito l’età tra i fattori discriminatori di cui l’art. 2, 1, essa non ha tralasciato di indicare tra gli stessi la locuzione «ogni altra circostanza». Tale generica espressione ha l’obiettivo di ampliare le ipotesi discriminatorie, indicate in modo esplicito, con altre cause non individuate in sede normativa, suscettibili di cagionare una qualsiasi differenziazione oggettivamente e ragionevolmente ingiustificata ed ingiusta. Nella delineata prospettiva la Convenzione rappresenta un importantissimo strumento di tutela giuridica dell’infanzia che, superando l’impianto assistenzialista, ne ha definito gli standard minimi di protezione, nel dovuto rispetto dei suoi diritti. Essa rappresenta un punto di arrivo di un lungo percorso di limitazione della potestà dei genitori che era pressoché assoluta nel determinare l’educazione religiosa dei figli[28]. Caratteristica della normativa internazionale è lo spostamento dell’accento sugli interessi propri del minore, mentre nelle precedenti norme il punto di riferimento era costituito prevalentemente dall’interesse dei genitori. Il cammino del riconoscimento dei diritti del bambino, al contrario che per l’adulto, non è stato quello tradizionale, ossia prima il riconoscimento dei diritti di libertà e poi quelli sociali, ma è stato l’inverso. La totale delega della funzione educativa alla famiglia, l’acritica convinzione che il genitore è sempre impegnato ad assicurare il benessere del figlio, la diffusa opinione che la situazione di dipendenza familiare del minore fosse incompatibile con l’esercizio dei diritti di libertà, l’idea che la protezione del minore dovesse di necessità risolversi in una pesante tutela, la generale convinzione che il ragazzo fosse più un oggetto da plasmare che un soggetto da rispettare nelle sue peculiari potenzialità già in atto, tutto ciò ha sicuramente contribuito alla sottovalutazione di queste situazioni giuridiche meritevoli di tutela[29].


L’obiettivo di intensificare la salvaguardia dei diritti del fanciullo emerge anche dalla legislazione dell’UE, sempre più orientata ad elevarne il grado di protezione sia mediante il potenziamento degli strumenti di diritto internazionale già esistenti, sia attraverso la predisposizione, in una politica comune, di strumenti normativi adeguati ed una più assidua vigilanza sull’applicazione degli stessi negli Stati membri. Una tappa significativa è costituita dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo che, nell’elevare il bambino a co-protagonista delle scelte di vita che lo riguardano, ha elaborato il suo diritto di essere ascoltato[30] in sede processuale. Non si può dunque costringere il soggetto in età evolutiva, capace di discernimento, a soggiacere alle scelte imposte dagli educatori. Ciò vale anche per le opzioni religiose, nella costante tensione tra la necessità di salvaguardarlo dalla sua incapacità e l’urgenza di assicurargli un più appropriato e progressivo esercizio dei suoi diritti.


All’interno della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel dicembre del 2000, sono contenute alcune previsioni normative che si riferiscono alla tutela dei diritti dei minori; in particolare l’art. 14, 3 co. sancisce la responsabilità educativa dei genitori; l’art. 22 esplicita, inoltre, che la religione viene ad assumere un ruolo fondamentale nel processo di crescita del bambino. Ma è l’art. 24 che statuisce il principio cardine secondo cui i fanciulli, oltre ad avere il diritto alla protezione e alle cure che sono loro necessarie, divengono legittimi ed esclusivi titolari del diritto di esprimere liberamente, cioè senza alcuna coercizione fisica o psicologica, opinioni su questioni che li riguardano, che saranno vagliate e prese in considerazione pur sempre in funzione della loro età e della loro maturità. L’inserimento dell’età tra i motivi di non discriminazione[31] costituisce una precisazione di non poco conto, non solo ai fini di una più completa operatività del principio di uguaglianza ma, anche nell’ottica dell’integrale sviluppo del bambino, nella giusta valutazione della sua personalità in rapporto alla capacità di discernimento acquisita. L’età, come è stato osservato, non può costituire un fattore di discriminazione sic et simpliciter nel godimento dei propri diritti. Né può essere posta a fondamento del disconoscimento di libere opzioni, se non entro i limiti in cui le scelte operate costituiscano reale pericolo per il soggetto che le compie.


Ciò che rileva, al riguardo, è che all’incessante impegno nella tutela del minore corrisponda una politica di definizione di strumenti sempre più efficienti e pressanti finalizzati alla prevenzione di eventuali abusi, non solo del suo diritto di libertà religiosa negli ordinamenti statuali ma anche per ciò che ne attiene l’esercizio. L’adeguata difesa dei diritti del minore, del resto, è l’unica via per arricchire e migliorare la comunità di oggi e di domani.


Circa, poi, la tutela della libertà religiosa del minore nel nostro ordinamento giuridico, giova ricordare che già Teresa Mattei, la più giovane deputata dell’Assemblea Costituente del 1946, intervenendo alla Conferenza Nazionale sull’Infanzia e sull’adolescenza tenutasi a Firenze dal 19 al 21 Novembre 1998, ha posto un quesito inatteso: «All’Art. 3 della nostra Costituzione si afferma la pari dignità dei cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Perché non viene citata l’età. In quale momento, un cittadino può dirsi e sentirsi tale?». Nell’opinione di Teresa Mattei, un cittadino diviene tale e deve sentirsi tale, dal momento stesso della nascita. Ne deriva che ogni neonato ha gli stessi diritti di chiunque altro e, da sottolineare, anche per il neonato vale l’art. 1 della Costituzione, ossia «la sovranità appartiene al popolo».


