Papa Ratzinger ha iniziato a rispondere all’ultima domanda (The Final Question)

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: [1], 2, 3
zsbc08
00venerdì 17 ottobre 2008 12:33
Papa Ratzinger ha iniziato a rispondere all’ultima domanda (The Final Question)
Da: RaiNews24.it

Citta' del Vaticano | 10 dicembre 2008
Il Papa: i diritti umani sono fragili se non sono fondati su Dio


 I diritti dell'uomo sono per il Papa "ultimamente fondati in Dio creatore" e "se si prescinde da questa solida base etica, i diritti umani rimangono fragili perche' privi di solido fondamento".   
  Benedetto XVI lo ha ribadito dopo il concerto in Vaticano per celebrare il 60.mo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo proclamata dall'Onu.

"La legge naturale, scritta da Dio nella coscienza umana, - ha detto papa Ratzinger - e' un denominatore comune a tutti gli uomini e a tutti i popoli; e' una guida universale che tutti possono conoscere e sulla base della quale tutti possono intendersi".
 "La celebrazione del 60esimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo "costituisce un'occasione per verificare in quale misura gli ideali, accettati dalla maggior parte della comunita' delle Nazioni nel 1948, siano oggi rispettati nelle diverse legislazioni nazionali e, piu' ancora, nella coscienza degli individui e delle collettivita'". Lo ha affermato Benedetto XVI concludendo con un discorso le celebrazioni tenute in Vatcano.

"Indubbiamente - ha riconosciuto il Pontefice - un lungo cammino e' stato gia' percorso, ma ne resta ancora un lungo tratto da completare: centinaia di milioni di nostri fratelli e sorelle vedono tuttora minacciati i loro diritti alla vita, alla liberta', alla sicurezza; non sempre e' rispettata l'uguaglianza tra tutti la dignita' di ciascuno, mentre nuove barriere sono innalzate per motivi legati alla razza, alla religione, alle opinioni politiche o ad altre convinzioni".
Dunque, ha concluso, "non cessi il comune impegno a promuovere e meglio definire i diritti dell'uomo, e si intensifichi lo sforzo per garantirne il rispetto. Accompagno questi voti con la preghiera perchè Iddio, Padre di tutti gli uomini, ci conceda di costruire un mondo dove ogni essere umano si senta accolto con piena dignita', e dove i rapporti tra gli individui e tra i popoli siano regolati dal rispetto, dal dialogo e dalla solidarieta'".




Roma | 10 dicembre 2008
Bertone: in pericolo il diritto alla vita e alla libertà religiosa
Tarcisio Bertone
Tarcisio Bertone


 "Oggi, di fronte ad un preoccupante quadro globale che e' anzitutto il riflesso di strutture economiche non rispondenti al valore dell'uomo, i diritti basilari sembrano dipendere da anonimi meccanismi senza controllo e da una visione che si rinchiude nel pragmatismo del
momento". Lo ha detto il segretario di Stato Tarcisio Bertone, intervenuto questo pomeriggio in Vaticano al Congresso celebrativo del 60esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. "E' l'universalita' della persona" ha aggiunto il porporato citando il discorso di Benedetto XVI all'Onu lo scorso 18 aprile, il criterio "che fornisce ai diritti umani la caratteristica di essere universali, così da evitare applicazioni parziali o visioni relative". La loro mancata tutela "che spesso si evidenzia nell'atteggiamento di tante istituzioni e funzioni dell'autorita' - ha osservato - , e' il frutto della disgregazione dell'unita' della persona intorno alla quale si pensa di proclamare diritti diversi, di costruire ampi spazi di liberta' che però rimangono privi di ogni fondamento antropologico". Ribadendo la non gerarchia e l'indivisibilita' di questi diritti, Bertone ha sottolineato l'"attenzione particolare" riservata dalla Chiesa ai diritti alla vita e alla liberta' religiosa contemplati nella Dichiarazione.

Per il segretario di Stato, "quando viene meno il riconoscimento del diritto alla vita" e di quello "alla liberta' religiosa anche il rispetto per gli altri diritti vacilla". Dopo aver ripercorso gli interventi all'Assemblea generale dell'Onu di Paolo VI (1965), Giovanni Paolo II (1995) e Benedetto XVI, Bertone ha osservato che la Dichiarazione fa discendere "l'esatta natura" dei diritti umani "dalla dignita' che e' comune ad ogni essere umano" e ha precisato che "difendere i diritti fondamentali significa non confonderli con semplici e spesso limitati bisogni contingenti".

"Anche una volta riconosciuti e perfino fissati in una eventuale convenzione, i diritti umani - ha concluso - hanno sempre bisogno di essere difesi", e "rispettare e rinvigorire i diritti fondamentali sara' un modo concreto attraverso cui contrastare le forme, differenti e diffuse, di abbandono dei cardini di ordine morale nei rapporti sociali, dalla dimensione interpersonale sino a quella delle relazioni internazionali".






E' la prima volta che un musulmano scrive su L'Osservatore Romano e questo è un evento storico.
Khaled Fouad Allam ha dichiarato che oggi occorre ripensare il patrimonio spirituale profondo e antico comune al mondo musulmano e a quello cristano e che L'Osservatore Romano è la sede più opportuna per fare questo lavoro.
Francesco Paolo Pinello - 1 dicembre 2008  

Le religioni e il destino del mondo

 

di Khaled Fouad Allam
Università di Trieste e di Stanford

Stiamo da tempo vivendo una crisi globale e proprio per questo la riflessione sul dialogo tra islam e cristianesimo merita di essere riproposta sotto una nuova angolazione. Le relazioni tra queste due grandi religioni sono ovviamente antiche, non solo per la prossimità geografica ma per la storia delle due tradizioni spirituali. Da decenni - per molti aspetti, dal concilio Vaticano ii - i rapporti tra musulmani e cristiani coinvolgono diverse dimensioni, tra le quali il confronto sul piano religioso, anche se spesso non si riesce ad approfondirlo e a evidenziarne luci e ombre, con il risultato che non di rado emerge la nostra incapacità a pensare oltre.
Proprio per questa crisi generalizzata bisogna pensare il dialogo tra cristianesimo e islam nella sua dimensione filosofica, vale a dire nella ricerca e nell'analisi di ciò che potrebbe aiutarci a individuare i pericoli della crisi e gli strumenti per superarla. È sempre nell'esperienza del dolore, del male e della sofferenza che gli esseri umani sono chiamati alle proprie responsabilità dinanzi alla storia e all'eternità. Le catastrofi degli ultimi vent'anni, la radicalizzazione delle coscienze, l'attentato alle Twin Towers dell'11 settembre 2001, il ritorno dell'intolleranza nei confronti di alcune fedi sono il segnale di un male che la nostra umanità sta vivendo.
Ma è proprio l'esperienza della sofferenza, individuale o collettiva, che rende possibile l'incontro con l'altro, anche se la sofferenza permane comunque intatta e ineludibile. Non è dunque un caso che nella ricerca di un nuovo ordine internazionale e di una convivenza pacifica fra popoli e culture, la nozione stessa di dialogo investa, com'è ovvio, terreni non inclusi in quelli delle tradizionali questioni religiose.
Abbiamo difficoltà a entrare nel XXI secolo perché il xx secolo pesa ancora troppo; e se alcuni lo definiscono come il "secolo della storia", è semplicemente perché ha occultato il rapporto complesso fra storia ed eternità. Un inedito conflitto fra il desiderio di eternità e il vivere nella storia ha prodotto l'odierno oblio della sostanza delle cose; l'uso della parola "modernità" è significativo di tutto ciò, perché la modernità ci ha permesso di dimenticare che tutto è provvisorio su questa terra, e che qui siamo ospiti.
Viviamo ancor oggi nell'ambiguità di questo rapporto:  i nostri comportamenti ne sono impregnati, al punto che spesso nelle religioni - ad esempio nel caso dell'islam - la storia si impadronisce dell'eternità, ad opera degli uomini meno adatti al dialogo. È ciò che avviene nel radicalismo islamico, che in alcune situazioni cerca di imporre il tragico ordine della tirannia.
L'affrontare grandi questioni come la libertà di religione - un problema importante nel mondo islamico - rivisitando il rapporto fra storia ed eternità finirà per incidere sul dialogo tra musulmani e cristiani e sul rapporto tra islam e mondo. Il divorzio fra storia ed eternità si è tradotto nel senso di oblio - oblio dell'eternità, della continuità, della nostra provvisorietà - ed è in tale oblio che si sono fatte le guerre e le rivoluzioni, è in esso che sono nati i totalitarismi. Ma l'oblio ha intaccato anche le grandi questioni relative al destino dell'uomo, alle manipolazioni genetiche e alla bioetica, questioni angoscianti perché interrogano non solo l'individuo ma l'umanità intera.
Come ristabilire questo rapporto, come definire una reale complementarità fra il nostro vivere nella storia e il nostro desiderio di eternità? Ogni rivelazione si definisce come una redenzione, ma ognuna è anche un modello da riformulare volta per volta, perché una reale temporalità, un vero attraversamento del Mar Rosso come fece Mosè con il popolo ebraico, ha senso solo se si congiungono i due punti cardinali, storia ed eternità.
È anche così che si può vedere l'odierna questione del dialogo delle civiltà:  un ipotetico nuovo ordine internazionale non può che passare attraverso due paradigmi, che andranno definiti nei contenuti:  il primo è la democrazia, il secondo è il dialogo fra popoli, culture e religioni. Le due questioni sono intimamente legate, e il loro sviluppo sarà di primaria importanza per uscire dalle turbolenze di questo nuovo secolo.
Mi preme aggiungere che il dialogo non solo è necessario, ha una urgenza sociale e una valenza etica e morale. L'islam non è una categoria astratta, è fatto di persone che hanno speranze e sofferenze, che vivono anche nel cuore delle città d'Europa, che desiderano integrarsi, anch'esse protagoniste di un'Europa che ritorni alle sue radici, aperte agli altri continenti. In un mondo attraversato da frontiere simboliche e culturali, è forse giunto il tempo che l'universalismo rappresenti l'antidoto all'odierna visione pessimistica del mondo, pessimismo che rende l'uomo muto di fronte all'umanità.
Ma la geometria variabile del dialogo può assolvere anche un'altra funzione:  liberare l'islam dal monopolio della teologia neofondamentalista, che occulta la simmetria del rapporto fra storia ed eternità, che tende a considerare la storia come eternità e l'eternità come storia, con l'effetto che l'islam si svuota della sua dimensione spirituale e impoverisce la sua stessa cultura. Di ciò i musulmani si devono rendere conto. Il dialogo è in qualche modo legato a quella "salvezza", anche nella sua versione profana, che dovrà illuminare il buio dei nostri giorni.




(©L'Osservatore Romano - 30 novembre 2008)



Da Repubblica di venerdì 17 ottobre 2008

 
Il Papa contro gli scienziati “Tentati dai facili guadagni”. Benedetto XVI: colpevoli anche di arroganza. 

Orazio La Rocca, Città del Vaticano. “La scienza moderna a volte segue solo il facile guadagno e tenta di sostituirsi al Creatore con arroganza, senza essere in grado di elaborare principi etici, mettendo in grave pericolo la stessa umanità”. Nuovo severo richiamo di papa Ratzinger contro i cosiddetti “fautori” di un mondo senza Dio, tra i quali il Pontefice addita quegli scienziati che, in preda ad “una forma di hybris (arroganza)", puntano solo ad accumulare ricchezza. […] L’appello contro “l’arroganza di determinati scienziati moderni, Ratzinger l’ha lanciato parlando ai partecipanti al convegno sul decennale della Fides et Ratio, l’enciclica che Giovanni Paolo II nel 1998 dedicò al rapporto tra scienza e fede. Non possiamo nasconderci – ha sostenuto Benedetto XVI – che la ricerca si è volta soprattutto all’osservazione della natura nel tentativo di scoprirne i segreti. Ma il desiderio di conoscere la natura si è poi trasformato nella volontà di riprodurla”. E tutto questo, ad avviso di Ratzinger, “non può che aprire scenari pericolosi”, perché “non sempre gli scienziati indirizzano le loro ricerche per il bene dell’umanità. Il facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante”. Il Papa ha anche risposto con altrettanta fermezza a chi accusa la Chiesa di essere oscurantista e di frenare lo sviluppo, ricordando che “la fede non teme il progresso della scienza e gli sviluppi a cui conducono le sue conquiste quando queste sono finalizzate all’uomo, al suo benessere e al progresso di tutta l’umanità”. […]

 

Papa Ratzinger ha iniziato a rispondere all’ultima domanda (The Final Question):

io nel mio romanzo, “La Camera del Silenzio (The Final Question), ho scritto, p. 146 e segg. “[…] Era con la luce e nella luce di quell’inferno viscerale che i figli degli uomini avrebbero vinto la loro guerra all’inferno. La loro guerra doveva diventare luce. Anche Lucifero adesso aveva deciso di risalire la spada dell’arcangelo Michele quando questa avrebbe trafitto il suo cuore, per risvegliarsi, dolce aurora, in Paradiso.

I figli degli uomini dovevano salire lungo la scala che aveva trafitto i loro cuori.

Dalle loro vite inferiori, come Minotauri in trasfigurazione, dovevano passare e ritornare alle loro vite superiori.

Le macchine non erano capaci di questo!

No … le macchine, no …

Le macchine erano state create dall’uomo, e l’uomo non le aveva create per questo, e non avrebbe potuto crearle per questo anche a volerlo … non avrebbe potuto!

Le macchine, anche se dotate di coscienza artificiale, non potevano salire dalle regioni infernali alle regioni superiori, dalla tenebra alla luce.

Le macchine non erano animali divini, non avevano visceri, non avevano tenebre nelle viscere e non potevano trasformare, in una vita superiore, le tenebre in luce, le viscere in idee piene di forza.

Le macchine potevano vivere in una regione soltanto del mondo e basta, in una regione fredda e gelida, dove non c’erano né acqua né fuoco, né cielo né terra, né acqua superiore né acqua inferiore, né bene né male, né Lucifero né arcangelo Michele, né alfa né omega, né inizio né fine, né Genesi né Apocalisse.

Le macchine potevano vivere soltanto nella fredda e gelida regione del virtuale e dell’artificiale … lì … soltanto lì, e basta …

Era per questo che i figli degli uomini avrebbero vinto la loro guerra contro quelle macchine soltanto nell’Iniziazione e con l’Iniziazione […].

Era nell’Iniziazione la loro vittoria.

Senza la vittoria dell’Iniziazione ci sarebbe stato il The End causato dalle macchine, e la terra sarebbe diventata una sola regione abitata da macchine, e basta.

Il mondo sarebbe stato totalmente artificiale e virtuale e le intelligenze sarebbero state totalmente artificiali e virtuali.

E tutti gli uomini malvagi, che per anni avevano tratto profitti da quelle macchine, sarebbero morti anche loro.

Niente più natura fisica, niente più atmosfera, niente più ossigeno, niente più piante, niente più animali, ma soltanto cenere, e deserto, e caldo, e terremoti, e catastrofi ambientali.

Niente più natura umana, ma soltanto macchine, pròtesi, cervelli artificiali, occhi artificiali, orecchi artificiali, gambe artificiali, mani artificiali.

Che bella conquista! Quale enorme guadagno! Che fantastico business!

Niente più natura divina, niente più fuoco, niente più acqua, niente più luce, niente più Uno … niente di niente …

Il nulla.

Ecco cos’era il nulla!

Questo era il nulla per l’uomo! […]

E Tu [Vicario di Cristo a Roma: Papa], quando Lucifero busserà alla porta del Paradiso per la domanda finale [The Final Question], che farai?>>   
Francesco Paolo Pinello





la crisi? Ratzinger l'aveva prevista nel 1985
da: RaiNews24.it

Milano | 19 novembre 2008
Tremonti alla Cattolica: la crisi? Ratzinger l'aveva prevista nel 1985
Giulio Tremonti
Giulio Tremonti

Diffidate degli economisti. Affrontate la crisi con "ignoranza scientifica", ossia con la consapevolezza di "sapere di non sapere". L'invito del ministro dell'economia Giulio Tremonti agli studenti della Cattolica di Milano è quello di "diffidare da chi dice di sapere e da chi non avendo previsto l'inizio della crisi, ora ci dice come affrontarla". Il primo a 'vedere' l'attuale crisi? E' stato Benedetto XVI.   

Joseph Ratzinger aveva profetizzato l'attuale crisi globale dei mercati finanziari nel lontano 1985, ha ricordato Tremonti: "Si sta avverando - ha detto il ministro intervenendo alla cerimonia di inaugurazione dell'Università Cattolica - la previsione secondo la quale in economia il declino della disciplina economica e l'allentamento delle leggi e delle regole avrebbero portato le leggi stesse del mercato al collasso e all'implosione su se stessa". Una previsione, ha puntualizzato Tremonti, contenuta nello scritto
"Church and
economy" realizzato dall'allora cardinale Joseph Ratzinger nel 1985.

Tremonti ha spiegato come l'economia negli ultimi anni abbia "perso il contatto con la realtà", non "la compassione ma la sua funzione sociale".

Il domino della crisi
"La crisi economica che stiamo attraversando è come vivere dentro un videogame. In quelli che si giocano, si affrontano mostri e poi si spegne tutto. Mentre questa non è ancora terminata e non è possibile fare 'game over'", ha detto Tremonti.

"Come nei videogiochi ci sono dei mostri da affrontare per passare al livello successivo. Ora -ha continuato il ministro-dobbiamo affrontare i mostri delle carte di credito, poi quello delle attese bancarotte societarie e poi il mostro dei mostri, quello dei derivati, della follia del rischio incalcolabile e degli effetti collaterali non preventivabili".


Il futuro
"Penso che si possa giungere a un capitalismo in una versione più conservativa, più umanista, antiautoritaria, antidogmatica", ha detto Tremonti, per il quale si intravede uno "scenario in cui si apriranno spazi al mercato sociale attraverso l'introduzione nell'economia di una disciplina dei valori morali".

Article presented in 1985 in a symposium in Rome, “Church and Economy in Dialogue.” 1

Market Economy and Ethics

Allow me to give a cordial welcome — also in the name of the two other protectors, Cardinal Höffner and Cardinal Etchegaray — to all the participants here present for the Symposium on Church and Economy. I am very glad that the cooperation between the Pontifical Council for the Laity, the International Federation of Catholic Universities, the Institute of the German Economy and the Konrad-Adenauer-Foundation, has made possible these world-wide conversations on a question of deep concern for all of us.

The economic inequality between the northern and southern hemispheres of the globe is becoming more and more an inner threat to the cohesion of the human family. The danger for our future from such a threat may be no less real than that proceeding from the weapons arsenals with which the East and the West oppose one another. New exertions must be made to overcome this tension, since all methods employed hitherto have proven themselves inadequate. In fact, the misery in the world has increased in shocking measure during the last thirty years. In order to find solutions that will truly lead us forward, new economic ideas will be necessary. But such measures do not seem conceivable or, above all, practicable without new moral impulses. It is at this point that a dialogue between Church and economy becomes both possible and necessary.

