Pregare per gli Ebrei è un dovere Cristiano

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Cattolico_Romano
00martedì 22 settembre 2009 18:58
Ringrazio la sorella Caterina per questi interessanti testi:

Ennesima discussione sulla Preghiera verso gli Ebrei!




L'attacco contenuto in un editoriale per il mensile dei gesuiti "Popoli"
"Sulla preghiera per la conversione degli ebrei sono mancate le risposte della Cei"

Papa, l'accusa del rabbino di Venezia

"Con lui cancellati 50 anni di dialogo"

                                               
 
ROMA - Con Benedetto XVI, la Chiesa sta cancellando i suoi ultimi "cinquanta anni di storia" nel dialogo tra ebraismo e cattolicesimo: a lanciare la critica è il rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, che - in un editoriale per il mensile dei gesuiti "Popoli", ha spiegato i motivi che hanno portato il rabbinato italiano a non partecipare alla prossima Giornata sull'ebraismo, indetta per il 17 gennaio dalla Conferenza espiscopale.

Il rabbino di Venezia ricorda innanzitutto la decisione di Benedetto XVI di reintrodurre, con il messale pre-conciliare, la preghiera del Venerdì Santo per la conversione degli ebrei. Il rabbinato italiano - riferisce Richetti - ha chiesto spiegazioni ed un ripensamento: con risposte ufficiose, "una risposta della Conferenza episcopale, sia pure sollecitata, è mancata", e la Chiesa - afferma l'esponente ebraico - ha fatto presente che "gli ebrei non hanno niente da temere", in quanto "la speranza espressa dalla preghiera 'Pro Judaeis' è 'puramente escatologica', è una speranza relativa alla 'fine dei tempi' e non invita a fare proselitismo attivo".

"Queste risposte - osserva tuttavia Richetti - non hanno affatto accontentato il Rabbinato italiano. Se io ritengo, sia pure in chiave escatologica, che il mio vicino debba diventare come me per essere degno di salvezza, non rispetto la sua identità. Non si tratta, quindi, di ipersensibilità: si tratta del più banale senso del rispetto dovuto all'altro come creatura di Dio".

"Se a ciò aggiungiamo - aggiunge Richetti - le più recenti prese di posizione del Papa in merito al dialogo, definito inutile perchè in ogni caso va testimoniata la superiorità della fede cristiana, è evidente che stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa".


Poi la conclusione, durissima: "In quest'ottica, l'interruzione della collaborazione tra ebraismo italiano e Chiesa è la logica conseguenza del pensiero ecclesiastico espresso dalla sua somma autorità".

(13 gennaio 2009)
FONTE REPUBBLICA


Si riapre dunque la polemica...

Il contributo dell'amio Daniele:

Siamo alla follia pura: secondo il rabbino, credere e pregare che l'adesione alla verità sia presupposto di salvezza implica non rispettare le persone di altra religione. Il che, trasposto nella quotidianità, equivale a dire: se io ritengo che un mio amico sia in errore, consigliare o desiderare che si corregga è un'offesa nei suoi confronti.

Naturalmente questo principio è valido a senso unico, cioè solo da parte dei cattolici, perché gli Ebrei, nella loro dottrina (per chi ancora la professa) dicono senza problemi il contrario. Anche ammesso che le preghiere ebraiche non si riferiscano ai cristiani, esse, seguendo il ragionamento del rabbino, sarebbero ingiuriose nei confronti degli "adoratori degli idoli", quindi, per esempio, degli induisti o degli animisti.
O si vogliono fare, come sembra, due pesi e due misure? Dovremmo forse pensare che ebraismo e cristianesimo sono equivalenti dal punto di vista della salvezza? Ma in questo caso il sacrificio di Cristo e la nostra fede sarebbe vana! Ciò che mi stupisce non è questo, ma il fatto che una rivista cattolica ospiti interventi di questo genere, ingiuriosi verso la persona del Santo Padre e deliranti sul piano delle argomentazioni, oltre che pervasi di spirito anticristiano. Se non che, se tenessi bene a mente la deriva dei Gesuiti negli ultimi anni, probabilmente non mi stupirei più.


C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: 'Avranno rispetto di mio figlio!' Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: 'Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità'. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?". Gli rispondono: "Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo". E Gesù disse loro: "Non avete mai letto nelle Scritture:

    La pietra che i costruttori hanno scartata
    è diventata testata d'angolo;
    dal Signore è stato fatto questo
    ed è mirabile agli occhi nostri?

Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà". Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.

