Piergiorgio Odifreddi

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Rhal
00giovedì 19 gennaio 2006 20:49
Piergiorgio Odifreddi (1950) ha studiato matematica in Italia, negli Stati Uniti e in Unione Sovietica, e insegna Logica presso l’Università di Torino e la Cornell University. Ha pubblicato tra l’altro Classical Recursion Theory (North Holland, 1989 e 1999) e La matematica del Novecento (Einaudi, 2000). Collabora con "la Repubblica". Ha vinto il Premio Galileo dell’Unione matematica italiana nel 1998, e il Premio Peano della Mathesis nel 2002.



http://www.vialattea.net/odifreddi/







[Modificato da Rhal 19/01/2006 20.51]

Rhal
00giovedì 19 gennaio 2006 20:51
Idee per diventare matematico


Ogni libro della nuova collana della Zanichelli “I misteri della scienza” contiene una lunga intervista ad un noto scienziato italiano. Il terzo volume propone le considerazioni di Piergiorgio Odifreddi sulla sua vita di matematico.
Il “nostro” PG Odifreddi racconta la sua infanzia, i suoi studi in seminario, poi il diploma di geometra e infine l'iscrizione alla Facoltà di Matematica di Torino: la scoperta del suo interesse per la Matematica, gli anni spesi per la ricerca e per l'insegnamento in tante Università del mondo e la sua nuova vocazione di divulgatore della Matematica.
Leggendo il libro si farà così la conoscenza dei giganti della Matematica: Archimede, Bourbaki, Cantor, Euclide, Eulero, Gödel …ecc. I lettori potranno trovare risposte a tutte le curiosità che avvolgono la figura del matematico: perché studiare Matematica, qual è la giornata tipica di un matematico, di cosa si occupa, quali sono i rapporti dei matematici con i suoi colleghi e con quelli delle altre discipline. Prendendo spunto dalla dimostrazione del teorema dei quattro colori, vengono esaminati in particolare i rapporti tra Matematica e Informatica.
In tutto l'intervista, Odifreddi pone l'accento sulla necessità di sviluppare uno spirito razionale. Questa risorsa potrà impedirci di restare vittime di tanti ciarlatani che fanno uso della nostra credulità.

Rhal
00giovedì 19 gennaio 2006 20:52
"Il matematico impertinente"


Nel 1848, mentre un impertinente spettro si aggirava per l'Europa, il Vocabolario di parole e modi errati dell'Ugolini dichiarava: « Impertinente, per non appartenente, non può dubitarsi che non sia buona voce; ma siccome nell'uso più comune si adopera impertinente per arrogante e insolente, conviene essere molto cauti nell'usarla nel primo significato».
Chissà quale dei due significati aveva in mente l'editore che agli inizi mi attribuì la qualifica di « matematico impertinente », nel sottotitolo di uno dei miei primi libri divulgativi: meglio non indagare, per evitare risposte imbarazzanti. Ma qualcuno deve aver concordato, se dapprima l'appellativo è diventato il titolo della mia rubrica mensile per Le Scienze, e ora lo diventa di questa raccolta.
Quanto a me, considero l'impertinenza come un buon modo, e a volte l'unico possibile, di affrontare i problemi in maniera pertinente. Soprattutto in campi come la politica e la religione, in un periodo storico che potremmo descrivere come l'era delle «tre B »: che non stanno a indicare, come nei tempi andati, il trio Bach, Beethoven e Brahms, bensì la triade Bush, Berlusconi e Benedetto XVI.
Io sento l'impertinenza nei confronti loro e dei loro seguaci come un imperativo morale e civile, in entrambi i sensi dell'Ugolini. Anzitutto, come non appartenenza a una visione del mondo ispirata dalla certezza che, per dirla nella lingua del nuovo papa, Goti mit uns, « Dio è con noi »: meno che mai quando questa certezza rigenera mostri che credevamo ormai definitivamente scomparsi, dalle guerre imperialiste alle crociate integraliste. E poi, per proclamare ad alta voce che certi presidenti e papi sono nudi: una doverosa arroganza nei confronti di coloro che vorrebbero imporre all'universo mondo moderno il loro provincialissimo capitalismo e il loro antiquato cristianesimo.
Rhal
00giovedì 19 gennaio 2006 20:53
"Penna, pennello e bacchetta"


La prova più esplicita della compatibilità fra scienza e arte: le brillanti lezioni di un matematico affabulatore sul rapporto fra matematica, letteratura, pittura e musica.


