Perchè la Messa di una volta

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
S_Daniele
00martedì 10 novembre 2009 16:41



Perchè la Messa di una volta


di Dario Dal Cengio


Sono ancora molti i pregiudizi e le resistenze contro la possibilità (non è un obbligo!) di celebrare la S. Messa nella forma usata fino ad una quarantina di anni fa.


Lo si è constato anche durante l’ultimo Convegno Romano cui ho partecipato, e durante il quale – a conforto – è stato diffuso un interessante sondaggio della Doxa, secondo cui, se l’antico rito fosse fatto conoscere, un terzo dei cattolici gradirebbero averlo qualche volta nelle loro chiese.
Il fronte avverso, stranamente, è spesso costituito da persone “di una certa età” e da praticanti abituali il rito nella forma ordinaria (che però si tengono lontane dalla Liturgia nella forma straordinaria, la cosiddetta – ma erroneamente – “Messa in latino” – che Benedetto XVI ha voluto ridare alla Chiesa).

So per esperienza che, invece, c’è maggior interesse fra i giovani, specialmente quelli con elevata cultura. Così ho chiesto ad un amico, appena laureatosi in lettere, che ha partecipato alla Messa celebrata “more antiquo” (alla vecchia maniera) nella nostra Chiesa di San Pancrazio, la cortesia di un contributo su questo tema piuttosto controverso. Ecco le sue articolate ed interessanti considerazioni.

“Ciò che vediamo spesso non ci meraviglia più, anche se non sappiamo perché succede”.

Queste parole, consegnate ai posteri da Cicerone, ci offrono la possibilità di fermarci, togliere gli occhiali dal naso, dare una bella pulita alle lenti offuscate dalla routine quotidiana e stropicciarci gli occhi affaticati.

Dopo quest’operazione preliminare, è necessario sforzarsi di osservare la realtà e i gesti quotidiani che si compiono meccanicamente con un’ottica più critica, senziente e attenta ai dettagli. Ponendosi anche le più semplici e banali domande, ci si accorgerà che spesso non si riesce a dare una risposta esaustiva a molte azioni che per molto tempo abbiamo compiuto con il più anonimo
automatismo. Non si riesce a spiegare appieno il significato di una parola che si usa come intercalare; non ci si è mai posti le domande più semplici: “ma da dove deriva tale termine?”, “perché ha proprio questo significato?” “come mai si usa proprio questo e non un altro?”.

Tornando al nostro buon Cicerone, continuerebbe a solleticare la nostra curiosità dicendoci che “ignorare ciò che è avvenuto prima della nostra nascita vuol dire rimanere sempre bambini”: elogio dell’historia magistra vitae, ma non solo.

Gli antichi ben sapevano che per tramandare alle future generazioni dei saperi, delle dottrine e degli insegnamenti, era necessario condensarli in formule e gesti stabili, fissi e immutabili: solo così si sarebbe riusciti ad arginare e a contenere l’impeto dell’inarrestabile corrente del tempo che tutto travolge e porta con sè.

La religione e i sacri culti furono tra le prime forze a scendere in campo contro la forza logorante dei secoli: i loro apparati rituali e le loro liturgie erano (e sono) un riflesso terreno dell’eternità e dell’imperturbabilità degli dei celesti. La ciclicità delle celebrazioni e i loro gesti fissi hanno sfidato il passare delle generazioni con lo scopo di perpetuarsi nei tempi a venire; nei cerimoniali nulla era svolto a caso e tutto era pregno di significato.

Che si voglia a no, anche il cristianesimo risente dei culti che l’hanno preceduto. Certamente si differenzia in quanto Rivelazione, ma il sostrato arcaico sul quale Pietro ha edificato la Chiesa di Cristo ha assorbito direttamente o indirettamente parte del sistema cultuale e liturgico del paganesimo, riadattandolo sulla base del messaggio Messianico.