In seguito a questo intervento, secondo un orientamento minoritario, ciò che rifulge è l’irragionevole mancanza dell’età nel catalogo dei criteri discriminanti individuati dal testo costituzionale, sebbene tale fattore non possa non essere compreso, per via interpretativa, nella più generale espressione «condizioni personali»[32]. Si ritiene si tratti di un grosso errore, di una lacuna di garanzia apertamente incompatibile, non solo con l’irrefutabile operatività del principio di uguaglianza ma anche con la rinnovata qualificazione del minore come soggetto attivo di diritti. Tale orientamento ha avanzato proposte di modifica dell’art. 3 Cost. finalizzate ad inserire, nell’elenco dei fattori discriminanti, la parola «età» dopo le parole «senza distinzione»[33]. Di seguito è riportata la proposta di legge costituzionale presentata il 24 Novembre 1998, d’iniziativa dei deputati Soda, Manzini, De Simone, Cananzi e Abbate, in cui si chiedeva la modifica all’articolo 3 della Costituzione in materia di applicazione del principio di uguaglianza senza distinzione di età: «Onorevoli colleghi!. Un insigne membro della Costituente, Maria Teresa Mattei, a distanza di cinquant’anni dalla data di entrata in vigore della Costituzione, ha inviato a tutti noi un messaggio di alto significato etico e giuridico. Nella Conferenza sull’infanzia, tenutasi a Firenze nel novembre del 1998, proprio in un momento in cui sembra smarrito nuovamente il valore della vita e della dignità del fanciullo dopo le faticose conquiste dell’ultimo secolo, la Costituente, chiedendo scusa ai bambini, ha denunciato un vuoto della nostra Costituzione. All’articolo 3, fra le qualità, le condizioni e gli stati, che non devono costituire fonte di limitazione o di discriminazione per la pienezza del diritto di uguaglianza, manca ogni espresso riferimento all’età. «Oggi sono qui» ha esclamato la Mattei, «perché la parola età venga aggiunta in quel testo». Noi dobbiamo prontamente accogliere il monito e l’appello racchiusi in questa profonda ed elementare intuizione. Fin dalla nascita, ad ogni bambina e bambino deve essere consegnata la garanzia costituzionale di compiuta cittadinanza. L’integrazione del principio di uguaglianza con il riferimento espresso all’età non è soltanto rimedio ad una dimenticanza, ma attribuzione di valore costituzionale, vincolante per il legislatore ordinario, per tutti gli organi della Repubblica e per tutti gli interpreti delle sue leggi, alla condizione delle persone più fragili e più deboli: i fanciulli aperti all’avvenire, ma anche i loro nonni avviati a completare l’esistenza. La modifica proposta comporterà necessariamente la conseguenza di considerare i fanciulli titolari autonomi dei diritti di cittadinanza: quelli fondamentali, necessari per l’esistenza, e quelli di nuova generazione, che attengono alla qualità della vita. La presente proposta di legge costituzionale prevede dunque di inserire, al primo comma dell’articolo 3 della Costituzione, le parole: «di età», dopo le parole: “senza distinzione”». L’esplicitazione dell’età come elemento discriminante costituirebbe, dunque, l’incontestabile testimonianza di una più completa valorizzazione del fanciullo, in armonia con la mutata concezione della sua stessa condizione giuridica. Altre modifiche sono state proposte riguardo l’art. 2 Cost.[34]. Tale norma, nel consacrare il principio personalistico, riflette i caratteri di una categoria aperta tesa al riconoscimento ed alla protezione di nuovi valori della persona. La sollecitata modifica ha riguardato sia l’integrazione della dizione «diritti inviolabili dell’uomo», contenuta nel testo normativo, con l’aggiunta dell’espressione «e del fanciullo», sia l’inserimento, nell’attuale formulazione, della locuzione «in conformità alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, alla Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, nonché alla Convenzione dei diritti del fanciullo del 1989».


Le predette modifiche avrebbero costituito un indicativo segnale nei confronti del minore d’età per la più viva sensibilità che emerge nell’apprezzamento della sua persona, sia come soggetto «debole» bisognoso di speciali cure, sia come protagonista attivo con un personalità da rispettare[35]. L’intento era quello di consacrare, in modo inequivocabile, il suo rinnovato status giuridico[36] con uno specifico parametro di legittimità realizzando, al tempo stesso, una migliore qualificazione degli impegni assunti in sede internazionale.