(Mt. 21, 33-45)

L'interpretazione di questa parobola è talmente evidente che né i discepoli né la folla chiedono spiegazioni e il Vangelo non ne fornisce. Il padrone è Dio. La vigna potremmo identificarla con il suo messaggio, la sua verità, il suo regno sulla terra. I vignaioli cui viene affidata in un primo momento la vigna sono il popolo ebraico. I servi sono i profeti dell'antico Testamento, che furono da esso respinti, derisi o uccisi. Il figlio è il Messia, cioè Gesù Cristo. Dopo la sua uccisione (che viene compiuta non tanto per ignoranza quanto per malizia, allo scopo cioè di mantenere per sé la vigna, ossia, fuor di metafora, lo status di popolo eletto), la vigna viene tolta ai vignaioli omicidi e consegnata a un popolo che lo farà fruttificare, vale a dire la santa Chiesa, nella quale si compiono e si realizzano le profezie universalistiche di cui è permeato l'antico Testamento.

Di conseguenza, pensare, come purtroppo mostrano di fare alcuni cattolici, che l'antica alleanza non è mai stata revocata oppure che la religione ebraica e la religione cristiana sono equivalenti in ordine alla salvezza (sul piano oggettivo, ovviamente) significa non solo ignorare la secolare dottrina della Chiesa, ma anche mettersi contro l'esplicito senso del Vangelo.

mercoledì 14 gennaio 2009

Pregare perchè gli ebrei trovino il Messia non è peccato.

San Paolo predica agli ebrei nella sinagoga di Damasco - mosaico XII sec.Sorpreso e stupefatto del ragionamento espresso su POPOLI dal rabbino capo di Venezia, persona non solo intelligentissima ed erudita (ma pensavo anche maggior conoscitore della nostra religione cristiana) per giustificare il ritiro da parte ebraica dalle celebrazioni del 17 gennaio.
Invece di denunciare problemi "politici" sul papa Tedesco, la sua difesa per Pio XII che tanto infastidisce, e la sua volontà di visitare Israele, ma senza dargli alcun aiuto nella attuale guerra (anzi esprimendo il suo rammarico e sgomento per quanto avviene a Gaza), ecco che si riesuma la questione della preghiera del Venerdì Santo.
Incredibile ma vero. Ci si attacca al cavillo liturgico per non parlare di ben altri, e ben più concreti problemi a livello di dialogo.
Non ci siamo proprio, e ora cerchiamo di spiegarci.

1) Che i cristiani preghino perchè i fratelli ebrei possano trovare il Messia, non mi pare per nulla uno scandalo. Gli stessi ebrei continuano a pregare perchè il Signore mandi il Messia atteso. Fin qui nulla di strano.

2) Il Messia per i cristiani ha un nome: Gesù, il Cristo, appunto. La loro fede impone loro di sperare che tutti gli uomini lo riconoscano, non solo escatologicamente, ma anche storicamente, ebrei compresi, perchè possano giungere alla pienezza della verità.

3) Questo non è un insegnamento dettato da proselitismo o passibile di revisione da parte di qualsivoglia Concilio o Papa: è un insegnamento neotestamentario, esplicitamente citato dalle lettere di San Paolo, che per tutti i cristiani di ogni confessione sono parte della Rivelazione fondante.
Ecco solo una sintesi dei capp. 9-11 della Lettera ai Romani, che mostra la teologia di Paolo (e il suo amore) per il Popolo della prima Alleanza:

Dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen. (Rm 9,1-5)

Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera sale a Dio per la loro salvezza. (Rm 10,1)

Ora, il termine della legge è Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede. (Rm 10,4)

Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l'invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. (Rm 10,11-13)

Io domando dunque: Dio avrebbe forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! Anch'io infatti sono Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino. Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio. (Rm 11,1-2)

Ora io domando: Forse inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta ai pagani, per suscitare la loro gelosia. Se pertanto la loro caduta è stata ricchezza del mondo e il loro fallimento ricchezza dei pagani, che cosa non sarà la loro partecipazione totale!
Pertanto, ecco che cosa dico a voi, Gentili: come apostolo dei Gentili, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione, se non una risurrezione dai morti?
(Rm 11,11-15)

Quanto al vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! (Rm 11,28-29)

Come si può notare, non è questione di cambiare una preghiera, ma ci si chiede di far finta che le pagine dell'Apostolo siano "sorpassate".

4) Quando mai - mi chiedo - Paolo VI, che ha certo reiterato il divieto di imporre il cristianesimo (cosa vietata fin dall'inizio) avrebbe proibito di proporre la fede a chiunque, ebrei compresi, che anzi sono di diritto i primi destinatari dell'annuncio? (Proprio lui, l'autore di Evangelii Nuntiandi!).

