Quel che sarà sarà....i retroscena veri o presunti di stampa e tv sul pontificato di Benedetto XVI

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Discipula
00giovedì 2 novembre 2006 09:50
Re: pericoloso e offensivo editoriale...

Scritto da: ratzi.lella 02/11/2006 9.03
IL GELO DI ANKARA

(cut ....)



quindi la colpa di una eventuale mancata adesione non è della Turchia che non rispetta le norme comunitarie sul commercio e sulla navigazione (vedi la questione cipriota) e, peggio, le libertà fondamentali di opinione, di espressione, di religione, che perseguita le minoranze e processa i dissidenti, ma no [SM=g27826] ... la colpa è sempre dell'orco Ratzinger che non doveva evidenziare questi piccoli "dettagli" sulla violazione dei diritti umani...

[SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812]
ratzi.lella
00giovedì 2 novembre 2006 11:28
ma certo, discipula!!!
non sono nemmeno domande da fare!!! [SM=g27828]
ricordi la famosa canzone "colpa di andreotti"? ecco...occorrerebbe cambiare il testo e rilanciarla [SM=g27816]

la turchia non entra in europa? colpa di ratzinger!!!
la germania ha cambiato atteggiamento nei confronti dell'ingresso della turchia in europa? colpa di ratzinger!!
i gay ce l'hanno con la chiesa? colpa di ratzinger!!! (non importa il fatto che TUTTI i predecessori ribadissero gli stessi concetti in materia di morale e di famiglia).
nella chiesa ci sono i pedofili? colpa di ratzinger!!! (non importa che sia stato il primo e unico pontefice a parlare chiaro in questa materia...).
la chiesa ha pubblicato un'istruzione che vieta agli omosessuali di entrare in seminario? colpa di ratzinger!!! (che importanza ha il fatto che la medesima istruzione giacesse da anni, in attesa di firma, nei cassetti vaticani?).

avete qualche problema, fedeli e non? colpa di ratzinger!!!
stupor-mundi
00giovedì 2 novembre 2006 18:01
«Se potessi ucciderei il Papa con le mie mani»
Spari davanti consolato italiano a Istanbul «Se potessi ucciderei il Papa con le mie mani» ha detto il responsabile del gesto. Padre Lombardi: «Il viaggio si farà»
ISTANBUL - Un uomo ha sparato alcuni colpi d'arma da fuoco in aria davanti al consolato italiano a Istanbul per protestare contro la visita di Benedetto XVI in Turchia. Sul posto era presente l'ambasciatore d'Italia in Turchia, Carlo Marsili. Lo ha reso noto lo stesso ambasciatore all'agenzia Ansa. «Maledetta Italia, sono musulmano» ha gridato lo sparatore alla guardia che lo ha arrestato. Lo ha raccontato Marsili, che ha potuto osservare la scena mentre giungeva con la sua auto di rappresentanza davanti al consolato. «FELICE CHI PUO' DIRSI MUSULMANO» - L'autore della protesta si chiama Ibrahim Ak. «Felice chi può dirsi musulmano» ha urlato durante gli spari. Il grido dello sparatore è una parafrasi del famoso detto di Kemal Ataturk, «felice chi può dirsi turco», una parafrasi usata dai fondamentalisti turchi, anche in polemica col nazionalismo laico ataturkista. Sono stati gli agenti di sicurezza a fermare Ak, che aveva gettato la pistola, una Beretta calibro 6,75, nel giardino della residenza diplomatica italiana subito dopo gli spari. «È un atto individuale - ha dichiarato Ak ai giornalisti mentre veniva trasferito verso la vicina stazione di polizia - Se ci fosse la possibilità di farlo - ha continuato il giovane - ucciderei il Papa con le mie mani. Spero che il mio gesto inneschi altre proteste».

Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana (foto Ansa)
«IL VIAGGIO SI FARA'» -Benedetto XVI arriverà in Turchia il 28 novembre. Due mesi fa il Santo Padre aveva scatenato le proteste di tutto il mondo islamico per le dichiarazioni sulla religione musulmana e contro il profeta Maometto all’università di Ratisbona. Dalla Santa Sede arrivano intanto rassicurazioni sulla visita di Ratzinger in Turchia. «Mi sembra che ci siano già stati alcuni fatti simili, sono da considerare assolutamente marginali e minoritari, per cui abbiamo tutta la fiducia che il viaggio in Turchia si svolga con totale serenità e andiamo avanti in questo senso» ha detto padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana. «Naturalmente sono sempre fatti che dispiacciono - prosegue il gesuita - ma non pensiamo che siano tali da dare preoccupazioni gravi e speriamo che il clima possa essere sereno per il viaggio». Una forte condanna di quanto accaduto a Istanbul arriva dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, contattato da Apcom. «L'attacco al consolato italiano a Istanbul è senza dubbio un gesto molto serio, da condannare in ogni caso. Così - ha detto Kasper - i musulmani provano che il Papa aveva ragione a Ratisbona sulla loro violenza».

NON HO PAROLE!!!! MENO MALE CHE ANCHE KASPER INIZIA A PARLARE CHIARO.
SI STA SQUARCIANDO IL VELO DI IPOCRISIA DEI BUONISTI SUL VERO VOLTO DEGLI ISLAMICI!!!!

[Modificato da stupor-mundi 02/11/2006 18.03]

euge65
00giovedì 2 novembre 2006 20:07
ma va???????


CHI SI SENTE!!!!!!!! KASPER.......... QUALCUNO CHE FINALMENTE ROMPE GLI INDUGI CORAGGIO.............. UNO E' SEMPRE TROPPO POCO CHE FANNO GLI ALTRI?????????????'.......... GIA' IL MOTIVO E' SEMPRE LO STESSO DIFENDERE BENEDETTO E' UN RISCHIO!!!!!!! SUVVIA SEGGIOLONI CURIALI VOLETE TIRARE FUORI LA VOCE ALMENO???????????????

CHE BRUTTA LA PAURA E SOPRATTUTTO L'IPOCRISIA!!!!!!!!!
GUARDATE CHE NEL CONCLAVE NON C'ERANO SAGOME DI CARTONE A VOTARE C'ERAVATE VOI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
SVEGLIATEVI UNA VOLTA PER TUTTE IL LETARGO E' FINITO!!!!!!!!!!!
[SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27825] [SM=g27825]
LadyRatzinger
00giovedì 2 novembre 2006 20:14
Re: ma va???????

Scritto da: euge65 02/11/2006 20.07


CHI SI SENTE!!!!!!!! KASPER.......... QUALCUNO CHE FINALMENTE ROMPE GLI INDUGI CORAGGIO.............. UNO E' SEMPRE TROPPO POCO CHE FANNO GLI ALTRI?????????????'.......... GIA' IL MOTIVO E' SEMPRE LO STESSO DIFENDERE BENEDETTO E' UN RISCHIO!!!!!!! SUVVIA SEGGIOLONI CURIALI VOLETE TIRARE FUORI LA VOCE ALMENO???????????????

CHE BRUTTA LA PAURA E SOPRATTUTTO L'IPOCRISIA!!!!!!!!!
GUARDATE CHE NEL CONCLAVE NON C'ERANO SAGOME DI CARTONE A VOTARE C'ERAVATE VOI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
SVEGLIATEVI UNA VOLTA PER TUTTE IL LETARGO E' FINITO!!!!!!!!!!!
[SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27825] [SM=g27825]



Quoto al 100%!! [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] Io comunque inizio a preoccuparmi sempre di più...
ratzi.lella
00giovedì 2 novembre 2006 21:18
io faccio notare una cosa...
il cardinale kasper, come il nostro papa, e' tedesco.
sara' un caso? secondo me no...
riuscirebbero gli italiani a essere cosi' incisivi e coraggiosi? non credo proprio con la sola possibile eccezione di ruini...
euge65
00giovedì 2 novembre 2006 21:33
Re: io faccio notare una cosa...

Scritto da: ratzi.lella 02/11/2006 21.18
il cardinale kasper, come il nostro papa, e' tedesco.
sara' un caso? secondo me no...
riuscirebbero gli italiani a essere cosi' incisivi e coraggiosi? non credo proprio con la sola possibile eccezione di ruini...



MA INFATTI CARA LELLA LA MIA ESORTAZIONE ERA PER QUEI QUATTRO RAMMOLLITI ITALIANI CHE OVVIAMENTE SI GUARDANO BENE DAL DIFENDERE RATZI!!!!!!!!!!!! MA .......... DURANTE IL CONCLAVE DOVE ERANO??????????????? A SPASSO NEI GIARDINI VATICANI????????
MA SAI DORMIRE E' PIU' COMODO SI RISCHIA DI MENO!!!!!!!!!!
SCHIERARSI E' SEMPRE CONTROPRODUCENTE SPECIALMENTE DALLA PARTE DI UNA PERSONA CHE NON HA PAURA DI DIRE LA VERITA' SEMPRE E COMUNQUE [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27825] [SM=g27825] [SM=g27812]
stupor-mundi
00giovedì 2 novembre 2006 22:01
Re: Re: io faccio notare una cosa...

Scritto da: euge65 02/11/2006 21.33


MA INFATTI CARA LELLA LA MIA ESORTAZIONE ERA PER QUEI QUATTRO RAMMOLLITI ITALIANI CHE OVVIAMENTE SI GUARDANO BENE DAL DIFENDERE RATZI!!!!!!!!!!!! MA .......... DURANTE IL CONCLAVE DOVE ERANO??????????????? A SPASSO NEI GIARDINI VATICANI????????
MA SAI DORMIRE E' PIU' COMODO SI RISCHIA DI MENO!!!!!!!!!!
SCHIERARSI E' SEMPRE CONTROPRODUCENTE SPECIALMENTE DALLA PARTE DI UNA PERSONA CHE NON HA PAURA DI DIRE LA VERITA' SEMPRE E COMUNQUE [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27825] [SM=g27825] [SM=g27812]


Ma ve lo immaginate il Tetta (manzi [SM=g27828] ) al posto del nostro Joseph!!!!!Vi dico che fra un po' in chiesa insieme al vangelo ci avrebbe fatto trovare anche il corano, con buona pace del (catto) comunista prodi!!!
ratzi.lella
00venerdì 3 novembre 2006 07:36
ogni papa e' indicato per la sua epoca...
se crediamo (e siamo cattolici, quindi ci crediamo) che sia lo spirito santo a scegliere il papa, non possiamo che rallegrarci del fatto che, per questa nostra epoca relativista e laicista, sia stato eletto un papa come ratzinger, che non ha paura di parlare chiaro e di dire verita' scomode.
certo! e' piu' facile dormire sugli allori e fare finta che tutto vada bene. ma a che cosa porta questo atteggiamento? chiaro: al disastro totale in cui i cattolici pensano che padre pio sia piu' importante di Gesu', ritengono che, in fondo, le religioni siano tutte uguali, che un papa sia meglio dell'altro ecc..
per fortuna abbiamo un papa che sta tentando di farci capire che cosa significhi essere credenti.
io spero che sempre piu' persone capiscano qual e' il suo intento e lo ascoltino!!!
josie '86
00venerdì 3 novembre 2006 09:40
Re: Re: ma va???????

Scritto da: LadyRatzinger 02/11/2006 20.14


Quoto al 100%!! [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] Io comunque inizio a preoccuparmi sempre di più...



Già...Prima il presunto dirottamento dell'aereo in Puglia, poi questo disgraziato fanatico che spara...Inizio anch'io a preoccuparmi... [SM=g27820]: [SM=g27820]: [SM=g27820]: [SM=g27820]:
josie '86
00venerdì 3 novembre 2006 09:44
Re: Re: Re: io faccio notare una cosa...

Scritto da: stupor-mundi 02/11/2006 22.01

Ma ve lo immaginate il Tetta (manzi [SM=g27828] ) al posto del nostro Joseph!!!!!Vi dico che fra un po' in chiesa insieme al vangelo ci avrebbe fatto trovare anche il corano, con buona pace del (catto) comunista prodi!!!



Per fortuna lo Spirito Santo ha scelto Joseph come successore di Pietro, un Papa che dice le cose come stanno in realtà e tenta di far risvegliare la coscienza dell'esser credenti cristiani. [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]
josie '86
00venerdì 3 novembre 2006 09:51
Re: ogni papa e' indicato per la sua epoca...

Scritto da: ratzi.lella 03/11/2006 7.36
se crediamo (e siamo cattolici, quindi ci crediamo) che sia lo spirito santo a scegliere il papa, non possiamo che rallegrarci del fatto che, per questa nostra epoca relativista e laicista, sia stato eletto un papa come ratzinger, che non ha paura di parlare chiaro e di dire verita' scomode.
certo! e' piu' facile dormire sugli allori e fare finta che tutto vada bene. ma a che cosa porta questo atteggiamento? chiaro: al disastro totale in cui i cattolici pensano che padre pio sia piu' importante di Gesu', ritengono che, in fondo, le religioni siano tutte uguali, che un papa sia meglio dell'altro ecc..
per fortuna abbiamo un papa che sta tentando di farci capire che cosa significhi essere credenti.
io spero che sempre piu' persone capiscano qual e' il suo intento e lo ascoltino!!!



Ciao Lella, sono d'accordo con te! Lo Spirito Santo ha deciso che deve essere Ratzinger a portare molti credenti verso la Luce di Cristo e a combattere il relativismo...Ovviamente il Papa parla senza peli sulla lingua sulle verità scomode che sono nella Chiesa e nel mondo ed è per questo che viene molte volte contestato e criticato...Secondo me è una questione di pigrizia spirituale da parte di alcuni se non vogliono ascoltare le sue parole...
ratzi.lella
00sabato 4 novembre 2006 13:20
pigrizia...
e malafede [SM=g27812] [SM=g27812]

intanto una grande novita':

IL PONTEFICE HA RICEVUTO IL VECCHIO NEGOZIATORE AMERICANO DI ORIGINE TEDESCA IL 29 SETTEMBRE SCORSO A CASTEL GANDOLFO

Kissinger consiglia Ratzinger
L’ex segretario di Stato consulente del Papa per la politica estera

di Paolo Mastrolilli




NEW YORK
Benedetto XVI ha chiesto a Henry Kissinger di entrare in un consiglio consultivo per i temi di politica estera, e lui ha accettato. La notizia l’ha rivelata lo stesso ex segretario di Stato americano, parlando con un importante membro del governo italiano. Autorevoli fonti diplomatiche della Santa Sede hanno confermato che fra i due è in corso un dialogo importante. Il Papa ha ricevuto Kissinger a Castelgandolfo poche settimane fa, e nel corso di questo colloquio gli ha chiesto di entrare a far parte di quello che il diplomatico americano ha definito un «advisory board». Le fonti vaticane hanno dichiarato che l’appuntamento c’è stato e l’informazione era pubblica. Quanto alla creazione del «board», non hanno né confermato, né smentito.

Aldilà del carattere istituzionale o meno della consulenza, non è inusuale per la Santa Sede ricorrere ai consigli di specialisti laici esterni. Sono noti, ad esempio, i suggerimenti economici offerti dall’ex governatore della banca centrale tedesca, Hans Tietmeyer. Lo stesso Michel Camdessus, una volta lasciata la direzione del Fondo Monetario Internazionale, ha partecipato a vari convegni di studio organizzati dal Vaticano. Il Santo Padre si avvale da secoli della Pontificia Accademia delle Scienze, di cui hanno fatto parte decine di studiosi di tutto il mondo. In questo momento, ad esempio, tra i suoi membri ci sono personaggi come Rita Levi Montalcini, o il premio Nobel per l’economia Gary Becker, successore di Milton Friedman alla guida della scuola di Chicago e da sempre consigliere del Partito repubblicano americano.