Secondo tale orientamento dunque, una più attenta ed esplicita definizione dei diritti del soggetto in età evolutiva nella Carta costituzionale, nel rimarcare il valore della dignità della sua persona alla stregua di ogni altro essere umano, avrebbe finanche l’effetto di proteggerlo più efficacemente da errate interpretazioni, evitando che i suoi stessi diritti finiscano per essere troppo facilmente disattesi, elusi o addirittura calpestati. Occorre considerare però che la Costituzione, benché redatta nella vigenza di una concezione che considerava il minore solo riguardo alle responsabilità nascenti in capo ai genitori e/o tutori e ai doveri spettanti alle istituzioni pubbliche preposte a garantire il suo benessere, non ha chiuso la porta ad un suo ruolo più attivo[37]. Così, nel sancire un diritto di libertà religiosa ascrivibile a chiunque si trovi nel territorio italiano, non prescrive la maggiore età, né per l’acquisto della titolarità, né per l’esercizio del diritto medesimo. La vera libertà, cui la Carta si ispira, non può del resto tradire o offendere la dignità umana, né può disattendere i diritti fondamentali di cui ciascun individuo è portatore. L’ art. 3, in particolare, stabilisce il principio di uguaglianza formale: «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di alcun genere». Si ritiene che questo articolo vada riferito anche ai minori. Nella medesima disposizione è stabilito che è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli che impediscono la realizzazione dell’uguaglianza formale. A tal fine, il secondo comma dello stesso articolo attribuisce allo Stato il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e, quindi, anche del minore. Rilevante è anche l’art. 10, che impone di conformare l’ordinamento alle norme internazionalmente riconosciute, comprese, quindi, quelle a tutela dei diritti dei minori. La posizione del fanciullo, in sostanza, non occupando, in sede costituzionale, una posizione centrale, risulta plasmata dalle disposizioni generali applicabili tanto all’adulto quanto al minore[38]. Una equiparazione che è tendenziale, come è chiaro, in ragione della necessità di porre limiti derivanti dalle peculiarità della situazione del minore come donna o uomo in formazione, peculiarità che, del resto, giustificano, insieme con i limiti, anche i doveri che sono stati disegnati a beneficio dei minori.


Libertà religiosa ed educazione del minore all’interno del nucleo familiare


La formazione primaria della personalità di ogni soggetto si riceve nella famiglia, definita dall’art. 29 Cost. come «società naturale fondata sul matrimonio». Tale articolo ha consacrato la parità morale e giuridica dei coniugi a garanzia dell’unità familiare. Si tratta di una statuizione ispirata al generale principio di uguaglianza che, nel superamento di un’antica concezione che concedeva al marito uno stato di preminenza, collega la preparazione del minore con la paritaria posizione dei diritti e dei doveri di entrambi i genitori[39]. L’attenzione degli studiosi, specialmente a partire dagli anni settanta, si è concentrata nell’elaborare una concezione sempre più personalistica dell’istituto matrimoniale e familiare. Una simile prospettiva si è identificata, con il passare del tempo, nella maggiore attenzione riposta sugli interessi dei singoli componenti del nucleo familiare. Tale concezione intende coniugare la dimensione istituzionale con la solidità delle relazioni simmetriche tra coniugi e asimmetriche tra genitori e figli proprie della famiglia tutelando, con varie misure, che i legami giuridici intrafamiliari siano realmente fondati su relazioni personali e personalizzanti.



fonte:
http://www.salvisjuribus.it/liberta-religiosa-del-minore-e-responsabilita-genitoriale-nella-dialettica-del-rapporto-educativo-familiare/


Credente
00domenica 29 novembre 2020 18:01

«...la cessione delle pubblicazioni della Congregazione dei Testimoni di Geova costituisce attività commerciale...»



La Corte di Cassazione ha confermato nel 1997 che la cessione delle pubblicazioni
della Congregazione dei Testimoni di Geova costituisce attività commerciale.
...................................................................................
 
 
SENT. 27.02.1997 N. 1753 SEZ. 01

REPUBBLICA ITALIANA
in nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi 
[omissis]

SENTENZA
sul ricorso proposto da
WATCH TOWER BIBLE AND TRACT SOCIETY OF PENNSYLVANIA,
Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, in persona del
Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via
Panama 68, rappresentata e difesa dall'avvocato [omissis],
giusta delega a margine del ricorso.
Ricorrente

contro
MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura
Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

Controricorrente
avverso la decisione n. 2192-93 della Commissione Tributaria
Centrale, depositata il 23-06-93;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
08-11-96 dal Relatore Consigliere dott. [omissis];
udito per il ricorrente, l'Avvocato [omissis], che ha chiesto

l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'Avvocato [omissis], che ha chiesto il

rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
[omissis] che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
 
FATTO
 
Con avvisi di accertamento nn. 90 e 91 del 24 settembre 1984 e n. 1246 del 16 dicembre 1984 il II Ufficio Distrettuale per le Imposte Dirette di Roma accertava a carico della Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania - Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova - un reddito imponibile ai fini IRPEG ed ILOR pari a L. 88.441.000 per il 1976, a L. 170.524.000 per l'anno 1977 ed a L. 225.958.000 per il 1978, assumendo che, pur essendo ente non commerciale, detta Congregazione aveva svolto attivita' di natura commerciale e segnatamente di stampa, poligrafia ed editoria.

