QUANDO GLI EMIGRANTI ERAVAMO NOI

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ultimotemplareterra
00giovedì 14 gennaio 2010 01:30


“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali". "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purchè le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".

Da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912.

Non ci andava meglio in Svizzera, negli anni ’70 con i leader che scrivevano: “Le mogli e i bambini degli immigrati? Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d’una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s’ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità dell’operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti, magari in poltrona, l’ex guitto italiano».

In quegli anni – ieri rispetto alla Storia - in Svizzera c’erano circa 30.000 bambini italiani clandestini, portati di nascosto dai genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle rigorose leggi elvetiche contro i ricongiungimenti familiari, genitori terrorizzati dalle denunce dei vicini che raccomandavano perciò ai loro bambini: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere
Prima degli anni ’50 gli italiani andavano a Bucarest per lavorare nelle fabbriche e nelle miniere e alla scadenza del permesso di soggiorno restavano in Romania, clandestini. Nel 1942 il Ministro dell’Interno fu costretto ad inviare a tutti i Questori una circolare con la quale li si invitava a non far espatriare gli italiani in Romania.

In India, nel 1893, il console italiano scriveva a Roma per dire che in quella città tutti quelli che sfruttavano la prostituzione venivano chiamati “italiani”.

Tra la prima e la seconda guerra mondiale molti italiani andavano in America con passaporti falsi o biglietti inviati da pseudo parenti italo americani. In realtà una volta sbarcati li attendevano turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza.

Non sono aneddoti. E’ storia, tratta dalla Mostra “Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo” (Parma, 15 aprile 2009).


Gian Antonio Stella, nel suo bellissimo libro “Quando gli albanesi eravamo noi”, ci ricorda che “….Quando si parla d’immigrazione italiana si pensa solo agli ’zii d’America’, arricchiti e vincenti, ma nessuno vuole sapere che la percentuale di analfabeti tra gli italiani immigrati nel 1910 negli USA era del 71% o che gli italiani costituivano la maggioranza degli stranieri arrestati per omicidio” o ancora che il primo attentato nella storia con un’auto imbottita di esplosivo è stato fatto a New York, non da terroristi ma da criminali italiani contro una banda avversaria.

Dal 1861 sono state registrate circa ventiquattro milioni di partenze dalla nostra lingua di terra, per altri lidi.
FATTO CURIOSO è che inizialmente furono le sole popolazioni del nord a formare il grande esodo.
Solo in un secondo momento saranno Calabria, Campania e Sicilia a dare l'addio a circa nove milioni di uomini.
Prevalentemente ci dirigevamo in Argentina (circa 15 milioni), Stati Uniti (circa 12 milioni), Brasile (circa 8 milioni).I lavoratori italiani, e le loro famiglie, erano spesso al centro di fenomeni quali sfruttamento e razzismo: " braccianti Italiani, come quelli Marocchini o dell'Europa dell'Est oggi in Italia, accettavano paghe più basse dei braccianti locali; ad Aigues Mortes, in Francia, nove italiani furono assassinati con un banale pretesto da una folla di lavoratori francesi nel 1893. Stessa sorte toccò ad undici siciliani a New Orleans nel 1901, accusati di appartenere alla Mafia. Oltre a queste vere e proprie stragi gli episodi di pestaggi o omicidi singoli furono molto numerosi." (da emigrati.it)
Non era poi così raro sui giornali leggere articoli come questo: "abbiamo all'incirca in questa città trentamila italiani, quasi tutti provenienti dalle vecchie province napoletane, dove, fino a poco tempo fa, il brigantaggio era l'industria nazionale. Non è strano che questi briganti portino con se un attaccamento per le loro attività originarie" (New York Times, 1 gennaio 1894).
e ancora: "Gli Italiani del Meridione erano accusati di essere sporchi, rumorosi, arretrati come qualità della vita e nelle relazioni interpersonali, e di praticare rituali religiosi primitivi, di trascurare l'istruzione dei figli, di costringere in una condizione di assoluta subordinazione la donna all'interno della famiglia.


