Pensieri volanti in forma di anello

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gildo.persone
00giovedì 9 settembre 2004 09:22
Il Manifesto
06 Agosto 2004
CULTURA
pagina 14

Pensieri volanti in forma di anello

Mediatori angelici tra la terra e il divino, i dischi volanti popolano da
sempre le nostre visioni. Portando con loro due domande essenziali: perché
li vediamo? E perché in quella forma ovoidale? Jung provò a rispondere
invocando la crisi della metafisica. Mentre l'industria del dopoguerra si
misurò con la rotondità inventando prima il frisbee poi l'hula hoop.
Immediato il veto del Giappone: quel cerchio presuppone movimenti lascivi. A
ruota quello dell'Urss: in quel centro vuoto si identifica la vacuità della
cultura americana

TOMMASO PINCIO

C'è un quadro esposto nella Sala di Saturno di Palazzo Vecchio a Firenze che
si è guadagnato l'epiteto di «Madonna del disco volante». L'attribuzione è
incerta; si parla della cerchia di Filippo Lippi, pittore fiorentino del XV
secolo. Non fosse per la presenza di una curiosa scena rappresentata nello
sfondo, sarebbe una natività come tante altre, una Madonna con San
Giovannino. Un pastore scruta il cielo coprendosi gli occhi con la mano. Al
suo fianco c'è un cane che abbaia nella stessa direzione in cui sta
guardando il padrone. L'oggetto che calamita la loro attenzione è per
l'appunto un disco volante. O meglio: un qualcosa che alcuni pretendono sia
un disco volante. È di forma ovoidale, di color grigio piombo e volteggia
tra le nuvole irradiando fasci luminosi. Non c'è che dire: in effetti,
ricorda da vicino gli oggetti volanti non identificati dei nostri tempi. E
non è nemmeno un caso isolato. Il Quattrocento italiano pullula di simili
avvistamenti: nubi dalla forma inconsueta appaiono nell'Esaltazione della
Croce di Piero della Francesca; nubi ancora più strane - scure e
lenticolari - incombono nel Miracolo della Neve di Masolino da Panicale
custodito al Museo di Capodimonte a Napoli. Presunte tracce di Ufo sono
state ravvisate anche in una natività del Pinturicchio, in un'annunciazione
di Carlo Crivelli presso la National Gallery di Londra e nella Tebaide di
Paolo Uccello visibile alla Galleria dell'Accademia a Firenze. Cosa siano in
realtà queste presenze non è dato sapere. Proprio come accade con i moderni
dischi volanti, la loro apparizione è fuggevole e ambigua. Potrebbero essere
tutto o niente. D'altronde è sempre stato così. Che siano i graffiti
preistorici rinvenuti nelle grotte franco-cantarbiche, raffiguranti sagome
rotonde che volano, o le luci che piroettano nello spazio aereo della
famigerata Area 51, gli Ufo non si sono mai degnati di mostrarsi davvero.

Tutto cominciò nel giugno del '47

«Dove stanno?» si chiedeva uno scettico Enrico Fermi a Los Alamos nel 1950.
«La delusione più cocente e astratta della mia vita fu senza dubbio il
mancato sbarco dei marziani nel decennio tra il 1950 e il 1960» - scriveva
un sarcastico e sconsolato Giorgio Manganelli nei suoi articoli (Ufo e altri
oggetti non identificati, Quiritta, pp. 219, 14). A entrambi non sfuggiva
che l'essenza dei dischi volanti è proprio quella di rimanere oggetti vuoti,
entità autonome che scorrazzano un po' a capriccio sopra le nostre teste.
Appaiono, scompaiono, procedono a zig zag seguendo traiettorie
apparentemente prive di logica, come mossi da una propulsione casuale, come
se al loro interno non ci fosse nessuno a pilotarli. Sì, certo, disponiamo
di testimonianze di persone che pretendono di avere avuto contatti
ravvicinati con gli extraterrestri e di essere perfino saliti a bordo dei
loro potenti mezzi. Ma questi racconti non emanano il fascino al limite
dell'esoterico che è invece proprio del semplice avvistamento di un disco
volante. Sono inoltre meno credibili, se non palesemente ridicoli come
quello celebre del signor Adamski che negli Cinquanta asserì di avere fatto
un giretto nel cosmo a bordo di un'astronave aliena scoprendo che l'altra
faccia della Luna è ricca di acqua, vegetazione e centri abitati. Grazie
alle missioni Apollo oggi abbiamo la prova incontrovertibile che nella
migliore delle ipotesi Adamski deve aver sognato. Ma anche allora non ci
voleva molto a capire che il suo racconto era un'assurdità.

