Piero Chiara

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sergio.T
00martedì 5 febbraio 2008 12:08
Piero Chiara nacque nel 1913 a Luino, un antico borgo medievale sul lago Maggiore in prossimità del confine con la Svizzera. Il padre era originario della Sicilia, mentre la madre proveniva da Comnago, paese sulla sponda piemontese del Lago Maggiore.

Studia in diversi collegi religiosi abbandonando gli studi classici e completando la propria formazione culturale da autodidatta dopo aver trascorso un breve periodo in Francia.

La vita di provincia gli piace, il suo lavoro nella pubblica amministrazione gli consente di trascorrere le giornate al bar tra un caffè ed un biliardo. Non è mai stato un estremista o un pericoloso ribelle, ma i tempi ormai sono maturi anche per un tranquillo impiegato ozioso di provincia: è il 1944, Piero ha trenta anni ed il Tribunale Speciale Fascista emette un mandato di cattura. Opta quindi per una comoda fuga nella vicina Svizzera.

Si è trattato di un vero colpo di fortuna, avrà a dire in seguito: lui che non è stato mai un intransigente antifascista rientra in Italia nel 1946 e si trova dalla parte giusta che fa la storia e la cultura. Altri suoi amici d'infanzia non saranno così fortunati, al suo ritorno loro non ci saranno.

Inizia un periodo di fervida inventiva e continua creatività: mirabili sono i suoi racconti, degni del miglior Giovannino Guareschi o del più celebrato e stravagante Italo Calvino. Il suo successo culmina nel 1976 con il capolavoro La stanza del vescovo che diventerà immediatamente un film di grande successo, interpretato da Ugo Tognazzi e Ornella Muti per la regia di Dino Risi.

Morirà dieci anni dopo, a Varese.
sergio.T
00martedì 5 febbraio 2008 12:09
Finalmente e' uscito il suo Meridiano. [SM=g8431]
mujer
00mercoledì 6 febbraio 2008 09:40
E' proprio il momento di leggere un Chiara, appena finito il mattonazzo da 900 pagine!! (che è carico ma mi prende, ma 900 pag. sono decisamente troppe per me abituata a saltellare da un volume all'altro)
Chiara, chiaro anelo alla leggerezza.
sergio.T
00mercoledì 6 febbraio 2008 11:02
stasera forse sono a milano e dunque se vedo una libreria me lo compro. Sicuro.
Per me vedere l'uscita in Meridiano di Chiara e' stata una puacevolissima sorpresa.
E' un libro che non puo' assolutamente mancarmi.
Cristo d'un Dio! ( allo Zola) ma quanto costa!!!
sergio.T
00mercoledì 6 febbraio 2008 12:13
Un Piero Chiara da amare
Storie di Chiara, storie di lago, storie di paesi.
Storie di persone comuni, di montanari, di trattorie e baretti; storie di giornate nebbiose o primaverili, di prati e montagne; storie tristi e storie comiche.
Lontane dal mondo e dal suo caos moderno; un tuffo nel passato, in quello che eravamo, in quello che credevamo, in quello che era semplice vita.
Lontane dai miti, dai simboli, dagli staus, dal tran tran frenetico, da false relazioni, da finte mode, da apparenze di denaro, da ambizioni, da velleita' artificiali; lontanissime da quella variegata ed infinita moltitudine di manichini, di caricature,di attoruncoli quali sono diventati gli uomini d'oggi in citta'.
Vicinissime, invece, a quel giusto tempo, a quel giusto spazio, a quel giusto ritmo, diventati poi, un " c'era una volta".
Ah, che maledizione! avevamo tanto e abbiamo perso tutto.
Lo abbiamo venduto.
Ci rimangono queste storie autentiche, ci rimane il leggerle con passione, ci rimane questo Chiara, autore e scrittore da amare, se ancora ne siamo capaci.
sergio.T
00lunedì 11 febbraio 2008 09:28
Buzzati, maestro del racconto, teneva sulla sua scrivania al Corriere della Sera, un racconto di Piero Chiara da fare leggere a chi lo doveva attendere un poco di tempo.
Diceva: Un racconto ideale? un racconto di Piero Chiara.
sergio.T
00lunedì 11 febbraio 2008 11:20
E' il racconto orale l'esatta misura della narrazione: Chiara ricorda di come davanti al focolare ci si raccoglieva ad ascoltare un racconto.
La misura giusta sta nella pazienza dell'ascoltatore e nel fiato dell'oratore.
Il racconto come arte misuratamente perfetta.
sergio.T
00martedì 12 febbraio 2008 09:04
Con la faccia per terra e altre storie: questa raccolta pubblicata negli anni 50 e' una dedica al " ricordo" e al padre.
Sono questi i due temi principali.
Su tutti Fino a mezzanotte e il bellissimo Era d'inverno.