I Siciliani erano inseriti nel censimento del 1911 come "non white", non bianchi, di pelle scura e comunque le statistiche censivano separatamente gli Italiani del Nord e quelli del Meridione come appartenenti a due razze diverse: una "celtica" e l'altra "mediterranea"."(da emigrati.it )

Forse ci ricordano che la nostra Terra gira, gira velocemente nello spazio e nel tempo creando nuovi ricchi ed ammassando nuovi poveri. I ruoli si invertono ma i clandestini restano anche se hanno un colore diverso. Fuggono da Paesi in cui l’unica prospettiva è morire per fame o morire per guerre volute da altri. Ed allora questa gente può solo correre, correre, correre impazzita verso il nord, verso il mediterraneo, verso quelli che credono essere orizzonti migliori.


EMIGRAZIONE ITALIANA: UNA STORIA DI RAZZISMO
Linciaggi, proclami razzisti, leggi restrittive, colpirono i milioni di italiani emigrati all'estero nei secoli scorsi in cerca di fortuna. Molti rimasero vittime di cieca violenza, per le colpe di altri.
Un'orda di selvaggi, brutti, sporchi e cattivi, da tenere a debita distanza, nei sudici ghetti delle grandi città. Dagli Stati Uniti all'Australia, passando per l'Europa, il sentimento xenofobo contro gli immigrati italiani dilagò come un fiume in piena tra la fine dell'800 e i primi anni del 1900, provocando significativi straschici fino alla metà del secolo scorso.
Titoli di giornali e proclami politici, bollavano i
nostri connazionali come geneticamente tendenti alla criminalità, dunque pericolosi nel complesso, per la sicurezza civile.

LA XENOFOBIA DILAGANTE
Il 1 gennaio del 1894 il New York Times scriveva: "Abbiamo all'incirca in questa città trentamila italiani, quasi tutti provenienti dalle vecchie province napoletane, dove, fino a poco tempo fa, il brigantaggio era l'industria nazionale. Non è strano che questi briganti portino con se un attaccamento per le loro attività originarie".
Ad essere bersagliati, soprattutto gli italiani di origine meridionale, catalogati come "razza mediterranea" a fronte di quella "celtica" degli italiani provenienti dal Nord. I siciliani vennero censiti nel 1911 come "not white", "non bianchi". Gli appellativi precisi, che li identificavano, erano "dago" e "wop", riservati peraltro in senso dispregiativo a persone dalla pelle scura di origine portoghese, spagnola e messicana.
L'intolleranza crescente verso i flussi migratori,
non solo italiani, in continuo aumento al'epoca (dal 1920 al 1921 l'incremento fu di 800mila nuovi immigrati, provenienti per due terzi dall'Europa meridionale e orientale), portò la politica americana a varare, dopo la diminuzione del bisogno di manodopera, alcuni provvedimenti che ponessero un argine all'immigrazione. Il cosiddetto "Quota Act", del 19 maggio 1921, si proponeva di mettere un freno al numero di migranti ammesso annualmente, e per nazionalità, al 3 per cento del numero dei rispettivi connazionali stabilitisi negli Stati Uniti nel 1910. Questa prima quota limitò l'emigrazione italiana a 42mila individui ammessi.
Similarmente agli Stati Uniti, il colore della pelle aveva
un peso significativo anche in Australia, dove sempre i siciliani venivano considerati “semi-coloured”. La forte discriminazione, portò il primo governo in carica, collegato a quello inglese, a formare una società di etnia anglo-celtica operando un programma politico definito della "White Australia".
Diverso, ma non meno carico di pregiudizio, l'epiteto
che gli emigranti nostrani si erano guadagnati in Brasile, dove il flusso migratorio provocò notevoli conflitti con i locali: considerati commercianti disonesti, venivano definiti "carcamano" dal gesto di calcare la mano alterando il peso misurato dalla bilancia.
La maggior parte di loro, era alla ricerca di un lavoro qualsiasi, anche con
paghe da fame. In pochissimi riuscivano a mettere su un'attività commerciale, che tuttavia diveniva bersaglio della follia xenofoba, che distruggeva i negozi di immigrati italiani. La miseria e la rabbia, condusse molti di loro, soprattutto negli Stati Uniti, a entrare nella cerchia della malavita locale, seminando però il pregiudizio su tutta la comunità. Contro i nostri connazionali, si scagliò l'opinione pubblica, che li considerava tutti sovversivi, anarchici, camorristi, mafiosi, assassini.