Let me clarify somewhat the exact point in question. At first glance, precisely in terms of classical economic theory, it is not obvious what the Church and the economy should actually have to do with one another, aside from the fact that the Church owns businesses and so is a factor in the market. The Church should not enter into dialogue here as a mere component in the economy, but rather in its own right as Church.

Here, however, we must face the objection raised especially after the Second Vatican Council, that the autonomy of specialized realms is to be respected above all. Such an objection holds that the economy ought to play by its own rules and not according to moral considerations imposed on it from without. Following the tradition inaugurated by Adam Smith , this position holds that the market is incompatible with ethics because voluntary “moral” actions contradict market rules and drive the moralizing entrepreneur out of the game. 3 For a long time, then, business ethics rang like hollow metal because the economy was held to work on efficiency and not on morality. 4 The market's inner logic should free us precisely from the necessity of having to depend on the morality of its participants. The true play of market laws best guarantees progress and even distributive justice.

The great successes of this theory concealed its limitations for a long time. But now in a changed situation, its tacit philosophical presuppositions and thus its problems become clearer. Although this position admits the freedom of individual businessmen, and to that extent can be called liberal, it is in fact deterministic in its core. It presupposes that the free play of market forces can operate in one direction only, given the constitution of man and the world, namely, toward the self-regulation of supply and demand, and toward economic efficiency and progress.

This determinism, in which man is completely controlled by the binding laws of the market while believing he acts in freedom from them, includes yet another and perhaps even more astounding presupposition, namely, that the natural laws of the market are in essence good (if I may be permitted so to speak) and necessarily work for the good, whatever may be true of the morality of individuals. These two presuppositions are not entirely false, as the successes of the market economy illustrate. But neither are they universally applicable and correct, as is evident in the problems of today's world economy. Without developing the problem in its details here — which is not my task — let me merely underscore a sentence of Peter Koslowski's that illustrates the point in question: “The economy is governed not only by economic laws, but is also determined by men...”. 5 Even if the market economy does rest on the ordering of the individual within a determinate network of rules, it cannot make man superfluous or exclude his moral freedom from the world of economics. It is becoming ever so clear that the development of the world economy has also to do with the development of the world community and with the universal family of man, and that the development of the spiritual powers of mankind is essential in the development of the world community. These spiritual powers are themselves a factor in the economy: the market rules function only when a moral consensus exists and sustains them.

If I have attempted so far to point to the tension between a purely liberal model of the economy and ethical considerations, and thereby to circumscribe a first set of questions, I must now point out the opposite tension. The question about market and ethics has long ceased to be merely a theoretical problem. Since the inherent inequality of various individual economic zones endangers the free play of the market, attempts at restoring the balance have been made since the 1950s by means of development projects. It can no longer be overlooked that these attempts have failed and have even intensified the existing inequality. The result is that broad sectors of the Third World, which at first looked forward to development aid with great hopes, now identify the ground of their misery in the market economy, which they see as a system of exploitations, as institutionalised sin and injustice. For them, the centralized economy appears to be the moral alternative, toward which one turns with a directly religious fervor, and which virtually becomes the content of religion. For while the market economy rests on the beneficial effect of egoism and its automatic limitation through competing egoisms, the thought of just control seems to predominate in a centralized economy, where the goal is equal rights for all and proportionate distribution of goods to all. The examples adduced thus far are certainly not encouraging, but the hope that one could, nonetheless, bring this moral project to fruition is also not thereby refuted. It seems that if the whole were to be attempted on a stronger moral foundation, it should be possible to reconcile morality and efficiency in a society not oriented toward maximum profit, but rather to self-restraint and common service. Thus in this area, the argument between economics and ethics is becoming ever more an attack on the market economy and its spiritual foundations, in favor of a centrally controlled economy, which is believed now to receive its moral grounding.

The full extent of this question becomes even more apparent when we include the third element of economic and theoretical considerations characteristic of today's situation: the Marxist world. In terms of the structure of its economic theory and praxis, the Marxist system as a centrally administered economy is a radical antithesis to the market economy. 6 Salvation is expected because there is no private control of the means of production, because supply and demand are not brought into harmony through market competition, because there is no place for private profit seeking, and because all regulations proceed from a central economic administration. Yet, in spite of this radical opposition in the concrete economic mechanisms, there are also points in common in the deeper philosophical presuppositions. The first of these consists in the fact that Marxism, too, is deterministic in nature and that it too promises a perfect liberation as the fruit of this determinism. For this reason, it is a fundamental error to suppose that a centralized economic system is a moral system in contrast to the mechanistic system of the market economy. This becomes clearly visible, for example, in Lenin's acceptance of Sombart's thesis that there is in Marxism no grain of ethics, but only economic laws. 7 Indeed, determinism is here far more radical and fundamental than in liberalism: for at least the latter recognizes the realm of the subjective and considers it as the place of the ethical. The former, on the other hand, totally reduces becoming and history to economy, and the delimitation of one's own subjective realm appears as resistance to the laws of history, which alone are valid, and as a reaction against progress, which cannot be tolerated. Ethics is reduced to the philosophy of history, and the philosophy of history degenerates into party strategy.

But let us return once again to the common points in the philosophical foundations of Marxism and capitalism taken strictly. The second point in common — as will already have been clear in passing — consists in the fact that determinism includes the renunciation of ethics as an independent entity relevant to the economy \. This shows itself in an especially dramatic way in Marxism. Religion is traced back to economics as the reflection of a particular economic system and thus, at the same time, as an obstacle to correct knowledge, to correct action — as an obstacle to progress, at which the natural laws of history aim. It is also presupposed that history, which takes its course from the dialectic of negative and positive, must, of its inner essence and with no further reasons being given, finally end in total positivity. That the Church can contribute nothing positive to the world economy on such a view is clear; its only significance for economics is that it must be overcome. That it can be used temporarily as a means for its own self-destruction and thus as an instrument for the “positive forces of history” is an ‘insight’ that has only recently surfaced. Obviously, it changes nothing in the fundamental thesis.

For the rest, the entire system lives in fact from the apotheosis of the central administration in which the world spirit itself would have to be at work, if this thesis were correct. That this is a myth in the worst sense of the word is simply an empirical statement that is being continually verified. And thus precisely the radical renunciation of a concrete dialogue between Church and economy which is presupposed by this thought becomes a confirmation of its necessity.

In the attempt to describe the constellation of a dialogue between Church and economy , I have discovered yet a fourth aspect. It may be seen in the well-known remark made by Theodore Roosevelt in 1912: “I believe that the assimilation of the Latin-American countries to the United States will be long and difficult as long as these countries remain Catholic.” Along the same lines, in a lecture in Rome in 1969, Rockefeller recommended replacing the Catholics there with other Christians 8 — an undertaking which, as is well known, is in full swing. In both these remarks, religion — here a Christian denomination — is presupposed as a socio-political, and hence as an economic-political factor, which is fundamental for the development of political structures and economic possibilities. This reminds one of Max Weber's thesis about the inner connection between capitalism and Calvinism , between the formation of the economic order and the determining religious idea. Marx's notion seems to be almost inverted: it is not the economy that produces religious notions, but the fundamental religious orientation that decides which economic system can develop. The notion that only Protestantism can bring forth a free economy — whereas Catholicism includes no corresponding education to freedom and to the self-discipline necessary to it, favoring authoritarian systems instead — is doubtless even today still very widespread, and much in recent history seems to speak for it. On the other hand, we can no longer regard so naively the liberal-capitalistic system (even with all the corrections it has since received) as the salvation of the world. We are no longer in the Kennedy-era, with its Peace Corps optimism; the Third World's questions about the system may be partial, but they are not groundless. A self-criticism of the Christian confessions with respect to political and economic ethics is the first requirement.

But this cannot proceed purely as a dialogue within the Church. It will be fruitful only if it is conducted with those Christians who manage the economy \. A long tradition has led them to regard their Christianity as a private concern, while as members of the business community they abide by the laws of the economy.

These realms have come to appear mutually exclusive in the modern context of the separation of the subjective and objective realms. But the whole point is precisely that they should meet, preserving their own integrity and yet inseparable. It is becoming an increasingly obvious fact of economic history that the development of economic systems which concentrate on the common good depends on a determinate ethical system, which in turn can be born and sustained only by strong religious convictions. 9 Conversely, it has also become obvious that the decline of such discipline can actually cause the laws of the market to collapse. An economic policy that is ordered not only to the good of the group — indeed, not only to the common good of a determinate state — but to the common good of the family of man demands a maximum of ethical discipline and thus a maximum of religious strength. The political formation of a will that employs the inherent economic laws towards this goal appears, in spite of all humanitarian protestations, almost impossible today. It can only be realized if new ethical powers are completely set free. A morality that believes itself able to dispense with the technical knowledge of economic laws is not morality but moralism. As such it is the antithesis of morality. A scientific approach that believes itself capable of managing without an ethos misunderstands the reality of man. Therefore it is not scientific. Today we need a maximum of specialized economic understanding, but also a maximum of ethos so that specialized economic understanding may enter the service of the right goals. Only in this way will its knowledge be both politically practicable and socially tolerable.


zsbc08
00giovedì 23 ottobre 2008 10:47
Il principio per capire il mondo
Nel discorso alla Curia Romana il Papa rilancia un'ecologia umana che non contraddice ma favorisce la libertà

L'ascolto del linguaggio della creazione
salva l'uomo dalla distruzione


Il disprezzo del linguaggio della creazione porta all'"autodistruzione dell'uomo" e alla "distruzione dell'opera stessa di Dio". Lo ha affermato Benedetto XVI nel discorso rivolto alla Curia Romana durante la tradizionale udienza di fine anno in occasione degli auguri natalizi, svoltasi lunedì mattina, 22 dicembre, nella Sala Clementina.

