Chi è Silvia Baraldini: le tappe del caso
Nel 2001 si pronunciò la Consulta e ottenne i domiciliari
Silvia Baraldini è tornata in libertà per effetto dell'indulto. L'attivista comunista, nata il 12 dicembre del 1947, ha militato negli anni '60, '70 e '80 all'interno del Black Panther Party americano, movimento eversivo che
Silvia Baraldini
Silvia Baraldini
combatteva per i diritti civili dei neri e nel 1983 era stata condannata dal giustizia statunitense a una pena cumulativa di 43 anni di carcere per concorso in evasione, associazione sovversiva, due tentate rapine e ingiuria al tribunale e ora stava scontando in Italia sua pena dopo l'estradizione.
Era quasi mezzogiorno, il 25 agosto del '99, quando all'aeroporto di Ciampino atterrò il Falcon che la riportava in Italia. Ad attenderla, quella mattina di fine estate, l'anziana madre Dolores e l'allora ministro della Giustizia Oliviero Diliberto, che aveva messo la sua firma sotto l'accordo con gli Usa che consentiva il rientro della detenuta. A patto che avrebbe continuato a scontare la sua pena, fino al 2008, in un carcere italiano. E quella mattina la destinazione della Baraldini era stato il carcere romano di Rebibbia. Dove è rimasta fino a quando, nel settembre 2000, il peggioramento delle sue condizioni di salute (un nuovo tumore, operato) non ne rese necessario il trasferimento al policlinico Gemelli.
Poi
il 21 aprile del 2001 la decisione del tribunale di sorveglianza di concederle gli arresti domiciliari mise fine ad una vicenda che si trascinava da quasi 20 anni. Da quel luglio dell'83, quando dopo cinque mesi di processo il giudice newyorchese Buffy, noto per la sua severità, emise il verdetto di colpevolezza per Silvia Baraldini : 43 anni di carcere la sua condanna. Ma solo per reati associativi. Nessun fatto di sangue le venne addebitato. Ma tant'è. Iniziò così la sua via crucis per i penitenziari degli Usa, rinchiusa anche in celle di massima sicurezza.
Nell'87 infatti venne giudicata una detenuta pericolosa e trasferita nell'unità sotterranea della prigione federale di Lexington, dove rimase 19 mesi. Finchè non si ammalò. Era l'agosto dell'88 quando a Silvia Baraldini venne diagnosticato per la prima volta il tumore all'utero. E per lei ci fu il primo intervento, e poi anche il secondo. Ma subito dopo tornarono a spalancarsi le porte del carcere giudiziario di Manhattan e dopo quelle di un altro carcere, questa volta di massima sicurezza, a Marianna.
Nella primavera del '91 però le sue condizioni si aggravarono, tanto da suggerire il ricovero in ospedale. Tra un ricovero e l'altro, continuò il suo peregrinare per i penitenziari degli States. Fino all'ultima tappa, quella del carcere di Danbury, dove rimase fino al rientro in Italia.
Nel frattempo, il caso Baraldini impegnò tecnici e diplomazie del ministero della Giustizia per dieci anni. Tra l'89 e il '98 l'Italia presentòi agli Usa ben cinque domande di trasferimento, convinta che esistessero le condizioni previste dalla Convenzione di Strasburgo «affinchè l'esecuzione della pena possa proseguire nel Paese di cittadinanza di Silvia Baraldini ».
Poi, nell'estate del '99, la notizia dell'accordo siglato tra i due Paesi. E il rientro della Baraldini in Italia, a Rebibbia con la malattia che non le dava tregua. Fu per questo che nel settembre 2000 ottenne il consenso a lasciare il carcere per essere ricoverata al 'Gemellì con il differimento della pena per potersi curare.
Subito dopo arrivò anche una sentenza della Corte Costituzionale: l'accordo sottoscritto con gli Usa, sostenevano i ricorrenti, potrebbe essere incostituzionale. E il 19 marzo 2001 quando la Consulta si pronunciò: «L'esecuzione della pena -scrissero i giudici costituzionali- va riferita al regime giuridico vigente nello Stato di esecuzione».
È sulla base di questo principio che i giudici del tribunale di sorveglianza di Roma tornarono il 18 aprile dello stesso anno, ad esaminare il ricorso dell'avvocato della Baraldini , Grazia Volo, che chiedeva il differimento della pena per motivi di salute. Di qui gli arresti domiciliari e oggi la libertà.
da LaStampaWeb