Quarta di copertina:
"Si pensa spesso che le culture scientifica e umanistica siano contrapposte nei metodi e nelle finalità. Secondo i pregiudizi degli osservatori distratti, la prima si interessa dell'esperienza pubblica, universale, oggettiva, quantitativa, unitaria, e il suo linguaggio è preciso, razionale, fatto di idee e concetti. La seconda guarda invece all'esperienza privata, particolare, soggettiva, qualitativa, molteplice, e il suo linguaggio è ambiguo, emotivo, fatto di immagini e racconti. Questi pregiudizi vengono messi profondamente in crisi dalla constatazione che scienza e arte, e cioè le rispettive punte di diamante delle sue culture, sono visioni complementari e non contraddittorie del mondo sia esterno che interno. Entrambe hanno sviluppato tecniche adatte a descrivere, da punti di osservazione diversi, le realtà del mondo fisico e psicologico. Ed entrambe hanno fornito immagini di questa realtà che costituiscono vette del pensiero, senza ulteriori aggettivi qualificativi". La prova più esplicita della compatibilità fra scienza e arte: le brillanti lezioni di un matematico affabulatore sul rapporto della matematica con la letteratura, la pittura e la musica.

Rhal
00giovedì 19 gennaio 2006 20:54
"Le menzogne di Ulisse"


La logica è lo studio del lógos, vale a dire del pensiero e del linguaggio. Questo libro ne narra l'appassionante storia, dagli albori della civiltà ai giorni nostri, attraverso le avventure personali e intellettuali dei suoi maggiori protagonisti, da Platone e Aristotele ad Abelardo e Occam, da Frege e Russell a Gödel e Turing.
Scorrono in queste pagine paradossi e rompicapi, dalla verità all'infinito, che hanno ossessionato gli antichi e i moderni. E analisi grammaticali e logiche del linguaggio che ne hanno chiarificato le strutture. Assiomi e regole della ragione che ne hanno evidenziato le potenzialità e i limiti. Applicazioni teoriche e pratiche della logica, culminate nella progettazione e nella costruzione del computer. Perché non si descrive, qui, soltanto uno spensierato gioco che permette di smascherare Ulisse e i tanti, troppi, mentitori che affollano lo spazio e il tempo umani. Si narra, anche, un'eccitante impresa intellettuale che conduce sulle vette del pensiero, attraverso sentieri e cammini punteggiati di segnalazioni letterarie, filosofiche, scientifiche e matematiche, a testimonianza dell'unità della Cultura.

"... il linguaggio è una tecnologia, e come tale può essere usato o abusato. Infatti, ogni parola è letteralmente una parabola: essendo «messa a fianco» o «in parallelo» alla realtà, essa va interpretata e compresa, e si presta dunque a essere fraintesa. Ad esempio, le stesse parole che ci permettono di cogliere l’essenza del mondo fisico possono anche illuderci di percepire la presenza di un mondo metafisico.
Addirittura, ci sono stati alcuni che hanno pensato che il mondo sia posto in essere dal linguaggio, e che senza parole le cose non esistano. L’evangelista Giovanni, ad esempio, che iniziò il suo Vangelo con il famoso versetto: «In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e Dio era la Parola ». O il filosofo Heidegger, che affermò: «E' la parola che procura l’essere alla cosa».
Ora, tutto sta ad intendersi. Se Heidegger voleva dire che le banane non esistono fino a quando non si inventa la parola «banana», allora la cosa fa appunto ridere: e infatti le scimmie se la ridono, e mangiano le banane anche senza saper parlare. Se invece Heidegger voleva dire che lo spirito, con la minuscola o la maiuscola, non esiste fino a quando non si inventa la parola «spirito», allora aveva certamente ragione."