Avverso detti avvisi la contribuente ricorreva alla Commissione Tributaria di primo grado di Roma che, previa riunione dei ricorsi per connessione, li accoglieva parzialmente. Dichiarava, infatti, illegittima la ripresa a tassazione del reddito di L. 2.783.000 relativo all'immobile di proprieta' della Congregazione adibito a luogo di culto e confermava gli accertamenti nel resto sulla base della considerazione che l'attivita' di stampa, editoria e diffusione delle pubblicazioni, svolta dalla predetta, era di natura commerciale, ancorche' finalizzata alla realizzazione di scopi istituzionali di carattere preminentemente religioso.

La Commissione Tributaria di secondo grado, adita dalla contribuente, ne accoglieva l'appello.
Avverso tale decisione l'Ufficio ricorreva alla Commissione Tributaria Centrale, che accoglieva il ricorso, osservando che la attivita' di editoria, stampa e diffusione delle pubblicazioni di carattere religioso svolta dalla Congregazione su indicata riguardava pubblicazioni destinate alla vendita, che venivano cedute a terzi direttamente dagli appartenenti alla Congregazione medesima.

Che si trattasse di pubblicazioni destinate alla vendita risultava dalla circostanza, non contestata, che recavano stampata sul retro l'indicazione del prezzo; che fossero vendute a terzi emergeva dallo statuto della Congregazione, il quale prevedeva tra gli scopi principali di questa quelli di "stampare e distribuire Bibbie e divulgare le verita' bibliche in varie lingue per mezzo della produzione e della pubblicazione di letteratura contenente informazioni e commenti....." e di "insegnare pubblicamente e di casa in casa le verita' della Bibbia alle persone disposte ad ascoltare, lasciando a tali persone detta letteratura....".

Avverso tale decisione l'ente suindicato ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo. L' amministrazione delle finanze ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
DIRITTO
 
Con l'unico motivo la Congregazione ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 20 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 598, come modificato - con effetto retroattivo al primo gennaio 1974 - dall'art. 2 d.P.R. n. 954 del 1982, nonche' insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia.

Osserva la ricorrente che l'esclusione della commercialita' di cui all'art. 20 del D.P.R. n. 598 del 1973 non e' limitata alle attivita' di distribuzione, prevedendo tale norma espressamente l'ipotesi di cessione di beni nuovi prodotti per la vendita, effettuata da parte delle associazioni religiose nei confronti prevalentemente dei propri associati. Sarebbe, percio', del tutto irrilevante il fatto che le riviste in questione fossero distribuite o vendute al fine di escludere il carattere commerciale dell'attivita' della Congregazione.

L'impugnata decisione avrebbe comunque omesso qualsiasi motivazione in ordine alla decisiva circostanza che le pubblicazioni non erano prodotte per la vendita, come evidenziato dall'ampia documentazione prodotta dalla Congregazione nei vari gradi di giudizio. Inoltre erroneamente la decisione de qua avrebbe ritenuto sulla base dello statuto che le pubblicazioni venivano vendute, avendo omesso di considerare che il termine "lasciare" non ha il significato di "vendere". La decisione, infine, avrebbe omesso ogni indagine sulla decisiva circostanza della prevalenza della cessione agli associati od ai terzi, prevedendo l'art. 20 del D.P.R. n. 598 del 1973 che non sono commerciali le attivita' di cessione rivolte prevalentemente agli associati.
Il ricorso e' infondato.

Con riferimento alle associazioni religiose e per quanto rileva ai fini del presente giudizio, l'art. 20 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 598, come modificato, con effetto retroattivo al primo gennaio 1974, dall'art. 2 del d.P.R. 28 dicembre 1982 n. 954, recante norme sui componenti positivi dell'imponibile degli enti non commerciali - indicati nella lettera c) dell'art. 2 del D.P.R. n. 598 citato -, contiene la seguente disciplina.

Le cessioni di beni, effettuate agli associati verso pagamento di corrispettivi specifici in conformita' alle finalita' istituzionali, non si considerano fatte nell'esercizio di attivita' commerciale (e quindi non concorrono alla formazione del reddito complessivo imponibile) a meno che non si tratti di cessione di beni nuovi prodotti per la vendita, la quale "in ogni caso" e, quindi, anche se fatta in conformita' alle finalita' istituzionali dell'ente, e' considerata attivita' commerciale. Tuttavia, qualora i beni nuovi prodotti per la vendita siano costituiti da pubblicazioni, la loro cessione non costituisce attivita' commerciale e, pertanto, non concorre alla formazione del reddito complessivo imponibile, se riguarda prevalentemente gli associati.

In sintesi le pubblicazioni di un'associazione religiosa, se prodotte per la vendita, costituiscono attivita' commerciale con una sola eccezione: che la loro cessione avvenga prevalentemente nei confronti degli associati.

La sentenza impugnata ha fatto buon governo della disciplina su richiamata, essendo pervenuta alla conclusione che la cessione delle pubblicazioni della Congregazione dei Testimoni di Geova costituisse attivita' commerciale dopo aver accertato che queste erano prodotte per la vendita e cedute prevalentemente a soggetti diversi dagli associati.

