Quando pagare le tasse, diventa un incubo

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agente bunda
00martedì 6 agosto 2013 16:25
Tra le domande più frequenti che mi fanno della mia esperienza imprenditoriale a Cuba è quante tasse si pagano a Cuba. Noi Italiani siamo terrorizzati dalle tasse, e se devo essere sincero non abbiamo tutti i torti. Leggo un nuovo post di Yoani Sanchez,e anche a Cuba inizia il terrore delle tasse. Chiaramente anche la Sanchez, non sa bene cosa significa pagare le tasse, parla di sindacati liberi che possano difendere il piccolo imprenditore, come dire che qualcuno in Italia, difende il piccolo imprenditore dalla famelica fame di denari da parte dello Stato. Qui ci sono le varie associazioni di categoria, per carità, ma in realtà possono fare ben poco, se non qualche protesta fine a se stessa. A Cuba quando parlo con i cubani che si lamentano per le imposte, spiego loro " Ben venuti nel capitalismo [SM=g3306769] ". Chi si lamenta di più sono i taxisti e piccoli negozianti, che posso assicurare evadono moltissimo, la dichiarazione giurata è veramente ridicola [SM=g7574] . Ora a Cuba hanno iniziato a rilasciare le ricevute, vedi case particolar, e in seguito mi diceva un amico del ONAT, si moltiplicherà questo sistema, udite-udite, anche con deduzioni fiscali. Insomma inizia il grande circo, e credo che se Yoani Sanchez, si metta a fare la paladina dei tartassati, fa una brutta fine. Meglio criticare la Rivoluzione, è più semplice e meno pericoloso.

Copio e incollo il post di Yoani Sanchez
Sindacalismo in proprio


YOANI SÁNCHEZ
L’Ufficio Nazionale dell’Amministrazione Tributaria (ONAT) apre le sue porte mentre decine di persone attendono sin dalle prime ore del mattino. Un’impiegata spiega gridando dove va fatta la fila per ogni pratica, anche se dopo pochi minuti tornerà a regnare la confusione. In un ufficio, privo di computer, un’altra funzionaria scrive a mano i dettagli di ogni caso affrontato. La parete alle sue spalle è macchiata di umidità, il caldo è insopportabile e di tanto in tanto qualcuno la interrompe per chiederle dei moduli. Un’istituzione che raccoglie ogni anno milioni di pesos in imposte, procede con i piedi d’argilla della precarietà materiale e della cattiva organizzazione. Locali congestionati, pratiche interminabili e mancanza d’informazione, sono solo alcuni dei problemi che ostacolano la sua gestione.

Ma le difficoltà non finiscono qui. La mancanza di mercati all’ingrosso stabili in grado di fornire prodotti diversificati, frena anche il settore privato. Gli ispettori prendono d’assalto caffetterie, ristoranti e altri negozi autonomi. Scioperi e dimostrazioni pubbliche affinché vengano ridotte le tasse, continuano a essere assolutamente proibite. Da noi lavoratori in proprio si attende un contributo al reddito nazionale, ma non un comportamento da cittadini disposti a reclamare. L’unico sindacato autorizzato, Central de trabajadores de Cuba (CTC), tenta di assorbirci nelle sue rigide strutture. Pagare una quota mensile, partecipare a congressi dove si ottiene poco e sfilare per sostenere lo stesso governo che licenzia migliaia di impiegati; a questo vogliono ridurre le nostre azioni collettive. Perché non si crea e si legalizza una vera e propria organizzazione sindacale, indipendente dal governo? Un’entità che non serva a trasmettere la volontà del potere ai lavoratori, ma il contrario.

Purtroppo la maggioranza dei lavoratori in proprio non considera che l’indipendenza salariale e produttiva deve andare di pari passo con la sovranità sindacale. Molti temono che al minimo segnale di richieste venga ritirata la licenza o che si prendano altre misure contro di loro. Per questo tacciono e accettano le inefficienze della ONAT, l’incapacità di importare materie prime dall’estero, gli eccessi degli ispettori e altrettanti ostacoli. Neppure le organizzazioni dell’emergente società civile sono riuscite a capitalizzare le necessità di questo settore e non ce l’hanno fatta ad aiutarlo a ottenere rappresentatività. La necessaria alleanza tra gruppi sociali che condividono non conformità e domande, non si è ancora concretizzata. Per questo le nostre rivendicazioni lavorative continuano a essere rimandate, tra la paura di alcuni e la negligenza di altri.
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