Rhal
00giovedì 19 gennaio 2006 20:55
"Divertimento geometrico"


Quest'anno ho già peccato di editoria due volte, con il pamphlet sul teopiteco e il testo sul diavolo. Devo dunque qualche spiegazione, e molte scuse, se mi ripresento in libreria con un altro libro, questa volta addirittura di Geometria! Non sarà che mi sono lasciato prendere la mano, diventando un grafomane che scrive troppo e/o un megalomane che scrive di troppo?

Mi piace pensare che non sia così, perché in fondo questo nuovo testo non esula dalle mie competenze: si tratta, infatti, di un viaggio alla ricerca delle radici geometriche della Logica. Radici che non mi sono inventato io, naturalmente, e che costituiscono invece un filo oggettivo che collega fra loro due grandi testi della Matematica, distanti due millenni: gli Elementi di Euclide e i Fondamenti della geometria di Hilbert.

Come sappiamo tutti, gli Elementi sono stati (fino alla fine dell'Ottocento) il testo di riferimento per lo studio della Matematica, adottato dalle scuole di ogni ordine e grado, oltre che una fonte di ispirazione intellettuale: fino, appunto, a Hilbert, i cui Fondamenti ne costituiscono una versione riveduta e corretta. Nel Novecento, invece, Bourbaki e i suoi seguaci hanno lanciato il grido di Abbasso Euclide, e per decenni la nuova Matematica ha sostituito il piano e le sue belle figure geometriche con gli spazi vettoriali, o affini, o topologici e le loro trasformazioni.


La cosa, naturalmente, andava benissimo per André Weil e quelli come lui, che conoscevano i testi e i risultati della Matematica del passato a menadito e sapevano ritrovarli in quella del presente: così come la dodecafonia o il cubismo andavano benissimo per Schoenberg o Picasso, che conoscevano altrettanto bene le composizioni e le opere della musica e della pittura classica. Molto meno bene vanno le cose per noi, che siamo nati e vissuti in un secolo che della Matematica e dell'arte ha ormai visto anche, se non soltanto, gli eccessi dell'astrazione.

Dovendo dunque insegnare, qualche anno fa, un corso di Fondamenti della Matematica, ho deciso di rileggere con gli studenti quei due grandi classici della Geometria, per riappropriarmi con loro del nostro rimosso passato. E ho scoperto, con una certa sorpresa, che in quei libri c'erano i germi di ciò che la Logica matematica ha poi sviluppato appieno nel Novecento: e cioè, i problemi metamatematici relativi ai sistemi assiomatici, dall'indipendenza alla consistenza, dalla completezza alla categoricità.

Questo libro è il risultato di quel corso e intende offrire agli studenti e ai colleghi un viaggio nel passato della Geometria, e una riscoperta di un modo di fare Matematica intuitivo e visivo: non a caso, ci sono piu' di 300 figure nel testo! Naturalmente, e come non potrebbe essere altrimenti, la mia è una rilettura da logico: le mie preoccupazioni sono gli assiomi, le definizioni, le costruzioni, le equivalenze, le interpretazioni, i modelli, le dimostrazioni di impossibilità, e compagnia bella.


D.Hilbert E l'ultima espressione non è soltanto un modo di dire: perché la compagnia di Euclide e Hilbert, così come dei geometri che li collegano in un'ideale catena umana, è veramente bella e stimolante. Oltre che, naturalmente, impegnativa e intimidente: per una volta, dunque, non mi sono lasciato andare a frizzi e lazzi, e ho scritto un libro di Matematica e basta: anche per dimostrare, a me e agli altri, che ne sono ancora capace. Ma di questo, non credo di dovermi scusare. O forse sì?