Sul piano della politica estera, era famosa e molto chiacchierata l’amicizia tra Giovanni Paolo II e Zbigniew Brzezinski, il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter. La comune origine polacca li univa, al punto che il Kgb era arrivato a sospettare che l’elezione di Karol Wojtyla fosse un complotto ordito dalla Central Intelligence Agency e dal cardinale americano di Philadelphia Krol, allo scopo di creare scompiglio oltre la cortina di ferro. I due presunti protagonisti ridevano di questa storia, tanto che dopo la morte di Wojtyla, Brzezinski ci raccontò: «Quando vedevo Giovanni Paolo II, lui mi rimproverava sempre con severità. Visto che tu mi hai fatto papa - diceva - potresti anche passare a trovarmi più spesso». Il complotto temuto dal Kgb era fantasia, ma il rapporto politico esisteva, tanto è vero che la notte del golpe di Jaruzelski fu proprio Brzezinski a chiamare Wojtyla per informarlo. Joseph Ratzinger e Henry Kissinger condividono l'origine tedesca, e questo potrebbe facilitare anche il loro dialogo.

Il nome dell’ex segretario di Stato è tornato alla ribalta sulla scena americana nelle ultime settimane, a causa del libro di Bob Woodward «State of Denial». Il giornalista, che durante la presidenza Nixon denunciò lo scandalo Watergate, ha rivelato che Kissinger è uno dei consiglieri più ascoltati da George W. Bush. Le sue visite alla Casa Bianca sono tanto frequenti, quanto riservate, e il presidente aveva dimostrato tutta la sua stima quando aveva chiesto all’ex segretario di Stato di guidare la Commissione d’inchiesta sull’11 settembre. Un conflitto di interessi, però, aveva obbligato il diplomatico a rinunciare all’incarico. Tra i repubblicani Kissinger è il portabandiera della corrente dei realisti, da sempre rivali dei neoconservatori, e quindi il suo ruolo nella Casa Bianca di Bush ha un po’ sorpreso. Qualcuno lo ha letto come il segno di un’inversione di tendenza, inaugurata dall’arrivo di Condoleezza Rice al vertice della diplomazia di Washington. Woodward, però, ha scritto che la posizione dell’ex segretario di Stato sull’Iraq non è diversa da quella che aveva in origine sul Vietnam. Lasciando da parte il suo giudizio sulla decisione di scatenare la guerra, ora ritiene che sia indispensabile non cedere. Perciò, secondo il giornalista del Washington Post, avrebbe sempre consigliato a Bush di non ritirarsi.

Gli argomenti della recente conversazione di Kissinger con Benedetto XVI restano riservati, ma le questioni internazionali che interessano più da vicino la Santa Sede sono note. In primo luogo il rapporto con l’Islam, anche in vista del prossimo viaggio del Papa in Turchia. Poi naturalmente l’Iraq, la situazione in Medio Oriente e nel Libano, la sfida del terrorismo, lo sviluppo dei paesi poveri e dell’Africa, ma anche le relazioni transatlantiche, che sono state confermate e rafforzate da Ratzinger.

Un altro problema urgente è quello dell'Iran. Kissinger ha detto al suo interlocutore italiano di ritenere che l’unica via d’uscita ragionevole sarebbe negoziare con Teheran l’assegnazione di un ruolo da garante della stabilità nella sua regione, ma la base repubblicana e neocon si oppone. L’ultimo incontro tra Papa Benedetto XVI ed Henry Kissinger è avvenuto a fine settembre, a Castel Gandolfo

Kissinger ha avuto un rapporto spesso complicato con la politica italiana, e in particolare con il leader democristiano Aldo Moro. L’ex segretario di Stato non apprezzava il suo modo di comunicare, che giudicava poco diretto, e dopo un incontro si lamentò perché Moro si era addormentato. In realtà fra i due c’erano profonde divergenze politiche. All’inzio degli anni Settanta il leader democristiano stava considerando l’ipotesi di includere il Partito comunista nel governo, ma questa idea era stata giudicata in maniera negativa a Washington. Durante un vertice a due, proprio Kissinger aveva cercato di dissuaderlo dal progetto, dicendo che lo considerava molto pericoloso e strategicamente sbagliato. In seguito Moro avrebbe raccontato di essersi sentito minacciato nei colloqui con gli interlocutori americani.

(da "la stampa" del 4 novembre 2006)
ratzi.lella
00sabato 4 novembre 2006 20:02
l'ecclesialese e il linguaggio di ratzinger...
una bella differenza [SM=g27811]

POVERTÀ CULTURALE DELL’ECCLESIALESE

Il linguaggio del cardinale Tettamanzi non attinge la realtà e chiama l’applauso facile della cultura sociologica
di Maurizio Crippa

Registriamo una più diffusa ed esplicita consapevolezza della ‘distanza’ (nel senso di estraneità o/e di antitesi) che nel nostro contesto socio-culturale e insieme ecclesiale esiste tra la fede cristiana e la mentalità moderna e contemporanea”. Registriamola pure questa “distanza”, per carità.
Non si vuole certo far torto al cardinale che sta “declinando il riferimento alla comunione ecclesiale in termini di universalità”, nonché “l’accresciuta ricchezza ecclesiale nella modificata situazione sociale-
culturale-ecclesiale”.

Verona, 16 ottobre 2006.

Apertura del Convegno ecclesiale nazionale, i decennali stati generali della chiesa italiana. E’ il cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi che parla. L’arcivescovo della più grande arcidiocesi europea e segretario del Comitato preparatore del Convegno, come vent’anni prima lo era stato il suo predecessore sulla cattedra di Ambrogio, Carlo Maria Martini, al Convegno di Loreto. Sua eminenza Dionigi Tettamanzi parla. Parla del “compito di elaborare – con un’interpretazione che sappia intrecciare fede e ragione, teoria e prassi, spiritualità e pastoralità, identità e dialogo – una rinnovata figura antropologica sotto il segno della speranza”.
Registrare per registrare, nella platea dei convegnisti si registra qualche sbadiglio, qualche insofferenza. Ma minoritaria. La gran parte dei duemilasettecento delegati appare in sostanziale sintonia con quel linguaggio, col suo modo un po’ circonvoluto, un po’ socio-burocratico di porgere i concetti.
E lo si vedrà nei giorni seguenti, nel tono generale del lavoro dei “gruppi”, dove la comunione ecclesiale è innanzitutto comunanza gergale, un modo di parlare, di definire temi e problemi. E non è solo il cardinale Tettamanzi. E’ il tono caldo e alto della Relazione di Paola Bignardi, campionessa del laicato cattolico ex Azione cattolica, è il tono dei religiosi che si alternano nelle “riflessioni” ai microfoni del salone. Registrare per registrare, il resto della laica società italiana, e qualche pezzo di chiesa, registrano invece una diffusa sensazione di estraneità, di sordità a quelle parole. Tettamanzi ammonisce: “Siamo consapevoli che l’essere oggi ‘testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo’ domanda una comunione missionaria tra le diverse categorie di fedeli più compattata e dinamica”.
Che cosa segna la differenza – perché la segna, bisogna avere orecchio e non è necessario aver studiato teologia, ma la segna eccome – tra questa frase e la frase dal contenuto semantico pressoché identico, che Benedetto XVI ha pronunciato sempre a Verona, durante l’omelia della Messa al Bentegodi: “Occorre tornare ad annunciare con vigore e gioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del Cristianesimo”?Essere testimoni di Gesù Risorto “domanda una comunione missionaria tra le diverse categorie di fedeli”, oppure occorre “annunciare l’evento della morte e risurrezione di Cristo”? Che differenza c’è tra questi due linguaggi? Cosa fa sì che l’uomo comune – il famoso “lontano” ma anche magari il semplice battezzato che va a Messa – di fronte a un certo tono ecclesiale faccia fatica, come sbattendo contro un muro, per quanto imbottito, come trovasse un che di respingente, ultimamente di incomprensibile? Registriamo anche questo. E proviamo a declinare il come e il perché. Dionigi Tettamanzi è un teologo moralista, professore di seminario e prolifico estensore di testi sulla morale familiare (un “Dizionario di bioetica”, tra gli altri), nonché affidabile goshtwriter dei documenti bioetici firmati da Giovanni Paolo II. Non proprio un temibile progressista, insomma.
Ma come un vino ben invecchiato e decantato, gli intenditori annusano in un bicchiere di buon Tettamanzi un complesso sedimento di sentori e retrogusti. Più fresco e recente, subito al naso e un po’ superficiale, c’è una fragranza di Sant’Egidio. L’amore tra il cardinale di Milano e la comunità trasteverina è cosa di questi ultimi anni. In lui i sant’egidini hanno trovato una nuova ala protettrice e un candidato spendibile (prima al Soglio, poi come erede di Ruini) per quanto alla prova dei fatti perdente; in loro il cardinale ha trovato i suggeritori adatti per offrirgli quella proiezione sui temi sociali e internazionali che gli mancava. Quando pronuncia frasi del tipo “una nuova visione e realizzazione della mondialità e della grande questione della giustizia e della pace”; quando dice che le altre religioni non “hanno nulla da temere” dal cristianesimo, sono le bollicine di Trastevere che salgono su a pizzicare il naso. Bisogna anche dire che da tempo Sant’Egidio ha allargato i propri orizzonti, sta stretta nella casella multiculturalista, e il suo leader Andrea Riccardi è giunto a riconoscere l’interesse di certune posizioni laiche in riferimento al cristianesimo. Ma il briefing non dev’essere ancora giunto all’arcivescovado di Milano.
Sant’Egidio è l’essenza odorosa del cardinale. Ma sul palato, per prima cosa, senti sempre un dolce sapore giovanneo, una memoria lontana e padana del buon curato di campagna. Non è neppure questo,però, che fa la struttura. La stoffa la fa il tecnico della morale, abituato a guardare le cose solo dal punto di vista dell’etica, della conseguenza. Raramente da quello della loro essenza. Il doverismo del “dobbiamo sforzarci”, del “possiamo e dobbiamo riconoscere”, dello “stile virtuoso della speranza”.Il tutto immerso e stemperato in quel gergo curiale, da apparatnik ecclesiale (non è un atteggiamento solo suo) che è l’aspetto più evidente a occhio nudo, anche ai più inesperti, come il colore rosso del vino:
“Connotata dalla tensione escatologica, la comunione ecclesiale può ritrovare l’umiltà e la conversione di fronte alle sue diverse forme di lacerazione”. Ecclesialese, si dice pure: il linguaggio della chiesa che parla (solo) a se stessa. Roberto Beretta, giornalista di Avvenire, qualche anno fa ha scritto “Il piccolo ecclesialese illustrato” (ed. Ancora), un gioiellino di pungente ironia che, nella forma del dizionario,
smaschera i luoghi comuni e le finzioni prive di contenuto di una koiné, un linguaggio, che s’è impadronito della comunicazione della chiesa. “Nel trentennio in cui la comunicazione ecclesiastica ha abbandonato i suoi canoni secolari per cercare di farsi comprendere meglio dalle persone comuni, sembra che la gente non la capisca più”. Per pigrizia, per pavidità o addirittura per non avere niente da dire, spiega Beretta, che ha appena rincarato la dose con un altro libro puntuto, “Da che pulpito”, in cui si fanno le bucce all’omiletica contemporanea: “Soprattutto c’è un’incapacità di dire, aggravata dal fatto che la chiesa parla troppo, si fanno troppi discorsi e alla fine è quasi normale che prevalga la ripetitività, il formulario che dice poco ma dà l’impressione di aver sondato la massima profondità (anzi adesso si dice ‘altezza’) teologica possibile”.
Fin qui un po’ d’irriverenza. Ma la sempiterna battuta morettiana, “chi parla male, pensa male e vive male”, forse va bene anche per l’ecclesialese, dove “la laurea in sociologia non è necessaria, ma aiuta”. Nel cattolicesimo c’è un difetto di comunicazione, frutto di automatismo, ma non solo. Soprattutto, sentenzia Beretta, “uno comunica se ha qualcosa da dire”. Giudizio a suo modo definitivo. Così è per Benedetto XVI, che le parole per dire ciò che vuole le trova, sia quando traccia millimetrici solchi dottrinali a difesa della Verità, sia quando a Verona aggira tutte le trappole sociologiche e parla piano e cristallino: “Il cristianesimo è infatti aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza”.
Oppure quando il 6 ottobre scorso, e parlava proprio alla Commissione teologica internazionale, si è trovato a esordire: “Non ho preparato una vera omelia, solo qualche spunto per fare la meditazione”. Per poi cavare la splendida invenzione linguistica: “L’obbedienza alla verità dovrebbe ‘castificare’ la nostra anima”, per spiegare che “parlare per trovare applausi, parlare orientandosi a quanto gli uomini vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle opinioni comuni, è considerato come una specie di prostituzione della parola e dell’anima”.
Viceversa, nell’ecclesialese spesso prevale – definizione da dizionario – “la riluttanza alla fatica di spiegare (anzitutto a se stessi) le ragioni del credere”. Da dove nasce dunque non diremo l’afasia – per parlare, si parla – ma l’afonia della chiesa? O almeno di quella che sempre vuole ripartire “dallo spirito del Concilio” e che a Verona si è specchiata di più nel morbido cardinale di Milano che in certe ruvidezze programmatiche del presidente della Cei Camillo Ruini? Il compianto giornalista Giovanni Fallani – che tra le altre cose fu il primo direttore del Sir, l’agenzia di stampa dei vescovi – iniziò a raccogliere appunti sull’ecclesialese quando, seguendo i lavori del Concilio, per la prima volta sentì parlare di “piano pastorale”. Ne trasse una mirabile vignetta, che ora fa da copertina al “dizionario” di Beretta. Soprattutto, si mise ad appuntare sul taccuino tutta una serie di termini e locuzioni in codice che risultavano incomprensibili a lui (figurarsi ai suoi potenziali lettori) ma su cui i Padri sinodali sembravano intendersi come un sol uomo. Il dubbio che il Concilio Vaticano II sia stato, in qualche modo, anche un prodotto linguistico degli anni Sessanta, è dubbio sommamente irriverente. Ma riaffiora come un sentore asprigno ogni volta che di quell’assise universale si parla nei termini di “difficoltà di un cristianesimo sempre più chiuso in se stesso, lontano dai bisogni e dall’evoluzione della società”, come ancora lunedì ha fatto il professor Giuseppe Alberigo, il Paolo Sarpi del Vaticano II, ricordando il decennale della morte di don Giuseppe Dossetti, “il partigiano del Concilio”, come lo definì il cardinale Léon Joseph Suenens. Del resto, se ci fu un punto su cui i Padri sinodali si spaccarono la testa, ma nella sostanza si trovarono d’accordo, fu che “rivolgersi al mondo profano comporta l’adozione del linguaggio profano, fuori del gergo”. (“Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II”). Eppure, mai come negli ultimi decenni è brillato nella chiesa il primato della Parola. Assaporando gli aromi più riposti del bouquet di Tettamanzi, se ne trova uno che è un lascito diretto del cardinale Martini, suo predecessore per oltre vent’anni a Milano. Gesuita studioso e ottimo biblista, Martini ha tracciato un solco profondo fatto di “Scuole della Parola” e “lectio divina”, in cui oggi continuano a peregrinare non solo il suo successore, ma anche la gran parte dei fedeli di tutte le diocesi: quelli che in Martini hanno trovato per lungo tempo una sorta di antidoto riflessivo all’irruenza
kerygmatica di Giovanni Paolo II. Il professor Pietro De Marco, docente alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, prova a scavare più al fondo: “Nel linguaggio della chiesa cattolica c’è stata una lunga penetrazione del linguaggio teologico protestante, non imputabile tanto o solo al Concilio, poi ricaduta a cascata anche sul linguaggio della pastorale e nell’uso comune dei sacerdoti”. E’ come se, a un certo punto, i cattolici avessero trovato maggiore rispondenza in quello stile caldo, moraleggiante e spirituale che è tipico del protestantesimo, non fosse altro perché lì tutto è centrato sulla Parola “letta, pregata, cantata, spiegata”, come scrive il teologo valdese Ermanno Genre. Spiega De Marco: “E’ uno stile, per esempio, molto aggettivato, per il quale la chiamata di Dio è sempre ‘la chiamata forte’ di Dio, l’impegno è sempre ‘fiducioso’, la speranza sempre ‘indomita’. E poi zeppo di avverbi, di esortazioni. Molto lontano dal linguaggio cattolico tradizionale, assai meno portato a ‘scaldare i cuori’, sempre più vicino al dogma e all’istituzione che alla morale”. D’altra parte, riflette De Marco, “il Concilio ha avuto come perno l’idea di una teologia non dogmaticistica, che potesse essere resa comprensibile al mondo attraverso un linguaggio non teoretico”.
Il linguaggio medio della chiesa italiana, quello maggiormente udito a Verona, è frutto di questa lunga deriva. Anche se pochi lo ammettono apertamente, sono in molti oggi a ricordare che persino nei seminari per lungo tempo è stato più naturale leggere i testi del teologo calvinista Karl Barth o di Rudolf Bultmann, il “teologo della demitizzazione”, le cui parole ricascavano poi inevitabilmente nella costruzione dei piani pastorali e persino nella catechesi delle parrocchie.
Con la non banale differenza che la parola di un teologo luterano come Dietrich Bonhoeffer aveva un’altra forza e un’altra sostanza: “Non dobbiamo pensare a un cristianesimo che si giustifica davanti al tempo presente, ma a una giustificazione del tempo presente di fronte al messaggio cristiano…
Dove il presente si trova davanti alle pretese di Cristo, là è il presente”. Parole dette negli anni Trenta, che oggi sarebbero giudicate assai poco dialoganti e che probabilmente non avrebbero incontrato
l’applauso di un buon numero di delegati veronesi della chiesa del terzo millennio.
E’ un problema di forma e perciò di contenuto.
Quanta differenza passa tra dire che “certo, nessuno di noi può minimamente negare o attenuare l’esistenza dei tantissimi mali, drammi, pericoli crescenti e talvolta inediti dell’attuale momento storico”, e dire invece come Papa Ratzinger: “Nella nostra epoca, nonostante tutti i progressi compiuti, il male non è affatto vinto; anzi, il suo potere sembra rafforzarsi e vengono presto smascherati tutti i tentativi di nasconderlo”? Da una parte un cristianesimo che esprime senza timore ciò che è, senza porsi il problema preventivo di venire a patti col mondo. Dall’altra, per dirla con Sandro Magister, “una chiesa mite e amichevole con la modernità, silenziosamente mescolata alle forze del progresso, invisibile come ‘lievito nella pasta’, concentrata sullo spirituale e sul primato della coscienza individuale”. E’ la famosa “kenosis”, “lo svuotamento” – parola che sta superando nella moda ecclesialese persino la “parresìa”, il dovere di parlare chiaro – tanto cara al priore di Bose, Enzo Bianchi, profeta di una “chiesa che ascolti prima di parlare”.
La differenza sta nell’ontologia. In una certa tendenza di lungo corso da parte della chiesa – di parte della sua gerarchia – a lasciare tra parentesi le questioni ontologiche, guarda caso quelle legate alla ragione: dalla riflessione sul cosmo, tema appassionatamente ratzingeriano, al fatto che “la risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli Apostoli sono stati testimoni e non certo creatori”, come ha detto il Papa a Verona, tagliando corto con le interpretazioni. Al contrario, teologi e catechisti si sono arroccati nella difesa dell’etica, nel richiamo spesso stucchevole, quasi mai efficace, non alla fede ma al dover essere della fede. Il risultato per la chiesa è molto spesso di avvilupparsi in un metalinguaggio – come direbbero i semiologi degli anni Sessanta – che non parla più della realtà (di quel che accade e interessa agli uomini), ma diventa un discorso che fa riferimento ad altri discorsi teologici (nel caso migliore, una riflessione sulle Scritture). Da una parte assumendo a ideale le categorie del politicamente corretto: “Proprio nella chiesa, in una maniera nuova e rinnovatrice, può e deve realizzarsi la comunione più variegata e talvolta più difficile: è, per esemplificare, la comunione tra uomini e donne, giovani e adulti, ricchi e poveri, studenti e maestri, sani e malati, potenti e deboli, vicini e lontani, cittadini del paese e cittadini del mondo”. Così che, parrocchia che vai, ci si ritrova sempre a discutere di “accoglienza” e di “ascolto”, di “dialogo” e “oblazione”. Di come meglio “riconoscere il volto dell’altro”, che fa sempre molto Lévinas. Dall’altra parte, rispolverando un afflato ottimista che si appoggia, più che sul Concilio, sulla conciliabilità della fede. Un ritorno allo spirito “volutamente ottimista” del Vaticano II, ha detto Tettamanzi, che “invece di deprimenti diagnosi” seminava “incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia”. Per il professor De Marco, in fondo il vero problema non sta in che cosa questo linguaggio possa dire: nessuno ci troverà qualcosa di sbagliato, di men che fedele all’ortodossia. Il vero problema “è che cosa sia impossibilitato a dire. A furia di ottimismo, di accoglienza della diversità, di ‘cammini comuni di conversione’ non si è più in grado di esprimere un contrasto, di dire che una cosa è contraria alla fede o alla chiesa come istituzione. Ancor più, non puoi parlare della realtà: vediamo benissimo come sia difficile, per i credenti, impostare un dibattito su questioni di interesse pubblico, ad esempio i temi bioetici, basandosi sulla ragione, anziché su un loro risvolto etico”. Un giorno un superlaico come Enrico Ghezzi ebbe a dire di Giovanni Testori che “il suo supremo coraggio” era stato quello “di usare la parola peccato senza che a nessuno venisse la voglia di ridere”. Testori, al contrario, diceva che quando aveva scritto per il Corriere della Sera i suoi articoli più urticanti sulla condizione della fede nel mondo moderno, “nessun vescovo, nessun cardinale, nessun uomo politico della Democrazia cristiana mi ha contattato”.
Linguaggi, che alla fine mettono in campo concezioni della chiesa assai diverse. Nel suo elogio di Dossetti, pubblicato su Repubblica lunedì, il professor Alberigo spiega come alla base delle posizioni dossettiane, la punta avanzata del progressismo conciliare, sta “la necessità che la chiesa scelga la ‘povertà culturale’, cioè la rinuncia al potere fondato su illuministiche certezze dottrinali”. Dove il richiamo all’illuminismo e alle certezze razionali della fede non appare per nulla casuale, ma pertinente e centrale nell’attualità del richiamo del Papa all’incontro “tra fede e ragione,
tra autentico illuminismo e religione” del discorso di Ratisbona. Nonché ai tanti laici che in varia misura si sentono colpiti, perlomeno interessati, dalle parole del Papa professore. Fosse anche solo perché capiscono quello che dice.