Diverse cause motivarono tale processo. In primo luogo la mancanza, nei primi anni dell’era cristiana, di un vero e proprio apparato rituale organizzato e uniforme. In seguito, allorché il Cristianesimo prese a diffondersi tra i più diversi strati della popolazione cittadina, fu necessario avvicinare al nuovo Credo anche gli abitanti delle campagne e dei centri urbani più piccoli e dispersi: costoro erano infatti meno permeabili alle novità e alle innovazioni rispetto a chi viveva nelle grandi città. Per convertire gli abitanti del pagus si cercò di assimilare le antiche divinità e le antiche cerimonie al Credo dei nuovi evangelizzatori, in modo tale da rendere meno traumatico il cambiamento di fede.

Una terza causa che diede impulso alla cristallizzazione dell’apparato liturgico fu, dopo l’editto di Milano del 313 d.C. che elevò il cristianesimo a religione di Stato, la lotta alle eresie: appena dodici anni dopo si tenne infatti a Nicea il primo grande concilio ecumenico della cristianità che mirava a definire la vera natura di Cristo.

Tutto il II e III secolo furono pervasi dall’impegno di definire i concetti e le terminologie teologiche del cristianesimo, che ispireranno le opere di Agostino.

Non ci si stupirà quindi ad aver intuito che il termine “pagano” era usato per designare gli abitanti del pagus, del villaggio, e che, per traslato, assunse poi l’accezione negativa di “infedele”, “idolatra”. Allo stesso modo, come gli antichi avevano una divinità protettrice per ogni elemento della quotidianità, dall’amore alla salute, dalla guerra al buon raccolto ecc, così gli evangelizzatori detronizzarono Afrodite, Asclepio, Ares e Demetra ma furono costretti a sostituirli con i Santi patroni.

Quest’operazione coinvolse anche le festività: il 15 Agosto, prima di essere la glorificazione dell’Assunta, designava il periodo delle feriae Augusti, da cui il nome. Il Santo Natale fu stabilito il 25 Dicembre a scapito della celebrazione del Sol Invictus; dopo il solstizio d’inverno si salutava il ritorno del Sole che riprendeva ad illuminare la Terra: ora si saluta la nascita del nuovo Sole Gesù Cristo che illumina il cammino della vita con la Sua venuta. Le radici del rito delle rogazioni, che fino a poco tempo fa accompagnavano il risveglio della vegetazione dal torpore invernale, affondano nelle processioni agresti in onore di Demetra o di Maia, dee protettrici delle messi e della primavera.

Seppur semplicisticamente, si è fin qui dimostrato come il sostrato di parte della liturgia e dei riti cristiani appartenga a tradizioni ben precedenti allo stesso cristianesimo: il fatto però di aver spesso sotto gli occhi tali celebrazioni, non ci spinge ad indagare sulla loro origine. Tranne che per un pubblico di specialisti, sta venendo meno oramai anche l’approccio architettonico agli edifici adibiti alla celebrazione del culto: ad esempio, non si fa più caso al fatto che l’asse della navata centrale delle chiese sia “orientato”, ossia rivolto verso Oriente, punto cardinale del Sole nascente, e che questa caratteristica sia presente anche tra i siti cultuali delle civiltà più arcaiche.

Soffermiamoci ora su uno tra gli aspetti più importanti che caratterizzano la celebrazione: l’uso della parola. Il cristianesimo delle origini si diffuse usufruendo della koinè linguistica all’epoca diffusa tra i paesi del Mediterraneo orientale: il greco. Dovendo poi far propria la sua vocazione cattolica, cioè “universale”, dovette appropriarsi dello strumento linguistico che unificava gran parte del mondo allora conosciuto: il latino.

Roma era la tappa obbligata in quanto centro di diffusione di idee, notizie, culti e quant’altro per tutte le terre dell’impero: e fu lì che i primi evangelizzatori si recarono, San Pietro in testa.