Rhal
00giovedì 19 gennaio 2006 20:56
"Il diavolo in cattedra"


La sfida dell'autore consiste nel proporre un libro che sia allo stesso tempo un testo di divulgazione e un manuale di studio. I curiosi e gli appassionati vi troveranno aneddoti filologici, racconti storici e metafore letterarie dei principali risultati ottenuti dalla logica, dai tempi di Aristotele fino a Gödel, esposti nello stile brillante e inventivo tipici di Piergiorgio Odifreddi. I professionisti troveranno gli inquadramenti filosofici e le dimostrazioni matematiche necessarie ai propri studi. Gli uni e gli altri scopriranno come la conoscenza della logica di oggi permetta di intendere una buona parte della filosofia di ieri, e come forse solo una tale conoscenza permetta di non fraintenderla.








Introduzione

Sin darme cuenta, me estuve preparando para este libro toda mi vida.
Jorge Luis Borges, Borges Profesor


Nel titolo di un quadro del 1897 esposto al Museo delle Belle Arti di Boston, Paul Gauguin si domandava: Da dove veniamo? Che cosa siamo? Verso dove andiamo? Sono domande che probabilmente affiorano alla mente di chiunque, raggiunto un certo grado di maturità (o di senilità), si interroghi sul senso della propria vita e del proprio lavoro. E sono domande affiorate alla mia mente di logico quando, risvegliato dal mio «sonno dogmatico» dall'opera di un amico (Luigi Borzacchini) sulla genesi del pensiero formale nell'antica Grecia, ho cominciato a interessarmi alle origini della disciplina che avevo praticato e insegnato per trent'anni a Matematica, Informatica e Psicologia, in Italia e negli Stati Uniti.

Questo libro è il risultato di quell'interesse e delle mie progressive reazioni a varie letture storiche e filosofiche: a partire, nell'estate del 1999, dalla Storia della logica di William e Martha Kneale in un ufficio di Cornell, e dai Dialoghi di Platone sulle spiagge di Mykonos. Spero che il libro riesca a comunicare al lettore il mio sorpreso entusiasmo, o la mia entusiasta sorpresa, alla scoperta che una buona parte delle nozioni, degli argomenti e dei risultati della logica contemporanea si trovano già nel pensiero greco e si ritrovano poi in quello scolastico. E che, viceversa, una conoscenza della logica matematica di oggi permette di intendere una buona parte della filosofia occidentale di ieri; e, forse, solo una tale conoscenza permette di non fraintenderla.

Probabilmente la stessa cosa vale anche per la filosofia e la logica orientali (indiane, cinesi e arabe), ma la mia ignoranza di entrambe non mi ha permesso che pochi accenni fugaci e marginali. Se i deva vorranno e mi aiuteranno, magari un giorno potrò rimediare scrivendo Gli asura in cattedra. Per ora, a Dio piacendo, incomincio a mettere in cattedra il Diavolo, con un titolo giustificato nel Preludio e, nonostante le maliziose insinuazioni di qualche collega, privo di riferimenti autobiografici.

A proposito di colleghi, ringrazio Claudio Bartocci, Gabriele Lolli, Diego Marconi e Massimo Mugnai per aver letto e commentato l'intero manoscritto, e Carola Barbero, Federico Boem, Luigi Borzacchini, Carlo Cellucci, Anna Carla de Simone, Maurizio Ferraris, Pietro Kobau, Giovanni Mion, Andrea Moro, Enrico Mossio, Paolo Passarini, Anna Vicari e Margherita Zorzi per correzioni e suggerimenti vari. Un ringraziamento speciale a Giulio Giorello e Alberto Sinigaglia per il loro incitamento e incoraggiamento, e a Michele Luzzatto per l'ormai consueto aiuto editoriale.

Quanto ai potenziali lettori della logica, o di una qualunque disciplina scientifica, essi si dividono, come la Gallia, in partes tres: spettatori, dilettanti e professionisti. Il libro intende, salomonicamente, dare a Cesare quel che è di Cesare; o, se si preferisce, qualcosa a ciascuno: aneddoti e racconti storici ai primi, inquadramenti filosofici ai secondi, teoremi e dimostrazioni agli ultimi. Per la comodità di tutti, i capitoli più tecnici sono segnalati con un asterisco, e possono (anzi, devono!) essere tralasciati a una prima lettura.