La motivazione in ordine a tale accertamento di fatto appare poi adeguata ed immune da errori logici, avendo dato rilievo alla circostanza che le pubblicazioni recavano stampata sul retro l'indicazione del prezzo; che lo Statuto della Congregazione prevede tra gli scopi principali di questa quelli di "stampare e distribuire Bibbie e divulgare le verita' bibliche in varie lingue per mezzo della pubblicazione di letteratura contenente informazioni e commenti..." e di "insegnare pubblicamente e di casa in casa le verita' della Bibbia alle persone disposte ad ascoltare, lasciando a tali persone detta letteratura..."; che le persone destinatarie di tali pubblicazioni non potevano essere identificate negli associati - individuati dalla disposizione V dello Statuto in coloro ai quali viene rilasciato un certificato di associazione per aver fatto donazione di dieci dollari al fondo della societa' summenzionata che, quindi, come contributori hanno diritto "a un voto per ognuna di tali azioni in detta societa'" - ma, in misura prevalente, nei terzi destinatari dell'attivita' divulgativa della Congregazione, inclusi tra questi sia gli adepti professanti il culto della Congregazione sia i non adepti, ai quali il messaggio missionario deve essere pure rivolto.

In particolare la sentenza impugnata non ha omesso di considerare, come asserito dalla ricorrente, che il termine "lasciare", contenuto nelle clausole dello Statuto su riportare, non ha il significato di "vendere", avendo valorizzato tale espressione, di per se' generica, alla luce di altri elementi che logicamente portano ad attribuirle tale significato; ne' ha omesso di considerare se le pubblicazioni venissero cedute prevalentemente a terzi oppure agli associati, avendo specificamente motivato sul punto, distinguendo tra associati, adepti e non adepti e pervenendo alla conclusione, alla luce degli scopi perseguiti dalla Congregazione, che i destinatari delle pubblicazioni fossero prevalentemente gli adepti ed i non adepti e non gli associati.

Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Data la novita' della questione, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese giudiziali.
 
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Cosi' deciso in Roma il di' 8 novembre 1996.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 27 FEBBRAIO 1997
------

fonte: https://www.infotdgeova.it/sentenza-cassazione-attivita-commerciale.html?fbclid=IwAR0mJhMKLHxgBjSq29O76LIfETjZ3HI6Fz02S90AxbU3pfokKcPuKZgIqyY

Credente
00martedì 16 marzo 2021 23:26

Ai Testimoni di Geova è stata inflitta una multa di 12.000 euro per incitamento all'odio contro gli ex membri




Un ex testimone di Geova è andato all'ufficio del pubblico ministero a Gand nel 2015. Credito: Belga
 



I Testimoni di Geova in Belgio devono pagare una multa di 12.000 euro per l'esclusione sistematica e “inquietante” di ex membri che hanno lasciato l'organizzazione, ha stabilito martedì il tribunale correttivo di Gent.


La corte ha stabilito che l'associazione senza scopo di lucro dietro i Testimoni di Geova è colpevole di incitamento alla discriminazione e all'odio o alla violenza contro gli ex membri, riferisce l'agenzia di stampa Belga.











“La politica di rifuggimento dei Testimoni di Geova taglia il nocciolo delle relazioni e le vittime subiscono conseguenze sia fisiche che psicologiche”, ha detto durante il processo il mese scorso uno degli avvocati delle parti civili.


Nel 2015, un ex membro ha portato l'organizzazione presso l'ufficio del pubblico ministero di Gand per calunnia e diffamazione, insulti e violazione della legge sulla discriminazione.


Ha affermato che una volta che i membri avevano lasciato il gruppo, erano stati rinnegati e completamente isolati socialmente, per ordine dell'organizzazione.


L'ufficio del pubblico ministero di Gand ha convocato i Testimoni di Geova per quattro accuse: istigazione alla discriminazione sulla base del credo religioso contro una persona e contro un gruppo, nonché istigazione all'odio o alla violenza contro una persona e contro un gruppo.











Il Centro Interfederale per le Pari Opportunità Unia del Belgio e una quindicina di persone avevano intrapreso un'azione civile, con gli avvocati delle vittime che sottolineavano le conseguenze di vasta portata della "politica di fuga", riferisce De Morgen.


"I Testimoni di Geova affermano che gli ex membri dovrebbero essere evitati come la peste", ha detto l'avvocato Pieter-Bram Lagae, che assiste l'ex testimone che ha avviato il caso.


“Era solito sedere nel Comitato giudiziario di Geova e aiutava a decidere sulle esclusioni, finché non si rese conto che si stava spingendo troppo in là”, ha detto Lagae. “Agiamo, ad esempio, per un uomo la cui moglie è ancora membro e viene ignorato nella sua stessa casa. O una donna che non ha mai visto suo padre dall'esclusione. "


“Questo è solo l'inizio”, ha detto a Het Nieuwsblad l' ex membro dei Testimoni di Geova Patrick Haeck . “Andiamo alla Corte europea. Questo deve finire ovunque. "


Maïthé Chini
The Brussels Times

fonte:
https://www.brusselstimes.com/news/belgium-all-news/160238/jehovahs-witnesses-given-e12000-fine-for-incitement-to-hatred-against-ex-members-ghent-correctional-court-unia-shunning-policy/?fbclid=IwAR0N4t75s-tuN-01bvoaP8FlUKffybzFV55JMhaWt5yjdzQvKlZX2nu1ZBc


Credente
00lunedì 29 marzo 2021 16:12

Il cristiano menzognero



Mi ha sorpreso, anche se poi non più di tanto, quanto riportato in una sentenza di tribunale, che racconta il fatto di una moglie, Testimone di Geova, che ha ammesso di aver calunniato il marito solo perché aveva abbandonato la religione.

