Paradiso turistico o la lenta morte di un popolo?

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
centrosardegna
00sabato 13 gennaio 2007 16:43
Il Presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi, in visita in Sardegna, si accinge ad entrare nella Prefettura. Come prescritto da una Legge Regionale del 1999, la bandiera Sarda dei Quattro Mori sventola assieme al Tricolore Italiano e al vessillo dell'Unione Europea. Al normalmente pacato Presidente tale fatto disturba, così, tirando fuori il pretesto che bisogna far spazio alla bandiera del Quirinale, fa rimuovere guarda caso proprio i Quattro Mori. L'Unità Nazionale (italiana) è salva.

L'Assessore alla pubblica Istruzione del Comune(CCD), per preparare adeguatamente gli scolari alla visita del Presidente del Consiglio adotta il seguente provvedimento: distribuire il Tricolore in tutte le scuole della città allo scopo di "diffondere capillarmente, soprattutto tra i giovani, i valori dell'Amor di Patria (sic!)". Che la Patria reale dei Sardi sia la Sardegna e la loro bandiera sia quella dei Quattro Mori all'Assessore non gli importa alcunché.

Antonio Martino, Ministro della Difesa italiano, in occasione dell'inaugurazione di quattro natanti da guerra della Marina, riduce il Consiglio Regionale e la stessa Autonomia della Sardegna a mere espressioni di facciata. Nel cerimoniale i rappresentanti del Popolo Sardo (Vicepresidente e un Assessore) vengono relegati in terza fila. Ma il meglio lo concede nella conferenza stampa successiva alla cerimonia. Alle domande d'un giornalista sull'eventualità d'un allargamento della base Nato nell'isola della Maddalena (Costa Nord Orientale), nonostante il parere contrario della maggioranza dei Sardi (espresso dal Consiglio Regionale) e sulle preoccupazioni per un'eventuale presenza di sostanze radioattive, egli così replicava: "Il Consiglio Regionale non è infallibile […] Ci sono state cinque astensioni e la differenza è stata di cinque voti. Mi sembra un po' poco per parlare di Sardi. La presenza di queste persone (i militari americani!) porta benessere e ci consente di risparmiare molte risorse economiche. Le fanno forse schifo questi soldi? Noi abbiamo lì degli alleati che spendono anche per garantire la nostra difesa".

Brevi notizie, forse un paio di righe in qualcuno dei quotidiani più importanti. Eloquenti, però. Dopo più di cento anni d'occupazione politica, civile e militare questo è l'atteggiamento dello Stato Italiano verso la sua minoranza etnica più numerosa. Annientamento di qualsiasi simbolo d'autodeterminazione, assimilazione linguistica, sfruttamento economico: in breve, come convertire una nazionalità minoritaria a quella "superiore e civile". Cambiano i tempi, le parole, non la sostanza. "State zitti, siete italiani!" avrebbero detto il Presidente, l'Assessore e il Ministro quando non era necessaria correttezza politica: oggi ci si appiglia a questioni logistiche (mancanza d'un pennone), si parla d'amor di Patria (la Patria dell'Assessore …), s'annuncia benessere (il benessere delle truppe d'occupazione), quel che in realtà si vuole lo si legge chiaramente tra le righe.

La Sardegna non è Italia. Lo dicono la geografia, la storia, la cultura, la lingua. I sardi non sono italiani. Non lo sono mai stati. Nemmeno quando a centinaia di migliaia combattevano sugli altipiani dolomitici, sul Piave, nel deserto, tra le nevi di Stalingrado per una Patria che non era la loro, contro nemici che non erano i loro, una guerra che non era la loro! Nemmeno quando per decenni hanno messo la croce su simboli di partiti che non erano i loro partiti. Nemmeno quando hanno accettato passivamente piani economici di sviluppo disastrosi calati dall'alto, che poi li hanno costretti a emigrare in massa verso le città del Nord. Nemmeno oggi, quando (in minoranza) scelgono d'affidarsi all'uomo del Cavaliere o al suo avversario di turno, o (in maggioranza) a nessuno dei due: si tratta dei luogotenenti d'una potenza straniera.