Che esistano o no, gli Ufo sembrano una fonte di sogni fatta apposta per la
nostra epoca. Nel Rinascimento ci si beava che l'uomo fosse il centro del
mondo e misura di tutte le cose. Ora che perfino le persone a digiuno di
astrofisica hanno un'idea piuttosto precisa di quanto risibili siano
l'esistenza umana e il suo pianeta al cospetto della vastità dell'universo,
l'uomo si è alquanto ridimensionato. Ora che il divino ci appare come una
forma di consolazione inadeguata a fornire una risposta soddisfacente al
senso della vita, la prospettiva di essere soli nell'universo - anche se
creati a immagine e somiglianza di Dio - diventa più difficile da accettare.
Proprio per questa ragione, malgrado sedicenti esperti si affannino a
dimostrare che gli alieni ci scrutano fin dalla notte dei tempi, gli Ufo
sono essenzialmente un fenomeno moderno.

Tutti i libri scritti in materia, da quelli più o meno seri alle raccolte di
pure e semplici panzane, concordano su un punto: la storia degli Ufo inizia
un giorno preciso: il 24 giugno del 1947. Quel giorno il pilota Kenneth
Arnold si trovava in volo nei pressi del monte Rainier, stato di Washington,
quando scorse una formazione di nove oggetti che si spostava in cielo «come
lo potrebbe fare un piattino quando lo si lancia a pelo d'acqua per farlo
rimbalzare». Sul momento ritenne di aver visto un nuovo tipo di aereo, ma
quegli oggetti si muovevano a una velocità inconcepibile per l'epoca. La
loro forma, poi, era ancora più inconcepibile della velocità. Agli occhi del
pilota questi oggetti apparvero come degli enormi saucers, vale a dire
qualcosa di molto simile ai piattini su cui vengono posate le tazze o,
meglio ancora, quelli che si usano per servire a tavola salse e intingoli.

La convinzione che tutto sia cominciato allora è talmente radicata che
perfino Carl Gustav Jung la fa propria. Stimolato dal fatto che «gli Ufo
coincidessero in maniera impressionante con il simbolo del mandala», proprio
a partire dal 1947 lo psicologo cominciò a raccogliere tutto ciò che veniva
pubblicato sull'argomento. Nel 1958, dopo un decennio di analisi e
riflessioni diede alle stampe il saggio Un mito moderno. Le cose che si
vedono in cielo (recentemente riproposto da Bollati Boringhieri, pp. 160,
Euro 16) dove si legge: «Resta comunque incomprensibile il motivo per cui
questi esseri superiori, che mostrano un così acceso interesse per le sorti
della Terra, dopo dieci anni non siano ancora giunti, nonostante le loro
conoscenze linguistiche, a stabilire un contatto con noi».

Come sarebbe a dire «dopo dieci anni»? Nel suo saggio Jung fa riferimento ad
avvistamenti ben più antichi, tra cui un foglio redatto a Basilea nel 1566,
eppure non esita a considerare il mancato contatto come la questione di un
decennio. Perché? Il motivo più evidente è che prima del XX secolo queste
misteriose apparizioni venivano interpretate in modo affatto diverso. Quando
nel Cinquecento capitava di vedere «neri globi immani per l'aere» si pensava
immediatamente ad ammonimenti divini o annunciazioni di apocalissi prossime
venture. Chi mai poteva immaginare che potessero essere il prodotto
tecnologico di una specie superiore proveniente da un altro pianeta magari
distante anni luce dalla Terra? Osserviamo il mondo più con ciò che sappiamo
che non gli occhi e a quei tempi certe cose erano del tutto inconcepibile
oltre che ignote.