sergio.T
00martedì 12 febbraio 2008 09:15
Era d'inverno
Era d'inverno e' qualcosa di stupendo.
Soltanto, come dice la presentazione dei Meridiani, un grande scrittore poteva scrivere un racconto simile.
Un racconto di due tre pagine, ma perfetto, completo, assoluto, dolce, amaro, felice, triste: una splendida fotografia di racconto come diceva Cortazar ( cif. Prefazione).
Era d'inverno vale mille romanzi, su questo non si discute.

Ed e' in queste occasioni che ci chiede : da dove nasce quest'arte perfetta in poche parole ?; quali sono le corde giuste da pizzicare?
Nel caso di Chiara e' semplicissimo rispondere: Era d'inverno e' il ricordo di una serata con il padre davanti al focolare, in una saletta con una finestra dalla quale si ossserva il mondo nella massime e minime cose.
E' una serata tranquilla nella quale si sta volentieri a casa e' una serata certa, assoluta, alla quale non manca niente.
Si chiacchera, si guarda il battello arrivare, si vede un postino, un messaggero passar per strada; si sente il freddo inverno in quel vento che spazza le rive; si vive un spaccato di " vita", insomma.
E tutto passa e tutto viene trasformato in ricordo che si rivive nel momento della memoria.
Ma quella certezza di vita ( come Chiara dice) in quale piega del tempo si nasconde ora? perche' quello che fu, quello che Era d'inverno, ora dov'e'? forse celato in un tempo che ci accompagna a fianco di noi ? un tempo che ancora siamo e sempre saremo?
Era d'inverno e' uno dei piu' belli racconti che si potevano scrivere e che si possono leggere.
Un racconto del cuore.
sergio.T
00martedì 12 febbraio 2008 09:49
Fino a mezzanotte
E' un racconto di un racconto del padre, sempre del padre.
Anni 1875, anni di superstizione, anni nei quali ci si aspettava anche la fine del mondo allo scoccare del 31 dicembre.
E allora nei paesi siciliani ci s'inventava feste orgiastiche, goliardiche, esorcistiche: l'attesa della morte era un'attesa dolce, festaiola, perche' come recita il proverbio, il male comune e' mezzo gaudio.
Si aspettava la fine con gli amici, i parenti: una fine di cui non si sapeva nulla, non si percepiva niente se non l'immaginazione del non essere piu'.
" Come sara' Fezzi'?" ci si chiedeva l'amico. Come sara' questa morte?
E nelle parole di Chiara e di suo padre, questa morte era vissuta come evento, come attimo sgravato di un peso responsabile: era la morte di tutti e quindi la morte di nessuno.
Ma la fine del mondo non arrivava, il mondo continuava, come continuava l'eterno circolo di nascita e morte individuale.
E' l'individuo ad essere chiamato a questi attimi: la nascita non e' una questione sociale e tanto meno lo e' la morte.
La morte e' individualista, e' un momento di responsabilita' dell'io
e non del noi.
Ma a distanza di tempo, anni lontani da quelli giovani e nei quali si veleggia nella vecchiaia, una tarda vecchiaia di 90 anni, quell'attimo si avvicina e non e' piu' una superstizione.
Si ha meno paura, si e' piu' sereni, si sa di essere vissuti abbastanza, ma in fondo, come un sussurro, ancora si sente una voce, una domanda : " come sara' Fezzi'? "
sergio.T
00martedì 12 febbraio 2008 14:41
Ti sento Giuditta! ( L'uovo al cianuro e altre storie)
Ti sento Giuditta! il piu' famoso racconto di Chiara, quello prediletto da Buzzati ( scusate se e' poco) e' un racconto intimo, particolare.
Un racconto che narra di quelle sensazioni vivissime, ma surreali; un racconto del mondo, ma al di la' di esso con quelle esperienze quelle che si credono o non si sentiranno.
Quel vento, presente in molte pagine di Chiara ( la nebbia, l'umidita', il freddo, il vento stesso, sono tutti protagonisti di colore e calore ), porta odori e con gli odori i ricordi.
Sono i ricordi, infatti, che raccontano: sono piccoli spunti, piccole associazioni, e' quel riaffiorire nella memoria di minimi episodi particolari, dettagli, piccole cose.
E' tutto un vorticare di sensazioni corporali e affettive: il ricordo in Chiara e' davvero presenza.
sergio.T
00martedì 12 febbraio 2008 14:46
L'innominabile.
Incomincia a fare capolino quel divertimento, quel comico, che contraddistinguera' alcuni racconti del grande scrittore di Luino.
Quel ridere di personaggi rustici, un po' popolani, un po' di tutti i giorni: quei personaggi che si incontrano nella vita e diventano - quasi per magia - simboli ed eroi dell'epopea della vita quotidiana.
Diventano dei riferimenti perche' in essi troviamo qualcosa di noi: piu' sono " caricature" e piu' gli si vuole bene.