Questo fatto non mi è nuovo, infatti anche quando ero un Testimone di Geova convinto rimanevo perplesso quando sentivo le calunnie che subito montavano in congregazione riguardo i disassociati e dissociati subito dopo che veniva fatto l'annuncio.

Ricordo una volta quando fu disassociato un fratello, cui ero molto legato, perchè impossibilitato a restituire dei prestiti che si era fatto fare da altri

Rimase disassociato per anni, prima che gli fosse concesso di "rientrare", ma poche settimane dopo che era stato fatto l'annuncio in congregazione, sentivo già "sorelle" raccontare che si era portato a letto mezzo quartiere. E quando raccontavano queste storie le vedevo molto compiaciute.

A rendere poco credibile le loro storie non era l'accusa generica di aver avuto qualche rapporto extraconiugale (era divorziato) ma il lungo elenco di donne che (come si spettegolava) sarebbero andate a letto con lui, da ragazzine 14enni a signore attempate. Mi chiedevo, ma possibile che tutte le donne del quartiere da 0 a 100 anni non vedano l'ora di infilarsi nel letto di un cinquantenne squattrinato che a livello economico non sarebbe neppure in grado di pagargli una consumazione al bar? (dopo il rovescio finanziario, si rivolse alla Caritas per sopravvivere). 

Ero sbalordito ascoltando quelle storie e mi chiedevo - allora - se davvero fossero vere. Oggi capisco tante cose...

Leggete a questo proposito l'articolo sotto riportato:

Il Tribunale di Termini Imerese assolve imputato, vittima di “Bugia teocratica”


Assolto dal reato di violenza nei confronti della moglie in quanto il fatto non sussiste. Si conclude così un processo del tribunale di Termini Imerese, che ha visto coinvolti due coniugi siciliani, nel quale ha relazionato la dottoressa Lorita Tinelli, fondatrice e presidente del Cesap, intervenuta in qualità di esperta sul tema della comunità dei Testimoni di Geova. Sì, perché la moglie, per sua stessa ammissione, nel momento in cui ha accusato il marito di maltrattamenti in famiglia, lesioni personali, sottrazione di minori e violenza carnale, era un’adepta e ha seguito alla lettera le indicazioni imposte dal culto.

Il marito, rimasto fuori dal gruppo religioso, è stato tenuto per tutto il tempo a distanza, perché considerato “incredulo” e come si legge sulla sentenza n. 804/2020 “fonte di perdizione satanica”; per questo la moglie ha iniziato a registrare ogni azione del coniuge, così come ogni litigio, per poterlo poi accusare di atti penalmente rilevanti. La donna ha, inoltre, cercato di allontanare dal padre i due figli minorenni, anch’essi vittime delle regole rigide, ad esempio “lavandoli continuamente con ammoniaca o altri prodotti ustionanti”.

A momento debito ha lo denunciato presentando le registrazioni e raccontando con dovizia di particolari i maltrattamenti subiti. A distanza di tempo, dopo aver preso la decisione di uscire dal gruppo dei Testimoni di Geova, la donna ha presentato “una sorta di memoriale - si legge nella sentenza - nel quale ritrattava ogni tipo di accusa”, anzi, la donna ha sostenuto di "aver preso coscienza dei danni subiti e procurati a causa della sua appartenenza alla setta di essere uscita dall'organizzazione dei Testimoni di Geova e ritrattando tutto".

Il comportamento della moglie è un atteggiamento meglio conosciuto come "menzogna o bugia teocratica": chi muove le accuse lo fa volontariamente contro chi viene ritenuto un ostacolo al suo credo religioso. Secondo quanto sostiene la stessa Torre di Guardia, la rivista edita e pubblicata dai Testimoni di Geova, nella quale si danno le indicazioni per gli adepti, chi non crede in Geova è un nemico di Dio, e difendere il proprio credo anche attraverso delle false testimonianze è una strategia approvata e consolidata.

“Ciò che è esecrabile è il fatto che la donna ha cercato di sottrarsi alle sue responsabilità attribuendo la causa delle sue falsità ai condizionamenti subiti dalla comunità di appartenenza, quasi fosse stata vittima di un incanto, avrebbe perduto ogni capacità di analisi e di favella e sarebbe stata costretta ad accusare il marito in quanto infedele o "incredulo" – si continua a leggere nella sentenza -. Una sorta di plagio, dunque, o di tale condizionamento della volontà da renderla un mero strumento della comunità religiosa, priva di autonoma volontà o capacità di agire in modo consapevole".

Da ciò il giudizio del Tribunale che ha ritenuto la moglie perfettamente lucida e colpevole di aver calunniato e dato falsa testimonianza.

“Lei ha volontariamente aderito ad una congregazione dotata di regole chiare e codificate in numerosi testi di riferimento a livello globale”.