Il presule milanese a Verona
“registra”, “declina”, “intreccia”,
parla del “compito di elaborare”,
si rivolge a “categorie di fedeli”
Chi si rifà a Dossetti vuole una
chiesa senza “illuministiche certezze
dottrinali”, chi ascolta Ratzinger
sente parlare di “vero illuminismo”
In lui parla il teologo morale
che guarda le cose dal punto di
vista della conseguenza più che
da quello dell’essenza
Mai come negli ultimi decenni
nella chiesa è brillato il primato
della Parola (Martini docet) ma
il risultato è una sorta di afonia




Con Benedetto si riascoltano Dottori e Padri

Roma. Papa Ratzinger amministra il suo magistero in nome della fede, ma anche con attenzione al mondo, all’uomo, in tutte le sue forme ed espressioni culturali, storiche, filosofiche, etiche, morali. Il sostrato culturale e teologico di Ratzinger interpella e provoca tutti. Ratzinger agisce da Papa, pastoralmente e profeticamente, ma enuncia anche con chiarezza il suo pensiero. Un linguaggio teologico per certi versi sorprendentemente inedito sul piano dello stile omiletico. Cosa c’è di nuovo nelle parole e nella sintassi di Benedetto XVI?
Facciamo un tentativo di ermeneutica del linguaggio di Benedetto XVI con il professore Gaspare Mura, ermeneuta e filosofo delle religioni alla Pontificia Università Lateranense e all’Urbaniana di Roma.
“Se si dovesse fare un’analisi linguistica del linguaggio proprio del magistero di Benedetto XVI – ci dice Mura – si dovrebbe affermare che esso è il tipo di linguaggio che è appartenuto a tutta la grande tradizione della chiesa. E’ il linguaggio in particolare dei Padri e dei Dottori. Come i Dottori, esprime con chiarezza concettuale i contenuti della Rivelazione e della tradizione; e come i Padri va direttamente al cuore del problema, senza giri di parole, ed evitando accuratamente quell’uso retorico del linguaggio e della parola, al quale si rifà molta cultura contemporanea, il quale occulta piuttosto che svelare la verità. Se volessimo fare una battuta, potremmo dire che è un linguaggio diametralmente opposto al talkshow. Ed è forse per questo che alcuni non riescono a capirlo. Benedetto XVI si pone
nella prospettiva di quella che possiamo legittimamente denominare ‘filosofia classica’, e che ritroviamo in quella disciplina che, in ambiente cristiano, è stata chiamata ‘filosofia perenne’, secondo cui la ragione, il logos, è destinato a spiegare la totalità del reale.
A differenza delle scienze, la filosofia intende infatti conoscere in modo razionale le cause e i principi non di questa o di quella realtà, ma di tutta la realtà; e questo perché il suo scopo, ‘libero e divino’ (Aristotele), si risolve in una ‘totale contemplazione della verità’; da cui consegue l’importanza per l’uomo di esercitare la ragione in ordine alla conoscenza della verità, perché è da questa conoscenza che deriva la retta valutazione dell’agire morale. Per Benedetto XVI la nozione di ‘verità’, intesa in questo senso metafisico dal pensiero greco e da tutta la grande tradizione cristiana, possiede un certo carattere di ‘assolutezza’, nel senso che le verità metafisiche nascono nella storia della filosofia, ma raggiungono una penetrazione nella stessa verità che non è di carattere solamente storico ma è per principio di carattere metastorico e metafisico, e quindi non dipendente dalla contingenza. Certamente l’assoluto è un carattere che soprattutto la filosofia cristiana, da Agostino a Tommaso a Nicolò Cusano, ha attribuito solamente all’Essere che è ‘absolutus’, ossia sciolto, svincolato da qualsiasi carattere contingente e materiale, e quindi, a Dio come l’Essere che trascende tutto ciò che è. E tuttavia, dal momento che l’uomo è capace, a motivo del suo intelletto, di penetrare nella verità dell’essere, le verità metafisiche che egli consegue non sono più semplicemente verità o principi contingenti e storici, perché partecipano in qualche
modo di quella assolutezza della verità che è il termine ultimo della ricerca filosofica.
E questa è la relazione tra il logos dell’uomo e il Logos di Dio ricordata da Benedetto XVI. La verità – e questo concetto vale ininterrottamente per la filosofia cristiana da Agostino a Tommaso a Bonaventura a Rosmini a Maritain – viene rapportata direttamente alla verità dell’essere, intesa come
la partecipazione creaturale della stessa verità di Dio: l’intelletto divino – dice Tommaso – è misura delle cose: poiché ciascuna di esse… in tanto è vera in quanto imita l’intelletto divino”.

(Alberto Di Giglio)

(da “il foglio” del 1° novembre 2006)
emma3
00domenica 5 novembre 2006 14:19
Inedito Martini «Islam incapace di autocritica»

di caterina maniaci

Si intitola «Il discorso della montagna» ed è l'ultima fatica saggistica del cardinale Carlo Maria Martini, in cui si raccolgono i testi degli ultimi esercizi spirituali del famoso cardinale ex arcivescovo di Milano. La novità non è certo nel libro appena uscito in libreria (edizioni Mondadori), ma in una particolarità che si scopre spulciando le dotte pagine. Ossia che Martini se la prende - e non in modo blando - con l'islam, accusato di non essere capace di "fare autocritica". Sì, proprio lui, il cardinal progressista-buonista per eccellenza, almeno secondo i luoghi comuni che piacciono tanto ai fan ad oltranza di Martini. In particolare, come segnala anche il sito www.chiesa.it di Sandro Magister, bisogna leggere alcune eloquenti righe. Parlando degli errori o meglio «incrostazioni di tradizioni umane» che hanno contaminato nei secoli il cristianesimo e l'ebraismo e che vanno «coraggiosamente riviste», l'ex arcivescovo di Milano sottolinea come questo processo di "revisione", di de-contaminazione deve essere innescato anche dalle «altre religioni, che non possono considerarsi intoccabili, da accettare o rifiutare così come sono. Anche i religiosi musulmani, induisti, buddhisti sono chiamati a fare autocritica». Anche perché se è vero, come è senz'altro vero, che il cristianesimo ha già imboccato da secoli la via della critica storico-letteraria, l'islam, ad esempio, «non ha mai sottoposto a esame criticoletterario i testi del Corano». Quindi il cardinale sottolinea con forza: «Il cristianesimo è l'unica religione che ha avuto tale coraggio». E qui arriva il sostegno dichiarato al concetto di reciprocità tanto sostenuto, anche negli ultimi tempi, da papa Benedetto XVI: «Se abbiamo questo coraggio [cioè se i cristiani e gli ebrei hanno il coraggio di fare autocritica, n.d.r.], dobbiamo chiederlo anche per gli altri». Parole chiare, ragionamenti sacrosanti, ma abbastanza inconsueti se accostati a Martini, che, volente o nolente, è stato sempre rappresentato appunto come il "campione" dell'ala più progressista della Chiesa. È stato a lungo contrapposto, come candidato al soglio pontificio, allo stesso Joseph Ratzinger, che invece è stato "classificato" come campione dell'ala conservatrice. Infatti, nelle varie ricostruzioni dell'ultimo conclave, con dietrologie attendibili o meno, si è voluto vedere nel cardinal Martini l'antagonista e insieme il deus ex machina dell'elezione di Ratzinger. Prima raccogliendo voti a lui alternativi e poi cedendogli il passo, per opporsi ad una elezione ancora più temibile, secondo la linea dei "martiniani", ossia quella di un candidato proposto dall'Opus Dei. Non è detto che si possa parlare di "allineamento" sulle posizioni ratzingeriane, però il discorso sull'islam prima citato fa riflettere, considerando invece il rumore che ha sollevato, qualche mese fa, la lunga intervista rilasciata da Martini all' "Espresso" sui delicati temi bioetici, in cui si è discostato, per alcune questioni, dalle posizioni ufficiali della Chiesa. Suscitando così varie reazioni risentite, tra le quali la più "forte" è stata quella del cardinale Alfonso López Trujillo, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia.

libero 05 novembre 2006
josie '86
00domenica 5 novembre 2006 19:47
Da TGCOM

"Pregate per il Papa in Turchia"
Bertone: viaggio in momento delicato




''Vi invito a pregare per il viaggio del Papa in Turchia, in un momento particolare e delicato, verso il patriarca di Costantinopoli". E' l'invito rivolto dal segretario di Stato vaticano, card. Tarcisio Bertone, da Pienza, dove si è recato per celebrare il sesto centenario della nascita di Pio II. "Tutti i santi e la Madonna -ha detto Bertone- facciano sì che i vincoli di unione fra Oriente e Occidente siano sempre piu' stretti e fecondi''

Intanto Benedetto XVI, durante il tradizionale Angelus domenicale, ha lanciato un appello per la ''ripresa immediata'' del negoziato in Medio oriente dopo che a Gaza si sono registrati ormai 50 morti. "''Seguo con viva preoccupazione - dice - le notizie sul grave deteriorarsi della situazione relativa alla Striscia di Gaza e desidero esprimere la mia vicinanza alle popolazioni civili che soffrono le conseguenze degli atti di violenza''. ''Vi chiedo di unirvi alla mia preghiera - ha aggiunto il Santo Padre- perche' Dio onnipotente e misericordioso illumini le Autorita' israeliane e palestinesi, come pure quelle delle Nazioni che hanno una particolare responsabilita' nella Regione, affinche' si adoperino per far cessare lo spargimento di sangue, moltiplicare le iniziative di soccorso umanitario e favorire la ripresa immediata di un negoziato diretto, serio e concreto".