Nemmeno quando hanno accettato le industrie petrolchimiche: fabbriche d'inquinamento, malessere, disoccupati, morte verso le quali tutti si trovarono miracolosamente d'accordo! Baroni democristiani, per accontentare clientele capitaliste, funzionari comunisti e sindacali, per creare clientele operaie dove non ce n'erano mai state. Divisi nella Penisola, uniti nell'isola, sotto la bandiera del progresso, dello sviluppo, del miracolo economico: il Tricolore, rigorosamente il Tricolore, esclusivamente il Tricolore! Anche chi nella Penisola cantava non più confini, non più bandiere, nell'Isola una bandiera l'aveva, la sventolava e, soprattutto, la imponeva. Tricolore, il resto era barbarie, anche se si trattava del novanta per cento della popolazione. La lingua di Dante e di Manzoni, il resto era inciviltà, anche se si trattava del novanta per cento della popolazione.

Ciò che dal fascismo sino allo Statuto d'Autonomia era stato tentato senza successo in Sudtirolo, veniva eseguito con successo in Sardegna: portare ai barbari la civiltà di Roma, la lingua di Dante e Manzoni, l'inno di Mameli, il Tricolore. Rendere una Nazione proibita una normalissima regione del profondo Sud: coi suoi disoccupati, i suoi emigrati, la sua criminalità organizzata, le sue clientele, i suoi enti statali malfunzionanti, il suo vittimismo e fatalismo e così via. Italianizzazione.

Un unico partito avevano allora i Sardi. In quell'unico partito, in parte, avevano anche creduto. Portava il nome di Partito Sardo d'Azione. Una speranza, un programma, come il partito di Giuseppe Mazzini e quello di Lajos Kossouth erano stati per Ungheresi e Italiani un secolo prima. Emilio Lussu si chiamava l'eroe dei due mondi isolano. Aveva anche la sua Anita, una certa Joyce che da quelle parti veniva. La guerra, la lotta politica, la galera, la fuga avventurosa, una nuova guerra, la vittoria e il ritorno trionfale: tutto sembrava ripetere le gesta dei suoi predecessori, con la marcia del Popolo verso la propria libertà. Invece, proprio nel momento chiave, il Capotribù Nuragico, come molti lo vedevano, forse per paura, forse per opportunismo, forse per qualcosa che nessuno ancora comprende, viene meno alla sua missione, dichiarando fedeltà all'Italia. Bisognava ricostruire, secondo lui, da sardi, da italiani, da europei. Ma soprattutto, e si capiva benissimo, da italiani. Credeva in un'Italia federale e socialista, Lussu, anche quando era chiaro che sarebbe divenuta democristiana e centralista. Ma a Lussu questo poco importava: lui era italiano. Un italiano travestito da patriota sardo. Parlava anche italiano: sempre! Scriveva italiano: sempre! Nonostante avesse mangiato in sardo: sempre! Come se Garibaldi e Mazzini avessero parlato Tedesco! Si sarebbe potuto fare il Risorgimento in Tedesco? Eppure Lussu questo fece: un risorgimento sardo in italiano. Logico che quando rischiava d'assumere toni troppo seri, quando rischiava di divenire davvero indipendenza, il leader fosse stato il primo a tirarsi indietro. Il Partito si divise e crollò, la Sardegna divenne democristiana: un'Autonomia ridicola dove il sistema fiscale, sanitario e scolastico restavano saldamente nelle mani dello Stato e anzi la Regione dovette aiutare finanziariamente per la ricostruzione del Nord (lo sa questo la Lega?)! Un'Autonomia accettata passivamente dall'intera classe politica, Partito Sardo(?) d'Azione compreso.