I dischi volanti hanno però un'altra e più curiosa particolarità. Gli uomini
che riescono a vederli non sono soltanto moderni. Molto spesso sono anche
Americani. Talvolta gli Ufo si fanno avvistare in luoghi remoti come il
Sahara o l'Antartide, ma come Jung rileva, «nei loro voli mostrano una
spiccata predilezione per gli Stati Uniti». Jung propone una spiegazione più
che plausibile: l'America è «il paese delle possibilità inaudite della
science-fiction». Stabilito ciò rimangono comunque molti modi di accostarsi
al fenomeno. C'è quello della credulità assoluta tipica di coloro che in
America vengono chiamati youfers e il cui motto è per l'appunto «I believe».
C'è la possibilità di intenderlo come un mero prodotto della civiltà
americana la cui peculiarità è proprio quella di accoppiare cultura popolare
e paranoie epocali per generare mostri o creature comunque fantastiche. Si
può infine trattare gli Ufo alla maniera di Jung ovvero come un fatto
meramente psicologico, una versione aggiornata di meccanismi vecchi quanto
la mente umana. Quantunque affermi di voler sospendere il giudizio, Jung
lascia trapelare tutto il suo scetticismo. «È stupefacente - scrive -
conoscendo la ben nota passione degli americani per la macchine
fotografiche, constatare quante poche fotografie autentiche di Ufo sembrano
esistere». Questo difetto di fotogenia gli sembra in aperto contrasto con la
natura visionaria delle dicerie sui dischi volanti. L'unica cosa certa, a
suo modo di vedere, è che si tratti di «un mito vivente», un crogiolo di
«osservazioni e deduzioni sbagliate, in cui vengono proiettate premesse
psichiche soggettive».

In linea di principio Jung ammette che «ultimamente la fisica ha compiuto
tante scoperte che confinano col prodigioso» e non trova motivo di escludere
che abitanti più evoluti di altri pianeti possano avere scoperto «il mezzo
di eliminare la forza di gravità e raggiungere una velocità pari, se non
maggiore, a quella della luce». Ma alla resa dei conti, dopo aver analizzato
le stupefacenti leggende sorte intorno alla visione di dischi volanti, lo
psicologo finisce per tirare l'acqua al suo mulino, a considerare gli Ufo
«per il 99 cento come un prodotto psichico e di sottoporli quindi alla
consueta analisi psicologica».

Messe dunque da parte le congetture più affascinanti e spericolate, le vere
domande cui dovremmo cercare di dare risposta sarebbero essenzialmente due.
La prima: perché vediamo i dischi volanti? La seconda: perché li vediamo nel
modo in cui li vediamo, cioè in forma di dischi? Jung ha una risposta per
entrambe. Quanto alla prima, al di là della guerra fredda che dettava
l'agenda non solo alla politica statunitense ma anche alle sue fantasie,
egli individua una crisi di quelle che chiama risposte metafisiche. Proprio
perché la mente moderna si è fatta sempre più «tecnicizzante», avvezza a
«trastullarsi con la prospettiva di voli spaziali», ha cominciato a prendere
in considerazione l'ipotesi di una specie più avanzata della nostra in grado
di fare ciò che finora l'uomo ha imparato solo a sognare.

Questa prerogativa ha permesso agli alieni di prendere il posto del mito
cristiano di un mediatore divino, di un Dio che si fa uomo per la nostra
salvezza. «Milioni e milioni di cosiddetti cristiani hanno perduto la fede
in un mediatore reale e vivente» rendendo impopolare l'idea di un intervento
metafisico. In quanto simbolo di un possibile miracolo della scienza, gli
Ufo ci consentirebbero di recuperare in chiave tecnologica il nostro bisogno
di risposte provenienti dall'alto. In effetti, ancora oggi, all'inizio del
terzo millennio, l'icona dell'omino verde con la testa straripante di
intelligenza fa parte di molto immaginario new age.