[E noi continueremo a pregare per il Santo Padre, Bertone! [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] ]
ratzi.lella
00martedì 7 novembre 2006 16:43
l'intuizione profetica del cardinale ratzinger...
Il futuro della Chiesa secondo il cardinale Ratzinger
di Mariacristina Nasi - 7 novembre 2006

Nel suo libro Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald (edizioni San Paolo, 2001), l'allora cardinale Ratzinger si interrogava sul futuro della Chiesa.
Essa, a suo parere, «si ridurrà di dimensioni» e dovrà «ricominciare da capo», ma trarrà «grande forza dal processo di semplificazione che ha attraversato» e ritroverà la capacità di «guardare dentro di sé». In un mondo «rigorosamente pianificato», gli individui «riscopriranno la piccola comunità dei credenti come qualcosa di completamente nuovo. Come una speranza che li riguarda, come una risposta che hanno sempre segretamente cercato». I dati sulla diminuita percentuale di cristiani battezzati in Europa rivelano che, in alcune aree culturali, si riduce «la possibilità di identificazione tra popolo e Chiesa». Il cardinal Ratzinger, tuttavia, fa notare come, pur se «qualcosa di molto bello», la Chiesa di massa non sia «necessariamente l'unica modalità di essere della Chiesa». Basti pensare alla Chiesa dei primi tre secoli: piccola, «senza per questo essere una comunità settaria», chiusa in se stessa; al contrario, «sentiva di avere una responsabilità nei confronti dei poveri, dei malati, di tutti».

Inoltre, l'attuale pontefice ricorda che, come le comunità ebraiche avevano dato vita ad un gruppo di «simpatizzanti», i timorati di Dio, che si erano accostati alla fede e «ne testimoniavano la grande apertura all'esterno», così, nella Chiesa antica, attraverso il catecumenato, chi ancora non si sentiva pronto per «un'identificazione totale con la Chiesa», poteva nondimeno avvicinarsi ad essa. Questa apertura alla comunità è «componente ineliminabile nella Chiesa», che non è un club. Oggi come ieri, afferma il cardinal Ratzinger, è necessario scoprire «nuove forme di apertura all'esterno, nuove modalità di coinvolgimento parziale di coloro che sono al di fuori della comunità dei credenti». Secondo l'attuale pontefice, infatti, la partecipazione, anche sporadica, alla vita della Chiesa è «una forma di avvicinamento alla benedizione del sacro, alla sua luce». Perciò si devono individuare modalità differenti di coinvolgimento e partecipazione, che permettano alla Chiesa di «aprirsi interiormente a coloro che stanno ai margini delle sue comunità».

Interpellato se la Chiesa possa rinunciare ad essere universale, accessibile a tutti, il cardinal Ratzinger risponde che essa deve «rimanere aperta», e non ridursi ad «un gruppo chiuso, autosufficiente». I cristiani devono, pertanto, divenire missionari «nel senso di riproporre alla società quei valori che dovrebbero informare di sé la sua coscienza», e che sono «alla base della possibilità di costituire una comunità sociale davvero umana».
In alcuni Paesi la Chiesa continuerà ad essere «di massa», in altri la diventerà, in altri ancora non lo sarà più; ciò che conta, però, è che continui ad annunciare i grandi valori umani universali «quali stelle polari nel processo di costruzione di un corpo sociale umano». Poiché, sostiene l'attuale pontefice, «se il diritto non ha più fondamenta morali condivise, decade anche in quanto diritto».

In tal senso la Chiesa acquista realmente una responsabilità universale e missionaria, che si traduce in impegno per una «nuova evangelizzazione». Proprio perché non può «accettare tranquillamente che il resto dell'umanità precipiti nel paganesimo di ritorno», essa deve «ricorrere a tutta la sua creatività per far sì che non si spenga la forza viva del Vangelo». Allora il messaggio di Cristo, propagato da testimoni fedeli, sarà davvero lievito, capace di far fermentare tutta la massa (Mt 13,33), a ribadire «l'universalità della responsabilità».

(da "l'opinione.it").


l'allora cardinale ratzinger, in tempi non sospetti, e' riuscito a tratteggiare perfettamente la chiesa di oggi, quella che egli con capacita' encomiabile e sacrificio porta sulle spalle con l'aiuto dello spirito santo [SM=g27811]
josie '86
00mercoledì 8 novembre 2006 16:34
Da Zenit

Vaticano: il discorso del Papa ai Vescovi svizzeri non è mai stato pronunciato

Il testo diffuso dalla Sala Stampa era la bozza di un discorso per la “visita ad Limina” del 2005


CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 8 novembre 2006 (ZENIT.org).- La Santa Sede ha spiegato questo mercoledì che Benedetto XVI non ha pronunciato il discorso che è stato distribuito dalla Sala Stampa della Santa questo martedì in occasione del suo incontro con i Vescovi svizzeri.

Un comunicato spiega che il testo “rifletteva il contenuto di una bozza preparata precedentemente in relazione alla Visita ad Limina dei Vescovi Svizzeri svoltasi nel 2005”.

Il discorso non pronunciato lanciava un forte richiamo ai Vescovi, ai sacerdoti e ai cattolici svizzeri a seguire con fedeltà il Magistero della Chiesa di fronte all’avanzamento del relativismo e del secolarismo nel Paese.

Il testo era stato pubblicato anche nell’edizione serale de “L’Osservatore Romano” in lingua italiana. Una volta verificato l’errore, però, è stata bloccata la distribuzione del quotidiano. Quest’oggi infatti nelle edicole di Roma è stato impossibile comprare l’edizione dell’8 novembre.

Mercoledì, la Santa Sede ha distribuito l’omelia pronunciata "a braccio" da Benedetto XVI nel corso della Santa Messa di martedì celebrata insieme ai Vescovi svizzeri e il discorso introduttivo che il Santo Padre ha rivolto, sempre "a braccio", in tedesco, ai Vescovi della Svizzera nella prima riunione del loro incontro.
josie '86
00mercoledì 8 novembre 2006 16:37
Da Radio Vaticana
Il Papa ai giovani del meeting interreligioso di Assisi: la preghiera ha il potere di costruire la pace nel mondo

di Alessandro De Carolis


(8 novembre 2006 - RV) “Il nostro mondo ha bisogno urgentemente di pace”. E “l’incontro di Assisi mette in evidenza il potere della preghiera nella costruzione della pace”. Sono le parole con le quali, questa mattina, Benedetto XVI ha voluto dare importanza al primo incontro interreligioso giovanile terminato ieri nella cittadella francescana e organizzato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. Dopo aver riflettuto insieme per tre giorni sul valore della preghiera come “elemento decisivo” per una “pedagogia della pace”, i giovani hanno potuto salutare direttamente il Papa, che li ha incoraggiati a proseguire il cammino intrapreso sull’onda dello “spirito di Assisi”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
**********
Una stretta di mano e un sorriso prima di salire a bordo della giardinetta scoperta. Un “pezzetto” di ciò che in questi ultimi tre giorni è stato l’incontro di Assisi si è trasferito per qualche istante, stamattina, in Piazza San Pietro. Benedetto XVI si è intrattenuto con alcuni dei giovani protagonisti del meeting interreligioso, terminato ieri nel Sacro Convento della città francescana. Un buddhista, un musulmano, un ebreo, una giovane induista e un ragazzo sikh hanno salutato il Pontefice, che poco prima, durante l’udienza generale, aveva messo in risalto il valore dell’incontro appena concluso:

“GENUINE PRAYER TRANSFORMS HEARTS, OPENS US TO DIALOGUE…
La preghiera autentica trasforma i cuori, ci apre al dialogo, alla comprensione e alla riconciliazione, e abbatte i muri costruiti dalla violenza, dall'odio e dalla vendetta (…) Possiate tornare alle vostre comunità religiose come testimoni dello ‘spirito di Assisi’, veri messaggeri della pace che è un dono della grazia di Dio e segni viventi di speranza per il nostro mondo”.


Ieri pomeriggio, prima della partenza per Roma, l’ultimo atto del meeting era stato la lettura del Messaggio di pace “dei giovani ai giovani”. Un messaggio che è stato, insieme, un atto di fede e un’assunzione di responsabilità. “Continuiamo a lottare sulla strada della pace”, vi si legge, “guidati dai precetti delle nostre rispettive religioni”, ma “con una sola voce” che riecheggia lo “spirito di Assisi”. Ecco il commento a caldo raccolto subito dopo da mons. Anthony Felix Machado, sottosegretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e uno dei principali organizzatori del meeting:


R. – I giovani vogliono veramente condividere questa gioia, questa pace che hanno scoperto e sperimentato in questi 3-4 giorni. Non è che non sapessero queste cose, ma ne hanno avuto la conferma, sono stati incoraggiati. C’è solidarietà tra i giovani, per cui hanno scritto un messaggio non come un documento, come un fatto teologico. Sicuramente in esso vi è un fondamento solido, perchè questi giovani sono ben educati, ben radicati nella loro fede. Ma ciò che vogliono dire a tutti è: “Facciamo qualcosa per cambiare questo mondo. Noi siamo i primi ad impegnarci per cambiare questo mondo”.


D. – Una cosa che differenzia questi giovani da tanti altri giovani, che magari si spendono comunque per la pace, è che loro, così come disse 20 anni fa Giovanni Paolo II, hanno un contributo in più, quello della preghiera…

R. – Sì, molti sono convinti che Papa Giovanni Paolo II sia stato come un profeta, un ambasciatore, come hanno detto loro, ma lo è anche Benedetto XVI, che hanno citato nel loro messaggio. Quindi, per questo - prendendo anche spunto dal cardinale Etchegaray e dal cardinale Paul Poupard – i giovani vogliono sottolineare il ruolo della preghiera nel costruire la pace, perchè sono convinti che la pace venga da Dio, sia un dono di Dio.


Per essere testimoni credibili dello “spirito di Assisi” bisogna tuttavia aver fatto una scelta di fede coerente, capace poi di trasformarsi in disponibilità al dialogo. Lo testimonia al nostro microfono una giovane cattolica indiana, Olina Bankien:


R. – Se io non sono sicura di quello in cui credo, non posso dialogare. Io devo vivere prima di tutto quello in cui credo e solo dopo posso andare incontro agli altri e posso anche essere per loro un dono e ricevere da loro un dono.


D. – Tu hai esperienze dirette di amicizia, di conoscenza profonda, non superficiale, con giovani altre religioni?


R. – Sì, certamente, perché in India apparteniamo a tutte le religioni. In ufficio, i vicini di casa: sono semplicemente persone che credono in Dio, che siano cattolici, indù, musulmani. Vedo in loro persone profondamente toccate da Dio.

[Modificato da josie '86 08/11/2006 16.38]

josie '86
00mercoledì 8 novembre 2006 16:46
Dall'Agenzia Radicale

Voci oltre il Tevere / L'ape impollinatrice e J. Navarro VallsNews del 08-11-2006

Il quotidiano "Libero" in edicola oggi ha diffuso un articolo a dir poco veemente di Antonio Socci, direttore della scuola di giornalismo di Perugia e proveniente dalle file di Comunione e Liberazione, intitolato "Navarro-Valls ora canta nel coro di Repubblica".

L'articolo di Socci prende spunto dal fatto che l'ex direttore della sala stampa vaticana, alcuni giorni orsono, ha esordito, come editorialista su materie di informazione religiosa e vaticana, sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Socci rimprovera a J. Navarro Valls di essersi legato a un quotidiano sovente critico in passato verso papa Wojtyla e verso Benedetto XVI, per prendere le distanze da quei teologiconservatori o teocon che hanno la massima visibilità su "Il Foglio", una testata sulla quale scrivono in maniera dichiarata e in maniera coperta altri elementi legati al sodalizio di Comunione e Liberazione e che molti commentatori indicano come graditi all'attuale pontefice.

Socci riferisce la frase di un'intervista a J.N.Valls (ma è stata veramente pronunziata?) in riferimento alle polemiche massmediali dopo la lezione magistrale di BXVI a Ratisbona (Baviera), il 12 settembre 2006, sui rapporti tra razionalità, fede cattolica e tradizione musulmana. Secondo quella frase, nelle ore subito dopo Ratisbona, sul personal computer navarriano sarebbero apparse email di tale tenore: "se fossi rimasto - alla guida della sala stampa vaticana ndr - forse questo non sarebbe successo".

In tale contesto si riporta con molta delicatezza e con una punta di scetticismo un interrogativo che da diversi giorni circola in numerose università ecclesiastiche romane : "E' vero che il testo della lectio di Ratisbona, compresa la citazione col riferimento a Maometto descritto come artefice solo di eventi non positivi, e che ha irritato diversi esponenti musulmani anche moderati, era stato previamente letto in fase di elaborazione sia dal senatore di Forza Italia Marcello Pera, sia da un rettore ecclesiastico che, secondo diversi scenari, dovrebbe diventare tra non molto nuovo sostituto alla segreteria di stato vaticana?".


Maurizio Di Giacomo
Ratzigirl
00mercoledì 8 novembre 2006 18:59
Re: Dall'Agenzia Radicale

Scritto da: josie '86 08/11/2006 16.46

Voci oltre il Tevere / L'ape impollinatrice e J. Navarro VallsNews del 08-11-2006

Il quotidiano "Libero" in edicola oggi ha diffuso un articolo a dir poco veemente di Antonio Socci, direttore della scuola di giornalismo di Perugia e proveniente dalle file di Comunione e Liberazione, intitolato "Navarro-Valls ora canta nel coro di Repubblica".

L'articolo di Socci prende spunto dal fatto che l'ex direttore della sala stampa vaticana, alcuni giorni orsono, ha esordito, come editorialista su materie di informazione religiosa e vaticana, sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Socci rimprovera a J. Navarro Valls di essersi legato a un quotidiano sovente critico in passato verso papa Wojtyla e verso Benedetto XVI, per prendere le distanze da quei teologiconservatori o teocon che hanno la massima visibilità su "Il Foglio", una testata sulla quale scrivono in maniera dichiarata e in maniera coperta altri elementi legati al sodalizio di Comunione e Liberazione e che molti commentatori indicano come graditi all'attuale pontefice.