Lingua ufficiale divenne l'Italiano, il Sardo, diviso in varianti, restava l'idioma della campagna e dell'ovile. L'assimilazione proseguiva il suo passo, le Legioni Imperiali di fratelli e compagni della Penisola proseguivano nella missione civilizzatrice della nuova Roma. Solo le Barbagie resistevano. Come sempre avevano fatto. Come ancora fanno. Tasso più alto d'astensione elettorale in Italia, forse in Europa, paesi da decenni senza sindaco, la legge della macchia e della vendetta, la Balentia, il coraggio, contro quella dello Stato, che in Sardo diventa Giustiscia, e che sta a significare galera, baionetta, carcere, oppressione. I cartelli stradali, scritti in Italiano, perforati dai pallettoni dei Balentes in tutti i paesi del Gennargentu e del Supramonte, la risposta più chiara a Ciampi e alla sua bandiera, all'Assessore e alla sua Patria, al Ministro e alle sue truppe d'occupazione: una risposta che continuerà ad esserci fino a quando in Barbagia continuerà ad esserci Italia. Risposta in Sardo, finché questa resterà lingua di braccianti, pastori e, appunto, banditi, rifiutata dalla scuola, dalla Giustiscia e dalla cultura ufficiale.

Nel resto dell'Isola, invece, la missione può dirsi compiuta. Le raffinerie petrolchimiche, dette anche cattedrali nel deserto, ormai ridotte a ruderi, monumenti all'assistenzialismo sindacale laburisteggiante in collaborazione con la solidarietà ipocrita clericale, lasciano pian piano spazio ai monasteri del turismo: alberghi, villaggi, villette, residence, ecc. ecc. Il dio turismo al posto del dio petrolio. Per i Sardi, oltre alle solite speranze e promesse, nulla cambia: gli operatori turistici sono stranieri (o italiani, che è lo stesso), il personale è per il novanta percento della Penisola, i prodotti venduti nelle zone VIP (vedi Costa Smeralda) provengono in gran parte da Oltremare, le compagnie aeree e di navigazione altrettanto. E attenzione: qui non si vuole mettere in discussione il libero mercato, qui si parla di migliaia di disoccupati costretti a lasciare casa e famiglia mentre la loro terra e il loro mare vengono lottizzati dall'esterno. Qui si parla d'interi paesi di anziani, fanciulli, disperati che sfogano il proprio malessere nella droga e nell'alcool, mentre l'intero litorale viene cementificato, recintato, ben confezionato per il guadagno di pochi privilegiati, non residenti ed esenti da tasse.

Questo è colonialismo. Nel ventunesimo secolo, in Europa. Italiano è la lingua dei media, della politica, della scuola, dell'Università, della cultura. Italiano è la lingua del lavoro, della speranza, del guadagno. Anche se poi lavoro e guadagno restano comunque illusione e la speranza disperazione. Che importa? Basta parlare Italiano! Con un accento da macchiette, una grammatica dolorosa, ma Italiano! La lingua dell'oppressione, dell'inganno, della menzogna. Il Sardo, la lingua del sangue, quella che ha affascinato filologi come Max Leopold Wagner e Francisco Blasco Ferrer, riconosciuta in tutte le Università del Mondo, democratiche e non, riconosciuta da una Legge Statale, resta dialetto. Anzi, dialetti! Varianti divise di un'unità che si vuol impedire in tutti i modi. Perché si sa: prima viene l'unità linguistica, poi quella politica, infine salta fuori il vero problema, quello che il Presidente, l'Assessore e il Ministro credono d'abbattere con bandiere ed eserciti. Il problema delle radici.

E allora giù dibattiti, discussioni, relazioni, commissioni, enti: in Italiano! Anche questi: può nascere una Lingua Sarda standard parlando in Italiano? Litigando in Italiano? O forse sarà vista dai diretti interessati come un inganno, come una nuova forma d'oppressione? Non sarebbe meglio sperimentarla da subito in tutte le scuole, partendo dagli attuali dialetti? Non sarebbe meglio formare al più presto il maggior numero d'insegnanti? Non sarebbe meglio favorire la creazione di canali televisivi, radiofonici, giornali e centri culturali? Intanto si discute, si litiga, si perde tempo prezioso, mentre insegnanti mandati a bell'apposta dalla Penisola occupano le scuole sarde e in milanese, romano, veneto, napoletano, impongono anche ai figli di chi discute una storia estranea, una cultura estranea, una nazione estranea. Sanno (e per fortuna dimenticano) tutto dei Medici, degli Scaligeri, dei Borgia, di Masaniello e Garibaldi, gli studenti sardi, non sanno nulla della civiltà nuragica, di Amsicora, della resistenza antiromana, dei Giudicati, degli Arborea, delle ribellioni antipiemontesi, della storia della propria terra. Storia periferica, d'oppressione, è vero, ma pur sempre parte di loro, del loro essere, della loro coscienza. E questo vale anche per la letteratura, per la musica, per la poesia, ecc. Educati a obbedire e adulare, sin da piccoli! Educati a rimanere fuori dalla politica, o a vederla soltanto come un qualcosa possibile solo all'interno dei partiti italiani! Educati in Italiano!