“Sono soddisfatta della decisione del giudice e del fatto che abbia riconosciuto una dinamica di questo genere, che da sempre ha portato nei tribunali genitori critici della fede geovista, che per tal motivo sono stati fatti oggetto di accuse infamanti – ha affermato la dottoressa Tinelli, fondatrice del Cesap -. Alla stessa conclusione era giunto anche il tribunale di Bari, nel 2000, assolvendo un padre oggetto della prassi della bugia teocratica, accusato falsamente di aver abusato suo figlio con la complicità di sua nipote. Accusa infondata della ex moglie testimone di Geova”.

Credente
00mercoledì 28 aprile 2021 11:47
La wt ha aderito al piano australiano, probabilmente non perchè ci tenesse almeno a risarcirle, ma perchè avrebbero perso lo status di ente di beneficenza che li esenta dal PAGARE LE TASSE. --
Evidentemente si son fatti dei conti, ritenendo più CONVENIENTE aderire.
Ciò significa che la wt , anche se non lo ammette in maniera esplicita, nascondendosi dietro ad un dito, di fatto però RICONOSCE LA PROPRIA COLPEVOLEZZA nei processi già terminati ed ora dovrà pagare, sia pure con notevole ritardo. Infatti l'adesione al programma di risarcimenti, a cui finora non avevano voluto aderire, è conseguente alla conclusione dei processi A LORO SFAVORE.

Credente
00mercoledì 26 gennaio 2022 16:51

UNA CITTÀ IN BULGARIA VIETA AI TESTIMONI DI GEOVA DI CHIAMARE LE CASE DEI SUOI CITTADINI CON O SENZA LA PANDEMIA DI COVID.



La Corte Suprema di Giustizia bulgara ha stabilito che il comune di Shumen ha l'autonomia di vietare ai Testimoni di Geova di visitare le case dei suoi residenti per predicare.

La disputa tra i Testimoni di Geova e il Comune di Shumen nei tribunali bulgari è iniziata anni fa, quando è stata creata una legge a tutela dell'ordine pubblico che vietava ai gruppi religiosi non tradizionali del Paese di molestare i loro vicini nelle loro case.

I Testimoni di Geova non erano d'accordo con la legge a tutela dell'ordine pubblico creata dalla città di Shumen e ricorsero alla giustizia. In una decisione del 2020, la giustizia ha capito che la predicazione di casa in casa poteva continuare ad essere svolta, ma nell'ultima sentenza del caso la Corte Superiore di Giustizia ha capito che la modalità tradizionale della predicazione turba la pace della gente e quindi la prefettura di Shumen ha l'autonomia di fare il suo bando.

Poiché la controversia legale tra i Testimoni di Geova e il comune di Shumen è stata decisa dalla Corte Suprema di Giustizia bulgara, il caso è stato archiviato e non potrà più ricorrere al tribunale locale per svolgere la testimonianza casa per casa. . Se i Testimoni di Geova vogliono continuare a visitare le loro case a Shumen, dovranno rivolgersi ai tribunali internazionali.

Credente
00mercoledì 26 gennaio 2022 16:52
fonte precedente post

https://shumenonline.bg/.../%d0%b2%d0%b0%d1%81-%d1%80%d0... %b2%d0%b8%d0%b4%d0%b5%d1%82%d0%b5%d0%bb%d0%b8%d1%82%d0%b5-%d0%bd%d0%b0-%d0 %b9%d0%b5%d1%85%d0%be%d0%b2%d0%b0-%d0%bd%d1%8f%d0%bc%d0%b0-%d0%b4%d0%b0/
Credente
00venerdì 9 dicembre 2022 17:09
Credente
00domenica 14 maggio 2023 09:55

Con la decisione, presa il 9 maggio ma resa nota ieri, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha stabilito che l’attività di predicazione porta a porta, svolta senza il preventivo ‘consenso informato’ delle persone interessate, comporta la creazione di un archivio di dati personali e viola il GDPR e il diritto alla privacy. Si tratta di un precedente importante nella tutela della privacy: da oggi in poi, non solo i Testimoni di Geova ma qualsiasi predicatore che intenda svolgere la propria attività evangelica porta a porta dovrà ottenere il consenso informato delle persone interessate prima di procedere.


In un'epoca in cui la privacy è un tema di grande rilevanza, è sorprendente che i Testimoni di Geova e altri evangelizzatori porta a porta non abbiano ancora ricevuto alcun provvedimento a tutela della privacy da parte del Garante della Privacy...


Tuttavia, la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha recentemente emesso una sentenza che stabilisce che l'attività di predicazione porta a porta viola il GDPR e il diritto alla privacy delle persone. Da oggi in poi, i Testimoni di Geova e altri predicatori dovranno ottenere il consenso informato delle persone interessate prima di procedere con la loro attività evangelica porta a porta.


La sentenza si basa sul concetto di "diritto all'autodeterminazione informativa", che permette alle persone di esercitare il loro diritto alla vita privata riguardo ai dati raccolti, trattati e diffusi collettivamente. Se un individuo riceve una visita dai predicatori senza aver dato il suo consenso, i predicatori potrebbero raccogliere informazioni personali su di lui e utilizzarle senza il suo consenso, violando così il suo diritto all'autodeterminazione informativa.


Tuttavia, la sentenza non viola la libertà religiosa dei predicatori, poiché la tutela del diritto alla privacy e all'autodeterminazione informativa delle persone è considerata necessaria in una società democratica.