Socci riferisce la frase di un'intervista a J.N.Valls (ma è stata veramente pronunziata?) in riferimento alle polemiche massmediali dopo la lezione magistrale di BXVI a Ratisbona (Baviera), il 12 settembre 2006, sui rapporti tra razionalità, fede cattolica e tradizione musulmana. Secondo quella frase, nelle ore subito dopo Ratisbona, sul personal computer navarriano sarebbero apparse email di tale tenore: "se fossi rimasto - alla guida della sala stampa vaticana ndr - forse questo non sarebbe successo".

In tale contesto si riporta con molta delicatezza e con una punta di scetticismo un interrogativo che da diversi giorni circola in numerose università ecclesiastiche romane : "E' vero che il testo della lectio di Ratisbona, compresa la citazione col riferimento a Maometto descritto come artefice solo di eventi non positivi, e che ha irritato diversi esponenti musulmani anche moderati, era stato previamente letto in fase di elaborazione sia dal senatore di Forza Italia Marcello Pera, sia da un rettore ecclesiastico che, secondo diversi scenari, dovrebbe diventare tra non molto nuovo sostituto alla segreteria di stato vaticana?".


Maurizio Di Giacomo



Caro Navarro...
di se e di ma son piene le fosse...e comunque, quello che sarebbe potuto accadere se fosse rimasto al suo posto, non aiuta certamente a migliorare la situazione.
L'autocelebrazione di sè stessi andrebbe pertanto accompagnata anche da una certa autocritica...Ad esempio: forse avrebbe trovato una soluzione migliore a quella adottata, ma tutte le dichiarazioni riguardop il Santo Padre, edulcorate,fatte alla stampa negli anni precedenti dove le mettiamo? [SM=g27815] [SM=g27815] [SM=g27815] [SM=g27815] [SM=g27820]: [SM=g27820]: [SM=g27820]: [SM=g27820]: [SM=g27820]:
ratzi.lella
00giovedì 9 novembre 2006 20:36
una bella intervista...
BENEDETTO XVI: LETICIA SOBERON, 'SE LO ASCOLTI DAVVERO LO CAPISCI'

(ASCA) - Citta' del Vaticano, 9 nov - Da Papa Ratzinger i
cattolici si sentono trattati da adulti e sono invitati a
progredire verso una fede adulta che rende specialmente
sensibili ai bisogni della gente perche' si trasforma in
amore.

E' un'osservazione formulata da Leticia Soberon
Mainero, laurea in psicologia e prossimamente in
comunicazione sociale, coordinatrice generale della Rete
informatica della Chiesa in America Latina (RIIAL) operativa
presso il Pontificio Consiglio per la Comunicazione Sociale.

Dopo essere stata membro di questa rete, e dopo l'andata in
pensione di mons.Planas,da maggio ne ha la responsabilita'.
In Vaticano lavora da 11 anni. Le ossa professionali le ha
fatte al Celam quale segretaria esecutiva di un organismo di
animazione delle realta' produttive radio e televisive
dell'America Latina. Messicana, parla ben 5 lingue (oltre a
spagnolo e italiano, francese, inglese, catalano).
Con lei l'Asca parla di comunicazione nella Chiesa e del
rapporto non facile ne' scontato dei media con Benedetto XVI
in questo primo scorcio di pontificato. Per Leticia Soberon,
Papa Ratzinger si deve anzitutto ascoltare se lo si vuole
capire.

D - Qual e' la ricezione dei media in generale e dei media
cattolici in particolare nei confronti della Chiesa
cattolica postconciliare?


R - ''Esiste una grande varieta' che e' difficile riassumere
in poche battute. Occorre considerare ciascuna regione del
mondo senza discorsi generici. Ma per lo piu' si riscontra un
grande interesse di pubblico nei confronti della Chiesa. In
tante nazioni quando viene fuori una notizia di Chiesa la
gente la segue. Il taglio dei media su questo genere di
informazione e' influenzato dalla sensibilita' di partenza
dei media stessi. A volte puo' essere una prospettiva
ideologica che origina una informazione piu' parziale e
superficiale sulla Chiesa. A volte l'informazione e'
benevola. Altre volte si riscontra un'attenzione sollecita
specialmente alle occasioni di scandalo. Nei confronti della
Chiesa, sui media si trova un po' di tutto. Non esiste una
uniformita' dei media nell'informazione sulla Chiesa
cattolica, ma c'e' un interesse soprattutto nel pubblico.

I media percepiscono le attese della gente e quindi cercano
di rispondervi, naturalmente tendo fede al loro orientamento
di base. Occorre anche rilevare che le agenzie cattoliche
trovano un riscontro importante negli utenti e in parecchi
media''.

D - Le attuali strutture della Chiesa per la comunicazione
sono capaci di comunicare la realta' della Chiesa stessa?


R - ''La Chiesa e' molto grande. Penso che essa possa
contare su strutture molto efficienti e strutture meno
efficienti. La Chiesa ha impiegato un po' di tempo per
capire il messaggio del Concilio, percio' ha avuto nei
confronti dei media un atteggiamento variabile. All'inizio i
Pontefici hanno avuto un atteggiamento critico sull'uso
sbagliato e ideologico dei media, ma si deve riconoscere loro
di essere stati pionieri nell'uso dei media. Si pensi in un
tempo piu' lontano a Pio XI con la radio. Il Vaticano, in un
tempo piu' recente, e' stato uno dei primi a siglare gli
accordi per l'uso del satellite. Adesso ci sono delle
strutture lungimiranti. In generale le strutture diocesane e
le conferenze episcopali, hanno una diversa sensibilita' a
seconda dei posti, per appoggiare i media locali cattolici o
una presenza cattolica nei media. Da quello che si puo'
vedere dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni, diciamo
che nell'ambito della chiesa c'e' una crescente coscienza
verso la comunicazione. Ma e' un cammino che ha richiesto
molto tempo. L'attenzione alla comunicazione non e' una cosa
che emerge naturalmente dalla sensibilita' di tanti vescovi
che sicuramente hanno un'enorme difficolta' di altro tipo cui
far fronte e la questione mediatica rimane loro meno facile
da affrontare. Ci sono comunque delle iniziative stupende,
estese a livello mondiale, ci sono anche grandissime e
incredibilmente creative esperienze in diverse regioni. Il
coefficiente di comunicazione e' abbastanza; potrebbe essere
migliorato, si'''.

D - Dal suo osservatorio quale Chiesa emerge dai media nei
diversi continenti?


R - ''Non si puo' generalizzare, ma sicuramente non viene
fuori l'immagine che noi abbiamo della Chiesa, noi che ne
siamo dentro e la viviamo come mistero della presenza di Dio,
di unita' fra le persone e i popoli. Vediamo che e'
difficilmente comunicabile la realta' profonda della Chiesa e
sui media viene fuori il piu' delle volte solo l'annedotica
che riguarda la Chiesa, i suoi componenti o le sue
strutture.
Annedotica che diventa molto appetibile, specialmente se
scandalosa o attinente debolezze della Chiesa.

Io sono sinceramente convinta che qualunque persona che abbia
veramente voglia di capire, puo' trovare adesso nella Chiesa
le fonti per una conoscenza approfondita. Le persone che
invece, come in tanti altri argomenti della vita e della
societa', si accontentano solo di quello che puo' loro
giungere dai media piu' o meno autorizzati, allora avranno
una visione di Chiesa sicuramente piu' riduttiva. Si tratta
di una conoscenza a profondita' variabile ed e' difficile per
queste persone andare piu' in profondita' nel messaggio della
Chiesa. Occorre dire che, sotto questo profilo, i papi
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI portano un messaggio che va
oltre l'immediatezza dei media.
Le persone che li guardano e li ascoltano rimangono con una
immagine piu' completa della Chiesa. Nella Chiesa ci sono
tanti vescovi, tanti gruppi e tante realta' che sono anche
medianiche nel senso che riescono a riformulare il messaggio
mediatico in una forma piu' concreta.
In America Latina i Vescovi, incoraggiati da questo
Pontificio Consiglio, hanno costruito una realta' molto
vivace e utile, la Red Informatica de la Iglesia en America
Latina (RIIAL), nata vent'anni fa, prima di Internet, e che
adesso e' uno spazio comunicativo molto capillare al servizio
del Vangelo. Papa Giovanni Paolo II chiese di espanderlo
anche ad altri continenti e stiamo studiando di animare
qualcosa di simile in Africa''.

D - L'informazione sulla S. Sede non monopolizza
eccessivamente il parlare di Chiesa nei media?


R - ''Nei media internazionale e' probabile che sia cosi'.
Nelle realta' locali, no. Non devo essere io a dirlo, ma come
lei sa il Papa ha un ruolo completamente unico nella vita dei
cattolici. Per cui le parole, i viaggi, le azioni dei
pontefici, chiaramente attirano l'attenzione di tutti i
cattolici in generale. Ma ho visto che nei media locali, le
realta' operanti sul territorio hanno un'enorme importanza. E
percio' hanno molta importanza e si sviluppano piccoli media
locali come la radio. Accade in America Latina, in Africa e
in altre parti del mondo. I media cattolici dedicano molto
spazio alle realta' locali e questo da' una vivacita'
particolare, pur includendo questioni della S. Sede. I media
che hanno un respiro internazionale o nazionale, invece,
danno un'enorme spazio alle questioni della S. Sede e forse
dimenticano altre realta' ecclesiali che propongono questioni
di interesse per tutti''.

D - Dottoressa, lei si sente un'orfana di Giovanni Paolo
II?


R - ''No - risponde ridendo divertita -. Io ho amato
moltissimo papa Giovanni Paolo. Sono tra coloro che hanno
vissuto la maggioranza dei propri anni di vita sotto Giovanni
Paolo II, ho fatto persino uno studio sulle sue catechesi
dedicate alla teologia del corpo, ma posso dirle sinceramente
che questa misteriosa successione di benedetto non mi fa
sentire un'orfana.

Nella chiesa c'e' questo mistero nella presenza del
successore di Pietro che puo' essere senz'altro sempre
diversa. I pontefici sono diversi l'uno dall'altro. E' come
quando vedi un nonno, ma c'e' un altro nonno, e in un certo
senso l'uno non sostituisce l'altro.
Ho imparato a scoprire le enormi virtu' di papa Benedetto. Lo
dico sinceramente: non me l'aspettavo, perche' non lo
conoscevo, non avevo dati precedenti. Sto scoprendo un uomo
dalla capacita' enorme di dare senso, significato alle
cose.
Di trovare il significato antico delle cose, e offrirlo
rinnovato alla comune considerazione. Per me e' cosi' e lo
dico sinceramente: non mi sento orfana. Mi manca si' papa
Wojtyla, pero' non mi sento orfana''.

D - Anche lei e' stata tra coloro che nella Chiesa e fuori
della Chiesa hanno avuto paura all'annuncio dell'elezione
del cardinale Ratzinger?


R - ''Il timore nei confronti di cio' che e' sconosciuto
esiste sempre. E una figura come Giovanni Paolo II e'
difficilissima da dimenticare. Penso che sia normale fare
confronti e paragoni tra persone e situazioni. E' un po'
inevitabile. Ma che vuole che dica? Io sono tra quelle
persone che credono nello Spirito Santo da una parte e,
dall'altra, era evidente che una persona capace, senza
complessi, di essere se stesso dopo un enorme papa come
Giovanni Paolo, quasi non poteva essere altri che il
cardinale Ratzinger. Perche' lui sa con tutta tranquillita', la tranquillita' delle persone veramente mature, essere se stesso senza complessi. Senza dover fingere quello che non e', senza doversi sentire minimizzato dalla figura del predecessore che lui stesso capisce essere storica.
Alla morte di Papa Wojtyla, ho provato il dolore normale
della perdita, perche' ho sentito la sua morte una perdita
personale, come tanti: era un familiare che moriva.
Nonostante cio', quando dal conclave e' venuto fuori Papa
Ratzinger ho pensato: vediamo, io non so, non lo conosco. So
che e' chiamato ad affrontare un compito non soltanto non
facile, ma enorme. E con il vento contrario perche' erano in
molti a nutrire pregiudizi nei suoi confronti. Sui
pregiudizi preferisco non fare mai conto perche', fino a
prova contraria, sono sempre ingiusti. Ma occorre riconoscere
al papa Benedetto XVI che si e' trovato a iniziare davvero in
salita, con un compito difficilissimo anche sotto il profilo
mediatico''.

D - C'e' stata qualcosa che papa Benedetto ha detto o fatto
che lei non si attendeva e che l'ha colpita in modo
particolare?


R - ''Sì. A me ha colpito moltissimo l'omelia del papa
durante la Giornata Mondiale della Gioventu' a Colonia dove
ha spiegato l'Eucaristia. Con una potenza evocativa
straordinaria capace di andare oltre le parole semplicemente
intellettuali e appropriate per un tema cosi' difficile. Papa
Benedetto e' capace di estrarre il significato profondo delle
cose. Avevamo tutti un'immagine generale che lui fosse uno
studioso, un uomo di biblioteca, ma piuttosto assente dalla
vita pastorale. Invece l'ho scoperto come una persona che ti
fa capire, se lo ascolti, quello che c'e' dietro le cose che
conosciamo a memoria.
Nelle cose fondamentali evoca la
profondita'. Occorre riconoscere al papa Benedetto un enorme
pregio: e' un uomo deciso a elevare il livello della
coscienza dei cattolici sulla realta' della fede e delle sue
implicazioni nella vita. Si potrebbe in breve dire: Papa
Giovanni Paolo II emozionava perche' aveva un linguaggio
corporale di un'enorme comunicabilita' che ha attirato le
camere di ripresa di mezzo mondo; Papa Benedetto ti
interpella, ti confronta con te stesso, ti fa capire molto
piu' profondamente quello che hai dentro. E poi, non fa altro
che parlare d'amore. Questa e' un'altra cosa che sinceramente
mi ha colpito e sorpresa. Parla di amicizia con Cristo,
insiste in una vicinanza di cuore con Gesu'.
Roba che non ci si aspetta da uno che ha fama di essere un grande
intellettuale. Ho scoperto nel tempo in papa Benedetto
l'intellettuale che e' un uomo che ama e che ama la Chiesa. E
si vede questo suo amare. Ho studiato la teologia del
corpo.
Nei gesti di Giovanni Paolo c'erano un'espansione, una
liberta' legata alla sua storia. Benedetto XVI appare piu'
contenuto, di una umilta', di una vicinanza, di un calore
umano meno emotivo ma molto sincero, coinvolgente. In
definitiva a me ha colpito molto quest'uomo che e' un
intellettuale che parla d'amore''.

D - Che cosa allora, secondo lei, non funziona nella
comunicazione di Benedetto XVI verso l'esterno della Chiesa?
Perche' si nota questa sorta di resistenza a cogliere il suo
messaggio?


R - ''Non so se sia una questione di Papa Benedetto o
un'inerzia generale del pubblico abituato ancora alla figura
poliedrica di Giovanni Paolo. Abbiamo notato, infatti, che
c'e' moltissima gente che viene a sentire l'Angelus di
Benedetto XVI, tanta di piu' dei tempi di Giovanni Paolo II.
La gente viene ad ascoltare Benedetto. Allora non so se sia
il papa che non funziona. Certo e' cambiato lo stile,
l'atteggiamento e siamo noi comunicatori a dover portare
questo nuovo stile di messaggio alla gente. Forse sarebbe
piu' esatto parlare di una certa inerzia dei media, della
gente nella cui immaginazione il papa piu' fotografato della
storia, come e' stato Giovanni Paolo II, lascia senz'altro un
vuoto mediatico. Ma un pochino di saggezza suggerisce che noi
- parlo dei cattolici - che capiamo il mistero del servizio
petrino, dobbiamo adeguare il nostro modo di ascolto
rendendoci conto che Benedetto che non e' un emotivo da' una
diversa impronta alla comunicazione. E non e' per deprezzare
lo stile di Giovanni Paolo II. Ognuno e' se stesso. Non
bisogna paragonare Pio XII con Giovanni XXIII. Ciascun papa
ha i suoi pregi. E allora secondo me noi cattolici dobbiamo
maturare. Il pubblico in generale sinceramente mi pare che
sia onesto e mantenga anche una capacita' critica nei
confronti dei media. Non si accontenta delle frasi
estrapolate da tematiche importanti''.