Se è vero che il cristianesimo attinse molto dalla filosofia greca, è certo che diede forma alle proprie istituzioni modellandole sugli efficienti e gerarchici organismi romani. Ciò permise alle prime comunità di dotarsi di una gerarchia e di sopravvivere, forti anche della Fede, agli innumerevoli episodi persecutorii.

A partire dal IV secolo, il latino divenne la lingua ufficiale della Chiesa d’Occidente: i Padri della Chiesa scrissero in tale idioma, le Scritture furono tradotte dal greco e dall’ebraico e tutto l’apparato liturgico, preghiere, celebrazioni e sacramenti, adottò la lingua dei Cesari.

Tutt’oggi i documenti ufficiali del Vaticano sono redatti in latino.

Com’è logico pensare, anche la celebrazione della messa era nella lingua di Roma. Il rito antico, risalente all’età apostolica, subì delle modifiche, seppur non sostanziali, dal messale codificato da papa San Pio V nel 1570 dopo il Concilio di Trento (1545-1563): questo rimase in vigore fino alla promulgazione del messale di papa Paolo VI nel 1970, a seguito della Riforma Liturgica del Concilio Vaticano II (1962-1965).

Un rito quindi, quello antico, che ha coperto quasi per intero i duemila anni dalla Rivelazione. Schiere di poeti, di artisti, di teologi e di architetti hanno subito l’influenza del rito ora chiamato “straordinario”: le imponenti cattedrali gotiche erigono i loro archi a glorificare la magnificenza di Dio; il canto gregoriano eleva i cuori e l’anima alla contemplazione della Trinità.

Le pause e i lunghi silenzi che caratterizzano il rito antico servono a preparare spiritualmente all’incontro eucaristico e descrivono meglio di ogni altra parola il mistero della Trasustanziazione. La profonda simbologia e l’uso di una lingua arcaica, ma ancora circondata da un’aura di solennità e rispetto, servono a infondere e a far percepire ai partecipanti un maggior senso di sacralità nei riguardi del rito. Assistere alla celebrazione secondo il rito antico vuol dire entrare pienamente a far parte della devozione che per millenni ha unito popoli diversi in una sola lingua e in una sola liturgia e che ci riporta alle radici profonde della nostra identità cristiana.

Papa Benedetto XVI, col motu proprio del 7 luglio 2007, ha dato la possibilità di celebrare l’eucaristia secondo il messale di San Pio V: ciò non deve essere percepito come un passo indietro da parte della Chiesa o, come molti affermano senza cognizione di causa, un “ritorno al medioevo”,
bensì come una possibilità di poter conoscere meglio da dove veniamo e approfondire certi aspetti del sacro che ci circonda e che fa parte della nostra cultura.

Tale rito straordinario non mira certo a soppiantare il rito post conciliare, ma ad affiancarsi a esso per tener viva la lunga tradizione che ci lega ai primi fedeli e a tutti coloro che nei secoli hanno contribuito a diffondere la Buona Novella.

Conoscere la tradizione non vuol dire regredire o essere incapaci di affrontare la modernità: anzi, saper dare un significato preciso ai gesti rituali e alle fasi che compongono la liturgia è utile per comprendere che nessun aspetto della celebrazione deve essere vissuto acriticamente.

Le iniziative che si vanno diffondendo da parte di singoli parroci di celebrare saltuariamente secondo il rito antico possono offrire a chi è nato negli ultimi quarant’anni l’occasione per conoscere com’era celebrata la messa nei secoli precedenti. Chi invece ha ricordi infantili della “messa in latino” e ripeteva mnemonicamente (e a volte senza capirne il significato) le antifonie e le preghiere, può approfittarne per rivivere quei momenti con una maggior arguzia e un orecchio più attento e critico. Entrambe le generazioni potranno di certo assaporare un maggior senso del sacro e sentirsi più vicini ai cristiani di tutti i tempi che da duemila anni vivono in seno a Santa Romana Chiesa.

Fonte l’Anzin Ottobre 2009. Si ringrazia P.R.


Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 07:56.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com