Tra i modernissimi italiani, di primo istinto, ricordo solo un nome: quel Graziano Biglia di Ammaniti.
Gli altri si perdono nell'insulsaggine contemporanea.

sergio.T
00giovedì 14 febbraio 2008 09:35
Sono i ladri, un tema ricorrente in Chiara.
Ma ladri particolari, quasi simpatici.
Sono quei truffatori, borsaioli, personaggi poco chiari, dotati dell'arte di arrangiarsi nella vita, come il sig. Bernasconi.
Il tema ladresco e' folclore.

Oppure quei grandi rappresentanti dei sistemi: quel povero Turati, gerarca fascista investito da un'anguria.
Dileggio di un regime, disprezzo di un'ingiustizia sociale.
In Chiara il dissenso da qualcosa non prende mai toni striduli o troppo acuti: e' soft, elegante, calmo, come un lago di prima mattina.
Ma molto presente.


sergio.T
00giovedì 14 febbraio 2008 09:45
Oppure quel giusto prendere le misure, quell'allontanare persone sgradite.
I personaggi di Chiara sono vecchi "bonaccioni", persone giu' alla buona, alla mano, ma hanno il pizzico gisto e ben misurato di un orgoglio vivo.
Come quell'internato in un campo che fa ricorso alla commissione Federale per la propria scarcerazione.
Dileggiato dai responsabili del campo, divenne amico dei maiali ( li portava da mangiare) e di una scrofa in particolare.
Raggiunto dall' ordine di liberazione del Comando fascista, si svegliera'' alla mattina seguente nel campo per sbrigare le ultime cose, prima di lasciarlo definitivamente.
I responsabili cambieranno atteggiamento e dal disprezzo passeranno all'ossequio. E lui che fara'? non salutera' nessuno, non degnera' loro di nessun sguardo, di nessun riguardo; piuttosto, correra' veloce al porcile per salutare in pompa magna i suoi maiali e la sua scrofa.
E' questa una sorta di " cattiveria" alla Chiara: quella giusta vendetta di un'eleganza raffinata.
sergio.T
00giovedì 14 febbraio 2008 09:49
per un buon lettore sarebbe un disagio, una grave colpa, se non reato, non leggere i racconti di Chiara.
Racconti dolci, tranquilli, casarecci: racconti rustici buoni per ogni occasione.
Alla sera sul divano, su un treno mentre si viaggia, su una nave mentre si naviga.
Racconti buoni per ogni occasione, per ogni desiderio di " buona compagnia".
Questo Meridiano non e' nemmeno un libro di una collana, ma un compagno.
In poche parole: bisogna essere profondamente asociali, se non si legge un Chiara.
sergio.T
00giovedì 14 febbraio 2008 09:59
Chiara: un grande perche' non inventa niente.
L'umanita' di Chiara, pero', non e' un'umanita' tontolona, non e' un'umanita' all'insegna della benevolenza.
Se Chiara dipinge un'umanita' d'angolo - su quelle rive e su quelle montagne - lontane dal clamore, dalle dinamiche sociali, dalla competitivita' del sistema, da tutta una serie di prerogative di gruppo astratto ( ogni grande dimensione prende i connotati dell'astrattismo), nonostante, questo , Chiara dona, regala, ai suoi personaggi solitari, silenziosi, quieti ( come e' quieto un lago d'inverno!) quella giusta " miscela" di umanita' individualista.
I piccoli capricci, le piccole vendette, le minime bassezze; tradimenti, furti, litigate, invidie, gelosie, rancorucci, risentimenti fanno capolino.
Chiara non dipinge, ne' tanto meno e' cosi' sciocco dal pretenderlo, un uomo estraneo alla prorpia umanita', alla propria natura.
Seppur uomini di piccoli " angoli", di piccole visuali del mondo, questo micro universo conserva tutte le contraddizioni degli uomini, belli e meno belli, buoni e meno buoni.
In Chira non troviamo favole, ne' fiabe: troviamo vere storie, verissime storie.
In quel miracolo della scrittura ( come Lui disse) appare quello che " PRIMA" si e' vissuto.