Ho tentato un'impossibile quadratura del cerchio, cercando di scrivere un testo di divulgazione che sia anche un manuale di studio, nel quale i matematici possano scoprire la filosofia che ignorano e i filosofi trovare la matematica che non conoscono? Forse, ma certamente ho provato. E se non fossi riuscito, «credete che non s'è fatto apposta».


Piergiorgio Odifreddi



Preludio all'inferno


Poiché, come avremo modo di vedere, la logica si interessa dei principî, ci sembra appropriato incominciare risalendo veramente al principio, cioè all'istante della creazione del mondo. Il quale, a seconda che si utilizzi l'imprecisa cosmologia moderna inaugurata dal fisico Einstein, oppure la precisa cronologia biblica calcolata dal vescovo Ussher, si situa una dozzina di miliardi di anni fa, oppure alle 9 di mattina di venerdí 23 marzo 4004 a. C.
L'inizio del Genesi ci racconta che la creazione avvenne in sei giorni: nel primo Dio creò la luce e la separò dalle tenebre, nel secondo separò le acque inferiori da quelle superiori, nel terzo creò la vegetazione, nel quarto il Sole e la Luna, nel quinto i pesci e gli uccelli e nel sesto gli animali e l'uomo. Negli ultimi quattro giorni Dio fu soddisfatto della propria opera e si congratulò con se stesso osservando ogni volta che ciò che aveva fatto era buono. Nei primi due giorni, invece, l'unico motivo di apprezzamento lo trovò per la luce e in nessun'altra occasione osservò che ciò che aveva fatto era buono.
L'insoddisfazione divina era pienamente giustificata, visto che nei primi due giorni Dio si era comportato in maniera letteralmente diabolica. Il responsabile istituzionale delle separazioni di ogni genere è infatti il Diavolo, il cui nome deriva appunto dal greco diabolé, «divisione» o «disunione».
La concreta contrapposizione fra luce e tenebra è, o può essere considerata, una metafora di altre piú astratte e profonde: prima fra tutte l'opposizione fra vero e falso, che costituisce il dominio della logica e dunque il soggetto di questo libro. Se la logica nasce quando il pensiero cessa di essere unitario e olistico per divenire diviso e dualistico, il Genesi (III, 1-5) ci informa anche sulla sua data e luogo di nascita: il momento della caduta, nel Paradiso Terrestre.

La tentazione del serpente è esplicita: se Adamo ed Eva mangeranno il frutto dell'albero proibito non solo non moriranno, ma conosceranno il bene e il male. Oltre alla contrapposizione fra bene e male, il diabolico si manifesta qui anche nelle affermazioni del serpente, il quale nega che chi mangi il frutto dell'albero proibito morirà: poiché i fatti gli daranno ragione, l'episodio mostra che il Diavolo dice il vero, e dunque che Dio aveva mentito. La situazione è inaspettata e paradossale, perché molti ritengono ingenuamente che la verità sia divina e la falsità diabolica, non viceversa.
Anche il Corano (XV, 28-43, e XXXVIII, 71-85) presenta una situazione logicamente paradossale, quando Dio chiede agli angeli di prostrarsi in adorazione di fronte all'uomo che ha appena creato. L'angelo ribelle, che nella mitologia islamica si chiama Iblis, rifiuta di farlo perché ritiene che si possa adorare soltanto Dio. Per punizione viene maledetto e cacciato dal Paradiso, benché ciò appaia francamente ingiusto: disobbedire a Dio e adorare altri da lui sono entrambe azioni riprovevoli, e non è stato onesto porre Iblis in una situazione senza uscita, che nel seguito chiameremo di doppio vincolo.

L'impressione che si ricava da questi episodi è non solo che Dio non desiderasse affatto rendere l'uomo partecipe della distinzione fra vero e falso, ma anche che lui stesso avesse problemi al riguardo: il suo pensiero olistico, basato sull'identità, è infatti l'esatto contrario di quello logico, fondato sulla differenza. Poiché conoscere la logica permette di cogliere persino Dio in fallo, non c'è da stupirsi che l'insegnamento di questa disciplina sia stato spesso ritenuto un'opera del Demonio, e due citazioni classiche saranno sufficienti a confermarlo.

