Occidente con gli occhi chiusi. Non voler vedere.
Una protesta pacifica messa a tacere con il sangue: almeno 100 «persone uccise in maniera indiscriminata», centinaia di feriti e arresti.
Il governo tibetano in esilio nel nord dell'India accusa le autorità cinesi di palesi «violazioni dei diritti umani» e chiede un pronto intervento dell'Onu. Da Lhasa giungono notizie "preoccupanti", si spiega in un comunicato, e tra esse quella della «instaurazione della legge marziale». Dopo gli scontri di venerdì tra i manifestanti tibetani e l'esercito cinese, le autorità di Pechino hanno minacciato «una severa punizione» per i protagonisti dei disordini che non si consegneranno alla polizia entro lunedì prossimo. E mentre l'agenzia ufficiale cinese Xinhua parla di almeno 10 vittime, il governo tibetano in esilio fornisce un bilancio molto più pesante, seppure basato «su informazioni non confermate»: «le vittime sarebbero un centinaio». Intanto il primo ministro del governo tibetano, Samdhong Rinpoché, ha lanciato un appello alla Cina affinché agisca con moderazione. «Speriamo che i dirigenti cinesi, che hanno messo fine in passato al movimento per la democrazia a piazza Tiananmen, affrontino questa situazione con saggezza», ha detto il premier. Rinpoché ha avvertito che la repressione potrebbe accrescere la spirale di violenza. «Gli avvenimenti recenti in Tibet sono stati mal recepiti dalla comunità tibetana e potrebbero condurre certamente ad altri disordini in Tibet e fuori dal Tibet», ha detto il primo ministro in esilio.
D'altra parte, nuove manifestazioni di protesta contro le autorità di Pechino, guidate dai monaci tibetani, sono in corso nella provincia cinese di Gansu, nel nord-ovest del Paese. Ma la protesta si sta allargando anche al di fuori dei confini della penisola asiatica. Alcuni tafferugli sono scoppiati questa mattina tra decine di manifestanti per il Tibet e la polizia australiana a Sydney, durante un corteo di protesta davanti alla sede del Consolato cinese. Gli agenti avrebbero utilizzato i manganelli e lo spray al peperoncino per disperdere la folla.
A non essere troppo preoccupato dalla crisi in Tibet sembra, invece, il comitato organizzatore dei Giochi Olimpici di Pechino, che oggi ha voluto gettare acqua sul fuoco assicurando che essa non avrà alcun effetto sulle Olimpiadi o sul cammino della torcia olimpica. «Il Comitato organizzatore si oppone a qualsiasi tentativo di strumentalizzare i Giochi Olimpici, cosa che andrebbe contro lo spirito delle Olimpiadi: abbiamo ricevuto un grande appoggio da parte della comunità internazionale», ha dichiarato il portavoce Sun Weide, che ha concluso: «Ospitare le Olimpiadi rappresenta un sogno secolare per il popolo cinese - compresi i nostri compatrioti in Tibet».
Parte integrante della Repubblica popolare dal 1951, il Tibet gode almeno formalmente di uno statuto di autonomia.
Il governo regionale di Lhasa ha sostenuto che a organizzare le manifestazioni di piazza sia stata la «cricca del Dalai Lama». In esilio dal 1959, il leader del buddismo tibetano si batte per una maggiore autonomia della regione. Le autorità cinesi lo accusano tuttavia di portare avanti un progetto di tipo separatista, con l'aiuto degli Stati Uniti e di altri governi stranieri.