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!
Il Natale del Signore è alle porte. Ogni famiglia sente il desiderio di radunarsi, per gustare l'atmosfera unica e irripetibile che questa festa è capace di creare. Anche la famiglia della Curia Romana si ritrova, stamane, secondo una bella consuetudine grazie alla quale abbiamo la gioia di incontrarci e di scambiarci gli auguri in questo particolare clima spirituale. A ciascuno rivolgo il mio saluto cordiale, colmo di riconoscenza per l'apprezzata collaborazione prestata al ministero del Successore di Pietro. Ringrazio vivamente il Cardinale Decano Angelo Sodano, che, con la voce di un angelo, si è fatto interprete dei sentimenti di tutti i presenti e anche di quanti sono al lavoro nei diversi uffici, comprese le Rappresentanze Pontificie. Accennavo all'inizio alla speciale atmosfera del Natale. Mi piace pensare che essa sia quasi un prolungamento di quella misteriosa letizia, di quell'intima esultanza che coinvolse la santa Famiglia, gli Angeli e i pastori di Betlemme, nella notte in cui Gesù venne alla luce. La definirei "l'atmosfera della grazia", pensando all'espressione di san Paolo nella Lettera a Tito:  "Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri omnibus hominibus" (cfr. Tt 2, 11). L'Apostolo afferma che la grazia di Dio si è manifestata "a tutti gli uomini":  direi che in ciò traspare anche la missione della Chiesa e, in particolare, quella del Successore di Pietro e dei suoi collaboratori, di contribuire cioè a che la grazia di Dio, del Redentore, diventi sempre più visibile a tutti, e a tutti rechi la salvezza. 
L'anno che sta per concludersi è stato ricco di sguardi retrospettivi su date incisive della storia recente della Chiesa, ma ricco anche di avvenimenti, che recano con sé segnali di orientamento per il nostro cammino verso il futuro. Cinquant'anni fa moriva Papa Pio xii, cinquant'anni fa Giovanni xxiii veniva eletto Pontefice. Sono passati quarant'anni dalla pubblicazione dell'Enciclica Humanae vitae e trent'anni dalla morte del suo Autore, Papa Paolo vi. Il messaggio di tali avvenimenti è stato ricordato e meditato in molteplici modi nel corso dell'anno, così che non vorrei soffermarmici nuovamente in questa ora. Lo sguardo della memoria, però, si è spinto anche più indietro, al di là degli avvenimenti del secolo scorso, e proprio in questo modo ci ha rimandato al futuro:  la sera del 28 giugno, alla presenza del Patriarca ecumenico Bartolomeo i di Costantinopoli e di rappresentanti di molte altre Chiese e Comunità ecclesiali abbiamo potuto inaugurare nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura l'Anno Paolino, nel ricordo della nascita dell'Apostolo delle genti 2000 anni fa. Paolo per noi non è una figura del passato. Mediante le sue lettere, egli ci parla tuttora. E chi entra in colloquio con lui, viene da lui sospinto verso il Cristo crocifisso e risorto. L'Anno Paolino è un anno di pellegrinaggio non soltanto nel senso di un cammino esteriore verso i luoghi paolini, ma anche, e soprattutto, in quello di un pellegrinaggio del cuore, insieme con Paolo, verso Gesù Cristo. In definitiva, Paolo ci insegna anche che la Chiesa è Corpo di Cristo, che il Capo e il Corpo sono inseparabili e che non può esserci amore per Cristo senza amore per la sua Chiesa e la sua comunità vivente.
Tre specifici avvenimenti dell'anno che s'avvia alla conclusione saltano particolarmente agli occhi. C'è stata innanzitutto la Giornata Mondiale della Gioventù in Australia, una grande festa della fede, che ha riunito più di 200.000 giovani da tutte le parti del mondo e li ha avvicinati non solo esternamente - nel senso geografico - ma, grazie alla condivisione della gioia di essere cristiani, li ha anche avvicinati interiormente. Accanto a ciò c'erano i due viaggi, l'uno negli Stati Uniti e l'altro in Francia, nei quali la Chiesa si è resa visibile davanti al mondo e per il mondo come una forza spirituale che indica cammini di vita e, mediante la testimonianza della fede, porta luce al mondo. Quelle sono state infatti giornate che irradiavano luminosità; irradiavano fiducia nel valore della vita e nell'impegno per il bene. E infine c'è da ricordare il Sinodo dei Vescovi:  Pastori provenienti da tutto il mondo si sono riuniti intorno alla Parola di Dio, che era stata innalzata in mezzo a loro; intorno alla Parola di Dio, la cui grande manifestazione si trova nella Sacra Scrittura. Ciò che nel quotidiano ormai diamo troppo per scontato, l'abbiamo colto nuovamente nella sua sublimità:  il fatto che Dio parli, che Dio risponda alle nostre domande. Il fatto che Egli, sebbene in parole umane, parli di persona e noi possiamo ascoltarLo e, nell'ascolto, imparare a conoscerLo e a comprenderLo. Il fatto che Egli entri nella nostra vita plasmandola e noi possiamo uscire dalla nostra vita ed entrare nella vastità della sua misericordia. Così ci siamo nuovamente resi conto che Dio in questa sua Parola si rivolge a ciascuno di noi, parla al cuore di ciascuno:  se il nostro cuore si desta e l'udito interiore si apre, allora ognuno può imparare a sentire la parola rivolta appositamente a lui. Ma proprio se sentiamo Dio parlare in modo così personale a ciascuno di noi, comprendiamo anche che la sua Parola è presente affinché noi ci avviciniamo gli uni agli altri; affinché troviamo il modo di uscire da ciò che è solamente personale. Questa Parola ha plasmato una storia comune e vuole continuare a farlo. Allora ci siamo nuovamente resi conto che - proprio perché la Parola è così personale - possiamo comprenderla in modo giusto e totale solo nel "noi" della comunità istituita da Dio:  essendo sempre consapevoli che non possiamo mai esaurirla completamente, che essa ha da dire qualcosa di nuovo ad ogni generazione. Abbiamo capito che, certamente, gli scritti biblici sono stati redatti in determinate epoche e quindi costituiscono in questo senso anzitutto un libro proveniente da un tempo passato. Ma abbiamo visto che il loro messaggio non rimane nel passato né può essere rinchiuso in esso:  Dio, in fondo, parla sempre al presente, e avremo ascoltato la Bibbia in maniera piena solo quando avremo scoperto questo "presente" di Dio, che ci chiama ora. 
Infine era importante sperimentare che nella Chiesa c'è una Pentecoste anche oggi - cioè che essa parla in molte lingue e questo non soltanto nel senso esteriore dell'essere rappresentate in essa tutte le grandi lingue del mondo, ma ancora di più in senso più profondo:  in essa sono presenti i molteplici modi dell'esperienza di Dio e del mondo, la ricchezza delle culture, e solo così appare la vastità dell'esistenza umana e, a partire da essa, la vastità della Parola di Dio. Tuttavia abbiamo anche appreso che la Pentecoste è tuttora "in cammino", è tuttora incompiuta:  esiste una moltitudine di lingue che ancora attendono la Parola di Dio contenuta nella Bibbia. Erano commoventi anche le molteplici testimonianze di fedeli laici da ogni parte del mondo, che non solo vivono la Parola di Dio, ma anche soffrono per essa. Un contributo prezioso è stato il discorso di un Rabbì sulle Sacre Scritture di Israele, che appunto sono anche le nostre Sacre Scritture. Un momento importante per il Sinodo, anzi, per il cammino della Chiesa nel suo insieme, è stato quello in cui il Patriarca Bartolomeo, alla luce della tradizione ortodossa, con penetrante analisi ci ha aperto un accesso alla Parola di Dio. Speriamo ora che le esperienze e le acquisizioni del Sinodo influiscano efficacemente sulla vita della Chiesa:  sul personale rapporto con le Sacre Scritture, sulla loro interpretazione nella Liturgia e nella catechesi come anche nella ricerca scientifica, affinché la Bibbia non rimanga una Parola del passato, ma la sua vitalità e attualità siano lette e dischiuse nella vastità delle dimensioni dei suoi significati.
Della presenza della Parola di Dio, di Dio stesso nell'attuale ora della storia si è trattato anche nei viaggi pastorali di quest'anno:  il loro vero senso può essere solo quello di servire questa presenza. In tali occasioni la Chiesa si rende pubblicamente percepibile, con essa la fede e perciò almeno la questione su Dio. Questo manifestarsi in pubblico della fede chiama in causa ormai tutti coloro che cercano di capire il tempo presente e le forze che operano in esso. Specialmente il fenomeno delle Giornate Mondiali della Gioventù diventa sempre più oggetto di analisi, in cui si cerca di capire questa specie, per così dire, di cultura giovanile. L'Australia mai prima aveva visto tanta gente da tutti i continenti come durante la Giornata Mondiale della Gioventù, neppure in occasione dell'Olimpiade. E se precedentemente c'era stato il timore che la comparsa in massa di giovani potesse comportare qualche disturbo dell'ordine pubblico, paralizzare il traffico, ostacolare la vita quotidiana, provocare violenza e dar spazio alla droga, tutto ciò si è dimostrato infondato. È stata una festa della gioia - una gioia che infine ha coinvolto anche i riluttanti:  alla fine nessuno si è sentito molestato. Le giornate sono diventate una festa per tutti, anzi solo allora ci si è veramente resi conto di che cosa sia una festa - un avvenimento in cui tutti sono, per così dire, fuori di sé, al di là di se stessi e proprio così con sé e con gli altri. Qual è quindi la natura di ciò che succede in una Giornata Mondiale della Gioventù? Quali sono le forze che vi agiscono? Analisi in voga tendono a considerare queste giornate come una variante della moderna cultura giovanile, come una specie di festival rock modificato in senso ecclesiale con il Papa quale star. Con o senza la fede, questi festival sarebbero in fondo sempre la stessa cosa, e così si pensa di poter rimuovere la questione su Dio. Ci sono anche voci cattoliche che vanno in questa direzione valutando tutto ciò come un grande spettacolo, anche bello, ma di poco significato per la questione sulla fede e sulla presenza del Vangelo nel nostro tempo. Sarebbero momenti di una festosa estasi, che però in fin dei conti lascerebbero poi tutto come prima, senza influire in modo più profondo sulla vita.
Con ciò, tuttavia, la peculiarità di quelle giornate e il carattere particolare della loro gioia, della loro forza creatrice di comunione, non trovano alcuna spiegazione. Anzitutto è importante tener conto del fatto che le Giornate Mondiali della Gioventù non consistono soltanto in quell'unica settimana in cui si rendono pubblicamente visibili al mondo. C'è un lungo cammino esteriore ed interiore che conduce ad esse. La Croce, accompagnata dall'immagine della Madre del Signore, fa un pellegrinaggio attraverso i Paesi. La fede, a modo suo, ha bisogno del vedere e del toccare. L'incontro con la croce, che viene toccata e portata, diventa un incontro interiore con Colui che sulla croce è morto per noi. L'incontro con la Croce suscita nell'intimo dei giovani la memoria di quel Dio che ha voluto farsi uomo e soffrire con noi. E vediamo la donna che Egli ci ha dato come Madre. Le Giornate solenni sono soltanto il culmine di un lungo cammino, col quale si va incontro gli uni agli altri e insieme si va incontro a Cristo. In Australia non per caso la lunga Via Crucis attraverso la città è diventata l'evento culminante di quelle giornate. Essa riassumeva ancora una volta tutto ciò che era accaduto negli anni precedenti ed indicava Colui che riunisce insieme tutti noi:  quel Dio che ci ama sino alla Croce. Così anche il Papa non è la star intorno alla quale gira il tutto. Egli è totalmente e solamente Vicario. Rimanda all'Altro che sta in mezzo a noi. Infine la Liturgia solenne è il centro dell'insieme, perché in essa avviene ciò che noi non possiamo realizzare e di cui, tuttavia, siamo sempre in attesa. Lui è presente. Lui entra in mezzo a noi. È squarciato il cielo e questo rende luminosa la terra. È questo che rende lieta e aperta la vita e unisce gli uni con gli altri in una gioia che non è paragonabile con l'estasi di un festival rock. Friedrich Nietzsche ha detto una volta:  "L'abilità non sta nell'organizzare una festa, ma nel trovare le persone capaci di trarne gioia". Secondo la Scrittura, la gioia è frutto dello Spirito Santo (cfr. Gal 5, 22):  questo frutto era abbondantemente percepibile nei giorni di Sydney. Come un lungo cammino precede le Giornate Mondiali della Gioventù, così ne deriva anche il camminare successivo. Si formano delle amicizie che incoraggiano ad uno stile di vita diverso e lo sostengono dal di dentro. Le grandi Giornate hanno, non da ultimo, lo scopo di suscitare tali amicizie e di far sorgere in questo modo nel mondo luoghi di vita nella fede, che sono insieme luoghi di speranza e di carità vissuta.
La gioia come frutto dello Spirito Santo - e così siamo giunti al tema centrale di Sydney che, appunto, era lo Spirito Santo. In questa retrospettiva vorrei ancora accennare in maniera riassuntiva all'orientamento implicito in tale tema. Tenendo presente la testimonianza della Scrittura e della Tradizione, si riconoscono facilmente quattro dimensioni del tema "Spirito Santo". 
1. C'è innanzitutto l'affermazione che ci viene incontro dall'inizio del racconto della creazione:  vi si parla dello Spirito creatore che aleggia sulle acque, crea il mondo e continuamente lo rinnova. La fede nello Spirito creatore è un contenuto essenziale del Credo cristiano. Il dato che la materia porta in sé una struttura matematica, è piena di spirito, è il fondamento sul quale poggiano le moderne scienze della natura. Solo perché la materia è strutturata in modo intelligente, il nostro spirito è in grado di interpretarla e di attivamente rimodellarla. Il fatto che questa struttura intelligente proviene dallo stesso Spirito creatore che ha donato lo spirito anche a noi, comporta insieme un compito e una responsabilità. Nella fede circa la creazione sta il fondamento ultimo della nostra responsabilità verso la terra. Essa non è semplicemente nostra proprietà che possiamo sfruttare secondo i nostri interessi e desideri. È piuttosto dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci e con ciò ci ha dato i segnali orientativi a cui attenerci come amministratori della sua creazione. Il fatto che la terra, il cosmo, rispecchino lo Spirito creatore, significa pure che le loro strutture razionali che, al di là dell'ordine matematico, nell'esperimento diventano quasi palpabili, portano in sé anche un orientamento etico. Lo Spirito che li ha plasmati, è più che matematica - è il Bene in persona che, mediante il linguaggio della creazione, ci indica la strada della vita retta.
Poiché la fede nel Creatore è una parte essenziale del Credo cristiano, la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai suoi fedeli soltanto il messaggio della salvezza. Essa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l'acqua e l'aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere anche l'uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come una ecologia dell'uomo, intesa nel senso giusto. Non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell'essere umano come uomo e donna e chiede che quest'ordine della creazione venga rispettato. Qui si tratta di fatto della fede nel Creatore e dell'ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un'autodistruzione dell'uomo e quindi una distruzione dell'opera stessa di Dio. Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine "gender", si risolve in definitiva nella autoemancipazione dell'uomo dal creato e dal Creatore. L'uomo vuole farsi da solo e disporre sempre ed esclusivamente da solo ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità, vive contro lo Spirito creatore. Le foreste tropicali meritano, sì, la nostra protezione, ma non la merita meno l'uomo come creatura, nella quale è iscritto un messaggio che non significa contraddizione della nostra libertà, ma la sua condizione. Grandi teologi della Scolastica hanno qualificato il matrimonio, cioè il legame per tutta la vita tra uomo e donna, come sacramento della creazione, che lo stesso Creatore ha istituito e che Cristo - senza modificare il messaggio della creazione - ha poi accolto nella storia della salvezza come sacramento della nuova alleanza. Fa parte dell'annuncio che la Chiesa deve recare la testimonianza in favore dello Spirito creatore presente nella natura nel suo insieme e in special modo nella natura dell'uomo, creato ad immagine di Dio. Partendo da questa prospettiva occorrerebbe rileggere l'Enciclica Humanae vitae:  l'intenzione di Papa Paolo vi era di difendere l'amore contro la sessualità come consumo, il futuro contro la pretesa esclusiva del presente e la natura dell'uomo contro la sua manipolazione.
2. Solo qualche ulteriore breve accenno circa le altre dimensioni della pneumatologia. Se lo Spirito creatore si manifesta innanzitutto nella grandezza silenziosa dell'universo, nella sua struttura intelligente, la fede, oltre a ciò, ci dice la cosa inaspettata, che cioè questo Spirito parla, per così dire, anche con parole umane, è entrato nella storia e, come forza che plasma la storia, è anche uno Spirito parlante, anzi, è Parola che negli Scritti dell'Antico e del Nuovo Testamento ci viene incontro. Che cosa questo significhi per noi, l'ha espresso meravigliosamente sant'Ambrogio in una sua lettera:  "Anche ora, mentre leggo le divine Scritture, Dio passeggia nel Paradiso" (Ep. 49, 3). Leggendo la Scrittura, noi possiamo anche oggi quasi vagare nel giardino del Paradiso ed incontrare Dio che lì passeggia:  tra il tema della Giornata Mondiale della Gioventù in Australia e il tema del Sinodo dei Vescovi esiste una profonda connessione interiore. I due temi "Spirito Santo" e "Parola di Dio" vanno insieme. Leggendo la Scrittura apprendiamo però anche che Cristo e lo Spirito Santo sono inseparabili tra loro. Se Paolo con sconcertante sintesi afferma:  "Il Signore è lo Spirito" (2 Cor 3, 17), appare non solo, nello sfondo, l'unità trinitaria tra il Figlio e lo Spirito Santo, ma soprattutto la loro unità riguardo alla storia della salvezza:  nella passione e risurrezione di Cristo vengono strappati i veli del senso meramente letterale e si rende visibile la presenza del Dio che sta parlando. Leggendo la Scrittura insieme con Cristo, impariamo a sentire nelle parole umane la voce dello Spirito Santo e scopriamo l'unità della Bibbia.
3. Con ciò siamo ormai giunti alla terza dimensione della pneumatologia che consiste, appunto, nella inseparabilità di Cristo e dello Spirito Santo. Nella maniera forse più bella essa si manifesta nel racconto di san Giovanni circa la prima apparizione del Risorto davanti ai discepoli:  il Signore alita sui discepoli e dona loro in questo modo lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il soffio di Cristo. E come il soffio di Dio nel mattino della creazione aveva trasformato la polvere del suolo nell'uomo vivente, così il soffio di Cristo ci accoglie nella comunione ontologica con il Figlio, ci rende nuova creazione. Per questo è lo Spirito Santo che ci fa dire insieme col Figlio:  "Abba, Padre!" (cfr. Gv 20, 22; Rm 8, 15). 
4. Così, come quarta dimensione, emerge spontaneamente la connessione tra Spirito e Chiesa. Paolo, in Prima Corinzi 12 e in Romani 12, ha illustrato la Chiesa come Corpo di Cristo e proprio così come organismo dello Spirito Santo, in cui i doni dello Spirito Santo fondono i singoli in un tutt'uno vivente. Lo Spirito Santo è lo Spirito del Corpo di Cristo. Nell'insieme di questo Corpo troviamo il nostro compito, viviamo gli uni per gli altri e gli uni in dipendenza dagli altri, vivendo in profondità di Colui che ha vissuto e sofferto per tutti noi e che mediante il suo Spirito ci attrae a sé nell'unità di tutti i figli di Dio. "Vuoi anche tu vivere dello Spirito di Cristo? Allora sii nel Corpo di Cristo", dice Agostino a questo proposito (Tr. in Jo. 26, 13).
Così con il tema "Spirito Santo", che orientava le giornate in Australia e, in modo più nascosto, anche le settimane del Sinodo, si rende visibile tutta l'ampiezza della fede cristiana, un'ampiezza che dalla responsabilità per il creato e per l'esistenza dell'uomo in sintonia con la creazione conduce, attraverso i temi della Scrittura e della storia della salvezza, fino a Cristo e da lì alla comunità vivente della Chiesa, nei suoi ordini e responsabilità come anche nella sua vastità e libertà, che si esprime tanto nella molteplicità dei carismi quanto nell'immagine pentecostale della moltitudine delle lingue e delle culture.
Parte integrante della festa è la gioia. La festa si può organizzare, la gioia no. Essa può soltanto essere offerta in dono; e, di fatto, ci è stata donata in abbondanza:  per questo siamo riconoscenti. Come Paolo qualifica la gioia frutto dello Spirito Santo, così anche Giovanni nel suo Vangelo ha connesso strettamente lo Spirito e la gioia. Lo Spirito Santo ci dona la gioia. Ed Egli è la gioia. La gioia è il dono nel quale tutti gli altri doni sono riassunti. Essa è l'espressione della felicità, dell'essere in armonia con se stessi, ciò che può derivare solo dall'essere in armonia con Dio e con la sua creazione. Fa parte della natura della gioia l'irradiarsi, il doversi comunicare. Lo spirito missionario della Chiesa non è altro che l'impulso di comunicare la gioia che ci è stata donata. Che essa sia sempre viva in noi e quindi s'irradi sul mondo nelle sue tribolazioni:  tale è il mio auspicio alla fine di quest'anno. Insieme con un vivo ringraziamento per tutto il vostro faticare ed operare, auguro a tutti voi che questa gioia derivante da Dio ci venga donata abbondantemente anche nell'Anno Nuovo.
Affido questi voti all'intercessione della Vergine Maria, Mater divinae gratiae, chiedendoLe di poter vivere le Festività natalizie nella letizia e nella pace del Signore. Con questi sentimenti a voi tutti e alla grande famiglia della Curia Romana imparto di cuore la Benedizione Apostolica.



(©L'Osservatore Romano - 22-23 dicembre 2008)







L'OSSERVATORE  ROMANO

All'udienza generale il Papa parla dell'insegnamento paolino sulla centralità di Cristo

Il principio per capire il mondo

 Non è con la superbia ma con l'umiltà che l'uomo si eleva a Dio e realizza pienamente l'amore. Lo ha ricordato il Papa nella catechesi - dedicata all'insegnamento paolino sulla centralità di Cristo - durante l'udienza generale di mercoledì 22 ottobre, in piazza San Pietro. Cari fratelli e sorelle,
nelle catechesi delle scorse settimane abbiamo meditato sulla "conversione" di san Paolo, frutto dell'incontro personale con Gesù crocifisso e risorto, e ci siamo interrogati su quale sia stata la relazione dell'Apostolo delle genti con il Gesù terreno. Oggi vorrei parlare dell'insegnamento che san Paolo ci ha lasciato sulla centralità del Cristo risorto nel mistero della salvezza, sulla sua cristologia. In verità, Gesù Cristo risorto, "esaltato sopra ogni nome", sta al centro di ogni sua riflessione. Cristo è per l'Apostolo il criterio di valutazione degli eventi e delle cose, il fine di ogni sforzo che egli compie per annunciare il Vangelo, la grande passione che sostiene i suoi passi sulle strade del mondo. E si tratta di un Cristo vivo, concreto:  il Cristo - dice Paolo - "che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me" (Gal 2, 20). Questa persona che mi ama, con la quale posso parlare, che mi ascolta e mi risponde, questo è realmente il principio per capire il mondo e per trovare la strada nella storia.
Chi ha letto gli scritti di san Paolo sa bene che egli non si è preoccupato di narrare i singoli fatti in cui si articola la vita di Gesù, anche se possiamo pensare che nelle sue catechesi abbia raccontato molto di più sul Gesù prepasquale di quanto egli scrive nelle Lettere, che sono ammonimenti in situazioni precise. Il suo intento pastorale e teologico era talmente teso all'edificazione delle nascenti comunità, che gli era spontaneo concentrare tutto nell'annuncio di Gesù Cristo quale "Signore", vivo adesso e presente adesso in mezzo ai suoi. Di qui la caratteristica essenzialità della cristologia paolina, che sviluppa le profondità del mistero con una costante e precisa preoccupazione:  annunciare, certo, il Gesù vivo, il suo insegnamento, ma annunciare soprattutto la realtà centrale della sua morte e risurrezione, come culmine della sua esistenza terrena e radice del successivo sviluppo di tutta la fede cristiana, di tutta la realtà della Chiesa. Per l'Apostolo la risurrezione non è un avvenimento a sé stante, disgiunto dalla morte:  il Risorto è sempre colui che, prima, è stato crocifisso. Anche da Risorto porta le sue ferite:  la passione è presente in Lui e si può dire con Pascal che Egli è sofferente fino alla fine del mondo, pur essendo il Risorto e vivendo con noi e per noi. Questa identità del Risorto col Cristo crocifisso Paolo l'aveva capita nell'incontro sulla via di Damasco:  in quel momento gli si rivelò con chiarezza che il Crocifisso è il Risorto e il Risorto è il Crocifisso, che dice a Paolo:  "Perché mi perseguiti?" (At 9, 4). Paolo sta perseguitando Cristo nella Chiesa e allora capisce che la croce non è "una maledizione di Dio" (Dt 21, 23), ma sacrificio per la nostra redenzione.
L'Apostolo contempla affascinato il segreto nascosto del Crocifisso-risorto e attraverso le sofferenze sperimentate da Cristo nella sua umanità (dimensione terrena) risale a quell'esistenza eterna in cui Egli è tutt'uno col Padre (dimensione pre-temporale):  "Quando venne la pienezza del tempo - egli scrive -, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4, 4-5). Queste due dimensioni, la preesistenza eterna presso il Padre e la discesa del Signore nella incarnazione, si annunciano già nell'Antico Testamento, nella figura della Sapienza. Troviamo nei Libri sapienziali dell'Antico Testamento alcuni testi che esaltano il ruolo della Sapienza preesistente alla creazione del mondo. In questo senso vanno letti passi come questo del Salmo 90:  "Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, Dio" (v. 2); o passi come quello che parla della Sapienza creatrice:  "Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all'origine. Dall'eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra" (Prv 8, 22-23). Suggestivo è anche l'elogio della Sapienza, contenuto nell'omonimo libro:  "La Sapienza si estende vigorosa da un'estremità all'altra e governa a meraviglia l'universo" (Sap 8, 1).
Gli stessi testi sapienziali che parlano della preesistenza eterna della Sapienza, parlano anche della discesa, dell'abbassamento di questa Sapienza, che si è creata una tenda tra gli uomini. Così sentiamo echeggiare già le parole del Vangelo di Giovanni che parla della tenda della carne del Signore. Si è creata una tenda nell'Antico Testamento:  qui è indicato il tempio, il culto secondo la "Thorà"; ma dal punto di vista del Nuovo Testamento possiamo capire che questa era solo una prefigurazione della tenda molto più reale e significativa:  la tenda della carne di Cristo. E vediamo già nei Libri dell'Antico Testamento che questo abbassamento della Sapienza, la sua discesa nella carne, implica anche la possibilità che essa sia rifiutata. San Paolo, sviluppando la sua cristologia, si richiama proprio a questa prospettiva sapienziale:  riconosce in Gesù la sapienza eterna esistente da sempre, la sapienza che discende e si crea una tenda tra di noi e così egli può descrivere Cristo, come "potenza e sapienza di Dio", può dire che Cristo è diventato per noi "sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione" (1 Cor 1, 24.30). Similmente Paolo chiarisce che Cristo, al pari della Sapienza, può essere rifiutato soprattutto dai dominatori di questo mondo (cfr. 1 Cor 2, 6-9), cosicché può crearsi nei piani di Dio una situazione paradossale, la croce, che si capovolgerà in via di salvezza per tutto il genere umano.
Uno sviluppo ulteriore di questo ciclo sapienziale, che vede la Sapienza abbassarsi per poi essere esaltata nonostante il rifiuto, si ha nel famoso inno contenuto nella Lettera ai Filippesi (cfr. 2, 6-11). Si tratta di uno dei testi più alti di tutto il Nuovo Testamento. Gli esegeti in stragrande maggioranza concordano ormai nel ritenere che questa pericope riporti una composizione precedente al testo della Lettera ai Filippesi. Questo è un dato di grande importanza, perché significa che il giudeo-cristianesimo, prima di san Paolo, credeva nella divinità di Gesù. In altre parole, la fede nella divinità di Gesù non è una invenzione ellenistica, sorta molto dopo la vita terrena di Gesù, un'invenzione che, dimenticando la sua umanità, lo avrebbe divinizzato; vediamo in realtà che il primo giudeo-cristianesimo credeva nella divinità di Gesù, anzi possiamo dire che gli Apostoli stessi, nei grandi momenti della vita del loro Maestro, hanno capito che Egli era il Figlio di Dio, come disse san Pietro a Cesarea di Filippi:  "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16). Ma ritorniamo all'inno della Lettera ai Filippesi. La struttura di questo testo può essere articolata in tre strofe, che illustrano i momenti principali del percorso compiuto dal Cristo. La sua preesistenza è espressa dalle parole:  "Pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio" (v. 6); segue poi l'abbassamento volontario del Figlio nella seconda strofa:  "Svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo" (v. 7), fino a umiliare se stesso "facendosi obbediente fino alla morte  e  a  una  morte  di  croce" (v. 8). La terza strofa dell'inno annuncia la risposta del Padre all'umiliazione del Figlio:  "Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome" (v. 9). Ciò che colpisce è il contrasto tra l'abbassamento radicale e la seguente glorificazione nella gloria di Dio. È evidente che questa seconda strofa è in contrasto con la pretesa di Adamo che da sé voleva farsi Dio, è in contrasto anche col gesto dei costruttori della torre di Babele che volevano da soli edificare il ponte verso il cielo e farsi loro stessi divinità. Ma questa iniziativa della superbia finì nella autodistruzione:  non si arriva così al cielo, alla vera felicità, a Dio. Il gesto del Figlio di Dio è esattamente il contrario:  non la superbia, ma l'umiltà, che è realizzazione dell'amore e l'amore è divino. L'iniziativa di abbassamento, di umiltà radicale di Cristo, con la quale contrasta la superbia umana, è realmente espressione dell'amore divino; ad essa segue quell'elevazione al cielo alla quale Dio ci attira con il suo amore.
Oltre alla Lettera ai Filippesi, vi sono altri luoghi della letteratura paolina dove i temi della preesistenza e della discesa del Figlio di Dio sulla terra sono tra loro collegati. Una riaffermazione dell'assimilazione tra Sapienza e Cristo, con tutti i connessi risvolti cosmici e antropologici, si ritrova nella prima Lettera a Timoteo:  "Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria" (3, 16). È soprattutto su queste premesse che si può meglio definire la funzione di Cristo come Mediatore unico, sullo sfondo dell'unico Dio dell'Antico Testamento (cfr. 1 Tm 2, 5 in relazione a Is 43, 10-11; 44, 6). È Cristo il vero ponte che ci guida al cielo, alla comunione con Dio.
E, finalmente, solo un accenno agli ultimi sviluppi della cristologia di san Paolo nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini. Nella prima, Cristo viene qualificato come "primogenito di tutte le creature" (1, 15-20). Questa parola "primogenito" implica che il primo tra tanti figli, il primo tra tanti fratelli e sorelle, è disceso per attirarci e farci suoi fratelli e sorelle. Nella Lettera agli Efesini troviamo una bella esposizione del piano divino della salvezza, quando Paolo dice che in Cristo Dio voleva ricapitolare tutto (cfr. Ef 1, 23). Cristo è la ricapitolazione di tutto, riassume tutto e ci guida a Dio. E così ci implica in un movimento di discesa e di ascesa, invitandoci a partecipare alla sua umiltà, cioè al suo amore verso il prossimo, per essere così partecipi anche della sua glorificazione, divenendo con lui figli nel Figlio. Preghiamo che il Signore ci aiuti a conformarci alla sua umiltà, al suo amore, per essere così resi partecipi della sua divinizzazione.