5) A parte la preghiera del Venerdì Santo "mediaticamente sovraesposta", vorrei segnalare ben altre e numerose preghiere per la conversione degli ebrei presenti nella liturgia cattolica. Non solo nelle preghiere dei fedeli della Messa nell'Orazionale, ma soprattutto nella Liturgia delle Ore, la preghiera che tutta la Chiesa recita quotidianamente.


Per es. :

a) Intercessioni vespri della Trasfigurazione: Hai voluto accanto a te Mosè ed Elia come testimoni della Trasfigurazione, - illumina il popolo dell'antica alleanza perché giunga alla pienezza della redenzione.

b) 29 dicembre lodi, invocazioni: Per la gloria del tuo Figlio, atteso dai patriarchi e dai profeti, desiderato da tutte le genti, - salva il popolo dell'antica alleanza.

c) 31 dicembre lodi, invocazioni: Cristo, Uomo-Dio, Signore e figlio di Davide, che hai dato compimento alle parole dei profeti, - fa' che il popolo d'Israele riconosca in te il Messia e Salvatore.

d) Domenica di Risurrezione (Pasqua del Signore), intercessioni: Il popolo ebraico riconosca in te il Messia atteso e sperato, - tutta la terra sia piena della tua gloria.

e) Ugualmente nella III domenica di Pasqua, II vespri, intercessioni: Il popolo ebraico riconosca in te il Messia atteso e sperato, - tutta la terra sia piena della tua gloria.

Ce ne saranno altre ma queste sono sufficienti. Più chiaro di così!
Lasciamo stare la povera preghiera del Venerdì Santo, che si è davvero ridotta nel messale di Paolo VI all'ombra di se stessa, ma è risuscitata in una quantità di preghiere figlie, ben più esplicite, frutto della riforma tanto lodata in questi anni post-conciliari di dialogo.
 

Le preghiere citate non le ha fatte papa Benedetto. E allora finiamola di cavalcare la liturgia per mostrare i "passi indietro" nel dialogo interreligioso.
Suvvia, Rav Richetti, non si dispiaccia se come cristiani aneliamo all'unità con il popolo che il Signore ha scelto per primo e mai revocato.
Noi, dopotutto, non possiamo esistere senza di voi e senza pensare continuamente a quello che da Israele abbiamo ricevuto.

Cattolico_Romano
00martedì 22 settembre 2009 18:58

Tre errori sulla preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo


Spiegazione di padre Remaud, esperto di studi ebraici


di Anita S. Bourdin


ROMA, venerdì, 23 gennaio 2009 (ZENIT.org).- La preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo secondo il rituale di Giovanni XXIII non dice “preghiamo per la conversione degli ebrei”, ma “preghiamo per gli ebrei”, sottolinea a ZENIT padre Michel Remaud, direttore dell'Istituto Cristiano di Studi Ebraici e di Letteratura Ebraica di Gerusalemme.


In occasione della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani, dal 18 al 25 gennaio, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha istituito una giornata di dialogo con l'ebraismo il 17 gennaio. I rabbini italiani non hanno partecipato a causa dell'approvazione papale di questa preghiera.


Il testo dell'Ufficio della Passione del Venerdì Santo in latino, autorizzato per il suo uso “straordinario” da Benedetto XVI e utilizzato per la prima volta nella preghiera universale del Venerdì Santo del 2008, non dice “Oremus pro conversione Judæorum”, ma “Oremus et pro Judæis”, dopo la soppressione della parola “perfidis”, quasi cinquant'anni fa, da parte di Papa Giovanni XXIII.

“In un terreno così delicato” come quello dei rapporti tra cristiani ed ebrei, padre Remaud raccomanda di “essere rigorosi”.


Per il sacerdote, la questione è la seguente: “il cristiano che esprime la propria fede utilizzando le formule del Nuovo Testamento deve essere accusato di volontà di conversione quando dialoga con gli ebrei?”.

L'esperto sostiene inoltre l'importanza di tener conto degli elementi liturgici del dibattito. In questo senso, afferma, i giornali hanno spesso commesso tre errori.


Non è una questione legata alla Messa in latino


In primo luogo, non è una questione legata alla “Messa in latino”, perché anche questa si celebra secondo il rituale successivo al Concilio Vaticano II, approvato da Paolo VI.