Solo gli scrittori davvero grandi hanno l'umilta' di non inventare niente.
mujer
00giovedì 14 febbraio 2008 10:14
E' bello Piero Chiara perchè non fa altro che raccontare - e non è da tutti, pochissimi sono in grado di farlo come lui - una storia di quotidiana semplicità rendendola epica.
Ho letto Il balordo e la figura del Bordìga raccoglieva quei valori e quelle storie di "intrecci" popolari a cui tu fai riferimento; è riuscito a convergere in un personaggio tutte le vite, tutti i trascorsi di una storia provinciale.
Con tale semplicità, poi, che capisci che Chiara, come Buzzati, avevano l'occhio narrativo, la capacità di raccontare quello che la voce non riesce a dire.
Li leggerò i racconti, me li stai facendo amare.
sergio.T
00giovedì 14 febbraio 2008 10:53
La bellezza del vivere
Uno alla volta li leggerai, sono tanti i racconti di questo volume.
Chiara e' un realista, ma e' un realista moderato, quieto, come lo sono i suoi ambienti.
Esce di casa, si fa per dire, con circospezione e le sue passeggiate narrative nella " realta'" sono calde , hanno un gusto casareccio.
Non si allontana mai nell'astratto , rimane vicino, non allunga mai il passo.
I racconti di Chiara hanno il colore di " casa" ed e' questo che me li fa amare particolarmente.
I piccoli fatti, le piccole cose, le giornaliere quotidianita', il barista, il fruttivendolo, il notaio, il contadino, il ladro, il bar, il lago, una barca, le chiaccherate con gli amici, le donne di paese, la nebbia, il sole, il caldo, il vento, la fontana, la motoretta, una miriade di piccole cose mai assolute - in una parola- la bellezza di vivere , come intitolo' un suo racconto che parla " solamente" di pomeriggi passati al biliardo mentre il vento spazza le strade e di nottate a chiaccherare tra amici.
E' proprio questa la bellezza del vivere e la bellezza della sua narrativa.
sergio.T
00giovedì 14 febbraio 2008 11:20
Ho assistito alla vita qualche volta da seduto, qualche volta in piedi, partecipando al banchetto o rimanendo a bocca asciutta, ma sempre con grande piacere".
Piero Chiara
sergio.T
00venerdì 15 febbraio 2008 11:42
Il ponte di Queensboro
Un racconto molto bello.
Una storia surreale per sostenere una realta' ben fondata.
Una realta' che vede l'individuo, sempre ed in ogni caso, vittima di una societa' indifferente sia alla dignita' umana, sia alla vita individuale.
Una storia fantastica in cui si racconta la storia di un operaio di New York che rimane intrappolato, durante la costruzione, nel pilone di uno dei ponti della citta' americana.
Che fare? disfare il ponte significa milioni di dollari buttati via per la collettivita' ( questa e' la scusa ufficiale); lasciarlo morire e' impensabile, dunque che fare?
Ecco l'idea: un accordo tra la societa' privata e costruttrice e l'operaio stesso, che altri non era che un barbone, per far si che viva vita natural durante dentro al ponte a spese della societa'.
Scandalo!
Le associazioni umanitarie insorgono: chi sostiene la leggitimita' del contratto ( liberta' individuale), chi sostiene l'inattendibilita' assoluta.
Un individuo e' essenzialmente liberta' di spazio e dunque essendo essenziale a suo stesso essere, non puo' disporre della scelta di se medesimo.
In poche parole uno non e' piu' libero perche' troppo libero.

La storia si conclude in un modo inatteso: il barbone cambia idea, si fa liberare, e subito la societa' che aveva seguito il suo caso ( compreso le associazioni umanitarie ) lo dimenticano completamente e lui, povero operaio, ritornera' alla deriva della miseria e della poverta', ma libero!