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008) I saluti di Benedetto XVI ai gruppi presenti all'udienza generale

Tutti devono essere
missionari del Vangelo

 Tutti devono essere "missionari del Vangelo" sostenendo concretamente quanti lavorano per portarlo a chi ancora non lo conosce. È l'esortazione di Benedetto XVI in occasione del mese di ottobre, dedicato alla missione della Chiesa in tutto mondo. Il Papa l'ha rivolta ai gruppi presenti in piazza San Pietro per l'udienza generale di mercoledì 22 ottobre, al termine della catechesi dedicata a san Paolo. Chers frères et soeurs,
Je suis heureux de vous accueillir, chers pèlerins francophones. Je salue particulièrement le groupe du diocèse d'Aire et Dax, ainsi que tous les pèlerins des paroisses et collèges de Suisse et de France. En cette année paulinienne, que votre pèlerinage à Rome soit pour vous l'occasion de redécouvrir l'enseignement de l'Apôtre des Nations qui nous invite à approfondir toujours plus notre connaissance et notre amour du Christ. Que Dieu vous bénisse!
Dear Brothers and Sisters,
I offer a warm welcome to all the English-speaking pilgrims and visitors present at today's Audience, especially those from England, Scotland, Ireland, Denmark, Norway, Sweden, Ghana, Guam, Japan, South Korea, Australia, Canada and the United States. Upon you and your families I cordially invoke God's blessings of joy and peace.
Liebe Brüder und Schwestern!
Einen frohen Gruß richte ich an die Gläubigen aus dem deutschen Sprachraum. Besonders begrüße ich die Wallfahrer aus dem Bistum Erfurt und die Pilgergruppe aus dem Bistum Osnabrück, in Begleitung von Bischof Dr. Franz-Josef Bode, sowie die Teilnehmer des Internationalen Lehrer-Kongresses der Maria-Ward-Schulen und die Delegation aus Traunstein vom Kaufhaus Unterforsthuber mit Prälat Waxenberger. Der Herr schenke euch allen die Gnade, das Geheimnis Christi immer tiefer zu erkennen und immer mehr wie er zu empfinden und zu leben. Allen wünsche ich einen gesegneten Aufenthalt in Rom!
Queridos hermanos y hermanas: 
Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los venidos de Argentina, España, México, Panamá, Perú y otros Países latinoamericanos.
Invito a todos a contemplar el plan de salvación que San Pablo nos muestra con hondura, y al que nos exhorta a participar uniéndonos íntimamente a Cristo.
Muchas gracias.
Amados peregrinos de língua portuguesa, uma saudação afectuosa para todos, especialmente para os grupos do Brasil e de Portugal:  esta peregrinação a Roma encha de luz e fortaleza o vosso testemunho cristão, para confessardes Jesus Cristo como único Salvador e Senhor da vida:  fora d'Ele, não há vida, nem esperança de a ter. Com Cristo, sucesso eterno à vida que Deus vos confiou. Para cada um de vós e família, a minha Bênção! Serdecznie witam polskich pielgrzymów. Pozdrawiam szczególnie niewidome dzieci z Lasek i ich opiekunów.  Dzis  odczytujemy  mysl sw. Pawla o dziele Chrystusa. Smierc i zmartwychwstanie Bozego Syna sa wypelnieniem odwiecznego planu zbawienia, w którym mamy udzial, jesli wspólpracujemy z laska i staramy sie zyc w zjednoczeniu z Chrystusem. Niech wam Bóg blogoslawi!
[Do un cordiale benvenuto ai pellegrini polacchi. Saluto in particolare i bambini ciechi di Laski e i loro assistenti. Oggi rileggiamo il pensiero di San Paolo sull'opera di Cristo. La morte e la risurrezione del Figlio di Dio sono il compimento del piano della salvezza, al quale partecipiamo se collaboriamo con la grazia e cerchiamo di vivere in unione con Cristo. Dio vi benedica!].
Isten hozta a magyar híveket! Szeretettel köszöntelek Benneteket, különösképpen a pestszentlorinci, brassói és szentpéterfai csoport tagjait.
Járjátok bátran és nagylelkûen a keresztény tanúságtétel útját, úgy az iskolákban, mint a különbözo élethelyzetekben.
Apostoli áldásomat adom Rátok és családjaitokra.
Dicsértessék a Jézus Krisztus!
[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua ungherese, specialmente ai fedeli delle parrocchie di Pestszentlorinc, di Brasov e di Szentpéterfa.
Vi incoraggio a proseguire con generosità nel vostro impegno di testimonianza cristiana nella scuola e nella società.
Con la particolare Benedizione Apostolica a voi e alle vostre famiglie! Sia lodato Gesù Cristo!].
 S láskou vítam slovenských pútnikov, osobitne z Rajca, Visnového a Turia.
Bratia a sestry, minulú nedelu sme slávili Svetový den misií. Je to výzva na obnovu nasej aktívnej spolupráce na misijných dielach Cirkvi. Budte aj vy misionármi Kristovej Radostnej zvesti, najmä svojimi modlitbami a obetami.
Rád vás zehnám.
Pochválený bud Jezis Kristus!
[Con affetto do un benvenuto ai pellegrini slovacchi, particolarmente a quelli provenienti da Rajec, Visnové e Turie.
Fratelli e sorelle, domenica scorsa abbiamo celebrato la Giornata Missionaria Mondiale. Essa costituisce un invito a rinnovare la nostra attiva cooperazione alle opere missionarie della Chiesa. Siate anche voi missionari della Buona Novella di Cristo, specialmente con le vostre preghiere ed opere.
Volentieri vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!].
S radoscu pozdravljam drage Hrvate, a na poseban nacin hodocasnike krcke biskupije s njihovim pastirom Mons. Valterom Zupanom, pristigle prigodom obiljezavanja 1700. obljetnice mucenistva svoga suzastitnika Svetoga Kvirina, te skupinu vjernika iz Smokvice. Krist Gospodin, koji je sredisnji i najvazniji lik povijesti svijeta, neka to bude i u zivotu svakoga od vas. Hvaljen Isus i Marija!
[Saluto con gioia i cari Croati, in modo speciale i pellegrini della Diocesi di Krk con il loro Pastore Mons. Valter Zupan, pervenuti in occasione della celebrazione dei 1700 anni dal martirio del loro compatrono San Quirino, e il gruppo di fedeli di Smokvica. Il Cristo Signore, che è la figura centrale e più importante della storia del mondo, lo sia anche nella vita di ciascuno di voi. Siano lodati Gesù e Maria!].
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto gli Incaricati diocesani per la promozione del sostegno economico alla Chiesa e li incoraggio a proseguire nell'impegno di suscitare nei fedeli una operosa e solidale corresponsabilità alla vita e alle necessità della Chiesa. Grazie per il vostro impegno! Saluto i cresimati della diocesi di Faenza-Modigliana, qui convenuti con il loro Pastore Mons. Claudio Stagni. Cari amici, con la forza dello Spirito Santo, siate coraggiosi testimoni di Gesù e del suo Vangelo in famiglia, nella scuola, in parrocchia e con i vostri coetanei. Saluto i fedeli di Campocavallo di Osimo qui giunti con una singolare riproduzione del Santuario di Altötting. Grazie a voi! Saluto gli alunni della scuola "Alfonso Maria Fusco", di Angri. Rivolgo, infine, il mio pensiero ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Il mese di ottobre ci invita a rinnovare la nostra attiva cooperazione alla missione della Chiesa. Con le fresche energie della giovinezza, con il sostegno spirituale della preghiera e del sacrificio e con le potenzialità della vita coniugale, sappiate essere missionari del Vangelo dappertutto, offrendo il vostro concreto aiuto a quanti faticano per portarlo a chi ancora non lo conosce.

(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008) Lettera di Alessio II a Benedetto XVI

Testimonianza comune
per proclamare il Vangelo all'uomo d'oggi

 Il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo metropolita di Napoli, durante la recente visita compiuta a Mosca, è stato ricevuto mercoledì 1 ottobre da Alessio II, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, e gli ha consegnato - come abbiamo riferito nell'edizione del 4 ottobre - un messaggio autografo di Benedetto XVI. Pubblichiamo ora, nell'originale russo e in una nostra traduzione italiana, la lettera di risposta che Sua Santità Alessio ii ha indirizzato al Papa per il tramite del cardinale Sepe. Nel testo il Patriarca sottolinea lo sviluppo positivo delle relazioni e della cooperazione tra la Chiesa cattolica e il Patriarcato di Mosca. Questo sviluppo, basato sulle radici comuni, è dovuto alla convergenza su numerose questioni di attualità e soprattutto alla consapevolezza di quanto sia urgente proclamare il messaggio evangelico e testimoniare i valori cristiani nel mondo contemporaneo.
Pubblichiamo di seguito una nostra traduzione italiana della lettera indirizzata dal Patriarca Alessio II a Papa Benedetto XVI.
 
 Santità,
desidero ringraziarla cordialmente per la lettera che mi ha inviato tramite Sua Eminenza il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, durante la sua visita a Mosca. In risposta alle affettuose parole del suo messaggio, anche io desidero esprimere i miei sentimenti di profondissima stima e sincera benevolenza.
Sono lieto per le crescenti prospettive di sviluppare buone relazioni e una positiva cooperazione fra le nostre due Chiese. La solida base di ciò sta nelle nostre radici comuni e nelle nostre posizioni convergenti su molte questioni che oggi affliggono il mondo.
Sono convinto del fatto che la più grande rivelazione del Vangelo:  "Dio è amore" (1 Gv 4,8) dovrebbe divenire un orientamento vitale per tutti coloro che si considerano seguaci di Cristo, perché soltanto attraverso la nostra testimonianza di questo mistero possiamo superare la discordia e l'alienazione di questo secolo, proclamando i valori eterni del cristianesimo al mondo moderno.
Santità, con tutto il cuore le auguro buona salute e auspico l'aiuto di Dio nel suo ministero.
Con amore fraterno nel Signore,
ALESSIO II
Patriarca di Mosca
e di tutte le Russie


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008)

Nostre Informazioni

 Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell'Arcidiocesi di Bogotá (Colombia) il Reverendo Monsignore Francisco Antonio Nieto Súa, del clero della stessa Arcidiocesi, finora Vicario Episcopale per la zona pastorale Espíritu Santo, assegnandogli la sede titolare Vescovile di Teglata di Numidia.

(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008) Intervento della Santa Sede alla 63ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu

Disarmo
e diritti umani

 Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 6 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, durante il primo Comitato della 63ª sessione ordinaria dell'Assemblea generale dedicato al tema del disarmo. Presidente,
fra due mesi celebreremo il 60º anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Questo evento ci invita a un impegno rinnovato per il disarmo, lo sviluppo e la pace. Tutti gli Stati sono chiamati a promuovere il disarmo e la non proliferazione come elementi chiave per un ordine internazionale in cui i diritti e le libertà fondamentali di ogni persona possano essere pienamente realizzati.
La pace e la sicurezza sono minacciate dal terrorismo e, ancor di più, da una violenza diffusa, dal mancato rispetto dei diritti umani e dal sottosviluppo. Poiché la persona umana è il fine ultimo di tutte le politiche pubbliche, una regolamentazione degli armamenti, il disarmo e la non proliferazione devono avere un approccio interdisciplinare o, cosa ancora più importante, umano. Senza considerare l'impatto etico, psicologico, economico e sociale degli armamenti, le politiche sul disarmo e la non proliferazione divengono una gara di tregua armata fra Stati.
Infatti, si crea un conflitto fra sicurezza e politiche militari. La comunità internazionale lotta contro il terrorismo nucleare attraverso l'adozione di norme severe che mettono al bando la produzione, il possesso e il trasferimento di queste armi, ma, al contempo, non pochi Stati perseguono il rinnovamento o l'acquisizione di arsenali nucleari a livello nazionale. Di conseguenza, sembra emergere una specie di conflitto fra politiche di sicurezza e sviluppo. Gli Stati, e in particolare le maggiori potenze, aspirano nel settore nucleare a un'estrema libertà nazionale e, al contempo, a forme incisive di monitoraggio internazionale e regionale.
Ciò spiega anche in gran parte lo scarso interesse nell'osservare completamente il Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari (Tnp) e nel raggiungere il quorum per l'entrata in vigore del Trattato per la messa la bando totale dei test nucleari (Ctbt).
Ciò contraddice lo spirito delle Nazioni Unite e non è il modo per edificare una pace duratura. La regolamentazione delle armi, il disarmo nucleare e non la proliferazione sono elementi chiave per una strategia globale a favore dei diritti umani, dello sviluppo e dell'ordine internazionale.
Nonostante la tendenza negativa del multilateralismo, la scorsa primavera a Dublino, un gruppo di 107 Stati, con il sostegno di 20 osservatori fra Stati, organizzazioni internazionali e una coalizione di organizzazioni non governative, ha adottato la Convenzione sulle munizioni a grappolo, che verrà firmata il 3 dicembre 2008 a Oslo. Quale membro del gruppo centrale del Processo di Oslo, la Santa Sede è particolarmente lieta di questo risultato. Questa nuova Convenzione, oltre a colmare una grave lacuna nel diritto umanitario, offre una soluzione incisiva e realistica a un problema permanente caratterizzato non solo dall'uso indiscriminato di munizioni a grappolo, ma anche dal fatto che queste ultime possono rimanere inesplose nel terreno per molti anni e, se urtate, possono colpire in modo devastante la vita quotidiana dei civili.
Il Processo di Oslo non solo è un importante progresso politico e legale, ma è anche un segnale d'allarme. Di fatto, come la Convenzione sulle mine antiuomo anche la Convenzione sulle munizioni a grappolo è stata negoziata e adottata al di fuori della Conferenza sul disarmo. Come evidenziato dalla 62º Assemblea generale, il multilateralismo è il "principio centrale per risolvere i problemi relativi al disarmo e alla non proliferazione" (risoluzione 62/67). La Santa Sede condivide questa idea e sostiene il progetto di una quarta sessione speciale dell'Assemblea generale sul disarmo che potrebbe promuovere il multilateralismo nelle organizzazioni internazionali e in particolare nella Conferenza sul disarmo.
Dobbiamo invertire la tendenza erosiva del multilateralismo nell'ambito della regolamentazione degli armamenti, del disarmo e della non proliferazione. La Conferenza sul disarmo non ha un programma di lavoro da più di dieci anni e la mancanza di volontà politica nella comunità internazionale relativamente a questi progetti è sconcertante. È ben noto che si possono fare più progressi con un approccio basato sul dialogo responsabile, onesto e coerente e sulla cooperazione di tutti i membri della comunità internazionale che con approcci contrastanti e non concertati.
L'adozione del Trattato sul commercio delle armi è incerta. Una maggiore trasparenza, data l'accresciuta complessità del commercio di armi legata anche a un aumento dello scambio di cosiddette merci e tecnologie "a doppio uso", contribuirebbe a un'autentica sicurezza e a porre le premesse di una futura limitazione del commercio di armi. In questa prospettiva sembra opportuno richiamare la risoluzione 62/13 dell'Assemblea generale che parla di "informazione oggettiva su questioni militari, inclusa la trasparenza delle spese militari" e la risoluzione 62/26 che parla di "legislazione nazionale sul trasferimento di armi, strumenti militari e merci e tecnologie a doppio uso".
Infine, il disarmo sta diventando una questione sempre più complessa che ci riporta a problemi più generali come quello della riforma di questa Organizzazione, della riforma procedurale e strutturale della Conferenza sul disarmo, la tendenza a sovrapporre le economie civile e militare e la scarsa coerenza delle politiche adottate nei settori strategici.
In questo contesto, la Santa Sede si rivolge alla comunità internazionale per una maggiore sensibilità e rinnovati sforzi per la promozione della coesistenza pacifica e la sopravvivenza dell'intera famiglia umana e ritiene che la formula migliore del successo sia la cooperazione fra gli Stati, le Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali e la società civile.
Grazie, presidente