E' una versione che si usa molto nelle assemblee internazionali, a Lourdes e a Roma, ad esempio. Non si tratta, dunque, di scegliere tra la “Messa in latino” e quella nella lingua nazionale. Questa, osserva padre Remaud, è una falsa pista.

“Per definire il rituale anteriore alla riforma del 1969 – sottolinea il sacerdote –, i giornalisti hanno creato l'espressione, comoda ma inadeguata, di 'Messa in latino'”.

In realtà, avverte, ciò che distingue l'antico rituale non è l'uso del latino, “perché il Messale promulgato in applicazione della riforma conciliare è redatto originariamente in latino, e si usa contemporaneamente alle sue traduzioni nelle lingue vive”.


Non è una questione legata alla Messa


Non è nemmeno un problema di “Messa”, aggiunge, perché nel giorno del Venerdì Santo non si celebra la “Messa”, ma l'Ufficio della Passione. Ecco, quindi, un'altra falsa pista.

Quando non si celebra la Messa, la liturgia introduce, tra le altre, una preghiera per i nostri “fratelli maggiori”, secondo la formula usata da Giovanni Paolo II nella sinagoga di Roma il 13 aprile 1986.

“E' una preghiera 'universale' per tutta l'umanità – spiega padre Remaud –. L'ufficio proprio di quel giorno include una lunga serie di preghiere in cui si raccomandano a Dio tutte le categorie dei credenti (e anche i non credenti) che compongono l'umanità”.


“Fino al 1959 – aggiunge – si pregava, tra le altre intenzioni, in latino, 'pro perfidis judæis'”, ma “anche dopo la soppressione dell'aggettivo 'perfidis' da parte di Giovanni XXIII, la preghiera ha continuato a impiegare formule che potevano ferire gli ebrei”.

“Perfidi” non aveva in latino il senso dispregiativo che ha poi assunto nelle lingue volgari. Letteralmente deriva da “per” e “fides”, ossia colui che resiste o rimane nella sua fede.


La formula “è caduta in disuso alcuni anni dopo con la promulgazione del Messale cosiddetto di Paolo VI”, in parte a causa del significato peggiorativo assunto.

Giovanni Paolo II, nel 1984, ha autorizzato l'uso dell'antico Messale per i seguaci dell'Arcivescovo Marcel Lefebvre che erano tornati alla comunione con Roma.

L'antica formula, quindi, è stata usata per 24 anni da alcune comunità cattoliche senza che nessuno protestasse, sottolinea padre Remaud.


Il motu proprio Ecclesia Dei rimanda alla lettera
Quattor Abhinc Annos, che dice letteralmente: “Il Santo Padre, nel desiderio di andare incontro anche a codesti gruppi, offre ai Vescovi diocesani la possibilità di usufruire di un indulto, onde concedere ai sacerdoti insieme a quei fedeli che saranno indicati nella lettera di richiesta da presentare al proprio Vescovo, di poter celebrare la S. Messa usando il Messale Romano secondo l'edizione del 1962 ed attenendosi” a quattro norme, tra cui il fatto che “queste celebrazioni devono essere fatte secondo il Messale del 1962 ed in lingua latina”.


Prima di dare la sua autorizzazione, Benedetto XVI ha chiesto un'altra modifica, “proibendo anche a quanti usano a titolo eccezionale il Messale anteriore al Concilio di tornare a utilizzare queste espressioni”.

“Paradossalmente – fa notare l'esperto –, è proprio la decisione di correggere una formula giudicata inaccettabile e utilizzata da un numero molto ristretto di cattolici [una volta all'anno] ad aver suscitato tanta indignazione”.


Non esiste la parola conversione


C'è un'ultima “falsa pista” nata nel dibattito sulla preghiera: la parola “conversione”.

Padre Remaud sottolinea che “tutto il dibattito suscitato da questa decisione si è concentrato su una parola che non figura nel testo, la 'conversione'”, e che “chiedere a Dio di illuminare i cuori è una cosa, esercitare pressioni sulla gente per cercare di convincerla è un'altra. La differenza è più che nella sfumatura”.

Per questo, pone una domanda “più fondamentale”: se il cristiano considera Gesù “il Salvatore di tutti gli uomini” ed esprime questa convinzione nella sua liturgia, gli si può impedire il dialogo con quanti non condividono la sua fede?”.


[Il testo integrale della preghiera modificata da Benedetto XVI nel 2008: “Preghiamo per gli Ebrei. Il Signore Dio Nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo Salvatore di tutti gli uomini. Dio Onnipotente ed eterno, Tu che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi propizio che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo”]

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