VITTIME INNOCENTI
I singoli fatti di cronaca, in cui capitava fossero coinvolti criminali italiani soprattutto in America, a cui la stampa dava enorme spazio e allarme, scatenavano così violente ondate di razzismo, da sfociare in più di un'occasione in linciaggi di gruppo verso innocenti o incarcerazioni e condanne a morte sommarie.


IL MASSACRO DI NEW ORLEANS.
Uno dei più drammatici e feroci attacchi contro italiani che si ricordi, è quello del 1891 a New Orleans. Nella zona, dove molta manodopera italiana era stata impiegata nei campi di cotone, con turni massacranti per sostituire gli schiavi neri affrancati da una legge, un gruppo di siciliani venne ritenuto responsabile, senza prove, di un omicidio. Ma la loro assoluzione a seguito di regolare processo provocò l'inferno. La popolazione locale, non soddisfatta del verdetto, si riversò in strada per un linciaggio. Una folla inferocita di 20mila persone, prelevò dal carcere gli 11 italiani e li trucidò senza pietà, per un reato che non avevano commesso.
Ma mentre il presidente americano dell'epoca, Harrison, per aver osato definire il linciaggio "un'offesa contro le legge e l'umanità" rischiava l’incriminazione, i giornali tentavano di giustificare l’accaduto con la "natura" negativa degli immigrati che lì approdavano: "Il clima mite, la facilità con la quale ci si può assicurare il necessario per vivere e la natura poliglotta dei suoi abitanti hanno fatto sì che, sfortunatamente, questa parte del Paese sia stata scelta dai disoccupati e dagli emigrati appartenenti alla peggiore specie di europei: i meridionali italiani (…) Gli individui più pigri, depravati e indegni che esistano (…). Tranne i polacchi non conosciamo altre persone altrettanto indesiderabili".

IL MASSACRO DI AIGUES-MORTES.
Il 17 agosto 1893 nove operai italiani vengono linciati a morte da una folla inferocita, nelle saline di Aigues-Mortes, in Camargue, Francia. Il massacro si consuma, dopo una violenta caccia all'italiano, da parte dei manovali francesi che provoca la morte di un numero imprecisato di emigrati piemontesi, lombardi, liguri, toscani. Il sindaco del paese, si impegna ad alimentare l'odio, cavalcando le proteste dei lavoratori locali, emanando anche atti ufficiali a sfondo razzista, che affiggerà poi anche sui muri della cittadina.

LA STORIA DI SACCO E VANZETTI.
La vicenda giudiziaria di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti ha ispirato film e libri. E' quella di due anarchici immigrati negli Stati Uniti che, nel 1920, arrestati, sull'onda della molta intolleranza verso gli italiani, con la falsa accusa di aver ucciso, nell'ambito di una rapina, un cassiere e una guardia dell'officina di South Braintee. Sottoposti ad un processo senza prove, i due vengono condannati a morte e uccisi sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927, nel penitenziario di Charlestown, presso Dedham.
A sentenza ormai eseguita, si scopriranno poi le prove della loro innocenza e il vero colpevole. Tuttavia, solo nel 1977 Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, riconosce ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilita completamente la memoria dei due anarchici.