Da riflettere.
mujer
00venerdì 15 febbraio 2008 12:07
Chè tema! Scrivere un racconto simile denota la capacità di Chiara di vedere oltre all'aspetto formale della storia.
Devo leggerlo assolutamente.
sergio.T
00venerdì 15 febbraio 2008 14:32
Due direzioni: che liberta' e' quella di essere solo un barbone?
che liberta' sociale e' mai quella che ti abbandona alla miseria, all'indigenza come un reietto?
e' liberta' elemosinare in mezzo all'opulenza sociale, borghese,capitalista?
L'operaio decide liberamente di rinunciare a questo tipo di finta liberta'.
Ma qui intervengono le associazioni umanitarie per i diritti umani universali.
E' morale quello che avviene?
L'individuo puo' liberamente compiere un atto consapevolmente immorale?
Puo' un individuo rinunciare alla sua liberta' sociale? a quella che noi crediamo essere liberta'?
L'altra direzione piu' ancora interessante: filosoficamente cos'e' l'individuo? L'essenza stessa dell'individuo e' la sua liberta' stessa da ogni vincolo restrittivo e dunque la liberta' come essenza contempla anche la liberta' di movimento in uno spazio, un individuo non puo' rinunciarci perche' non si tratta di un di piu' o di una facolta' di scelta, ma bensi' di essenza irrinunciabile.
Dunque questa liberta' non e' a disposizione dell'individuo, perche' rinunciarci significa rinunciare a se stesso.
In altre parole: un individuo non e' davvero libero perche', paradossalmente, troppo libero.
L'uomo inteso in questo tipo di assoluto non e' piu', dunque, un uomo e l'esasperazione di un umanesimo troppo acceso, porta inevitabilmente al suo contrario.
Il barbone non era uomo libero in una societa' capitalista che lo sfruttava e lo schiavizzava ai margini; non era un uomo libero nella sua scelta indipendente di rinunciare alla finta liberta', perche' proprio alcune tra le stesse associazioni umanitarie che difendevano un suo diritto ( quello della liberta'), capovolgevano all'estremo opposto il concetto di individuo libero, fino ad una aberrante perversione: l'individuo non e' libero di rinunciare alla propria liberta'.

sergio.T
00mercoledì 12 marzo 2008 10:28
La banca di Monate e' un racconto splendidamente chiaro che puo' essere solo di Piero Chiara.
sergio.T
00giovedì 13 marzo 2008 15:52
L'antifascismo in Chiara e nei suoi personaggi e' viscerale e non tanto ideologico.
Non c'e' una contrapposizione di " sinistra" o di un accenno comunista: semplicemente e' un'avversione d'istinto, direi, un anarchico rifiuto.
sergio.T
00giovedì 13 marzo 2008 15:54
Il Corduri non predica contro il fascismo: semplicemente non gli piacciono i fascisti.
Non c'e' uan riga di critica all'ideologia fascista.

Anche in altri racconti cosi' capita: il fascimo visto male, denigrato in nome di un approccio quasi di pelle.