Tutto torna, pertanto: la mancanza di soggetti politici genuinamente sardi (come SVP in Sudtirolo e Union in Valle d'Aosta), la mancanza d'una lotta seria per l'autodeterminazione, la mancanza d'un piano concreto per l'ufficializzazione e standardizzazione della lingua, la passiva accettazione dei dictat romani! Esempi banali, ancora: Bolzano, Trento e Aosta hanno nelle targhe automobilistiche lo stemma regionale, la Sardegna no! In nome dell'Unità nazionale, è stato risposto da Roma: i politici sardi hanno chiesto scusa e obbedito! Sudtirolo e Valle d'Aosta hanno un seggio garantito a Bruxelles, la Sardegna fa circoscrizione con la Sicilia, nonostante l'unica cosa che le accomuni sia il fatto d'essere isole. Anche in questo caso i politici sardi tacciono e obbediscono! Allevati sin dall'asilo a inginocchiarsi, strisciare in terra, adulare! E questo vale anche per intellettuali, giornalisti, insegnanti, docenti universitari, sacerdoti! "Canes de Istelzu", cani leccapiatti (per non dire altro…) li chiama lo scrittore Franziscu Masala in un suo romanzo. Come i loro padri con Romani, Bizantini, Catalano-Aragonesi, Piemontesi. Al potere da sempre, adulatori del signore di turno! Una casta dominatrice che ha fatto del tradimento la propria fonte di potere! Infima minoranza che usando la lingua del dominatore ha domato il resto della popolazione, bollando chi resiste come estremista, antiquato o persino terrorista.

Eppure, nonostante tutto, il fuoco cova sotto la cenere. Una fiamma debole, quasi impercettibile, tenuta accesa da pochi idealisti, ma viva! Da una decina d'anni a questa parte proliferano i gruppi musicali che si richiamano alle radici e usano la lingua madre come unico mezzo di comunicazione. A partire dai conosciutissimi Tazenda per passare sui meno conosciuti Cordas e Cannas, Kenze Neke, Istentales, Askra e arrivare ai Favata, Elena Ledda, Piero Marras. Rinasce il teatro, il Cabaret, rinascono i premi di poesia e letteratura in Sardo. Forme di espressione che uniscono passato e presente riempiendo sale, piazze, stadi. Ciò di cui non è capace la politica, invischiata sempre più nei suoi meccanismi clientelari partitocratrici, lo fanno l'arte e la musica. Il ritmo penetrante di Launeddas, organetti, chitarre ricopre la retorica dei politicanti collaborazionisti. Si danza! Nelle piazze dei villaggi, davanti alle chiesette di campagna, intorno ai silenziosi Nuraghi, simboli d'un remoto passato misterioso e glorioso! Si danza sulla svendita dalla terra, sul tradimento, sulla speculazione, sulle truppe d'occupazione!