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008)
zsbc08
00giovedì 23 ottobre 2008 10:49
S'infrange l'illusione del recupero delle Borse

L'Osservatore Romano
Nella scia delle perdite di Wall Street forti ribassi in Asia e in Europa

S'infrange l'illusione
del recupero delle Borse

 New York, 22. L'illusione di un recupero stabile delle borse si è infranta. Dopo una settimana di quiete, è tornata la bufera nei listini. L'ondata di vendite su banche e petroliferi ha colpito Wall Street, è passata attraverso le borse asiatiche e ha raggiunto l'Europa. Milano perde oltre il due per cento, Francoforte e Parigi quasi il tre, Londra si mantiene stabile a meno 1,35. Ma la peggiore è Madrid che cede il 5,35. In Asia gli indici di Tokyo e Hong Kong sono scesi del 6 per cento e quelli di Seoul del 5 per cento. Lo yen ha infranto la soglia dei 129 sull'euro, la soglia massima da quattro anni, e dei cento sul dollaro, penalizzando i titoli delle società esportatrici.
Ieri a New York la Borsa ha chiuso decisamente in negativo, con il Nasdaq in perdita di oltre il quattro per cento e il Dow Jones che ha ceduto il 2,50. A dominare, dicono gli analisti, il timore di risultati inferiori alle aspettative per grandi aziende informatiche come la Apple e soprattutto Yahoo!, titoli che hanno perso rispettivamente il 7,1 ed il 6,1 per cento. Tra le peggiori, inoltre, ci sono la svizzera Logitech International, uno dei leader mondiali nella produzione di mouse, tastiere e webcam per computer, che chiude in perdita del quindici per cento, e la Sun Microsystems (meno 17,5).
Ieri il presidente statunitense George W. Bush ha invitato il suo collega brasiliano, Luíz Lula da Silva, a partecipare al summit delle principali economie mondiali che si terrà a New York o a Washington a metà novembre per discutere la crisi del sistema finanziario. Lo hanno riferito fonti della presidenza brasiliana. "Sarà il primo di una serie di vertici per discutere le misure da prendere per scongiurare una recessione mondiale", ha detto Bush a Lula in una conversazione telefonica durata quindici minuti, secondo le stesse fonti. Al summit dovrebbero partecipare, oltre ai Paesi del g8, quelli che rappresentano le economie emergenti, come Brasile, Messico, Cina, India, Sudafrica e Australia.
In Europa, da registrare le recenti dichiarazioni di Mervyn King, governatore della Banca d'Inghilterra, secondo il quale la Gran Bretagna "sta entrando in recessione". Il piano governativo di aiuti alle banche - ha detto King - rappresenta il punto di partenza di una lunga convalescenza, verso il ritorno a una situazione di normalità. La crisi finanziaria ha portato le banche a ridurre il montante dei crediti concessi ai singoli e alle imprese, riducendo il potere di acquisto delle persone, già tagliato dai rincari dei prodotti energetici e alimentari. "Tutto considerato, la riduzione dei redditi, cumulata alla crisi del credito fanno sì che ci sia il rischio di un forte e durevole rallentamento della domanda interna", ha detto il governatore, parlando a Leeds. Valutazione, questa, in parte confermata dallo stesso Brown, il quale oggi, in un intervento di fronte alla Camera dei Comuni, ha detto che le attuali difficoltà economiche "probabilmente causeranno una recessione".
Sul fronte petrolifero, nuovo calo del prezzo del barile, che sui mercati asiatici ha toccato la quota di 69,60 dollari. Il presidente dell'Opec Abdallah Salem el Badri ha annunciato che intende incontrare oggi il presidente russo Dmitri Medvedev per discutere della situazione nel settore petrolifero sui mercati mondiali. Lo ha riferito l'agenzia Interfax. El Badri, che è a Mosca per un forum energetico, ha detto ai giornalisti di voler incontrare il leader del Cremlino ma "non gli chiederò di ridurre l'estrazione, solo uno scambio di dati sulla situazione del mercato del greggio e sulla crisi finanziaria".


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008)

Solidarietà della comunità internazionale alla Georgia

 Bruxelles, 22. Il presidente della Commissione Ue, José Manuel Durao Barroso, che ha aperto i lavori della conferenza dei donatori che riunisce a Bruxelles sessantasette Paesi e le maggiori istituzioni finanziarie, ha spiegato che è "un imperativo morale aiutare la Georgia".
Secondo una valutazione effettuata da Bruxelles e dalla Banca mondiale, per sostenere la Georgia nella ricostruzione delle infrastrutture danneggiate nel conflitto con la Russia, nell'aiuto ai profughi e nel far ripartire la sua economia servono circa 2,38 miliardi di euro, somma che oggi i Paesi donatori cercheranno di raggiungere.
Alla conferenza di Bruxelles - che è copresieduta da Francia e dalla Repubblica Ceca (quest'ultima dal prossimo gennaio presidente di turno dell'Unione europea) - è intervenuto il commissario alle Relazioni Esterne, Benita Ferrero-Waldner, illustrando il piano di aiuti da cinquecento milioni di euro nei prossimi tre anni.
Il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, ha affermato che "si tratta di provare attraverso la generosità dei doni e l'assunzione di progetti che noi non dimentichiamo, e che vogliamo una soluzione politica" per le regioni separatiste georgiane dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud. "Noi - ha proseguito Kouchner - dobbiamo provare, è una prova politica, che siamo al fianco della Georgia".
Dal canto suo, il capo di Stato francese e presidente di turno dell'Ue, Nicolas Sarkozy, ha illustrato il suo ruolo nella crisi tra Russia e Georgia davanti ai parlamentari europei riuniti a Strasburgo:  "L'Europa ha fatto la pace, l'Europa ha ottenuto il ritiro di un'armata di occupazione e l'Europa ha ottenuto dei colloqui internazionali".
"Era da molto tempo mi sembra che l'Europa non aveva avuto un ruolo così decisivo in un conflitto di questa natura" ha sottolineato Nicolas Sarkozy ammettendo però tutte le "insufficienze, le ambiguità e i compromessi" di quest'azione. "Siamo stati a un passo dalla catastrofe - ha aggiunto il presidente Sarkozy- ma grazie all'Europa questa catastrofe non ha avuto luogo, anche se il tempo sarà lungo prima che la situazione si normalizzi in questa regione del mondo".


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008)

Aiuti a Pyongyang per l'abbandono del programma atomico

 Tokyo, 22. Il Governo giapponese sta valutando la possibilità di fornire aiuti economici e tecnologici alla Corea del Nord per favorire il suo disarmo nucleare, secondo quanto riportato ieri da esponenti di spicco dell'Esecutivo guidato dal premier Taro Aso. In particolare, è stato il ministro degli Esteri giapponese, Hirofumi Nakasone, a precisare che, sebbene rimanga fermo il rifiuto di Tokyo a fornire assistenza economica ed energetica a Pyongyang senza prima una svolta nella questione dei rapimenti, il Giappone è disposto a fare la sua parte nell'opera di denuclearizzazione della penisola coreana.
"Sul nucleare abbiamo sempre contribuito attivamente attraverso l'Agenzia internazionale dell'energia atomica (Aiea) - ha spiegato Nakasone - e vogliamo discutere con le altre Nazioni su quale sia il modo giusto per continuare a farlo anche in futuro". La stessa posizione è stata esposta dal segretario di Governo, Takeo Kawamura, che ha tenuto a sottolineare la differenza tra la fornitura di aiuti energetici ed eventuali interventi di Tokyo per favorire lo smantellamento nucleare del regime comunista.
L'ultima tornata dei colloqui a sei (Corea del Nord, Corea del Sud,  Stati Uniti, Giappone, Russia e Cina) sul disarmo nucleare nordcoreano si è conclusa con la promessa da parte di Pyongyang di smantellare i propri impianti atomici, in cambio di aiuti energetici.


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008)

Giordania e Argentina
lavorano a un'intesa sul nucleare

 Buenos Aires, 22. Proveniente dal Cile, il re Abdullah ii bin Hussein di Giordania è arrivato ieri in Argentina dove, oggi, si riunirà con il presidente Cristina Fernández per esprimerle il suo interesse riguardo a un accordo di cooperazione bilaterale in materia di energia nucleare. In una lunga intervista pubblicata ieri dal quotidiano "Clarin", Abdullah ii bin Hussein, dopo aver sottolineato che "l'energia nucleare è la nostra massima priorità nell'ambito dello sviluppo di fonti energetiche alternative", ha detto di essere "consapevole che l'Argentina è molto avanzata in questo settore con fini pacifici e che già coopera con altri Paesi della nostra regione". È un'area - ha specificato il monarca - "nella quale entrambi i Paesi potrebbero stabilire un interscambio scientifico". Dopo il Cile e l'Argentina, il re di Giordania, accompagnato dalla moglie Rania e da una delegazione di imprenditori, visiterà anche Brasile, Costa Rica, Honduras e Cuba. In proposito, sempre a "Clarin", ha anche specificato i motivi del suo viaggio:  "Siamo stati in contatto con i nostri amici dell'America del Sud per molto tempo. Penso che il mondo arabo vuole approdare nella regione e viceversa ed in modo più concreto". Abdullah ii bin Hussein ha anche sottolineato che, prima dell'inizio della sua visita, "sono cominciati i negoziati per stabilire un'area di libero commercio tra la Giordania ed i Paesi del Mercosur".

(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008)

L'opposizione minaccia
di disertare i colloqui nello Zimbabwe

 Harare, 22. Non conosce sosta l'aspro contenzioso nello Zimbabwe tra il  presidente della Repubblica, Robert Mugabe, al potere ininterrottamente da circa trent'anni, e Morgan Tsvangirai,  leader  del  Movimento per il cambiamento democratico (Mdc), il principale partito dell'opposizione.
Dopo essere stato costretto due giorni  fa  a  rinunciare  a  un  vertice di  mediazione nello Swaziland, poiché non gli era stato rilasciato dalle autorità  dello  Zimbabwe  un  normale passaporto, Tsvangirai ha minacciato  oggi  di  disertare  i  nuovi colloqui per formare il Governo, convocati  per  il  27  ottobre dalla Comunità per lo Sviluppo dell'Africa Australe, (Sadc, principale organismo regionale).
I negoziati dovrebbero tenersi ad Harare. Fonti dell'Mdc hanno però fatto sapere che non è ancora stato deciso se Tsvangirai vi prenderà parte o meno. Secondo Nelson Chamisa, un portavoce del Movimento per il cambiamento democratico, il leader dell'opposizione non si fiderebbe degli interlocutori dell'Unione nazionale africana dello Zimbabwe-Fronte patriottico (Zanu-Pf), il partito politico di Mugabe. Tsvangirai ha minacciato di disertare i colloqui perché da mesi non riesce a ottenere il passaporto, ma solo documenti di viaggio d'emergenza, rilasciati di volta in volta e validi per un unico espatrio.
Quelli per lo Swaziland gli erano stati rilasciati soltanto domenica a tarda sera, e senza visto valido per il Sudafrica, tappa indispensabile per chi arrivi dallo Zimbabwe. Il Mdc aveva  respinto  i  visti  come  insultanti.
Al centro delle trattative c'è l'applicazione dell'accordo di massima raggiunto in settembre tra Mugabe e Tsvangirai per la suddivisione dei poteri, e - dunque - per la formazione del nuovo Governo. Mugabe, peraltro, oltre ad aver conservato la Presidenza, pretende di riservare al proprio partito tutti i ministeri-chiave.


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008) Dal Consiglio di sicurezza dell'Onu

Appello per una tregua
nella Repubblica Democratica del Congo

 New York, 22. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha lanciato ieri un appello per fermare le ostilità nell'est della Repubblica Democratica del Congo, che da circa un mese sono teatro di diverse incursioni da parte dei ribelli che colpiscono anche la popolazione locale, condannando le parole del capo dei ribelli Laurent Nkunda, che aveva incitato a combattere contro il Governo.
I Quindici hanno approvato una dichiarazione letta dal presidente di turno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l'ambasciatore cinese Zhang Yesui, che "esprime profonda preoccupazione per il ritorno delle violenze" e per le possibili conseguenze per la regione. Il testo delle Nazioni Unite ribadisce che la sovranità e l'integrità territoriale della Repubblica Democratica del Congo devono essere rispettate. La dichiarazione dei Quindici membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sollecita tutti i gruppi armati "a deporre immediatamente le armi e presentarsi senza ritardi e senza condizioni preliminari alle autorità congolesi e alla missione dell'Onu (Monuc) in vista del loro disarmo, reinserimento o reintegrazione".
Confermando la validità degli accordi di Goma e Nairobi per riportare la stabilità nell'est della Repubblica Democratica del Congo, il Consiglio di sicurezza delle nazioni Unite ha anche "condannato con forza" le recenti dichiarazioni del generale dissidente Laurent Nkunda, capo dei ribelli del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), che all'inizio del mese aveva sollecitato gli abitanti della Repubblica Democratica del Congo "a mettersi contro un Governo che tradisce il suo popolo".
Inoltre, il presidente di turno del Consiglio di sicurezza dell'Onu, l'ambasciatore cinese Zhang Yesui, ha detto che la Repubblica Democratica del Congo e il vicino Rwanda "devono impegnarsi con urgenza a derimere le loro controversie".


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008)

L'Iraq chiede modifiche
all'accordo con gli Stati Uniti

 Baghdad, 22. Si fa sempre più complesso l'itinerario dell'intesa fra Iraq e Stati Uniti sulla sicurezza. Ieri Baghdad ha annunciato che presenterà modifiche alla bozza di accordo redatta nei giorni scorsi, dopo mesi di negoziati, che prevede la permanenza delle truppe americane per altri tre anni e il loro definitivo ritiro prima della fine del 2011 (il mandato dell'Onu scade il prossimo 31 dicembre). Il portavoce del Governo iracheno, Ali Al Dabbagh, ha detto:  "Il Consiglio dei ministri è d'accordo sul fatto che i necessari emendamenti all'accordo potranno essere accettati a livello nazionale, gli incontri continueranno nei prossimi giorni, i ministri esprimeranno le loro opinioni e proporranno le modifiche, e il tutto sarà poi discusso con il team dei negoziatori americani".
A Washington, il segretario alla Difesa statunitense, Robert Gates, ha espresso "estrema riluttanza" all'idea di modificare i termini della bozza di accordo. Nello stesso tempo ha avvertito che il fallimento dell'intesa potrebbe avere "conseguenze drammatiche". Secondo il capo del Pentagono, vi è anche un problema di tempi, visto che in assenza di un accordo occorrerebbe un mandato dell'Onu, che potrebbe non essere facile da ottenere. "Oggi non abbiamo nessuna garanzia di raggiungere quello che vogliamo se tornassimo all'Onu" ha sottolineato Gates.
Si registrano intanto nuove violenze. Scontri divampati nella provincia centrale di Babil tra ribelli e miliziani di due tribù sunnite della zona hanno provocato quindici morti. Teatro della battaglia è stata la località di Jurf Al Sakr.
Il Kazakhstan ha deciso di ritirare il contingente dall'Iraq:  lo ha annunciato, in una nota, il ministero della Difesa di Astana, ricordando che trenta suoi militari, impegnati in missioni di sminamento, erano stati dispiegati nel territorio iracheno pochi mesi dopo l'intervento armato, nel marzo del 2003.


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008) La collana viene pubblicata in Germania dall'editore Herder