D - Ma lei pensa che sia facile o difficile comunicare
Benedetto XVI?


R - ''Diciamo - risponde ancora Leticia Soberon nuovamente
divertita - che papa Benedetto ha un suo messaggio gia' per
se stesso comunicativo. Mi sono trovata diverse volte a
ragionare per rimuovere gli ostacoli alla comprensione del
messaggio. Perche' gli ostacoli non vengono da Benedetto XVI,
ma dall'idea che le persone si fanno di come dovrebbe o
vorrebbero che egli fosse, invece di guardare e ascoltare la
persona viva e reale che hanno davanti.
C'e' poi un discorso di fede che deve valere davvero per i
cattolici che ritengono che il Pastore della Chiesa e'
Cristo. Se lo Spirito Santo in un momento storico determinato
suscita un uomo che non e' piu' Giovanni Paolo II, devo
considerare che cosa mi sta dicendo lo Spirito Santo con la
scelta di questo uomo. In questo tempo lo Spirito Santo
attraverso la scelta di papa Benedetto mi sta dicendo: adesso
devi cominciare a sviluppare la dimensione piu' profonda di
quella consapevolezza di cio' che significa essere
cattolico.
Se Giovanni Paolo ha attratto molta gente per la sua
personalita', ora andiamo avanti e maturiamo questa fede.
Benedetto XVI offre davvero elementi enormi,anche nei piccoli
discorsi come quelli dell'Angelus, che aiutano in modo
straordinario a impostare con serenita' i momenti della
propria vita, anche i piu' dolorosi come puo' essere la
sofferenza e la morte stessa. Vorrei dire di essere seri, di
non accontentarci della superficialita' delle cose o
considerare solo gli aspetti esteriori e piu' appariscenti di
un pontefice considerandolo quasi una specie di richiamo
pubblicitario. Il papa non e' uno spot pubblicitario. Il
Pontefice non e' quello, e' un pastore e una guida
spirituale. Le persone che l'ascoltano lo seguono''.

D - La S. Sede fa abbastanza e opera efficacemente per
comunicare Benedetto XVI?


R - ''Penso che le strutture che esistono puntano a esprimere
il messaggio cristiano in se stesso. E in quel senso fanno
bene. Possono fare meglio per comunicare la direzione di
marcia che il Papa indica? Sicuramente si', nel senso che in
un mondo mediatico come il nostro, ci vuole un'enorme
articolazione di sforzi per raggiungere l'efficacia. Ne
abbiamo avuto un esempio con il convegno internazionale sulle
tv cattoliche che si e' svolto in ottobre a Madrid. Il nostro
sforzo e' articolare fra di loro realta' molto diverse che
esistono tante volte isolate.
Esiste uno sviluppo che dobbiamo senz'altro affrontare. Non
siamo ancora giunti al top dell'efficienza. E soprattutto
perche' dobbiamo articolare fra noi tutte le realta' che
stanno portando lo stesso messaggio. Io parlerei di
un'efficienza e di una articolazione che devono crescere, che
pero' gia' esistono nella realta' delle cose che si vanno
realizzando nel mondo cattolico''.
Res/cdc


solo un appunto: l'inerzia non e' del pubblico, non e' dei fedeli, ma dei media che non sono in grado di capire e di rendere al meglio il messaggio di papa benedetto...

[Modificato da ratzi.lella 09/11/2006 20.37]

euge65
00giovedì 9 novembre 2006 20:48
PER QUESTO ...........



PER QUESTO MI PIACI RATZI!!!!!!!!!!!!!!!!

GRANDE BENEDETTO!!!!!!!!!!!!!!! [SM=x40800] [SM=x40800] [SM=x40800]
ratzi.lella
00venerdì 10 novembre 2006 08:28
sulla messa tridentina...
Il dibattito sul messale tridentino. La vera posta in gioco è il Concilio Vaticano II (1)
di Barbara Marino

Può una Chiesa avere due riti a causa di due diversi concezioni del Concilio? I vescovi francesi possibilisti per una riconciliazione con i fedeli lefebvriani, a condizione che questi accettino senza equivoci gli insegnamenti conciliari.


Mentre i gruppi tradizionalisti chiedono con insistenza - anche attraverso i loro siti Internet - il ritorno al rito preconciliare, cosiddetto "tridentino", conosciuto anche come "Messa secondo il Messale di San Pio V", anche la gerarchia della Chiesa cattolica in Francia ha fatto sentire la sua voce. E' successo nei giorni scorsi a Lourdes, in occasione dell'Assemblea della Conferenza episcopale, utile per fare il punto sulle voci che danno per imminente la riconciliazione con i Lefebvriani. La posizione dei vescovi è possibilista, ma a condizione che i seguaci di mons. Lefebvre accettino senza equivoci gli insegnamenti conciliari. Il tutto, mentre la chiesa del Paese è sconvolta da feroci polemiche sul rischio di un bi-ritualismo, visto come un pericolo.

- LA QUESTIONE
- L'ASSEMBLEA DEI VESCOVI FRANCESI
- LE PERPLESSITA'
- IL CARDINALE RICARD E L'ISTITUTO DEL BUON PASTORE
- CHI SONO I SACERDOTI DEL BUON PASTORE
- SOLO UNA QUESTIONE DI RITO?
- IL DIBATTITO

LA QUESTIONE.

Il dibattito sulla liberalizzazione del rito preconciliare si è riaccesa con intensità inaudita, in seguito all’apertura da parte di Benedetto XVI ad un’ala dei lefebvriani (in settembre ritornati in seno alla Chiesa cattolica con l’Istituto del Buon Pastore) e in seguito al gran risalto che i mezzi di comunicazione hanno dato alla notizia sull’imminente promulgazione di un documento pontificio per liberalizzare la celebrazione della Messa secondo il rito preconciliare. In sostanza, per semplificare la procedure (per ottenere il permesso dal vescovo locale) che attualmente devono seguire i sacerdoti che intendono celebrare la Messa secondo il messale usato prima del 1962. È il rito voluto dai tradizionalisti, tra cui il gruppo più consistente dei lefebvriani, che non riconoscono quello riformato con il Concilio Vaticano II.

Il testo pontificio in questione dovrebbe essere un Motu proprio (una lettera apostolica scritta dal pontefice di propria iniziativa e diretta a un gruppo di determinate persone), che darebbe al rito preconciliare lo statuto di rito "universale straordinario" accanto a quello "ordinario" del Messale conciliare. Un provvedimento inteso per andare incontro ai cattolici tradizionalisti, tra cui il gruppo più importante e scismatico della Società Sacerdotale San Pio X fondata dall’arcivescovo scomunicato mons. Marcel Lefebvre. Il discusso Motu proprio dovrebbe stabilire che i sacerdoti che lo desiderino possano celebrare, anche senza il permesso del proprio vescovo, la Santa Messa secondo il messale di San Pio V, di per sé mai caduto in disuso.

Già Giovanni Paolo II - con l’Indulto "Quattuor abhinc annos" promulgato nel 1984,con il Motu proprio "Ecclesia Dei" promulgato nel 1988 e dieci anni più tardi, nel 1998, con il discorso per il X anniversario dell’"Ecclesia Dei" - aveva dichiarato, che coloro che avessero desiderato celebrare la messa tridentina avrebbero potuto farlo, anche se con la preventiva autorizzazione del vescovo e che in ogni diocesi il vescovo ordinario avrebbe dovuto avere "una comprensione e un’attenzione pastorale rinnovata per i fedeli legati all’antico rito". Con le nuove disposizioni dell’attuale papa - che già in passato si era detto favorevole ad una semplificazione della disciplina in materia - il vescovo dovrebbe soltanto essere informato e limitarsi a regolare l’attuazione del rito. In sostanza, il vecchio rito sarebbe reso effettivamente accessibile "per chi lo desideri", liberandolo dalla "burocrazia ecclesiale" e dalla "libera decisione" dei vescovi locali, per cui attualmente è difficile poter celebrare canonicamente la Messa secondo il Messale di San Pio V.

Il testo del Motu proprio sarebbe già pronto (anche se non ancora firmato), messo a punto dal pontefice in stretta collaborazione con pochissimi esperti della Curia romana. La notizia era stata diffusa dal The Times di Londra l’11 ottobre scorso, ripresa da tutti i mezzi di comunicazione e confermato dall’arcivescovo di Toulouse e presidente della Commissione episcopale per la liturgia, mons. Robert Le Gall (in Italia la notizia veniva confermata autorevolmente anche dal Sir, l’agenzia stampa dei settimanali cattolici, promossa dalla Conferenza episcopale italiana). La questione ha sollevato non poche discussioni. Alcuni cardinali, intervistati dal quotidiano della Conferenza episcopale francese La Croix, mantenendo l’anonimato, hanno dichiarato: "Siamo inquieti per i rischi che quest’operazione porta all’unità della Chiesa: può una Chiesa avere due riti a causa di due diversi concezioni del Concilio?". Già, perché se il testo dovesse essere pubblicato così come è stato annunciato, solleverebbe non pochi interrogativi, proprio a partire dalle diverse concezioni di Chiesa che avallerebbe. L’ha spiegato don Manlio Sodio, direttore di Rivista Liturgica, in un’intervista rilasciata a Vittoria Prisciandaro e pubblicato sul numero di novembre 2006 del mensile paolino Jesus.

L'ASSEMBLEA DEI VESCOVI FRANCESI.

Con un inedito messaggio finale i vescovi francesi hanno chiuso ieri la loro 43ma Assemblea generale a Lourdes, aprendo alla possibilità della riconciliazione con i fedeli lefebvriani, però a una condizione: che questi compiano "un gesto di assenso senza equivoci agli insegnamenti dell’autentico magistero della Chiesa". È qui il vero nodo della questione.

I vescovi francesi hanno rinnovato la loro comunione con Benedetto XVI e la fedeltà al Concilio Vaticano II. Inoltre, hanno espresso pieno sostengo a loro presidente, card Jean-Pierre Ricard - al quale è indirizzato il messaggio finale - che in precedenza aveva già portato al papa le perplessità e le forti resistenze dell’episcopato francese di fronte all’ipotesi di una liberalizzazione della Messa secondo il rito di San Pio V.

La presa di posizione dei vescovi francesi è caratterizzata dai toni decisi e forti, non una cosa abituale nella vita ecclesiale interna, segno che la questione del Motu proprio è stata contestata da gran parte dell’episcopato francese. A conferma anche di una esplicita perplessità dell’episcopato francese, sabato scorso 4 novembre, aprendo l’assemblea, il cardinale Ricard aveva spiegato, che il documento, è ancora in fase di studio e che "la decisione di liberalizzare la possibilità che i sacerdoti celebrino la messa secondo il messale del 1962 non è ancora stata presa. Il Motu proprio annunciato non è stato firmato. Il suo progetto sarà oggetto di consultazioni. In questo momento possiamo manifestare le nostre paure e i nostri desideri". Secondo alcune voci, una riunione inter-dicasteriale (cioè, dei capi dicastero) della Curia romana sarebbe stata indetta per il prossimo 15 novembre, per riflettere circa la proposta del Motu proprio in modo da offrire successivamente al pontefice un parere in merito.

LE PERPLESSITA'.

"Alcuni si sono chiesti se questa accoglienza di gruppi, che hanno sempre rifiutato l’insegnamento del Concilio Vaticano II e la sua riforma liturgica, non avrebbe finito per relativizzare gli orientamenti conciliari e per mettere in discussione tutto il lavoro apostolico svolto sul terreno da quarant’anni", ha detto il card. Ricard. Nelle settimane precedenti, gran parte dell’episcopato francese aveva denunciato il rischio che si diffondesse una sorta di bi-ritualismo con il ritorno di forme preconciliari di Chiesa. Un allarme che ha percorso anche gli altri episcopati europei, e che ha trovato una certa sponda anche fra i vescovi statunitensi.

Anche secondo il quotidiano francese cattolico La Croix il papa avrebbe deciso di rinviare la firma del Motu proprio (originalmente prevista per prima di Natale, mentre si parla adesso dell’Epifania), perché la voce delle proteste si è fatta sentire nei Sacri Palazzi. Infatti, in queste settimane, alcuni vescovi francesi - capitanati dall’arcivescovo di Toulouse, mons. Robert Le Gall - sono giunti a Roma per cercare di convincere i capi dicastero della Santa Sede ad esprimere parere negativo circa il Motu proprio. Nell’episcopato francese, infatti, c’è il timore che rendere possibile per tutti la celebrazione della messa con l’antico rito darebbe nuova linfa a quelle comunità tradizionaliste già ben radicate in Francia. Si tratta di comunità perfettamente integrate nella Chiesa cattolica, ma che strappano consenso alla Chiesa istituzionale francese che oggi vive una profonda crisi di vocazioni e vede i propri luoghi di culto sempre più vuoti. In Francia, inoltre, brucia ancora lo strappo che nel 1988 vide l’arcivescovo francese ultra-tradizionalista Marcel Lefebvre ordinare vescovi senza il consenso papale, cosa che gli costò la scomunica.

Due uomini di Chiesa francesi sono stati ricevuti anche dal papa, rispettivamente il card. Jean-Marie Lustiger, arcivescovo emerito di Parigi, alla fine di ottobre 2006 e, alcuni giorni più tardi, lo stesso card. Jean-Pierre Ricard. L’arcivescovo di Bordeaux - che non è soltanto il presidente della Conferenza dei vescovi di Francia, ma anche membro della Commissione "Ecclesia Dei" - era andato a Roma, proprio per affrontare il problema della liberalizzazione della messa di San Pio V, ma anche per chiarire la questione dell’Istituto del Buon Pastore, prima dell’Assemblea generale dei vescovi francesi a Lourdes.

Intanto, potrebbe anche cambiare la forma del documento, mentre, comunque, un certo numero di punti sono rimessi in discussione. Per esempio, in un’intervista alla rivista cattolica statunitense National Catholic Reporter, riferendosi ai suoi colloqui con i responsabili dei discasteri romani, il vescovo di Spokane e presidente della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, mons. William Stephen Skylstad, ha spiegato che è ben disposto a comprendere che alcuni "aggiustamenti (per l’utilizzazione del rito di San Pio V) siano necessari per riconciliarsi con i lefebrviani", ma che, per il resto, "il vescovo locale deve poter decidere quando e dove questo sia pastoralmente utile". "Qualunque siano gli incoraggiamenti dati - ha aggiunto - spero che il vescovo locale sarà in grado d’imporre le decisioni sulla via liturgica nella sua diocesi". Risulta importante evitare che un prete possa da solo imporre contro il suo vescovo una celebrazione secondo il rito che ha scelto, invocando una decisione romana.

IL CARDINALE RICARD E L'ISTITUTO DEL BUON PASTORE.

Riguardo la creazione dell’Istituto del Buon Pastore a Bordeaux, società di vita apostolica con l’uso esclusivo del rito preconciliare eretto l’8 settembre scorso, si potrebbe considerare, secondo quanto riferito da La Croix del 3 novembre 2006, citando fonti anonime della Curia romana, che l’Istituto sia di diritto diocesano e non pontificio, e dunque posto sotto l’autorità dell’arcivescovo di Bordeaux.