Nascono comitati, movimenti di lotta popolare, circoli culturali, scuole di lingua. Alcuni intellettuali sfidano l'ironia dei colleghi pseudo-moderni, scrivendo racconti, poesie, persino romanzi nella propria lingua. Il processo è lento, fin'ora coinvolge una sparuta minoranza, ma lo sviluppo è incoraggiante. Se Miroslav Hroch, studioso di nazionalismi, ha definito il risveglio culturale come anticamera della rinascita di un popolo, ciò significa che forse il popolo Sardo, quello vero, quel 90% fin'ora escluso da tutto, sta comprendendo l'antifona e, anche se abbastanza timidamente, reagendo. Ma intanto ricapitoliamo l'amaro presente. Il comportamento di Ciampi, di Martino, di tutti gli amministratori collaborazionisti, conferma una sola tesi: è falsa la credenza che i problemi cronici sardi dipendano da questioni differenti da quella etnica. È interesse dello Stato Italiano mantenere l'isola in condizioni di sottosviluppo per creare dipendenza, evitando così scomode pretese separatiste. La tecnica adottata, nonostante i bei proclami, è quella tipica d'una potenza coloniale: in tutti i campi i posti chiave vengono riservati a una casta o lobbie, o cosca privilegiata di fedelissimi allo Stato Centrale; il metodo è quello del clientelismo, del nepotismo, del voto di scambio, caratteristico si di una regione meridionale, ma con la prerogativa che in questo caso condizione necessaria per partecipare alla distribuzione è la fedeltà storica all'Italia. Coloro che si oppongono vengono automaticamente esclusi.

Non è richiesta istruzione, competenza, formazione professionale ma esclusivamente fedeltà, provocando un abbassamento spaventoso del livello di preparazione e cultura tra le classi dirigenti. Di qui disagi, opere incompiute, mancanza di infrastrutture, speculazione edilizia, degrado ambientale, fuga di cervelli e forza lavoro; di qui la mancanza di reazioni significative a ogni attacco centralista. Il problema non è di tipo sociale, economico, politico, ma etnico-nazionale: come in Cecenia e in Chiapas ciò che ostacola lo sviluppo è l'appartenenza a Russia e Messico, così in Sardegna è lo Stato Italiano. È necessario pertanto che i sardi prendano atto della propria diversità, la valorizzino, da essa partano per rompere il legame coloniale: solo in tal modo sarà possibile uscire dalla subalternità e, da periferia dell'"Italietta", tornare il centro del Mediterraneo. Indipendenza, in una parola, non come spaccatura brusca e violenta, ma come processo di coscienza che comincia dentro ognuno di noi.

[Modificato da centrosardegna 14/01/2007 20.06]

centrosardegna
00domenica 14 gennaio 2007 20:03
Ma è la stessa isola in cui abitiamo noi?






Milioni di euro, migliaia di metri quadrati, caviale e champagne, soubrette e yacht… Ma è la stessa isola in cui abitiamo noi? E a chi potrà mai giovare questa spaccatura in due (a voler essere ottimisti), ma anche in tre, quattro zone della Sardegna, luogo d’accordo meraviglioso e ricco di cultura vivaddio non solo “billionara” e velinara, ma anche di contraddizioni estreme? Non certo ai sardi e alla non facile (sempre per la serie “l’ottimismo a tutti i costi”) situazione economica dell’Isola. Da una parte la Costa Smeralda con le case che costano in media 20 milioni di euro di spesso dubbia provenienza, da un’altra le cattedrali nel deserto di Ottana e le lettere di licenziamento che ieri non sono partite ma forse, prima o poi, arriveranno; la disperazione occupazionale dell’Iglesiente, del Campidano con i loro piccoli feudi elettorali, l’immagine un po’ tronfia del capoluogo centro dell’amministrazione appaltata ai “figli di”, e dei laureati “orfani di” stipati nel call center… Per i sardi che pensano di poter fare nella loro terra non solo i camerieri trimestrali, i telefonisti precari, ma anche per quelli che la “salvacoste” è una sciagura perché proprio soltanto il cemento selvaggio porta denari e quindi guai a pestare i piedi ai palazzinari, agli sceicchi, ai russi ecc. ; per tutti loro e per il radicamento di una cultura che sia soprattutto “autocultura” e “autostima”, la vigilanza e la riflessione su questi fenomeni e su queste contraddizioni è più che mai necessaria ed è necessario che tutti, nel loro piccolo, la pratichino.