Dal cerchio divino all'hula hoop



Jung ritiene che il ruolo di mediatori angelici svolto dagli Ufo fornisca
una risposta anche alla seconda domanda, ovvero al perché questi nuovi
«segni del cielo» abbiano perlopiù una forma rotonda. «Balza subito agli
occhi l'analogia con il mandala (termine sanscrito che indica «cerchio»), il
simbolo della totalità ben noto ai conoscitori della psicologia del
profondo». Ciò farebbe degli Ufo «una rappresentazione involontaria,
archetipica o mitologica di un contenuto inconscio, un rotundum che esprime
la totalità dell'individuo». Senza dimenticare poi l'antica definizione
secondo la quale «Dio è un cerchio il cui centro è ovunque ma la cui
circonferenza non è in nessun luogo».

Può non essere del tutto fuori luogo ricordare che mentre Jung scriveva il
suo saggio, una fabbrica di giocattoli californiana, la Wham-O, acquistava
il brevetto per la produzione di un oggetto di plastica di forma rotonda.
L'oggetto, lanciato sul mercato nel 1955 proprio con il nome di Disco
volante, era destinato a diventare famoso in tutto il mondo come Frisbee.
Due anni dopo la Wham-O ebbe un'altra pensata di forma rotonda: l'hula hoop.
I dirigenti dell'azienda spiegarono di aver brevettato il principio
meccanico insito nella rotazione dei fianchi necessaria a mantenere sospeso
il giocattolo: «Cerchi piccoli e fianchi larghi non funzionano». La vendita
dell'hula hoop fu proibita in Giappone perché presupponeva movimenti del
corpo lascivi mentre l'Unione Sovietica vide nella forma di quell'oggetto
qualcosa di ben diverso dalla totalità mandalica, ovvero «un esempio della
vuotaggine della cultura americana».

Tornando a Jung, nella parte del suo saggio dedicata ai sogni ne troviamo
uno di una ragazza ventitreenne della California, stato che lo psicologo non
esita a definire «il paese classico dei dischi volanti». La ragazza racconta
di essersi trovata in uno spiazzo a forma circolare in compagnia di un uomo.
È notte e i due osservano il cielo quando a un tratto la ragazza scorge
qualcosa di rotondo e fluorescente. Il suo primo pensiero è che si tratti di
un disco volante ma poi si volta e vede qualcuno con un proiettore. Da quel
momento la scena si trasforma in una specie di studio cinematografico con
due produttori. «Io passavo dall'uno all'altro - dice la giovane donna - e
discutevo la parte che dovevo recitare nei loro film. Era una parte che
stava a cuore a molte ragazze, qualcuna la conoscevo anche. Uno dei due
produttori dirigeva quella faccenda del disco volante. Entrambi producevano
film di fantascienza, ed era stato stabilito che io vi avessi la parte
principale».

Jung spiega che la sognatrice è un'attrice in cura per un'accentuata
dissociazione della personalità e che nelle figure dei due produttori «si
riconoscono senza difficoltà gli oggetti opposti della scelta erotica
dissociata dell'attrice e il conflitto che ne sta alla base, conflitto che
dovrebbe risolversi in un tertium comparationis, una mediazione dei
contrari. L'Ufo compare qui nel suo ruolo di mediatore a noi già noto».

Sarà anche così ma Jung non sembra tenere in gran conto il fatto che il
paese dei dischi volanti abbonda di ragazze che sognano di essere contese
dai produttori cinematografici. Coloro i quali affermano di essere in
contatto con gli Ufo dovrebbero perciò consigliare a questi esseri tanto
superiori di smetterla di volare dalle parti della California. Altrimenti
rischiano che li si prenda troppo sul serio, costringendoli a mostrarsi
davvero.

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