I francesi sono stati poco (o per niente) consultati, mentre il problema - poco sentito in Italia - degli integralisti è nato in Francia e riguarda in primo luogo la Francia. Il modo in cui è stata gestita la comunicazione della creazione dell’Istituto del Buon Pastore a Bordeaux, dalla quale i francesi, compresi quelli di Roma (meno numerosi che una volta), sembrano essere stati esclusi, è considerato significativo. L’immagine della Chiesa in Francia a Roma è spesso negativo, ancora in gran parte dominato dalla memoria degli eccessi negli anni Settanta. Comunque, le tensioni tra Francia e Roma non si riducono a un mero problema di comunicazione (già di per sé determinante). La questione posta è di fondo.

Non è casuale che sia stato poi lo stesso card. Ricard a spiegare nella sua relazione introduttiva sabato scorso, che il progetto del Motu proprio voluto dal pontefice, "non si inserisce in una volontà di criticare il messale conosciuto come ‘di Paolo VI’, né di procedere ad una riforma liturgica. I libri liturgici redatti e promulgati dopo il Concilio sono la forma ordinaria, e quindi abituale, del Rito romano. Questo progetto ha piuttosto la sua origine nel desiderio di Benedetto XVI di fare tutto il possibile per porre fine allo scisma lefebvriano".

Fermo oppositore di alcuni degli elementi fondamentali del Concilio Vaticano II, l’arcivescovo Marcel Lefebvre, scomparso il 25 marzo 1991, fondò la Società Sacerdotale di San Pio X. Il 2 luglio 1988 Giovanni Paolo II constatò nella sua Lettera apostolica Ecclesia Dei, che l’"illegittima" ordinazione il 30 giugno 1988 di quattro vescovi nella Società Sacerdotale di San Pio X da parte di mons. Lefebvre costituiva "un atto scismatico". Quell’ordinazione stroncò ogni tentativo di accordo messo in atto tra la Santa Sede e la Società Sacerdotale di San Pio X, e portato avanti a nome di Giovanni Paolo II dal card. Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. "Il papa desidera fare di tutto per tendere la mano e manifestare un’accoglienza almeno a quanti hanno buona volontà e manifestano un profondo desiderio di comunione. Bisogna inquadrare il progetto di Motu proprio in questo senso. L’accoglienza di alcuni nella comunione ecclesiale non significa riprogettare il lavoro pastorale nel suo insieme", ha detto il card. Ricard, che è anche membro della Commissione Pontificia "Ecclesia Dei", creata da Giovanni Paolo II per favorire la piena comunione ecclesiale di sacerdoti, seminaristi, comunità e religiosi e religiose, legati alla Società Sacerdotale di San Pio X, che desiderano rimanere uniti al successore di Pietro nella Chiesa cattolica, conservando le loro tradizioni spirituali e liturgiche. "Accogliere qualcuno - ha sottolineato il presidente della Conferenza dei vescovi di Francia - nella comunione ecclesiale non vuol dire rimettere in discussione il lavoro pastorale nel suo insieme. No, la Chiesa non cambia il suo orientamento. Contrariamente alle intenzioni che alcuni gli attribuiscono, Benedetto XVI non intende tornare sull’orientamento che il Concilio Vaticano II ha dato alla Chiesa. Su questo si è impegnato solennemente".

Fra i segnali di distensione nei rapporti con i cosiddetti "lefebvriani", vi è stata la volontà da parte di cinque sacerdoti e seminaristi, per la maggior parte appartenuti alla Società Sacerdotale di San Pio X, di tornare alla piena comunione con la Chiesa cattolica e di fondare l’Istituto del Buon Pastore, al fine di proporre un’esperienza di riconciliazione. Questa nuova Società di vita apostolica di diritto pontificio è stata eretta l’8 settembre 2005 a Roma, per volere del pontefice. Ne fanno parte persone che intendono celebrare la liturgia secondo il rito in vigore nella Chiesa latina fino al 1962. Gli Statuti di questo Istituto sono approvati ad experimentum per un periodo di cinque anni.

CHI SONO I SACERDOTI DEL BUON PASTORE.

Sono stati tra i più virulenti oppositori del Concilio, seguaci di mons. Marcel Lefebvre fin dalla prima ora. Un trio d’assalto che occupava chiese e lanciava anatemi contro i vescovi e contro papa Giovanni Paolo II, accusato di eresia e di sincretismo dopo l’incontro interreligioso di Assisi. Ora Philippe Laguérie, Paul Aulagnier e Guillaume de Tanouärn, già espulsi per indisciplina dalla Società Sacerdotale di San Pio X, sono tornati nelle braccia di Roma. Senza rinnegare il proprio passato, senza mea culpa. E con la facoltà di celebrare esclusivamente secondo il rito preconciliare. Per accoglierli, è stata eretta dalla Congregazione per il Clero l’Istituto del Buon Pastore, con a capo l’abbé Philippe Laguérie.

E' stata applaudita come la felice conclusione di una penosissima vicenda, la ricostruzione di uno strappo che ha provocato tensioni e dolore tra i cattolici di Francia. Ma non è così. Perché quella di Roma è stata giudicata da molti in Francia come una decisione verticistica, che non tiene conto della realtà pastorale. E molti vescovi francesi non hanno nascosto lo stupore e il disagio, a cominciare dal diretto interessato, il card. Jean-Pierre Ricard, nella cui diocesi era aperto da molti anni un contenzioso con i tradizionalisti che avevano occupato abusivamente la chiesa di Saint-Éloi. "Non vorrei che l’accoglienza dei fedeli tradizionalisti fosse pensata e vissuta come un rinnegamento del Concilio. Come se le grandi intuizioni del Concilio fossero rimesse in questione", ha dichiarato il card. Ricard al quotidiano della Conferenza episcopale di Francia, La Croix, l’11 settembre scorso.

Ad alimentare le perplessità del porporato, che ha lasciato intendere di essere stato messo di fronte al fatto compiuto, è la personalità dei sacerdoti tradizionalisti reintegrati: "Nella fede - ha aggiunto - penso che il peggio non sia ineluttabile e mi auguro che si diano tutte le chances a questa iniziativa. Ma, conoscendo la situazione e le persone, resto di un realismo prudente".

Già, la personalità degli ex seguaci di monsignor Lefebvre suscita nel migliore dei casi un "realismo prudente" e, in molti altri, "aperta diffidenza". Tanto da indurre il settimanale cattolico francese La Vie a pubblicare in prima pagina una foto dell’abbé Laguérie con un titolo più che mai esplicito: "Perché quest’uomo doveva restare fuori". Parroco abusivo di Saint-Nicolas du Chardonnet, nel quartiere latino, a Parigi, e poi "chierico vagante" al servizio del verbo tradizionalista, Laguérie si è distinto per gli insulti lanciati contro il card. Lustiger, accusato di "violenza, ingiustizia, calunnie a ripetizione". E per la difesa a oltranza dello storico revisionista Roger Faurisson (che negava l’esistenza delle camere a gas). Del resto, sono note le sue simpatie per l’estrema destra e per i nostalgici di Vichy, come il defunto miliziano collaborazionista Paul Touvier, definito "anima delicata, sensibile, nuancée": un bel ritratto di un uomo condannato dai tribunali francesi per crimini contro l’umanità.

SOLO UNA QUESTIONE DI RITO?

Quindi, non è sorprendente che nella loro dichiarazione finale, i vescovi francesi sottolineino che le differenze con i lefebvriani non sono solo liturgiche ma anche teologiche e politiche. Insieme al papa, i vescovi francesi "riconoscono le ricchezze e l'insegnamento del Concilio Vaticano II, frutto della tradizione viva della Chiesa". "Con lui - continua la dichiarazione finale - desiderano proseguire verso l’accoglienza dei diversi fedeli di Cristo legati a forme liturgiche anteriori a questo Concilio". Ancora con il pontefice, i vescovi francesi "condividono il desiderio di riconciliazione dei preti e dei laici che sono separati dalla comunione ecclesiale dopo il Concilio". Per questo però i vescovi francesi "attendono da parte di questi fedeli un gesto di assenso senza equivoci agli insegnamenti del magistero autentico della Chiesa. La storia francese ha una sua specifica complessità; la questione liturgica non è solo fonte di difficoltà. Nella tradizione la Chiesa ha sempre associato la liturgia alla sua fede". In sostanza, spiegano i vescovi francesi, la liturgia corrisponde a un modello di Chiesa e di fede, e tale modello è dato dalla riforma del Concilio Vaticano II, non si può separare la forma liturgica dal contenuto della fede. Proprio in ragione di ciò "i vescovi affermano il loro attaccamento al rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II di cui la messa in opera, sempre da promuovere, testimonia della fedeltà di tanti preti e delle comunità". Quindi i vescovi francesi rinnovano alla Santa Sede la loro volontà "di lavorare per la riconciliazione nella verità e nella carità".

Lo stesso card. Ricard, nella sua relazione conclusiva dell’assemblea, ha ribadito questi punti e ha ringraziato i vescovi per la fiducia che gli hanno dato in questo delicato momento. Ricard ha ricordato che i "no" dei lefebvriani a Roma sono "non solo liturgici, ma teologici - rispetto alla libertà religiosa, all’ecumenismo, al dialogo interreligioso - e politici". Non è intenzione dei vescovi francesi minimizzare la liturgia ha detto ancora il cardinale "che è il cuore della vita ecclesiale". Per questo non deve essere possibile scegliere fra una messa di San Pio V o la messa di Paolo VI "a seconda della propria soggettività". Una Chiesa, ha aggiunto il presidente della Conferenza dei vescovi di Francia, nella quale ciascuno "costruisce la propria cappella a partire dai suoi gusti personali, dalla propria sensibilità, dalla sua scelta liturgica o dalle sue opinioni politiche, non potrebbe essere la Chiesa di Cristo, ha sottolineato, "bisogna resistere alla tentazione di una religione à la carte".

IL DIBATTITO.

La notizia del Motu proprio aveva aperto un accesso dibattito all’interno della Chiesa in Francia, nelle settimane precedenti all’Assemblea generale di Lourdes. Ne era emerso un dissenso crescente tra l’episcopato francese verso una simile decisione pontificio. E a sollevare perplessità e critiche non sono stati vescovi della periferia ma, fra gli altri dall’arcivescovo di Parigi, mons. André Vingt-Trois e dall’arcivescovo di Toulouse, mons. Robert Le Gall. E poi naturalmente si sono levate le voci critiche di altri presuli e quelle di numerosi preti.

Dieci vescovi della provincia ecclesiastica di Besançon e delle province concordatarie di Strasburgo e Metz hanno firmato il 25 ottobre una dichiarazione comune in cui esortano i loro fedeli a "proseguire il lavoro intrapreso" nel corso degli anni dal punto di vista della liturgia e sei vescovi della provincia della Normandia firmano una lettera collettiva pubblicata il 20 ottobre, in sostengo dei loro preti "rimasti fedeli alla Chiesa e alla tradizione vivente" in seguito al Concilio.

Una trentina di giovani preti "nati dopo il Vaticano II" (età media di 35 anni), provenienti da 17 diocesi e diversi ordini religiosi, il 18 ottobre 2006 hanno indirizzato ai vescovi francesi, al presidente della Conferenza dei vescovi di Francia e al Nunzia Apostolico a Parigi, una lettera sotto forma di petizione, che gira per E-mail. Per don Arnaud Alibert, della diocesi di Montpellier, uno degli iniziatori della petizione (i cui firmatari sono arrivate nel frattempo a 47), "oggi, i giovani preti costituiscono un gruppo non omogeneo, con delle opinioni diversi. Già così non è facile di fare unione tra noi. Se, in più, il papa concede la possibilità radicale di ritornare a un rito vecchio, andiamo a disunire ancora di più. Avrei difficoltà a sopportare che un confratello celebri il rito vecchio e rifiuti di concelebrare con me. Il rito vecchio in se stesso non è cattivo, ma non l’abbiamo mai conosciuto, non fa parte della nostra storia".

Per il vescovo emerito di Amiens mons. Jacques Noyer, le discussioni in corso non sono querelle da sacrestia né "capricci per il gusto delle cerimonie", ma segni dell’esitazione nel proseguire la rotta che contraddistingue l’"ammiraglio" della flotta ecclesiale, il papa, come ha affermato in un articolo pubblicato sul settimanale cattolico francese Témoignage chrétien del 26 ottobre, intitolato "Santo Padre, non lo faccia!".

Mons. Claude Dagenz, vescovo di Angoulême, in un’intervista con il settimanale cattolico La Vie ha detto: "Noi vescovi desideriamo essere informati per esercitare il nostro discernimento con il vescovo di Roma". Preoccupato del silenzio della Santa Sede circa la prossima riabilitazione da parte di Benedetto XVI del rito tridentino, avverte: "Semmai si volesse imporre un bi-ritualismo, ci troveremmo in una situazione seria e preoccupante".

Anche l’arcivescovo di Toulouse e presidente della Commissione episcopale per la liturgia, mons. Robert Le Gall, vuole "far passare il messaggio a Roma". "In Francia, siamo spesso dei contestatori, la questione liturgica rimane molto ideologica, basata su una storia vecchia, di cui è nient’altro che la parte emersa - ha affermato a La Croix del 21 ottobre 2006 -. Liberalizzare questo ‘rito straordinario’, anche se il suo scopo è di calmare gli spiriti, rischia dunque di esasperare le divisioni".

Da parte sua, il card. Jean-Pierre Ricard a metà ottobre ha affermato di non essere "al corrente di niente" e di non essere stato avvisato della creazione all’inizio di settembre nella sua diocesi, di un’Istituto del Buon Pastore destinato ai lefebriani ritornati a Roma.

L’arcivescovo di Parigi, mons. André Vingt-Trois si è rivolto alla Santa Sede, turbato per non essere in possesso dei statuti dell’Istituto del Buon Pastore, ormai "impiantato" nella sua diocesi attraverso il Centro San Paolo, diretto da abbé Guillaume de Tanoüarn.

Il vescovo di Chartres, mons. Michel Pansard ha pubblicato un comunicato per esprimere la sua sorpresa di non essere stato informato previamente dell’apertura a Courtalein, del seminario dell’Istituto del Buon Pastore.

Alcuni vescovi e fedeli, dall’altra parte della "barricata", non condividono queste preoccupazioni.

Il vescovo di Vannes, mons. Raymond Centène osserva la situazione con serenità: " Non sappiamo neanche quale sarà l’argomentazione di Roma", ha fatto osservare a Le Figaro del 21 ottobre 2006, colui che parla volentieri del valore del rito tridentino, con cui aveva ancora celebrato la settimana precedente. "La liturgia deve essere considerata in un senso di continuità e non di rottura", ha sottolineato prima di aggiungere a Le Figaro: "Un corpo sociale può difficilmente rifiutare quello che ha costruito durante mille anni, senza negare se stesso. Usciamo - ha detto - delle nostre querelle occidentali e francesi in particolare".

Come lui, anche il vescovo di Toulon insiste sull’attaccamento necessario all’insegnamento della Chiesa. Mons. Dominique Rey ha permesso la costituzione di una parrocchia tradizionalista - come si starebbe a preparare la diocesi di Strasbourg - e, ha detto, "tutto procede perfettamente bene, in pace". Per lui, pertanto, "il vescovo deve poter rimanere giudice delle modalità".

"Roma crea delle nicchie per questi fideli - ha spiegato a Le Figaro un altro vescovo, sotto la copertura dell’anomimato -, perché noi non abbiamo il tempo di trattare questo affare. Avremmo dovuto farlo - si rincresce - dotandoci di strumenti di accoglienza, di regolamentazione e d’accompagnamento per permettere a queste comunità d’inscriversi nella realtà della Chiesa e non di rifiutarla". Una forma di mea culpa ... conclude Sophie de Ravinel il suo articolo su Le Figaro del 21 ottobre 2006.

