derby
...c'era una volta un vecchio signore che portava due bisacce, una dietro le spalle che conteneva le proprie disavventure, una davanti al volto che conteneva quelle degli altri, sicuramente quel vecchio signore che si considerava saggio era di fede romanista!
Questa che segue è da leggere attentamente da parte dei romanisti, che gli insegni qualcosa!
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Dedicata a Cristiana ed Andrea, Treccia fatti ambasciatore)
Il laziale ha un particolare stato interiore, insieme critico, stoico e snobistico, condito di un pizzico di follia. Eternamente sobrio, programmaticamente distante, cosciente della caducità del successo, incapace di caciara per più di due giorni di fila. Non è, il suo amore per la squadra, qualcosa di incondizionato, roccia a prescindere dalla realtà, bensì una sorte di inalienabile coscienza, un atavico sapere che la gloria si conquista a prezzo di fatiche, pazienza, classe mal ripagata, campioni sprecati, disgrazie sopportate, attese piene di compunzione.
La Lazio è Remo, quello fra i due gemelli all’origine di Roma, che non scelse la spada, l’elmo e il cimiero. Quello che preferiva la verde campagna laziale, l’alto volo degli uccelli, il valore del pensiero.
Uno speciale sopportatore di disgrazie, indolente, sarcastico, elegante. Uno di stile, forse malinconico, che se vince non te la fa pesare. Chiamato allo sfottò, sta ad alti livelli, eppure preferisce l’astensionismo snob, lo “stile Lazio”.
La dignità laziale è una pennellata di nobile senso della tragedia, rammenta il concetto di tracotanza dell’eroe greco, che, giunto troppo in alto, subisce l’invidia e la vendetta degli dei.
I laziali, dopo tante sfortune patite, acchiappano la vittoria e sanno, nello stesso momento, che basta un niente per portargliela via. Ma non cambierebbe la sua squadra con nessun’altra al mondo. Lui non ama la sua squadra senza discutere, ma discute e critica. E’ triste ma non frustrato.
[Modificato da anemy 12/02/2005 11.08]