L'opera omnia di Joseph Ratzinger

 Mercoledì 22, presso la Sala Stampa della Santa Sede, è stato presentato il primo  volume  dell'opera omnia di Joseph Ratzinger in lingua tedesca, pubblicata  da Herder Verlag. Sono intervenuti il direttore della Libreria Editrice Vaticana, don Giuseppe Costa, e il vescovo di Ratisbona. Pubblichiamo uno stralcio dell'intervento del presule tedesco. di Gerhard Ludwig Müller Papa Benedetto XVI è uno dei grandi teologi saliti sul soglio di Pietro. Nella lunga teoria dei suoi predecessori, s'impone il paragone con la figura di quel grande erudito del Settecento che fu Papa Benedetto xiv (1740-1758). E la mente corre anche a Papa Leone i Magno (440-461), che fu decisivo per la formula cristologica del concilio di Calcedonia (451).
Benedetto XVI, nel corso della sua lunga attività accademica come professore di teologia fondamentale e di dogmatica, ha elaborato in autonomia un'opera teologica che lo pone tra i più significativi studiosi contemporanei. Da più di mezzo secolo al nome di Joseph Ratzinger si ricollega un'originale visione d'insieme della teologia sistematica. I suoi scritti uniscono le conoscenze scientifiche della teologia alla figura di una fede viva e vissuta. Come scienza che ha la sua genuina collocazione all'interno della Chiesa, la teologia può segnalarci la vocazione particolare dell'uomo in quanto creatura e immagine di Dio.
Nella sua attività scientifica, Benedetto XVI ha sempre potuto attingere alla sua conoscenza della storia della teologia e dei dogmi, che trasmette in maniera illuminante mettendo in risalto la divina visione dell'uomo, su cui tutto si fonda. Essa diviene accessibile ai molti attraverso il repertorio lessicale e linguistico adottato da Joseph Ratzinger. Tematiche complesse non vengono assoggettate a una complicata riflessione e quindi sottratte alla comprensione comune, bensì rese trasparenti nella loro intima linearità.
Nella sua carriera accademica il professore di teologia Joseph Ratzinger ha ricoperto incarichi presso le scuole superiori e le università di Frisinga, Bonn, Münster e Tubinga, approdando infine a Ratisbona, dove operò dal 1969 fino alla nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga nel 1977. Alla città e alla diocesi di Ratisbona il cardinale Ratzinger rimase legato anche nel lungo periodo in cui fu prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (1982-2005). Regolarmente vi si recava a far visita al fratello Georg, per molti anni direttore del celebre coro dei Piccoli  cantori  del  Duomo  di  Ratisbona (1964-1994). Indimenticabili anche le sue omelie in occasione delle festività liturgiche.
Durante la visita pastorale del 2006 nella nativa Baviera, con la sua Regensburger Vorlesung - la lectio magistralis di Ratisbona che segnò un momento magico nella storia universitaria non solo tedesca - egli sottolineava ancora una volta l'intima connessione di fede e ragione. Tanto la ragione che la fede non sono considerabili, né sono in grado di raggiungere il rispettivo traguardo, indipendentemente l'una dall'altra. Correggendosi e purificandosi a vicenda, la ragione e la fede si salvaguardano da pericolose patologie. In tal senso, Benedetto XVI si riallaccia alla grande tradizione delle scienze teologiche, che nella struttura globale dell'università può fungere da elemento di connessione onnicomprensiva.
Così Ratisbona è divenuta in un certo senso il genius loci che si propone  di raccogliere e tutelare l'opera  omnia  teologica di Joseph Ratzinger.
La sede episcopale di Ratisbona - con le sue eminenti figure di vescovi eruditi quali sant'Alberto Magno (1260-1262) e Johann Michael Sailer (1821-1832) - garantisce quell'unità di magistero episcopale e accademico, che la razionalità della fede e la fecondità pastorale della scienza confermano. Una tradizione portata avanti dall'arcivescovo Michael Buchberger (1927-1961), sotto la cui direzione prese forma il "Lexikon für Theologie und Kirche", un'opera basilare impostasi a livello internazionale e giunta alla terza edizione.
Questa città episcopale si presta dunque in maniera particolare come sede dell'Istituto intitolato a Benedetto XVI. Nella mia qualità di vescovo di Ratisbona (dal 2002), sono stato incaricato personalmente dal Santo Padre della pubblicazione delle Gesammelten Schriften, l'opera omnia, in sedici volumi.
Già da studente universitario mi ero dedicato a una lettura approfondita dei trattati teologici di Joseph Ratzinger, restando particolarmente colpito e durevolmente impressionato dalla sua geniale Einführung in das Christentum ("Introduzione al Cristianesimo"), che nella burrascosa epoca delle rivolte studentesche e del generale disorientamento teologico offriva una chiave sicura per accostarsi al profondo mistero della rivelazione cristiana. Ciò si può facilmente constatare scorrendo il mio libro Katholische Dogmatik. Für Studium und Praxis ("Dogmatica cattolica. Per lo studio e la prassi della teologia"), che a partire dal 1995 è apparso in diverse edizioni presso l'editore Herder.
L'elaborazione del progetto editoriale complessivo è stata strettamente concordata con Benedetto XVI. Ogni singolo tomo è autorizzato personalmente dal Santo Padre, sia per quanto concerne il complesso tematico, che per la scelta dei testi. L'obiettivo è l'esaustività dell'opera. (...) È lecito parlare dunque di una vitale testimonianza  della  teologia di Joseph Ratzinger, dal momento che al centro dell'interesse non sta la semplice raccolta e catalogazione di testi, bensì lo svisceramento sistematico di un determinato complesso tematico della teologia mediante un ordinamento di nuova concezione, che faccia emergere i collegamenti e consenta una visione d'insieme.
Per espresso desiderio del Santo Padre le Gesammelten Schriften verranno pubblicate a nome dell'autore, Joseph Ratzinger.
Per realizzare il progetto, ho fondato a Ratisbona l'Institut-Papst-Benedikt XVI.:  è questa la sede che ospiterà un'esauriente documentazione della vita, del pensiero e dell'operato del teologo, del vescovo e del Pontefice. Con l'approntamento di tutto il materiale edito e inedito, la rilevazione del contesto biografico e teologico e l'allestimento di una biblioteca specialistica, si sono create le condizioni ideali per un'analisi a vasto raggio dell'opera omnia.


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008)
zsbc08
00giovedì 23 ottobre 2008 10:51
Il libro si prende una rivincita

L'Osservatore Romano

Il libro si prende una rivincita

 di Giuseppe Costa
Direttore della Libreria Editrice Vaticana
Non tutte le fiere del libro sono uguali e la Buchmesse di Francoforte si differenzia e specifica proprio per il suo essere la fiera del libro per antonomasia. Non è una mega-bancarella in attesa di allegre masse scolaresche come avviene a Torino e nemmeno come a Parigi dove l'interesse dei visitatori è alto ma il libro è soltanto francese. Non è nemmeno una fiera specialistica come quella del libro d'arte o del libro per ragazzi di Bologna.
La fiera di Francoforte si svolge ogni anno a metà ottobre e mobilita il mondo dell'editoria in tutte le sue componenti. È il luogo dell'incontro e dello scambio librario.
Lo fu nel xv secolo pochi anni dopo l'invenzione della stampa a opera di Gutenberg quando nella vicina Magonza i primi stampatori offrivano i loro preziosi prodotti. Lo è stato a partire dal 1949 quando la Germania distrutta dalla guerra, per la sua ricostruzione morale pensò anche al libro con la partecipazione iniziale di 205 editori tedeschi. Dal 1949 è un crescendo continuo fino all'edizione del sessantesimo che ha visto la partecipazione di oltre ottomila editori di cento Paesi e di almeno sessantamila operatori con oltre quattrocentomila libri in mostra. A Francoforte si va per vivere un evento culturale capace ancora di suscitare sensazioni ed emozioni. Qualcosa tra rito, contrattazione editoriale, dibattito sulle idee che muovono il libro e conseguentemente il mondo.
La Libreria Editrice Vaticana (Lev) vi partecipa da 32 anni e ha visto crescere l'interesse attorno alla sua produzione fino all'esplosione dell'anno scorso e soprattutto di quest'anno, complice la cresciuta attenzione universale sul panorama religioso in genere e un Papa già teologo affermato e ricercato, in particolare. Con un grande autore come Joseph Ratzinger non è difficile attirare l'attenzione degli altri editori tanto meglio se il catalogo presentato ha una sua identità e articolazione attorno agli stessi contenuti. La curiosità poi attorno a possibili nuove opere fa il resto.
Quale il bilancio per l'Editrice Vaticana e per i Musei Vaticani che hanno condiviso lo stand? Intanto vanno sottolineati tre eventi culturali riusciti che colgono la Lev protagonista:  la presentazione con l'editore Herder del primo volume in tedesco dell'Opera Omnia di Joseph Ratzinger; la presentazione dei Musei Vaticani organizzata dagli stessi, con l'intervento del cardinale Giovanni Layolo e del cardinale Karl Lehmann; la presentazione della collana storiografica in collaborazione tra il Comitato di Scienze Storiche e la Lev, che ha dato luogo anche a un dibattito sugli archivi vaticani.
C'è poi la lunga lista degli editori incontrati e con i quali si è interagito. I responsabili editoriali della Lev hanno parlato con un centinaio di editori, per presentare e trattare di diritti, copyright e questioni varie. Ogni colloquio si è concluso con opzioni di diritti da acquistare e con promesse di un arrivederci. E così Ignatius Press (Usa); Parole et Silence (Francia), Bac, Encuentro e Associazione Editori Cattolici (Spagna) sono interessati a pubblicare nei rispettivi Paesi l'Opera Omnia del Papa mentre Orbis Books (Usa), San Pablo (Spagna e Colombia) Agape Libros (Argentina) hanno optato fra l'altro per il libro Il coraggio di prendere il largo che raccoglie i discorsi del cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga.
Liturgy Training Publications di Chicago ha acquisito i diritti del volume del gesuita Cesare Giraudo Ascolta Israele, Ascoltaci Signore!, mentre le Editions de l'Emmanuel (Francia) hanno voluto Vi racconto la mia vita, il libro che Saverio Gaeta ha dedicato a Giovanni Paolo ii. Lo stesso volume è stato preso da Paulus Editora (Portogallo), Bernardinum (Polonia) e San Pablo Comunicacion España, grande interesse si è riscontrato per il documento della Pontificia Commissione Biblica su "Bibbia e Morale" optata da Editions des Beatitudes (Francia) e Paulus Editora (Portogallo).
Grande attenzione anche per il libro di Pietro Principe Guida essenziale alla sacra Bibbia, voluta da Francia, Stati Uniti, Germania, Svizzera e Portogallo.
A tutto questo vanno aggiunte le tante opzioni sulla serie dei volumi artistici dedicati al magistero del Mercoledì di Benedetto XVI e alla serie cartonata tascabile dei Pensieri del Papa.
Tutto bene dunque per un bilancio positivo? La caratteristica della Buchmesse è che dura 365 giorni, al termine dei quali si potrà fare anche un bilancio di costi e ricavi. Alcune tendenze tuttavia sono tangibili e prima fra tutte il diffuso desiderio di leggere e meditare scritti di Benedetto XVI e di autori leader e testimoni. Così come è evidente l'attenzione al libro di qualità quasi a superare la precarietà dei nostri giorni e la velocità dell'immagine che passa. Che il vecchio libro stia per riprendersi una rivincita? Potrebbe anche darsi.


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008) I fondamenti della morale cristiana

La pienezza dell'agire ha un volto

 Il libro di Livio Melina, José Noriega e Juan José Pérez-Soba Camminare nella luce dell'amore (Siena, Cantagalli, 2008, pagine 680, euro 42) viene presentato mercoledì 22 ottobre a Roma, presso l'Istituto Giovanni Paolo ii per studi su Matrimonio e Famiglia. Pubblichiamo uno stralcio della relazione tenuta per l'occasione dal cardinale vicario generale emerito per la diocesi di Roma. di Camillo RuiniLa prima sorpresa di chi prende in mano il volume che oggi presentiamo proviene dalla sua copertina. In essa gli autori hanno voluto mostrare la meravigliosa abside della basilica di san Clemente, immagine senz'altro bellissima, ma che sembrerebbe più adeguata a un libro di teologia dogmatica che a un manuale di morale fondamentale.
Un tempo si pensava la teologia morale soprattutto al modo di una casistica e si limitava il suo discorso fondamentale a pochi elementi:  la legge, la coscienza e il peccato. Il concilio Vaticano ii ha invitato i moralisti a un profondo lavoro di rinnovamento teologico, circa il quale l'allora cardinale Ratzinger ebbe a dire che il compito principale della teologia morale è di pensare la profonda sinergia tra azione umana e azione divina nell'agire del cristiano. Solo così infatti si può uscire dalle ristrettezze di un angusto moralismo e cogliere il respiro di grandezza proprio della vita cristiana. E proprio di questo ha bisogno oggi l'evangelizzazione per manifestare come le opere dei cristiani rendano gloria al Padre che è nei cieli (cfr. Matteo, 5, 16). Penetrando ora nel senso di questo mosaico possiamo trasformare la nostra sorpresa iniziale in spunto per una comprensione profonda del mistero dell'agire.
Infatti, i diversi lavori dell'uomo - quello dell'operaio, del maestro, del segretario, del contadino, dello studioso - che sono raffigurati in questo mosaico si trovano dentro un'immensa vite che cresce verso l'alto. Con audacia incredibile, gli artisti hanno inserito l'agire quotidiano umano proprio nell'abside del tempio, nel cuore del luogo sacro. Qual è allora la rilevanza dell'agire umano che lo fa degno di occupare una posizione così elevata? Quale la sua bellezza?
Dai piccoli lavori che si sviluppano attorno alla grande vite, lo sguardo dell'osservatore s'indirizza subito verso la radice:  la croce che occupa il centro del mosaico. Infatti, è dal cuore squarciato del Crocefisso che scaturisce la fonte che fa crescere questa preziosa vite.
Allo stesso tempo, guardare il Crocefisso ci fa levare gli occhi ancora più in alto, verso Colui che l'ha mandato. La mano del Padre, che invia suo Figlio al mondo, è la vera sorgente di tutto il movimento di questo mosaico. Infatti, Gesù si presenta durante la propria vita come il Figlio, il cui cibo è fare la volontà del Padre suo. Così, l'agire umano ci porta, attraverso Cristo, all'ultima origine:  il Padre, Datore di ogni bene. All'origine del creato e delle nostre azioni troviamo, per dirla con Dante, il suo Amore "che muove il sole e le altre stelle".
Ma il grande mosaico di san Clemente non ci parla soltanto di un'origine. Sulla croce di Cristo appaiono dodici colombe, segno della pienezza del Paraclito che fa nascere la Chiesa. Insieme alla presenza paterna, antecedente e originaria, nella vita di Gesù scopriamo l'attività dello Spirito Santo che opera in Lui e lo muove ad agire. Infatti, così spiegava il grande san Tommaso, il Padre ci ha consegnato il suo Figlio:  dandogli lo Spirito Santo, affinché Lui potesse accogliere la volontà paterna. Così la croce dolorosa e infamante può diventare albero di vita, gloria e fecondità. Da essa scaturisce lo Spirito che riempie tutta la vite della Chiesa e, per essa, tutto il creato.
Origine e fine. L'immagine di quest'abside ci permette di risalire fino all'ultima sorgente dell'agire umano e indirizzarci verso il suo destino definitivo. Ci parla di una cascata d'amore attraverso la quale il Padre invia il Figlio, che, testimoniando sulla croce l'immensità dell'amore di Dio, ci dona il suo Spirito, nuovo principio per il nostro agire. A partire da tale impostazione trinitaria, gli autori di questa opera ponderosa, compiono audacemente un passo decisivo nel rinnovamento della teologia morale. Infatti, collocando l'amore come fondamento e destino dell'agire, quale sua chiave esplicativa, offrono una comprensione metafisica e teologica dell'amore, capace di offrire una base affidabile alla morale.
In secondo luogo, i tre autori hanno saputo anche presentare con acutezza e rigore un cristocentrismo che non è "cristomonismo", cioè non riduce Cristo a se stesso. Al contrario, mettendo al centro il mistero di Gesù, ci portano, con Lui, al-di-là di Se stesso. Lui è il Figlio ed è il Cristo:  il Figlio del Padre e il Cristo, l'Unto dallo Spirito. Il vero cristocentrismo rimanda a un'impostazione trinitaria, dove l'agire va inteso come una partecipazione nello Spirito all'agire di Cristo per la gloria del Padre. Virtù indiscutibile di questo manuale è la proposta di un cristocentrismo profondamente trinitario e dinamico.
In terzo luogo, il lavoro dei professori Livio Melina, José Noriega e Juan-José Pérez-Soba ha il grande merito di offrire un metodo che integra l'esperienza umana e la rivelazione divina in reciproca illuminazione. Quest'intima unità poggia sull'ermeneutica dell'esperienza morale come vocazione all'amore. Infatti, nella croce, dove Dio si è fatto vicino rivelando il Suo amore, ci viene mostrato non soltanto il mistero di Dio, ma anche il volto dell'uomo, essere la cui origine, dimora e destino è l'amore. In questo modo, nell'orizzonte dell'amore, la razionalità pratica trova la sua capacità d'illuminare l'agire dell'uomo.
Queste tre indicazioni permettono di capire l'audacia degli artisti di san Clemente e degli autori di questo libro, che in qualche modo si sono messi alla loro scuola nel comporre la loro opera. Il mosaico absidale rivela, insiti nell'agire quotidiano, un ricchissimo movimento e una pienezza.
Da una parte, un movimento che tende verso l'identità dell'uomo. La vite che si alza verso l'alto indica la tensione dell'uomo nel suo agire. Come la pianta che, per alzarsi più in alto, deve spingere più nel profondo le sue radici, così, l'uomo, nell'incontro con Cristo, risveglia la memoria del Padre che l'ha amato per primo. Riconoscendosi come figlio, amato per se stesso, sperimenta la gratitudine e il desiderio di corrispondere a tale dono. In questo modo, attraverso la donazione generosa di sé, può diventare sposo. Nel passaggio dal dono alla donazione, dall'amore all'amare, l'uomo sperimenta la fecondità del suo agire e arriva a essere padre, costruttore di comunione.
Insieme a tale movimento d'amore, l'immagine di san Clemente mostra anche la pienezza dell'agire. Accanto all'uomo, il mosaico raffigura piante fiorite, alberi fecondi, uccelli e animali selvaggi e domestici. L'uomo sale verso Dio, ma non lo fa da solo:  rientra insieme agli altri uomini, accomunati sotto la stessa vite, portando con sé tutto il creato. Così, se i suoi lavori, anche i più piccoli e semplici, trovano posto nell'abside, nel cuore della casa di Dio, è perché attraverso il suo agire l'uomo diventa vero collaboratore di Dio.
In questo modo, il volume che oggi ho il piacere di presentare, ci dà una preziosa indicazione sul senso veramente salvifico dell'azione del cristiano. Mettendo a fuoco il metodo della "collaborazione" (sinergia) dell'agire umano e dell'agire divino, ci mostra perché - come ci ha detto il Papa Benedetto XVI- "ogni agire serio e retto dell'uomo è speranza in atto" (Spe salvi, 35), autentica fonte di salvezza.