NELLE BARACCHE TRA I GRATTACIELI
"Come vivono gli italiani nei peggiori bassifondi", foto di Jacob Riis, scattata in Jersey Street nel 1897 ed esposta al Museum of the City of New York. Scrive Adolfo Rossi, autore nel 1894 di Un italiano in America: "A New York c'è quasi da vergognarsi di essere italiani. La grande maggioranza dei nostri compatrioti, formata dalla classe più miserabile delle provincie meridionali, abita nel quartiere meno pulito della città, chiamato i Cinque Punti (Five Points). È un agglomeramento di casacce nere e ributtanti, dove la gente vive accatastata peggio delle bestie. In una sola stanza abitano famiglie numerose: uomini, donne, cani, gatti e scimmie mangiano e dormono insieme nello stesso bugigattolo senz'aria e senza luce. In alcune case di Baxter e Mulberry Street, è tanto il sudiciume e così mefitica l'atmosfera da far parere impossibile che ai primi calori dell'estate non si sviluppi ogni anno un colera micidialissimo."
IMMIGRATI ITALIANI: UNA STANZA PER DORMIRE,LAVORARE,CUCINARE
Nella foto di Jacob Riis scattata a Bayard Street nel 1888, un gruppo di italiani ammucchiati in una sola stanza in un condominio di Bayard Street. Scriveva lo stesso Riis nel libro "Così vive l'altra metà": "i rapporti di polizia che parlano di uomini e di donne che si uccidono cadendo dai tetti e dai davanzali delle finestre mentre dormono, annunciano che si avvicina l'epoca delle grandi sofferenze per la povera gente. È nel periodo caldo, quando la vita in casa diventa insopportabile per dover cucinare, dormire e lavorare tutti stipati in una piccola stanza, che gli edifici scoppiano, intolleranti di qualsiasi costrizione. Allora una vita strana e pittoresca si trasferisce sui tetti piatti. [...] Nelle soffocanti notti di luglio, quando quei casermoni sono come forni accesi, e i loro muri emanano il caldo assorbito di giorno, gli uomini e le donne si sdraiano in file irrequiete, ansanti, alla ricerca di un po' di sonno, d'un po' d'aria. Allora ogni camion per la strada, ogni scala di sicurezza stipata, diventa una camera da letto, preferibile a qualsiasi altro luogo all'interno della casa. [...] La vita nei caseggiati, in luglio e agosto, vuol dire la morte per un esercito di bambini piccoli che tutta la scienza dei medici è impotente a salvare".
SVIZZERA 1962: IMMIGRATI ITALIANI IN 16 IN UNA STANZA
Nella foto Murat, archivio del "Corriere della Sera", la stanza in cui nel 1962 vivevano alcuni immigrati italiani a Ginevra. La didascalia scritta dal fotografo dietro la stampa precisa: "la stanza misura 7 metri per 4 e vi sono sistemati 16 operai. Ciascuno di essi paga, al mese, per il materasso, 60 franchi, ossia 8640 lire". Vale a dire, secondo l'ultima valutazione delle lire 2001, circa 150 mila lire. Il padrone incassava dunque, per una camera, due milioni e mezzo. Nella stessa stanza facevano anche da mangiare.
SVIZZERA 1962: CATAPECCHIE DEGLI IMMIGRATI ITALIANI
Nella foto Murat, archivio del "Corriere della Sera", alcune baracche abitate da emigrati italiani nel quartiere "Praille" a Ginevra. Era il 1962. L' Italia era in pieno boom. Anzi: Luciano Benetton avrebbe raccontato qualche anno dopo che in Veneto "c'era già chi si lamentava: il boom è sgonfio"
SVIZZERA 1962: BARACCHE DEGLI IMMIGRATI ITALIANI TRA IL PATTUME
Nella foto Murat, archivio del "Corriere della Sera", alcune baracche abitate da emigrati italiani nel quartiere "Praille" a Ginevra. Era il 1962. L'anno in cui esplodevano i Beatles, Sean Connery girava "007, licenza di uccidere" e la Juventus era pazza di Omar Sivori.
IMMIGRATI ITALIANI: BELGIO, anni '60
Foto di "Oggi" 5-3-1964. La didascalia spiega: "Un bimbo italiano ritratto nella desolata zona di Lanklaar, dove i tedeschi avevano creato un campo di concentramento per i prigionieri guerra sovietici. In queste squallide baracche vivono 35 famiglie di nostri connazionali (..) insieme con emigrati greci, spagnoli e turchi"
EMIGRANTI ITALIANI A GINEVRA 1973: UN LAVANDINO OGNI 16 PERSONE
Nella foto di "Sorrisi e Canzoni", emigranti italiani a Ginevra nel 1973. La didascalia spiega che dormono in 32 per ogni baracca e hanno un lavandino ogni 16 persone.
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