La prima è l'episodio dell'Inferno di Dante (XXVII, 61-129), in cui l'anima del frate Guido da Montefeltro viene reclamata da San Francesco e dal Diavolo. Il caso è controverso, perché in vita Guido ha sí ucciso un uomo su mandato papale, ma ha anche ricevuto da Bonifacio VIII un'assoluzione preventiva. Il Diavolo ha la meglio perché offre una vera e propria dimostrazione basata sul principio di non contraddizione, sul quale avremo molto da dire: per essere valida un'assoluzione richiede il pentimento, e non si può essere veramente pentiti di un fatto che si vuole comunque commettere. Mentre se ne va vittorioso, trascinando con sé l'anima di Guido, il Diavolo esclama gongolante: "Tu non pensavi ch'io loico fossi", dichiarando esplicitamente la sua natura.

La seconda citazione è un episodio del Faust di Goethe (I, 1910-1911), in cui Mefistofele si trova nell'ufficio all'università durante l'orario di ricevimento, in un momento in cui Faust è uscito. Sopraggiunge una matricola a chiedere consigli per il suo piano di studi, e il Diavolo decide di giocarle uno scherzetto. Prese le sembianze del professore, suggerisce perversamente allo studente: «Ti consiglio anzitutto di iscriverti a un corso di logica».
Poiché il lettore che ha iniziato questo libro sta appunto per seguire il consiglio del Diavolo, ci è sembrato onesto metterlo in guardia sulla natura del percorso. Se era la parola di Dio che desiderava udire, temiamo che dovrà ricercarla altrove, e possiamo solo augurargli pace e bene. Se invece è ai frutti degli alberi della conoscenza e della vita che è rivolto il suo desiderio, nel giardino della logica li potrà certamente trovare e gustare.


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http://www.scform.unifi.it/docenti/peruzzi/collaboratori/maionchi.diaboluscathedra.htm


Rhal
00giovedì 19 gennaio 2006 20:56
"Zichicche"


Presentazione

Mi sono interessato per la prima volta di Zichichi casualmente, come succede spesso nella vita. In libreria ho visto il suo Infinito e, poiché quello era il "mio" campo, l'ho sfogliato. Il nome dell'autore lo conoscevo per sentito dire, ma solo superficialmente, e di lui non sapevo altro se non che fosse un fisico. Ma, leggendo a caso, non ho creduto ai miei occhi: le castronerie e le assurdità erano così tante e così abissali, a partire da quella che diceva che Godel aveva provato che "esistono teoremi non dimostrabili", che non ho resistito alla tentazione di farne una recensione.
Era il 1994 e io avevo da poco e timidamente cominciato a fare divulgazione: quella è stata una delle mie prime "uscite" pubbliche.

Non credo che avrei mai più letto altri suoi libri, se lui non ne avesse scritto uno su scienza e religione nel 2000: su un argomento, cioè, nel quale io avevo appena pubblicato il mio primo libro non tecnico, Il Vangelo secondo la Scienza. Se possibile, questo era ancora più delirante del precedente. Stavolta la mia matita si era un po' affilata, con qualche anno di pratica divulgativa, e ho prodotto quello che considero il mio pezzo più divertente: Dagli amici si guardi iddio. Divertente per molti, oltre che per me, ma non per Zichichi: il quale mi ha infatti querelato.