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008) Arte figurativa e vangeli

La luce esprime
il senso nascosto delle cose

 di Timothy VerdonQuale rapporto sussiste tra fede biblica e immagini nell'esperienza cristiana? O, per porre diversamente l'interrogativo, vi è una "visibilità del sacro" nel sistema di fede scaturito dalle Scritture giudeo-cristiane? Non sono domande banali in una tradizione che, dalle catacombe fino a tutt'oggi continua a servirsi delle arti visive, dando per certa la capacità dell'immagine di svelare significative dimensioni della realtà spirituale a cui si riferiscono i testi sacri. Anzi, l'utilizzo ininterrotto delle arti visive al servizio della missione della Chiesa sembra presupporre il primato comunicativo suggerito da Benedetto XVI nell'Introduzione al Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica laddove insiste che "l'immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico".
I vangeli stessi sono penetrati di un insostituibile contenuto visivo, e ognuno dei quattro testi ha infatti influito sull'arte, sebbene in modi e in misure diverse. Sovente gli artisti attingono a tutti e quattro i vangeli, sovrapponendo personaggi, eventi e interpretazioni nel convincimento dell'unitarietà delle Scritture; altre volte privilegiano elementi particolari di uno dei testi canonici, traducendo in immagine la "visione" ora di uno, ora di un altro degli evangelisti. Alcune opere riflettono Matteo, altre Marco, Luca o Giovanni - anche se nell'insieme la produzione artistica cristiana va colta - come il Nuovo Testamento stesso - nei termini di una fondamentale unità.
Le peculiarità sono facilmente leggibili laddove i singoli soggetti corrispondono a episodi specifici a questo o a quell'altro vangelo. Ogni raffigurazione dell'Annunciazione è per definizione "lucana", ad esempio, e ogni "Adorazione dei Magi" è "matteana". Tra i sinottici, l'unico a non offrire soggetti "unici" - soggetti cioè che si trovano solo nel suo testo - è Marco; il minore impatto del suo vangelo sull'iconografia è forse collegato all'uso limitato che la liturgia ne faceva prima della riforma del concilio Vaticano ii:  nell'ordinamento del Messale romano del 1955, ad esempio, testi marciani vennero proclamati in appena quattro domeniche dell'anno - una situazione, questa, che riproduceva più o meno fedelmente quella della prima edizione del Messale nel 1570, la quale a sua volta sostanzialmente riproduceva il lezionario pre-tridentino. Un'eccezione a questa regola è il celebre mosaico in San Marco a Venezia, raffigurante il Signore glorioso che reca uno stendardo con le parole di Marco (16, 15-16) con cui, al momento di ascendere, Cristo comandava agli apostoli di andare in tutto il mondo predicando e battezzando; il mosaico illustra poi la loro obbedienza al Signore, con singole scene di battesimo intorno all'orlo inferiore della cupola. Questa inusuale specificità marciana è spiegata dal luogo per cui l'opera fu destinata:  la basilica in cui si conserva il corpo dell'evangelista, San Marco a Venezia, dove il mosaico sovrasta il fonte battesimale.
Il testo evangelico in assoluto più influente è quello di Giovanni, che ha arricchito il repertorio iconografico di soggetti quali le nozze di Cana, l'incontro notturno di Gesù con Nicodemo, l'incontro con la Samaritana, la resurrezione di Lazzaro, la lavanda dei piedi, il colpo di lancia, il Noli me tangere e l'incredulità di san Tommaso. Alcuni di questi soggetti sono presenti in tutto l'arco della tradizione, dai dipinti murali delle catacombe fino al barocco e oltre - Gesù e la Samaritana, per esempio, perennemente affascinante per la sua apertura al mondo non ebraico e alle donne, nonché la resurrezione di Lazzaro, carica della speranza cristiana di vita nuova. Altri temi appartengono a situazioni culturali precise:  il Noli me tangere viene sviluppato soprattutto a partire dal Trecento, nel nuovo clima d'interesse psicologico per il rapporto tra Cristo e Maria Maddalena. In maniera analoga, l'incontro clandestino di Nicodemo con il Signore emerge nell'arte della riforma cattolica focalizzata sulla ricerca personale, mentre il "colpo di lancia" vibrato da Longino appare come soggetto nel periodo barocco, affascinato dall'inerente drammaticità dell'evento.
Al di là di soggetti particolari, un secondo livello d'influsso sull'iconografia, sottile ma significativo, è quello del "dettaglio giovanneo". Tutti i vangeli raccontano dell'Ultima Cena, ad esempio, ma solo il quarto nota che, tra i discepoli presenti, "uno di loro stava proprio accanto a Gesù (...) quello che Gesù amava", il quale si appoggiava al petto del Signore per chiedergli il nome del traditore (Giovanni, 13, 23-25). L'inclusione di questo dettaglio, soprattutto in immagini realizzate per refettori monastici, suggeriva una chiave di lettura personalissima:  guardando a Giovanni appoggiato al petto del Salvatore, ogni membro della comunità religiosa poteva identificarsi con il discepolo amato da Gesù e vicino a lui nell'ora della prova. Nell'Europa settentrionale questo commovente momento diventò un soggetto a sé, illustrato cioè fuori del contesto narrativo della Cena.
O ancora:  tutti i vangeli narrano della crocifissione, ma solo il quarto riporta le parole indirizzate da Gesù a Maria e al discepolo che egli amava:  "Donna, ecco tuo figlio" e "Ecco tua madre" (Giovanni, 19, 26-27). È pertanto giovannea la formula sintetica usata sin dal medioevo per rappresentare l'evento del Calvario in pittura e scultura, che riduce la scena alle sole figure di Cristo sulla croce, Maria e Giovanni. Frequentissimo nelle croci dipinte umbre e toscane dei secoli xii e xiii, questo schema predispone una lettura profonda dell'evento, invitando a vedere la croce di Cristo come elemento strutturante in un nuovo sistema di rapporti tra persone.
Molti tentativi degli artisti di visualizzare il senso nascosto di cose e di eventi riflettono l'influsso del quarto vangelo, e la dinamica articolata nel prologo giovanneo - di una "Parola" che s'incarna, permettendo agli uomini di vedere la gloria divina - si configura come traguardo interpretativo ordinario. Praticamente ogni immagine allusiva alla natura divina di Gesù trae senso dall'enfasi cristologica del quarto vangelo, che continuamente rivela il Padre presente nel Figlio; i Cristi dei catini absidali paleocristiani, bizantini e romanici, ad esempio - enormi, totalizzanti - non fanno che illustrare l'affermazione di Gesù che "chi vede me, vede Colui che mi ha mandato" (Giovanni, 12, 45; cfr. 14, 9), e l'intera categoria iconografica del Pantocrator traduce l'asserto giovanneo che "la Parola si fece carne (...) e vedemmo la sua gloria, gloria dell'unigenito dal Padre" (Giovanni, 1, 14). 
Notiamo l'ancora più fondamentale influsso del quarto vangelo nel presentare Cristo come luce degli uomini splendente nell'ostile oscurità della storia (Giovanni, 1, 4-5). Oltre all'effetto genericamente "glorioso" dell'oro nei mosaici, nelle tavole dipinte medievali e nella suppellettile liturgica, si può dire che ogni utilizzo della luce nell'ambito dell'arte cristiana - nell'architettura interna delle Chiese, nelle vetrate - si apre al mistero di Cristo; una risposta contemporanea alle parole di Giovanni è offerta dall'opera del pittore Filippo Rossi, fortemente intrisa di effetti luministici.
L'uso poi della luce come protagonista nell'arte dal rinascimento al barocco investe anche soggetti non-giovannei dell'aura del quarto vangelo. Nell'Annunciazione del Beato Angelico in una delle celle del convento di San Marco, per esempio, insieme all'angelo che saluta la Vergine entra la luce:  un delicato bagliore che colma lo spazio in cui l'evento si svolge, avanzando da sinistra a destra - nel senso in cui si muove il messo divino - "luce vera che illumina ogni uomo" (Giovanni, 1, 9). Anche Caravaggio, nella Vocazione in san Matteo in San Luigi dei Francesi a Roma, si servirà di luce "giovannea" per drammatizzare l'arrivo del Salvatore nell'oscura bettola dove il peccatore Matteo è seduto con compagni dissoluti:  da dietro Cristo, e seguendo il suo gesto d'invito, un largo raggio solare invade l'ambiente, rendendo visibile l'affermazione del Signore:  "Io sono venuto come luce nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre" (Giovanni, 12, 46).
Nel vangelo di Giovanni più che nei sinottici il Verbo della Vita diventa infatti visibile, così che lo vediamo, lo contempliamo, lo tocchiamo con mano - come afferma la prima lettera attribuita all'evangelista. Circonfuso di luce, il testo giovanneo "dà la vista" al lettore, riempiendo la Buona Novella di immagini stratificate e duttili, chiaroscurali, visionarie; chi l'apre finisce per dire, con le parole del cieco nato, la cui guarigione è raccontata nel quarto vangelo:  "Adesso vedo" (Giovanni, 9, 25).


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008) Una singolare opera poetica rilegge
la figura del fondatore dei salesiani alla luce della Bibbia

Le risposte che don Bosco
darebbe ai problemi di oggi

 È stata presentata ai Capitoli generali dei salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice una singolare opera poetica - El latido del bosque di Carlos Garulo - che rilegge la figura di don Bosco alla luce della Scrittura. di Lluis Duch
Università autonoma di Barcellona Monaco dell'abbazia di Montserrat
El latido del bosque (Il palpito del bosco) è un vasto e audace intento di confronto della "vita e miracoli" di don Bosco con il messaggio dei libri che compongono la Bibbia. Alla luce di ognuno dei libri biblici selezionati a tale scopo - nove nella totalità, dalla Genesi all'Apocalisse - l'autore si propone di prendere e rileggere ogni volta la biografia e l'opera del "padre e maestro della gioventù" al completo, e ai fini del preteso confronto si scelgono quei passi biografici che possono offrire il profilo più affine al messaggio di un determinato libro sacro.
In questo modo Génesis. Libro de orígenes y germinaciones è la prima delle nove incursioni bibliche nel "bosco", i cui battiti si vogliono far percepire come se si andasse alla ricerca di una verità vivente destinata a persistere nel futuro. Qui l'autore, Carlos Garulo, ha cercato quanto in don Bosco ha sapore di origine e di novità, o di vigore di seme che gettato in terra vive, cresce e, nella sua maturità, è capace di germinare e perdurare, contribuendo a scuotere il mondo dalla monotonia dal suo quotidiano accadere.
Perciò Garulo ricorre alla poesia, alla lirica per creare, spiegare e comunicare qualcosa a cui difficilmente si potrebbe accedere per altre vie della conoscenza, alcune già percorse con successo da autori che si sono imposti all'attenzione. In questa prima consegna di El latido del bosque ogni poema è composto, a sua volta, da una sequenza di tre, quattro o cinque piccoli poemi-scene dai quali emerge un nuovo racconto, diverso da quelli strettamente storici ai quali si riferisce.
Il cognome del santo in italiano - Bosco - offre, per una semplice trasposizione, il luogo del progetto letterario:  il bosco. Dal punto di vista metaforico, avverte l'autore nel prologo, l'importanza di un bosco si misura solo per la sua capacità di produrre e annidare mistero, e per la sua potenzialità pedagogica.
Chi si addentra in questo bosco e si incammina verso il proprio cuore "percepisce i suoi battiti" e finisce per scoprire e confessare:  "Mi giunge così il futuro come un dare alla luce". Mediante questo bosco letterario l'autore arriva a formulare una teologia pratica e sapienziale della vita, dell'opera e dei progetti di don Bosco. In questa opera è fondamentale rendersi conto dei riferimenti costanti non solo ai fatti ma, soprattutto, ai progetti del santo.
È puramente casuale, anche se molto significativa, la coincidenza nel tempo di questo progetto letterario di Garulo, pensato autonomamente, con la celebrazione del ventiseiesimo Capitolo generale dei salesiani, centrato sul Da mihi animas cetera tolle (Genesi, 14, 16):  il motto scelto dallo stesso don Bosco per mettere a fuoco e unificare pienamente il senso, il vivere e la operatività della vocazione e della missione salesiana. Questo "progettare" è specialmente importante per questo Capitolo generale nel quale si prova a "ripartire da don Bosco" per lanciarsi evangelicamente verso ciò che è sconosciuto. E, senza tregua, lo sconosciuto, l'"evangelizzabile" e l'ambito nel quale risuona la "voce di Dio oggi" sono i tempi nuovi, nei quali dovrebbe risuonare efficacemente e senza timori il "non si ricorderanno più le cose passate, né verranno più in mente" di Isaia (65, 17).
Il filosofo danese Søren Kierkegaard poneva il seguente dilemma:  siamo noi i contemporanei di Cristo o, piuttosto, è Cristo nostro contemporaneo? Lo stesso può dirsi dei santi fondatori:  siamo loro contemporanei o sono essi nostri contemporanei? Non si tratta di imitarli, ma di seguirli, di contestualizzare il loro carisma nelle nostre vite e nel nostro mondo, di prendere sul serio il loro appello di abbandonare "le pentole d'Egitto" (Esodo, 16, 3) e di osare di lavorare e pregare per la formazione del "corpo del futuro", come dice il nostro poeta.
El latido del bosque è un frammento di teologia poetico-spirituale in azione, "un campo di libertà senza limiti", ispirato a una comprensione profetica, non sacerdotale, dell'esodo biblico, il cui proposito ci invita alla "risurrezione" del carisma e della santità  di  don  Bosco  in questi primi anni del xxi secolo affinché egli sia veramente nostro contemporaneo.
In uno degli aforismi del Pellegrino cherubico, il mistico Angelus Silesius scrive:  "Anche se Cristo fosse nato mille volte a Betlemme, se non nasce nel tuo cuore, è nato invano". Con grande perspicacia, il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar distingueva tra "santi veri" e "santi congiunturali". I primi sono "trasgressori" nel senso originale del verbo latino transgredior:  andare più in là assumendo rischi, accettando la possibilità di sbagliarsi, sognando le fatture del Vangelo fatto carne umana in un qui e adesso concreti, ricreando criticamente la tradizione, pienamente coscienti che la storia - che è la voce e la novità di Dio fatta fragile carne umana - non si ripete mai né a livello individuale né a livello collettivo.
Sembra che Ernst Bloch centrasse l'obiettivo quando proclamava che "ogni autentica realtà è preceduta da un sogno". Questa pare la più opportuna ed esigente avvertenza di "un ateo a causa di Dio" - come si definiva - a noi cristiani del secolo xxi. Noi che siamo nello stesso tempo gli ultimi di un determinato ciclo della storia e i primi di un altro, che nascerà nella misura in cui il nostro fiume non perderà per strada "la verità della sua fonte".
L'opera di Garulo richiede lettori attenti, empatici, perché nasconde ricchezze profonde e intangibili a prima vista, forse imprevedibili e impreviste. Soggiace a tutto il libro un'antropologia con un carattere somigliante a quello dei profeti d'Israele:  l'essere umano non si trova determinato metafisicamente a priori, ma è ciò che è - ciò che va divenendo - a partire dalle sue proprie determinazioni etiche a posteriori. Questa presa di posizione antropologica ha conseguenze teologiche di grande portata:  la santità si muove sempre nel circuito "domanda - risposta" perché, come diceva il poeta ebreo francese Edmond Jabès, l'uomo è, fondamentalmente, l'être du questionement.
Interrogarsi su quale sarebbe la risposta che darebbe oggi don Bosco agli acuti problemi che ci avvolgono da ogni parte, questo, credo, è ciò che ci propone El latido del bosque e, ancora di più, ci sarà proposto nei futuri libri annunciati nel piano dell'opera. E l'aver sempre presente che sbagliarsi appartiene alla condizione propria dell'essere umano; rettificare e chiedere perdono, è parte del suo cammino verso la santità. Perché don Bosco vive, dovrebbe vivere, nelle domande e nelle risposte che oggi si fanno e danno i salesiani, suoi figli. Egli è nostro contemporaneo.
El latido del bosque esprime in chiave poetico-profetica una singolare avventura, l'"esperimento biblico" tra due interlocutori, santità in sé, uno, santità in fieri l'altro:  Dio e don Bosco. Un esperimento che, come tutti quelli in cui interviene Dio, tra balbettii e apparenti smarrimenti, possiede continuità in mezzo a costanti discontinuità e interruzioni.
Il presente onnipresente e santo don Bosco, è l'esperimento terreno dei suoi seguaci nel qui e adesso che tocca loro in sorte di vivere, con le loro sfide, oscurità e situazioni di conflitto. Nel poema che conclude il libro Garulo lo ha espresso in modo chiaro, demitizzante e pieno di speranza, con metafore, immagini e parole illuminanti ed esigenti:  "Per quelle origini che furono / già siamo con i piedi nel futuro. / Ci troviamo adesso nella nostra propria origine / e a questa nuova origine riferiti:  / quello che libera così per una vita / che dovrà germinare altre origini / di fiumi che si abbraccino alle loro fonti, / alla nuova verità che fluisce e che sostenta".


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008) Gli estremisti si impossessano delle terre dei cristiani costretti a fuggire dall'Orissa

Aggressioni ed espropri
Violenze senza fine in India

 Bhubaneshwar, 22. Continuano senza sosta le violenze in India nei confronti dei cristiani. Quattro novizi della Indian missionary society sono stati attaccati da alcuni attivisti appartenenti ad un partito indù, nel distretto di Karnataka. L'episodio di violenza è avvenuto domenica scorsa, ma la notizia è stata diffusa soltanto, mercoledì, dalla Conferenza episcopale dell'India.
I quattro novizi, come tutte le domeniche, stavano visitando alcune famiglie di agricoltori che coltivano caffè nel villaggio di Chennangoli. Ad un tratto, si è avvicinata una folla di attivisti indù, molti dei quali conosciuti come elementi pericolosi, e hanno iniziato a inveire sui quattro religiosi accusandoli di voler convertire gli abitanti del villaggio. Subito dopo le parole, gli attivisti sono passati ai fatti colpendo ripetutamente i quattro novizi e procurandogli serie ferite. Le vittime, subito ricoverate in ospedale, si chiamano Sandeep Masih, Lijo Kuruvilla, Kuldeep Beck e Vinod John.
Padre Snehanand della Indian missionary Society, maestro dei novizi, insieme ad altri due sacerdoti si è immediatamente recato sul luogo dell'aggressione per contattare gli attivisti e cercare una pacificazione ma alcuni facinorosi hanno cercato, per fortuna senza successo, di colpire al volto anche il sacerdote.
I responsabili della Indian missionary Society hanno sporto denuncia nei confronti degli attivisti indù, i quali a loro volta hanno presentato una controdenuncia accusando i novizi di aver violato i confini delle loro proprietà terriere.
Il vescovo di Mysore, monsignor Thomas Anthony Vazhapilly, è stato informato dell'accaduto e ha contattato le autorità civili e di polizia affinché facciano tutto il necessario per porre fine alle violenze. Di conseguenza, il sovrintendente di polizia ha convocato indù e cristiani per raggiungere un'intesa. Ma il risultato non è stato molto soddisfacente. I quattro novizi, ancora sotto shock per le violenze subite, sono dovuti rimanere per precauzione fino a tarda notte in caserma e successivamente scortati fino alla st. Joseph Ashram. Anche alcuni medici indù dell'ospedale dove sono stati ricoverati i quattro novizi sono intervenuti per fare da mediatori e stanno lavorando per organizzare un più vasto incontro per la pace nell'intera zona. Anche in considerazione del recente attacco alle chiese cristiane a Mangalore, le autorità politiche hanno pensato di inviare due poliziotti a presidiare ventiquattr'ore su ventiquattro la st. Joseph Ashram.
I membri della Indian missionary Society hanno il particolare carisma di operare per la pace, l'armonia e l'integrazione nazionale e anche per il benessere dei settori più deboli della popolazione a prescindere dalla loro fede.
Intanto, gli oltre cinquantamila profughi fuggiti dal distretto di Kandhamal e stanziatisi nelle foreste, o accampati da circa due mesi nei campi predisposti dal governo, stanno perdendo definitivamente la speranza di tornare nelle loro case e nelle loro terre; di riavere la loro vita. I gruppi radicali indù si stanno appropriando indebitamente delle terre rimaste abbandonate, coltivate con grano, mais, alberi da frutta e zenzero, privando per sempre i cristiani delle loro proprietà e dei mezzi di sostentamento.
"Si tratta per la maggior parte di dalit e tribali che subiscono la violenza dei gruppi radicali indù, ben organizzati e anche armati, senza poter opporre alcuna resistenza, soprattutto perché - denunciano i vescovi dell'Orissa - le autorità civili e la polizia non fanno nulla per fermare questa ingiusta confisca e flagrante violazione dei diritti individuali".
In tal modo subdolo, affermano i cristiani locali, si compie il disegno dei gruppi estremisti indù di eliminare la presenza cristiana dell'Orissa:  le famiglie e le piccole comunità dei villaggi, private di tutto e senza alcuna speranza di poter avere giustizia, sono costrette a spostarsi altrove.