Li chiamano «gli arabi del Duemila». Sbarcano in Costa Smeralda, comprano, pagano in contanti e non discutono sui prezzi. Cosa comprano? Le ville più belle. Perché pagano in contanti? Probabilmente per non lasciare tracce. Quei milioni di euro potrebbero provenire da colossali traffici di armi. Infatti, c'è un'inchiesta ancora aperta che dalla Procura di Tempio Pausania è passata a quella di Roma. Un'inchiesta cui ha lavorato il Gico, il corpo speciale della Guardia di Finanza che si occupa del grande crimine, e che ora sta facendo un censimento delle ville passate di mano in questi ultimi anni.
Chi sono questi scatenati compratori? I russi. I nuovi, veri ricchi del pianeta. Il magnate del gas, il re dell'alluminio, il barone della vodka, il re del ferro. Si stanno impossessando della Costa, da Porto Cervo a Cala di Volpe, da. Romazzino a Porto Rotondo che è fuori dal consorzio fondato dall'Aga Khan, ma che rappresenta una meta ugualmente ambita. Per le ultime quattro ville hanno sborsato, senza batter ciglio, 80 milioni di euro. Silenziosi, discreti, inavvicinabili, invisibili. Arrivano e ripartono con i loro jet privati dal-l'aeroporto di Olbia.

Qualche segnale, prima dell'assalto degli ultimi mesi, c'era stato. Nel 1995 Alexander Zhukov, petroliere ucraino, aveva comprato, a Porto Cervo, la villa del costruttore romano Giulio De Angelis, il papà di Elio, lo sfortunato pilota di Formula Uno morto sul circuito di Le Castellet nell'85. Il costruttore, dopo aver passato tre mesi in mano all'Anonima ed essere tornato a casa alleggerito di tre miliardi di vecchie lire e con una mutilazione a un orecchio, decise di abbandonare la Sardegna e trasferirsi sull'isola di Cavallo. Zhukov comprò, ma qualche anno dopo finì nei guai con la giustizia perché nel mare Adriatico fu bloccata una nave con duemila tonnellate di armi destinate ai Paesi della ex Jugoslavia. Provenivano dalla Bielorussia e dall'Ucraina, dovevano finire in Egitto e invece la nave puntava verso il Montenegro. La Procura di Torino fece arrestare Zhukov che però è stato scagionato. Vive a Mosca, dove è uno dei consiglieri di Vladimir Putin (i suoi presunti soci in quel colossale traffico di armi erano uomini del Kgb).

Ma, in realtà, il vento dell'Est ha cominciato a soffiare forte nell'estate del 2002 con Katya e Masha, le due figlie di Putin, il padrone del Cremlino, l'uomo forte della Russia postsovietica. Le aveva invitate Silvio Berlusconi a La Certosa, la sua villa di Punta Lada, a Porto Rotondo. E le fotografie di Masha e Katya che facevano il bagno in quell'angolo di paradiso fecero il giro del mondo. E dei giornali russi che fecero scoprire la Costa Smeralda ai nuovi ricchi. Così cominciò la corsa verso le ville più belle.

L'ultima a finire in mano ai russi è stata la villa della contessa Marta Marzotto, intestata alla figlia Paola, a Porto Rotondo. E stata venduta, un mese fa, in gran silenzio: per oltre 20 milioni di euro un magnate del neocapitalismo russo si è preso le sette stanze con la spiaggia davanti e con vista sull'isolotto di Soffi. E si è preso anche il salone, la camera da letto più importante e il bagno padronale con gli affreschi di Renato Guttuso. Una villa unica, costruita quando a Porto Rotondo c'erano solo tre case: quella dei Donà delle Rose, i nobili veneziani fondatori del centro turistico, quella dei dentisti milanesi Hruska e quella dei conti Rudi e Consuelo Crespi. Sette camere da letto e sette bagni davanti alla baia di Punta Volpe, in pietra grezza e blocchetti di granito chiari e scuri, il tetto senza tegole, il muretto di recinzione che separa il giardino dal mare.