La sentenza della CEDU stabilisce un importante precedente nella tutela del diritto alla privacy e all'autododeterminazione informativa delle persone. Ciò significa che i Testimoni di Geova e altri predicatori dovranno ottenere il consenso informato delle persone interessate prima di procedere con la loro attività evangelica porta a porta.


fonte: https://www.laleggepertutti.it/639512_testimoni-di-geova-e-privacy-il-campanello-infrange-il-gdpr


altro link: https://www.tg24.info/privacy-la-cedu-mette-allangolo-i-testimoni-di-geova-prima-di-citofonare-debbono-avere-il-consenso/


Credente
00domenica 14 maggio 2023 19:52
facendo seguito al post precedente

Qual è la vicenda alla base della sentenza della CEDU?
Qual è il concetto di diritto all autodeterminazione informativa ?
La sentenza viola la libertà religiosa dei predicatori?
Quali sono le conseguenze di questa sentenza?
Qual è la vicenda alla base della sentenza della CEDU?

La CEDU ha deciso il caso Testimoni di Geova c. Finlandia (ric. 31172/19) in cui si stabilisce che l attività di predicazione porta a porta, senza il consenso informato delle persone interessate, comporta la creazione di un archivio di dati personali e viola il GDPR e il diritto alla privacy. La decisione è stata presa il 9 maggio.

La CEDU ha analizzato il GDPR in due piani distinti: da un lato, l attività di predicazione comporta la creazione di un database privato, utilizzato dalla comunità religiosa senza il consenso delle persone interessate; dall altro, viene violato il diritto delle persone a non subire predicazioni indesiderate e a mantenere la serenità della propria famiglia.

Qual è il concetto di diritto all autodeterminazione informativa ?

Il diritto all autodeterminazione informativa è un concetto che permette alle persone di esercitare il loro diritto alla vita privata riguardo ai dati raccolti, trattati e diffusi collettivamente. La CEDU ha stabilito che le prediche a domicilio senza il consenso delle persone interessate possono violare questo diritto.

Poniamo il caso di Tizio, che riceve una visita dai Testimoni di Geova senza aver dato il suo consenso. Durante la visita, i predicatori raccolgono informazioni su Tizio, come il suo nome, indirizzo e altre informazioni personali. Questi dati vengono poi utilizzati dalla comunità religiosa senza il consenso di Tizio, violando così il suo diritto all autodeterminazione informativa.
Credente
00sabato 10 giugno 2023 15:33

I Testimoni di Geova norvegesi perdono temporaneamente il diritto di sposarsi (in Sala del Regno)



 


Il tribunale distrettuale di Oslo ha privato la comunità dei Testimoni di Geova del diritto di suggellare matrimoni. Perdono la loro registrazione temporanea come comunità religiosa.

Di conseguenza, non possono più ricevere sussidi dal governo, riferisce Vart Land . Inoltre, devono pagare le spese del procedimento legale, che ammontano a 240.000 NOK (oltre 20.000 euro). Allo stesso tempo, la comunità può continuare a praticare la propria fede.


Tuttavia, i Testimoni di Geova sono delusi dalla sentenza. In precedenza, avevano tentato di contrastare la decisione del governo di ritirare i sussidi e la registrazione come comunità religiosa.


I loro avvocati sono andati in tribunale alla fine dello scorso anno per richiedere una registrazione temporanea come comunità religiosa in modo che potessero continuare a suggellare matrimoni fino a quando la decisione finale sulla loro registrazione era in sospeso. Alla fine di dicembre, il giudice ha accolto questa richiesta. Tuttavia, con la nuova sentenza, anche tale beneficio viene immediatamente revocato.


Teologia dei Testimoni di Geova


L'avvocato Anders Stray Ryssdal, che ha rappresentato i Testimoni di Geova in tribunale, afferma che la decisione è una grande delusione per la comunità, riferisce Dagen . Durante il caso giudiziario, ha affermato che "nessun'altra comunità religiosa è stata privata del suo status a causa della valutazione del credo e della pratica da parte dello stato. Nessun altro ha avuto la propria teologia censurata nel modo in cui i testimoni di Geova sono esposti".


In una e-mail a Vart Land, l'avvocato scrive che "la stessa corte afferma che la perdita del diritto al matrimonio è un intervento forte. Tuttavia, la corte non ritiene che altri effetti dannosi, come l'aumento della stigmatizzazione, siano dovuti alla perdita della registrazione. Non siamo d'accordo con questo."


Fiduciosa


Il caso giudiziario sarà deciso in seguito poiché i giudici devono ancora esaminare il caso nella sua interezza, sottolinea Anders Stray Ryssdal. "Ora studieremo attentamente la sentenza sull'ingiunzione temporanea e decideremo sulla questione di un ricorso contro di essa. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che la causa principale andrà avanti come previsto entro la fine dell'anno, il che è molto importante".


Il portavoce dei Testimoni di Geova Fabian Fond è deluso dalla decisione; scrive in una e-mail a Dagen . Allo stesso tempo, afferma che la comunità è "fiduciosa di vincere la prossima battaglia quando il caso andrà in tribunale entro la fine dell'anno".

fonte: https://cne.news/article/3012-norwegian-jehovah-s-witnesses-lose-temporary-right-to-marry-couples


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