Mi piace il senso di questo rifiuto.
comesientra
00giovedì 13 marzo 2008 17:25
Mi è successo di parlare con ultraottuagenarie pimpanti e dispotiche attendendo che l'onda irrefrenabile dei loro ricordi spiaggiasse dolori e perplessità inerenti il periodo da loro vissuto dal 25 al 45. Niente angoscia, uno sguardo in tralice a me che volevo, forse, parole di panza.
Eppure hanno avuto fratelli in campi di concentramento,
figli sgozzati sulla porta di casa, mariti "sperduti" in Russia (e dicono rrusssia come dicessero la luna...), ma alla mia domanda "Il fascismo ha colpa delle vostre tragedie?" mi guardano come fossi anch'io piovuta dalla luna. "Che centrano i fascisti? Gent grama..."
M'è sempre parso riduttivo che uno sconvolgimento grande come la guerra potesse aver lasciato in queste donne non il senso della tragedia, ma la voglia di attendere che " a sun mument ch'a passu i
viv" (sono momenti che passano i vivi) arrivasse il "dopo", sicuramente meglio, come in effetti è stato.
Son gente grama...(come dire quella c'è sempre: siamo mica così illuse da pensare che siano frutto della guerra!)E con piacere s'infervorano nel ricordo del piacere provato nel
ritornare ai balli senza scarpe, col foulard nuovo, al suono di fisarmoniche e clarinetti rabberciati nascosti nell'umidità di fienili
protetti più dei figli...
Che centra con Chiara? Devo aver letto qualcosa di suo assonante con
queste esperienze.
sergio.T
00venerdì 14 marzo 2008 09:40
Ciao Adriana.
Non so a quale racconto di Chiara ti riferisci, ma per farti un esempio, un attacco al fascismo in queso autore , e' la famosa anguria che rotola dal pubblico e va' a colpire in pieno petto l'esponente fascista durante un comizio.
Come vedi il comico come satira contro il regime fascista.
In Chiara, per quanto ho letto, non esiste una critica ideologica al fascismo: e' troppo intelligente per cadere nella solita retorica anti fascio.
I suoi racconti, poi, sono molto spesso, ambientati in quel periodo storico: tieni conto che molti degli italiani erano fascisti convinti , al contrario di quanto si creda.
Negli anni 80 non eravamo per caso tutti socialisti?
Gli italiani sono un popolo cosi': si entusiasmano per comodita' e convenienza; quando poi le cose vanno al contrario diventano tutti partigiani e resistenti e cambiano vento.
Craxi, idolo di prima, fu dimenticato in Tunisia e rinnegato da tutti: in perfetto stile italiano.
Poi sia chiaro: c'erano anche tanti italiani che hanno combattutto dall'inizio una battaglia per la liberta'e questo non va' disconosciuto.
sergio.T
00mercoledì 2 aprile 2008 09:51
Le prime 9 pagine del Il Piatto Piange, sono gia' di per se', un racconto.
Rileggere questo romanzo a distanza di anni, me lo fa ritrovare ancora in tutta la sua atmosfera.
sergio.T
00mercoledì 2 aprile 2008 09:57
Leggevo ieri sera sull'edizione Mondadori Classici moderni che i romanzi di Piero Chiara hanno venduto milioni di copie.
Non migliaia, ma milioni.

Bene.
Al di la' del fatto che questa e' cosa ovvia ( uno scrittore cosi' e' naturale che sia letto da milioni di persone), cosa meno scontata, e' che lui probabilmente non sapeva nemmeno di vendere cosi' tanto, e cosa ancora piu' probabile, non si preoccupava nemmeno tanto delle vendite.
Tutto il contrario, insomma, di quegli scrittori di oggi che non conteranno mai le milioni di copie ( chi vuoi mai che li legga?), ma stanno li' , attenti attenti, a contare le poche migliaia di copie del loro " compitino" vendute a destra e a manca e non contenti di questo, aprono addirittura blog per informarci delle splendide recensioni ( amichevoli) che hanno dai critici o presunti tali.
Morale: ad ognuno il suo. Chi milioni di copie, chi qualche obolo di elemosina...
sergio.T
00lunedì 7 aprile 2008 10:15
Paghen paghen!
L'antifascismo di Chiara e' sempre velato di sarcasmo e di ironia.

Occupazione dl nord Italia. I tedeschi si avvicinano, sono attesi, stanno arrivando e arrivano anche a Luino ( o in tutti i paesini montani)
Tutto si ferma, tutto chiude.
I negozi abbassano le serrande, le saracinesche rimangono abbassate: si attende la violenza dei tedeschi, i loro soprusi, i loro furti, le loro esecuzioni.
Due ufficiali nazisti passeggiano per la piazza del paese, si fermano davanti alle vetrine di una pasticceria ( uno dei pochi negozi ancora aperti e che sta chiudendo per paura proprio in quel momento); vedono esposte delle paste, parlano tra loro ed entrano.
Il paese assiste alla scena con il fiato sospeso: ci si aspetta da un momento all'altro l'esecuzione della prestinaia, gli spari prepotenti.
I due ufficiali nazisti indicano le paste e portano le mani alle tasche: la tensione sale, fuori dal negozio i paesani riamngono muti.
Uno tra loro, Blasetti, vede e capisce per primo una cosa: gli ufficiali chiedono il prezzo gentilmente, estraggono il portafogli e pagano.
In quel preciso momento la vita rinasce, e Blasetti correndo per le strade, se ne va' di corsa verso il suo negozio gridando a tutti: " paghen paghen!!!"

Il racconto capolavoro di Chiara e' un classico del sarcasmo intelligente.
Sarcasmo contro chi?
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