A questo punto ho voluto vedere che cosa ne pensassero gli altri, di Zichichi: se, cioè, ero solo io a considerarlo un povero iddiota (con due "d", come i suoi lettori). E ho scoperto che da anni era sbeffeggiato dai colleghi e dai recensori, e che era un vero "imbarazzo" per la scienza. Cioè, un uomo utile per ottenere finanziamenti, tramite le sue frequentazioni con il potere politico e religioso, ma di cui vergognarsi dal punto di vista intellettuale. Più o meno, come gli "intoccabili" della vecchia India, che facevano i lavori considerati indegni e impuri, ma dei quali persino l'ombra era contaminante. Ho messo insieme gli articoli che ho trovato, e non è stato difficile: molti fisici ne avevano tenuto copie nei loro files, per ridersela tra loro, e me li hanno dati volentieri. E ora corrono a comprare il libro: addirittura, un premio Nobel italiano di Fisica mi ha chiesto di fargliene avere una copia! Ma io l'ho fatto non per il divertimento dei fisici, i quali d'altronde conoscono già il personaggio, ma per i molti ignari lettori dei suoi libri che mi hanno scritto, a volte anche con acredine, a causa delle mie recensioni su di lui. Il mio unico scopo è che loro sappiano con che razza di fisico, di divulgatore e di uomo pubblico hanno a che fare. Se poi a loro va bene così, va bene anche a me.

Quanto a me, considero questo libro come una testimonianza di impegno civile. Certo, ci sono in Italia problemi maggiori di quello di Zichichi, ma ciascuno di noi agisce nell'ambito che gli è proprio, che per me è quello scientifico. E come nel lavoro dei campi non basta seminare, ma bisogna anche disinfestare dalle erbacce, così accanto ai miei libri e articoli di scienza e di divulgazione, ho pensato di affiancarne uno di denuncia su come non si devono fare né la scienza, né la divulgazione. Proof by example, come si dice in inglese: ovvero, esemplificare per dimostrare. E Zichichi è certo esemplare, benché non tutti gli esempi siano positivi.

Rhal
00giovedì 19 gennaio 2006 20:57
"La matematica del Novecento"


Il Novecento è stato il secolo della matematica: in soli cent'anni si sono dimostrati più teoremi che nell'intero corso della storia, e molti di essi hanno trovato applicazione nei campi più svariati della scienza e perfino dell'umanesimo.
La matematica del Novecento ricostruisce in una forma il più possibile facile e discorsiva la straordinaria vicenda di una disciplina spesso vissuta come astrusa e distante dalla vita quotidiana, descrivendone le idee, i risultati, i principali protagonisti, i problemi ancora irrisolti.
Scorrono cosi di fronte agli occhi del lettore le imprese di alcuni giganti del secolo, da Einstein a Gödel. Si narrano le soluzioni di alcuni dilemmi, dal teorema di Fermat all'ipotesi del continuo. Si rivedono in luce moderna le teorie classiche, dall'aritmetica alla geometria. Si assiste alla nascita di nuovi strumenti, dal calcolo tensoriale alla teoria dei giochi. Si incontrano oggetti insoliti, dai nodi agli attrattori strani. Si scoprono applicazioni nei campi più svariati, dalla cristallografia all'economia. Si allestiscono le maggiori sfide del nuovo secolo, dall'ipotesi di Riemann alla congettura di Poincaré...
In breve, ci si familiarizza con il linguaggio del terzo millennio, senza il quale non sarà possibile comprendere nè la scienza nè la tecnologia future.

Indice del libro

Prefazione di Gian Carlo Rota
Introduzione
I - I fondamenti
II - Matematica pura
III - Matematica applicata
IV - Matematica al calcolatore
V - Problemi insoluti
Conclusione

Bibliografia

Indice dei nomi

Rhal
00giovedì 19 gennaio 2006 20:58
"il Vangelo secondo la Scienza"


Il mistero di Dio, l'infinito e il nulla, l'origine e il destino del cosmo, la coscienza dell'uomo: se umanesimo e scienza hanno nel passato affrontato questi problemi con metodologie e risultati contrapposti, le scoperte del Novecento permettono oggi una mediazione tra le due culture. Il Vangelo secondo la Scienza passa al microscopio della logica gli aspetti "scientifici" della teologia e quelli "teologici" della fisica e della matematica, nel tentativo di risolvere un problema preciso: quali domande religiose hanno un senso, e quali domande sensate ammettono una risposta? Attraverso la decostruzione scientifica delle grandi religioni occidentali e orientali il libro approda a una ricostruzione teologica della scienza e della matematica, indicando una sorprendente via d'uscita dall'apparente dilemma tra fede e ragione.

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