In una petizione, il Collectif 51, che raccoglie tradizionalisti di Reims, chiede all’arcivescovo mons. Thierry Jordan, di "autorizzare la celebrazione dei sacramenti secondo i testi liturgici in vigore nel 1962", mentre il blog di Homme nouveau si pone l’obiettivo di raccogliere migliaia di firme a sostegno del papa.

L’abbé Philippe Laguérie, il superiore dell’Istituto Buon Pastore di Bordeaux, recentemente riconosciuto dal papa, esulta, affermando di voler "aprire parrocchie ovunque in Francia e altrove". "Non sarà un fattore di divisione, al contrario", ha dichiarato ai giornalisti, aggiungendo che vi sono già, nell’Istituto Buon Pastore, quattro seminaristi pronti per l’ordinazione, e che stanno per essere accolti una decina di sacerdoti sudamericani. "Siamo il primo picchetto posto dal papa per tornare all’unità liturgica", ha detto.

Nel frattempo, il movimento inarrestabile delle voci critiche, sfociato in un dibattito intenso, espresso attraverso interviste, lettere aperte, dichiarazioni e petizioni firmati da preti e vescovi, dando voce alla preoccupazione della Chiesa in Francia, di fronte a un’eventuale liberalizzazione della Messa di San Pio V, è risalito fino a Roma. Ed è stato sentito nella Terza Loggia del Palazzo apostolico in Vaticano. Come anche gli interrogativi sullo stesso argomento dei vescovi americani, venuti a Roma una settimana prima dei loro confratelli francesi e le reticenze di una parte non indifferente della Curia romana stessa. Ma a pesare sono stati anche i traumi provocati gli ultimi anni in Europa dell’Est (in Ucraina, per esempio) dalle serie divisioni tra le comunità cattolici di diverso rito, latino e greco-bizantino, come anche i problemi sollevati dai vescovi di Grecia, dove la chiesa cattolica di rito orientale è diventata minoritaria rispetto a quella di rito latino.

Continua.

(da www.korazym.org/default.asp)

cari vescovi francesi, vi rendete conto di quante innovazioni ha portato papa ratziger? in passato non avreste certo potuto dibattere e criticare tanto il papa.
ringraziate il cielo, quindi, per la liberta' che ratzinger vi concede, ma non illudetevi: il papa ascolta tutti ma poi ha il coraggio di decidere da solo [SM=g27811]
consiglio: studiate!!!
josie '86
00venerdì 10 novembre 2006 13:12
Da AsiaNews.it

Papa ai giovani filippini: “Urgente bisogno di nuovi apostoli ancorati a Cristo”

di Santosh Digal


Davao (AsiaNews) – Nel mondo “vi è urgente bisogno di una nuova generazione di apostoli” che devono “costruire la propria vita in Cristo, accettare con gioia il Verbo e mettere in pratica gli insegnamenti della Bibbia”.

E’ questo il senso del messaggio inviato da Benedetto XVI ai giovani filippini in occasione della decima Giornata nazionale della gioventù che si svolge a Davao, nel sud del Paese.

Nel messaggio, letto dal nunzio apostolico mons. Fernando Filoni ai 10mila giovani riuniti per celebrare la Giornata, il Papa ricorda “l’urgente necessità di una nuova generazione di apostoli ancorati in maniera salda alla Parola di Cristo, capaci di rispondere alle sfide dei nostri tempi e preparati a diffondere il Vangelo per il mondo”.

Il pontefice chiede ai giovani “di testimoniare la luce di Cristo, faro luminoso per i compiti di ogni giorno” e li invita a “rendere familiare la Bibbia, bussola che indica la strada da seguire”. Leggendola – dice – "si potrà conoscere Cristo. La lettura, lo studio e la meditazione dei testi biblici sono la via che porta ad una vita di fedeltà al Signore ed ai suoi insegnamenti”

Il tema su cui i partecipanti alla Giornata riflettono dall’8 al 12 novembre è proprio “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (cfr Sal 119, 105).

Nel corso della prima giornata, l’arcivescovo di Davao mons. Fernando Capalla ha chiesto a tutti i delegati di “rafforzare la fibra della società filippina con valori morali e spirituali che tengano uniti i fedeli e la Chiesa”. I quattro giorni dell'incontro prevedono canti, momenti di preghiera, celebrazioni eucaristiche e conferenze.

La Conferenza episcopale delle Filippine ha dato il via alla Giornata nel 1986, come modo per concretizzare la propria particolare attenzione all’apostolato dei giovani e dei bambini. Dal 1987 al 1990 l’appuntamento annuale si è svolto a Manila. Dal 1991, invece, si è iniziato a celebrare la Giornata nazionale della gioventù in altre diocesi del Paese.
euge65
00venerdì 10 novembre 2006 20:34
CONSIGLIO AI VESCOVI.........


CONSIGLIO AI VESCOVI FRANCESI NON SOLO STUDIATE MA.........

MEDITATE!!!!!!!!!!!!!!!! [SM=g27828] [SM=g27828] [SM=g27820]: [SM=g27820]:
ratzi.lella
00venerdì 10 novembre 2006 21:09
speriamo...
Il Patriarca russo pronto a incontrare il Papa

di Evgeny Utkin

E non deve «essere considerato semplicemente come un evento di protocollo con le telecamere (mediatico), ma una nuova pagina nelle relazioni tra le nostre Chiese». Ecco perché verso Papa Ratzinger l'atteggiamento è diverso che con Wojtyla. Il ruolo di Tettamanzi. VaticanStyle: eventi e potenti della Chiesa

Il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia non esclude un incontro con Benetto XVI."La possibilità di un incontro con il Papa non è mai stata esclusa, e noi riteniamo che questo incontro non debba essere considerato semplicemente come un evento di protocollo con le telecamere (mediatico), ma una nuova pagina nelle relazioni tra le nostre Chiese": Alessio II lo ha dichiarato in una intervista sull'ultimo numero del settimanale Paris Match.
E' un'apertura di grandissimo significato, che allevia una frizione millenaria, che apre uno spiraglio verso un obiettivo finora sfuggito, nonostante un serrato lavoro sotterraneo, alla diplomazia vaticava.
Oggi il Patriarca sottolinea: "Se questo incontro avvenisse, probabilmente in un terzo paese, sarebbe un evento storico di estrema importanza".

SOGNO INFRANTO DI WOJTYLA

Incontrarsi era il sogno infranto di Papa Giovanni II.
Nell'enciclica Ut unum sint del 1995 Karol Wojtyla aveva cercato, con la massima enfasi data da un messaggio dottrinario papale, di recuperare un contatto con la Chiesa ortodossa, così da tentare una riunificazione.
Ma da un lato le difficoltà dottrinarie legate al ruolo del Pontefice di Roma, dall'altro il difficile rapporto di Wojtyla con il Patriarca di Mosca avevano reso impossibile l'impresa.
Sin dall'inizio del pontificato Wojtyla aveva lavorato per migliorare i rapporti col mondo bizantino.
Con molte chiese dell'Est aveva avviato rapporti fraterni, come con il patriarcato di Romania, quello di Costantinopoli, quello di Bulgaria. Con Mosca, invece, i rapporti erano sempre rimasti tesi, o a fasi alterne.

PEGGIORAMENTO NEL 2002

I rapporti tra Mosca e Roma erano poi peggiorati nel febbraio del 2002. Motivo scatenante: la ristrutturazione delle diocesi cattoliche russe decisa da Wojtyla nonostante il parere negativo degli ortodossi. Alessio II percepì questa decisione come un tentativo della Chiesa di Roma di fare proselitismo in territorio ortodosso. Seguirono le espulsioni di cinque sacerdoti cattolici e di un vescovo, definiti dalle autorità russe "persone non gradite".

INUTILE DONO DI UNA ICONA
Neanche il dono fatto dal Vaticano, importante pure simbolicamente, dell'icona di Kazan nell'agosto 2004 aveva alleviato la frattura con gli ortodossi.
Il Patriarca aveva ringraziato il Papa per il ritorno a Est dell'icona e si era augurato che il dono diventasse "il primo passo per l'instaurazione di relazioni fraterne fra la Chiesa ortodossa e il Vaticano", ma su un possibile incontro aveva ribadito il suo "niet": "I negoziati su una possibile visita del Papa in Russia saranno possibili solo dopo cambiamenti essenziali nelle relazioni fra ortodossi e cattolici". A quel momento, aveva aggiunto, la visita era "impossibile".

Con arrivo di Benedetto XVI i rapporti tra le due chiese si sono intensificati.Per esempio, il 2 ottobre il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, ha fatto un "pellegrinaggio di speranza" e ha incontrato Patriarca della Chiesa ortodossa russa a Mosca. Nell'occasione Alessio II ha detto: «Abbiamo vissuto anni terribili di lotta contro Dio. Che nelle anime e nelle coscienze si sia conservata la fede è un autentico miracolo.
Milioni di persone sono state restituite alla Santa Chiesa e a Dio. Abbiamo riaperto oltre 20 mila chiese al culto. Per questo non possiamo accettare l'affermazione che la Russia sia territorio missionario per la Chiesa cattolica.
I cattolici è giusto che abbiano cura pastorale dei fedeli, ma il proselitismo complica molto le nostre relazioni. Mi auguro che i rapporti possano ancora migliorare».
E adesso dalla Russia arriva il primo segnale positivo.

(da "panorama" del 10 novembre 2006)


incrociamo tutti le dita per questo incontro che, se ci sara', sara' MERITO ESCLUSIVO di papa ratzinger!!!
smettiamola di tirare in ballo il passato. concentriamoci, invece, sulla grandezza di benedetto e sulla possibilita' di una riconciliazione piena con la chiesa ortodossa russa.
Paparatzifan
00venerdì 10 novembre 2006 21:11
Re: sulla messa tridentina...

Scritto da: ratzi.lella 10/11/2006 8.28
Il dibattito sul messale tridentino. La vera posta in gioco è il Concilio Vaticano II (1)
di Barbara Marino
cari vescovi francesi, vi rendete conto di quante innovazioni ha portato papa ratziger? in passato non avreste certo potuto dibattere e criticare tanto il papa.
ringraziate il cielo, quindi, per la liberta' che ratzinger vi concede, ma non illudetevi: il papa ascolta tutti ma poi ha il coraggio di decidere da solo [SM=g27811]
consiglio: studiate!!!


Tutta questa polemica mi pare un tantino esagerata!!! [SM=x40796] Sembra la fine del mondo!!!
A questi vescovi francesi impauriti per chissa' quale tragedia greca che si scagliera' sulla Chiesa dopo la pubblicazione del Motu Proprio dico che il Papa non fa altro che applicare il Concilio, quel Concilio che loro considerano qualcosa di sacro, forse piu' sacro della Santa Bibbia o dei dieci comandamenti, ebbene quel concilio che non ha mai abolito il rito tridentino!
I tradizionalisti non sono degli appestati, sono cattolici come voi o avete paura di perdere fedeli? Pensate un po' perché sono vuote le vostre chiese anzicché bastonare i tradizionalisti! [SM=g27826]
Ai poveretti pretini trentenni cosi spaventati della liturgia in latino sara' meglio che inizino ad impararla. Un po' piu'di cultura non fa male a nessuno, non credete?
[SM=x40791]
euge65
00venerdì 10 novembre 2006 21:19
Re: Re: sulla messa tridentina...

Scritto da: Paparatzifan 10/11/2006 21.11

Tutta questa polemica mi pare un tantino esagerata!!! [SM=x40796] Sembra la fine del mondo!!!
A questi vescovi francesi impauriti per chissa' quale tragedia greca che si scagliera' sulla Chiesa dopo la pubblicazione del Motu Proprio dico che il Papa non fa altro che applicare il Concilio, quel Concilio che loro considerano qualcosa di sacro, forse piu' sacro della Santa Bibbia o dei dieci comandamenti, ebbene quel concilio che non ha mai abolito il rito tridentino!
I tradizionalisti non sono degli appestati, sono cattolici come voi o avete paura di perdere fedeli? Pensate un po' perché sono vuote le vostre chiese anzicché bastonare i tradizionalisti! [SM=g27826]
Ai poveretti pretini trentenni cosi spaventati della liturgia in latino sara' meglio che inizino ad impararla. Un po' piu'di cultura non fa male a nessuno, non credete?
[SM=x40791]



TI QUOTO ALLA STRAGRANDE GLORIA!!!!!!!!!!! TUTTO QUESTO TERRORE PER LA LITURGIA IN LATINO LO TROVO FUORI LUOGO!!!!!!!!! LA VERITA' E' UN'ALTRA CHE I GIOVANI SACERDOTI NON CREDO NE SAPPIANO UN GRANCHE' DELLA LITURGIA IN LATINO HAI DETTO BENE TU L'IGNORANZA E' ORMAI ARRIVATA ALL'INVEROSIMILE !!!!!!!!!! E' PROPRIO VERO CHE QUESTO CONCILIO VATICANO II E' STATO DISTORTO ALLA GRANDE NEI SUOI CONTENUTI!!!!!!!! IN NESSUNA PARTE NEL CONCILIO C'ERA SCRITTO CHE LA LITURGIA DOVESSE ESSERE STRAVOLTA FINO ALL'INVEROSIMILE QUESTO NON E' SEGNO DI MODERNITA' E' SOLO SEGNO DI PROFONDA MANCANZA DI RISPETTO VERSO UN RITO CHE PERALTRO, RIPROPONE IN OGNI SUA CELEBRAZIONE UN'EVENTO CHE MERITA TUTTO IL NOSTRO RISPETTO E LA SUA SOLENNITA'!!!!!!!!!!!!
CORI VESCOVI FRANCESI SMETTETELA DI FARE I CONIGLI!!!!!!!!!!
[SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27820]: [SM=g27820]:
TERESA BENEDETTA
00sabato 11 novembre 2006 07:41
Secondo me, tutta quest'attenzione esagerata e sproporzionata sui vescovi francesi ritardati e i giovani preti pigrissimi e ignorantissimi e soltanto perche da quando si e cominciato le 'notizie' sul motu proprio del Papa sulla messa tridentina, loro sono l'unico gruppo che ha protestato. Non ce ne sono altri cosi schiocchi come loro, gia organizzato a protestare qualcosa che nessuno sa ancora che sara!

Mi da molto pena leggere le sue dichiarazioni cosi disinformate e travisate - sia sullo che ha deciso e detto il Secondo Concilio Vaticano, sia sulla natura della liturgia o della Messa tridentina. Che razza d'ignoranti! Come mai si sono potuto diventare vescovi? Forse e piu facile 'perdonare' i giovani preti chi ovviamente sono stati tutti formati da questi stessi vescovi ritardati, percio sono cosi ignoranti, coi menti chiusi, e senza alcuna interesse nel imparare qualcosa nuova! Ma che classe di educazione stanno dando nei seminari francesi?

Ieri il Papa ha detto ai vescovi tedeschi che per dialogare con i musulmani, ha bisogno dei cattolici che conoscono abbastanza la cultura e la religione musulmane ma prima conoscono la loro propria fede benissimo per difenderla. Ebbene, non sarebbero questi francesi, di cui ha fallito la ragione. Infatti, si deve cominciare da loro l'opera di rievangelizzazione!

SUOR TERESA BENEDETTA
Ordine Benedettino delle Suore
delle Sante Coccole al Romano Pontefice

[Modificato da TERESA BENEDETTA 11/11/2006 7.42]

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