E la fine di un'epoca in Costa. I rubli dei magnati russi, tanto famelici quanto sconosciuti, stanno cancellando definitivamente il ricordo degli anni d'oro quando a Porto Cervo e a Porto Rotondo scendevano Jacqueline Kennedy e Margaret d’Inghilterra, Lady Diana e Paola del Belgio, Gianni Agnelli e l'ex proprietario della Mercedes, Richard Burton e Liz Taylor. Quando sul pontile dell'hotel Cala di Volpe James Bond-Roger Moore girava le scene di “La spia che mi amava”.

Ricordi sbiaditi di un'altra generazione. Oggi in Costa sbarcano soprattutto manager spregiudicati e veline, letterine e starlette di dubbio talento, ma con idee chiare: agganciare il produttore giusto per la carriera, oppure il nababbo che ti scarrozza sul suo megayacht e ti copre di regali. E i nuovi ospiti si sono appena insediati nelle loro ville sul mare, tutte senza prezzo, perché in riva non si potrà mai più costruire.

A Porto Rotondo gli ultimi acquisti dei russi sono Villa Verdiana a Punta Nuraghe (casa padronale e dependance con mille metri quadrati coperti e un ettaro di giardino). Era dell'ingegnere romano Paolo Cavallari. Non si sa chi abbia comprato e quanto abbiano pagato. Dall'altra parte di Porto Rotondo, prima di Paola Marzotto ha venduto l'immobiliarista bresciano Franco Rusconi, prossimo presidente dell'Olbia calcio. S'è venduto Villa Clotilde, due piani per 600 metri quadrati su mezzo ettaro di parco, accanto alle ville storiche degli Hruska e di Karl Hahn, presidente onorario della Volkswagen.

E a poca distanza ha fatto il bis Roustam Tariko, il re della vodka e buon amico di Putin, che due anni fa, dopo infiniti tentativi, aveva strappato a Veronica Lario la meravigliosa Villa Minerva per 35 miliardi di vecchie lire. Quest'estate Tariko ha chiuso con i Pollini, imprenditori bresciani, proprietari di una quadrifamiliare in via Punta Volpe, proprio di fronte a Villa Minerva.

Un altro buon amico di Putin, Vyacoeslav Kantor, un ebreo dell'ex Unione Sovietica, plurimilionario, mercante e collezionista di opere d'arte, ha coronato il suo sogno. Dopo aver comprato Villa Ciliegina (350 metri quadrati) da Stefano Fabbri, il patron dell'Amarena Fabbri, ha fatto il bis comprando un'altra dimora di lusso a Punta Lada, a due passi dalle ville di Silvio e Paolo Berlusconi. Alisher Usmanov, signore del gas siberiano, a Romazzino, si è preso la villa della famiglia Merloni (elettrodomestici) e al Pevero di Porto Cervo se n'è comprate altre due, in una delle quali, Villa Sa Pedra, prima che diventasse Presidente della Repubblica, faceva le vacanze Carlo Azeglio Campi.

Oleg Deripaska, magnate dell'alluminio, imparentato con Boris Eltsin, ha comprato, a Porto Cervo, la mitica villa Le Walkirie, mentre Roman Abramovich, petroliere, governatore della sperduta regione della Chukokta e patron della squadra del Chelsea, ha comprato una delle case più belle della Costa. Per 25 milioni di euro si è assicurato un'enorme villa sul mare a Cala di Volpe. L'aveva fatta costruire più di 30 anni fa il medico condotto di Arzachena Flavio Sotgiu, oggi 82enne. Ne voleva fare una clinica privata. Poi, di fronte a tanto incanto, ha preferito tenersela. Davanti a quasi 50 miliardi di vecchie lire posati su un vassoio d'argento dal magnate (che contemporaneamente, pochi mesi fa, ha sborsato altri 50 milioni di euro per portare a Londra Shevchenko), non ha resistito. Uno degli ultimi a comprare è stato Vassily Anisimov, re della metallurgia russa che ha seguito il suo socio Usmanov e si è assicurato Villa Tulipano a Porto Cervo. Ma la corsa all'oro della Costa Smeralda è tutt'altro che finita.

[Modificato da centrosardegna 14/01/2007 20.07]

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 21:59.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com