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008) Pubblicati gli atti del convegno dell'Usmi sulla tratta di esseri umani

Una rete di suore cattoliche
contro la moderna schiavitù

 di Giulia GaleottiUn anno fa, in occasione del duecentesimo anniversario dall'abolizione della schiavitù, si è tenuto a Roma, promosso dall'Unione superiore maggiori d'Italia (Usmi) e dall'ambasciata statunitense presso la Santa Sede, il convegno dal titolo "Building a network. The prophetic role of women religious in the fight against trafficking in persons":  una importante occasione per richiamare l'attenzione su una realtà mondiale tutt'oggi dolorosamente diffusa. La schiavitù è infatti una piaga ancora aperta, una piaga che assume le vesti di un business fiorente, indotto dal sinistro connubio tra povertà, ignoranza, avidità e atroci violazioni della dignità umana.
A meno di un anno da quelle intense giornate di lavoro (15-20 ottobre), sono stati pubblicati gli atti del seminario che ha visto la partecipazione di numerose religiose, appartenenti a venticinque congregazioni, impegnate da tempo nella lotta alla tratta mondiale di esseri umani. La lettura del volume restituisce un quadro preoccupante e grave:  in nome del denaro e della ricchezza, la dignità umana viene calpestata nei corpi di donne e bambini in un traffico che, tra Paesi di origine, transito e destinazione, coinvolge l'intero pianeta. Dettagliati i rapporti giunti, solo per citare alcune nazioni, da Nigeria, Messico, Perú, Italia, India, Australia, Canada, Albania, Spagna, Sud Africa, Francia, Colombia, Stati Uniti, Giappone, Indonesia, Belgio, Polonia, Gran Bretagna.
La moderna schiavitù è una cosa reale, concreta per la ragazzina ghanese di 13 anni costretta prostituirsi a vantaggio dello sfruttatore che arriva a guadagnare quasi diecimila dollari al giorno, oppure per gli oltre ventitremila giovani schiavi dell'industria del turismo sessuale in Kenya, o per i trecentomila sfruttati dalla prostituzione tailandese. Dinanzi a tutto questo le religiose hanno assunto un ruolo fondamentale, articolato sul piano della denuncia dei traffici in corso e su quello dell'assistenza a quanti e a quante - le vittime sono principalmente di sesso femminile - ne sono oggetto. Centinaia di donne provenienti da ogni parte del globo vengono accolte in strutture protette gestite da religiose, in cui ricevono non solo un'assistenza immediata, ma anche un aiuto di lungo periodo per ricostruire la loro vita. La rete di religiose, che opera sia nelle nazioni di provenienza delle donne vittime della tratta che in quelle di destinazione, mira inoltre a creare solidi rapporti tra Chiese, organizzazioni caritative e istituzioni locali, onde avviare progetti atti a studiare e a stroncare il fenomeno.
Come emerge dalla lettura degli atti, nel concreto si opera in modo congiunto scambiando informazioni, mettendo a punto nuove strategie di intervento e promovendo campagne di sensibilizzazione. Queste strategie intendono, ad esempio, evitare il massiccio esodo di ragazze e giovani donne dalle loro famiglie (ma anche da scuole e parrocchie) alla ricerca di una falsa terra promessa. Lo sforzo coinvolge le famiglie d'origine delle vittime, famiglie che le religiose tentano di rintracciare e proteggere dalle violenze e dalle rappresaglie degli sfruttatori. Nel seguire quindi la reintegrazione sociale delle ragazze, sia che decidano volontariamente di tornare alle loro case sia che optino invece per rimanere in Occidente, occorre anche fare i conti con il dramma dell'Hiv che riguarda circa il 15 per cento di esse.
Al fine di dare a tutto il progetto un'impronta e una portata ancor più concreta, è stata annunciata la costituzione dell'International network of religious against trafficking in persons (Inratip):  per la prima volta viene creata una rete internazionale di suore cattoliche deputata ad aiutare le vittime dello sfruttamento e a sconfiggere i trafficanti. "Siamo con voi, non siete sole. Combatteremo insieme a voi per liberarvi dalla schiavitù" è lo slogan di un progetto che utilizza il web in modo costruttivo e che intende avvalersi di un approccio multi-disciplinare per affrontare e tentare di abolire il traffico di esseri umani nel mondo.
Le donne rappresentano oggi l'80 per cento delle persone che vivono in condizioni di povertà assoluta e quasi i due terzi degli 850 milioni di analfabeti adulti al mondo. La loro schiavitù sessuale è frutto di povertà, marginalizzazione e discriminazione.
Sebbene la prostituzione non rappresenti un fenomeno nuovo, attualmente si caratterizza per livelli di schiavitù globali mai conosciuti in passato. Spesso vengono ad intrecciarsi pericolosamente numerosi elementi, come la povertà endemica e l'infimo status sociale delle donne, prive di diritti sui loro corpi, sulle loro vite o proprietà. E poi la paura, la violenza, l'Aids:  è altissimo il numero di orfani per colpa di questa malattia, bimbi che diventano materiale umano facilmente sfruttabile. Immaginiamo la vita di questi fanciulli che fin dall'infanzia crescono pensando che sia normale guadagnarsi il pane cedendo il proprio corpo. Per non parlare del fatto che un elevato numero di ragazzine che finiscono sulla strada hanno subito abusi già nella loro cerchia domestica.
Lo sforzo quotidiano che le religiose compiono in questa loro missione profetica verso le ultime peccatrici delle nostre società spesso non è capito:  si è parlato criticamente della forte resistenza e diffidenza che alcuni ancora oggi nutrono verso le donne coinvolte nel turpe sfruttamento. Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, ha raccontato la parabola del buon samaritano in chiave moderna:  "Una giovane donna era in cammino dalla Nigeria all'Italia attraverso il deserto del Sahara quando cadde nelle mani di trafficanti di esseri umani. Questi la spogliarono di tutti i suoi averi e della sua dignità, le tolsero la libertà e ogni status giuridico, lasciandola mezza morta sulla via". Ognuno di noi può scegliere di essere il buon samaritano che la incontra.


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008) Il primo incontro latinoamericano sulla pastorale della mobilità umana promosso dal Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti

La Chiesa di fronte
a vecchie e nuove schiavitù della strada

 Centocinquanta milioni di ragazzi, secondo stime di Amnesty International, vivono stabilmente in strada (cinquanta milioni solo nei paesi dell'America latina); un milione e duecentomila persone muoiono ogni anno a causa di incidenti stradali; cinquanta milioni di feriti ogni anno per lo stesso motivo; in crescita esponenziale il fenomeno della prostituzione sulle strade del mondo, con relativo aumento del turismo sessuale; costante infoltimento del popolo dei senza fissa dimora, che vivono sotto i ponti o dormono sul ciglio del marciapiede. Sono allarmanti i dati e le statistiche riferite alla vita che scorre lungo le strade delle città e sulle autostrade di tutto il mondo. Sono cifre che denunciano il peggiorare di tutta una serie di fenomeni che stanno ormai letteralmente trasformando la strada in un luogo in cui si consumano quotidianamente tragedie. La Chiesa da tempo segue con particolare attenzione l'evolversi di tutti quei fenomeni che hanno come cornice proprio la strada. Tanto che il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti nell'ambito delle iniziative per promuovere la pastorale della mobilità umana, si dedica in modo particolare alla pastorale della strada.
In questa ottica si colloca il primo incontro continentale latinoamericano di pastorale della strada convocato in questi giorni a Bogotà, in Colombia. L'incontro è iniziato lo scorso 19 ottobre e si concluderà venerdì prossimo, 24 ottobre. Vi partecipano oltre centocinquanta persone in rappresentanza di quattro categorie:  gli utenti della strada (automobilisti, camionisti eccetera); quanti svolgono la loro attività sulle strade (addetti alla manutenzione, alla pulizia, alla sorveglianza, eccetera); le prostitute e i ragazzi di strada; i senza fissa dimora.
Il tema dell'incontro - "Gesù in persona si accostò e camminava con loro - Pastorale della strada:  un cammino insieme" - è stato illustrato dall'arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio organizzatore dell'incontro in collaborazione con la Commissione episcopale dell'America latina, all'inizio dei lavori. Dopo aver ricordato i precedenti incontri che il Pontificio Consiglio ha organizzato su queste tematiche, per riaffermare l'attenzione della Chiesa a questi fenomeni, il presule si è soffermato su diversi aspetti che interessano la pastorale della strada. Innanzitutto le vittime di incidenti stradali. Nel continente latino americano, ha detto, ogni anno muoiono centoventiduemila persone a causa di incidenti stradali; per ogni vittima ci sono poi 30, 40 feriti gravi a fare da contraltare. Gli effetti sono devastanti:  intanto i costi incidono per il 2 per cento sul prodotto interno lordo, "cifra inaccettabile - ha sottolineato - per un Paese povero o sottosviluppato".
Ma ben più dannosi sono gli effetti che si producono nel tempo poiché, ha ricordato monsignor Marchetto, quelli che restano invalidi a causa degli incidenti sono praticamente tagliati fuori dal processo produttivo e diventano quasi un aggravio ulteriore per l'economia del Paese. E questo è un dato sul quale riflettere se si pensa che la maggior parte degli incidenti stradali in America latina coinvolge minori di 18 anni.
Capitolo prostituzione. Monsignor Marchetto ha messo in evidenza il preoccupante aumento del fenomeno nel continente, più rapido rispetto ad altri Paesi del mondo. Difficile trovare le cause al di là di quelle storiche:  povertà, traffico di persone, violenza degli sfruttatori. Nel continente latinoamericano tra l'altro, ha notato l'arcivescovo, esistono leggi specifiche dalle quali è possibile capire come viene intesa la prostituzione e in quali forme essa possa essere esercitata. Ma si intuisce anche come viene considerata la donna:  generosa, capace di sacrificarsi per le persone che ama e di soffrire in silenzio; oppure cattiva, che rifiuta il ruolo idealizzato di sposa e di madre e che ha costumi sessuali liberi. Questa duplice visione della donna, ha detto Marchetto, "di grande attualità ancora oggi in molti Paesi del continente", costituisce il punto di partenza dell'intervento pastorale della Chiesa per la liberazione della donna dalle schiavitù della strada.
Strettamente collegati sono i fenomeni del turismo sessuale - "sta diventando una vera e propria piaga sociale in tanti Paesi dell'America latina" - e quello della pedofilia "che ormai - ha detto l'arcivescovo - ha sempre più di frequente la strada come teatro. È un fenomeno che ci dà una profonda preoccupazione perché dilaga in questa parte del mondo e coinvolge moltissimi bambini". Quei cinquanta milioni di bambini che vivono in strada nel solo continente latinoamericano, come è facile intuire, restano facilmente vittime di gente senza scrupoli che ne fa merce sessuale, manovalanza per la criminalità, o addirittura merce per il traffico d'organi.
A questi problemi si aggiungono poi quelli vissuti dai senza fissa dimora:  clochard, immigrati, diseredati che vanno a infoltire il popolo della strada. Alcune statistiche, ha rivelato monsignor Marchetto, indicano che almeno il 50 per cento di quelli che abitano nelle grandi città latinoamericane vivono in alloggi improvvisati. E naturalmente sono tanti quelli che finiscono nel tunnel della droga e dell'alcolismo; quelli che contraggono malattie infettive, in particolare tubercolosi e Aids.
Si tratta di sfide epocali per la Chiesa nel continente. Per affrontarle monsignor Marchetto suggerisce una più vasta forma possibile di cooperazione tra le Chiese per offrire risposte concrete comuni. A questo servono, ha aggiunto, "incontri come quello che stiamo vivendo in questi giorni":  favoriscono uno scambio di esperienze ma soprattutto aiutano a riscoprire l'identità cristiana di una comunità che se vuole realmente essre rigenerante, deve restare ancorata al suo fondatore, Gesù Cristo. E "questo - ha concluso l'arcivescovo - è in linea con la grande missione nel continente proposta ad Aparecida". (mario ponzi)



(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008)

zsbc08
00martedì 28 ottobre 2008 08:54
"Pio XII beato? Manco per sogno!" risponde Israele
 

 

 
 
 
 

 

 

 

 



zsbc08
00giovedì 30 ottobre 2008 18:42
Tra ebrei e cristiani dialogo nel rispetto e nella verità
Il discorso del Papa all'International Jewish Committee on Interreligious Consultations Tra ebrei e cristianidialogo nel rispetto e nella verità Il dialogo tra ebrei e cristiani ha bisogno di rispetto, di accettazione reciproca e di verità "per superare differenze, prevenire incomprensioni ed evitare scontri inutili". Lo ha detto il Papa durante l'udienza ai membri dell'International Jewish Committee on Interreligious Consultations, ricevuti nella mattina di giovedì 30 ottobre, nella Sala dei Papi. Dear Friends, I am pleased to welcome this delegation of the International Jewish Committee on Interreligious Consultations. For over thirty years your Committee and the Holy See have had regular and fruitful contacts, which have contributed to greater understanding and acceptance between Catholics and Jews. I gladly take this occasion to reaffirm the Church's commitment to implementing the principles set forth in the historic Declaration Nostra Aetate of the Second Vatican Council. That Declaration, which firmly condemned all forms of anti-Semitism, represented both a significant milestone in the long history of Catholic-Jewish relations and a summons to a renewed theological understanding of the relations between the Church and the Jewish People. Christians today are increasingly conscious of the spiritual patrimony they share with the people of the Torah, the people chosen by God in his inexpressible mercy, a patrimony that calls for greater mutual appreciation, respect and love (cf. Nostra Aetate, 4). Jews too are challenged to discover what they have in common with all who believe in the Lord, the God of Israel, who first revealed himself through his powerful and life-giving Word. As the Psalmist reminds us, God's Word is a lamp and a light to our path; it keeps us alive and gives us new life (cf. Ps 119: 105). That word spurs us to bear common witness to God's love, mercy and truth. This is a vital service in our own time, threatened by the loss of the spiritual and moral values which guarantee human dignity, solidarity, justice and peace. In our troubled world, so frequently marked by poverty, violence and exploitation, dialogue between cultures and religions must more and more be seen as a sacred duty incumbent upon all those who are committed to building a world worthy of man. The ability to accept and respect one another, and to speak the truth in love, is essential for overcoming differences, preventing misunderstandings and avoiding needless confrontations. As you yourselves have experienced through the years in the meetings of the International Liaison Committee, dialogue is only serious and honest when it respects differences and recognizes others precisely in their otherness. A sincere dialogue needs both openness and a firm sense of identity on both sides, in order for each to be enriched by the gifts of the other. In recent months, I have had the pleasure of meeting with Jewish communities in New York, Paris and here in the Vatican. I thank the Lord for these encounters, and for the progress in Catholic-Jewish relations which they reflect. In this spirit, then, I encourage you to persevere in your important work with patience and renewed commitment. I offer you my prayerful good wishes as your Committee prepares to meet next month in Budapest with a delegation of the Holy See's Commission for Religious Relations with the Jews, in order to discuss the theme: "Religion and Civil Society Today". With these sentiments, dear friends, I ask the Almighty to continue to watch over you and your families, and to guide your steps in the way of peace. La traduzione del discorso del Papa Cari amici, sono lieto di ricevere questa delegazione dell'International Jewish Committee on Interreligious Consultations. Da più di trent'anni il vostro Comitato e la Santa Sede hanno contatti regolari e fruttuosi, che hanno contribuito a una comprensione e a un'accettazione maggiori fra cattolici ed ebrei. Colgo volentieri quest'occasione per riaffermare l'impegno per la realizzazione dei principi esposti nella storica dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II. Quella dichiarazione, che ha condannato con fermezza tutte le forme di antisemitismo, è stata sia una pietra miliare significativa nella lunga storia dei rapporti fra cattolici ed ebrei sia un invito a una rinnovata comprensione teologica dei rapporti fra la Chiesa e il popolo ebraico. Oggi i cristiani sono sempre più consapevoli del patrimonio spirituale che condividono con il popolo della Torah, il popolo eletto da Dio nella sua ineffabile misericordia, un patrimonio che esorta a un apprezzamento, a un rispetto e a un amore più grandi e reciproci (cfr. Nostra aetate, n. 4). Anche gli ebrei vengono esortati a scoprire che cosa hanno in comune con quanti credono nel Signore, il Dio di Israele, che per primo si è rivelato attraverso la sua Parola potente e che dà la vita. Come ci ricorda il salmista, la Parola di Dio è lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino; ci mantiene vivi e ci dona nuova vita (cfr. Sal 119, 105). Questa Parola ci sprona a recare una testimonianza comune dell'amore, della misericordia e della verità di Dio. Questo è un servizio vitale nel nostro tempo, minacciato dalla perdita dei valori spirituali e morali che garantiscono dignità umana, solidarietà, giustizia e pace. Nel nostro mondo inquieto, così spesso segnato dalla povertà, dalla violenza e dallo sfruttamento, il dialogo fra culture e religioni deve essere sempre più considerato come un dovere sacro di quanti sono impegnati nell'edificazione di un mondo degno dell'uomo. La capacità di rispettarsi e accettarsi reciprocamente e di pronunciare la verità con amore, è essenziale per superare differenze, prevenire incomprensioni ed evitare scontri inutili. Come voi stessi avete sperimentato nel corso degli anni, durante gli incontri dell'International Liaison Committee, il dialogo è serio e onesto soltanto quando rispetta le differenze e riconosce gli altri proprio nella loro alterità. Un dialogo sincero ha bisogno di apertura e di un forte senso di identità da entrambe le parti, affinché ognuno venga arricchito dai doni dell'altro. Negli scorsi mesi ho avuto il piacere di incontrare comunità ebraiche a New York, a Parigi e qui in Vaticano. Rendo grazie a Dio per questi incontri e per il progresso che rispecchiano nei rapporti fra cattolici ed ebrei. Con questo spirito, dunque, vi incoraggio a perseverare nella vostra importante opera con pazienza e rinnovato impegno. Vi offro i miei buoni auspici oranti mentre il vostro Comitato si prepara a incontrare il prossimo mese a Budapest una delegazione della Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, per affrontare il tema "Religione e società civile oggi". Con questi sentimenti, cari amici, chiedo all'Onnipotente di continuare a vegliare su di voi e sulle vostre famiglie e a guidare i vostri passi lungo il cammino della pace. (©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2008)
zsbc08
00lunedì 3 novembre 2008 17:23
Non c'è opposizione tra fede nella creazione e scienza
L'OsservatoreRomano
Benedetto XVI all'assemblea plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze

Non c'è opposizione
tra fede nella creazione e scienza


Non c'è opposizione tra la comprensione di fede della creazione" e "la prova delle scienze empiriche". Lo ha ribadito Benedetto XVI nel discorso rivolto ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, ricevuti in udienza nella mattina di venerdì 31 ottobre, nella Sala Clementina.

Illustri signore e signori,
sono lieto di salutare voi, membri della Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione della vostra assemblea plenaria, e ringrazio il professor Nicola Cabibbo per le parole che mi ha cortesemente rivolto a vostro nome.
Nella scelta del tema "Comprensione scientifica dell'evoluzione dell'universo e della vita", cercate di concentrarvi su un'area di indagine che solleva grande interesse. Infatti, oggi molti nostri contemporanei desiderano riflettere sull'origine fondamentale degli esseri, sulla loro causa, sul loro fine e sul significato della storia umana e dell'universo.
In questo contesto, è naturale che sorgano questioni relative al rapporto fra la lettura che le scienze fanno del mondo e quella offerta dalla rivelazione cristiana. I miei predecessori Papa Pio xii e Papa Giovanni Paolo ii hanno osservato che non vi è opposizione fra la comprensione di fede della creazione e la prova delle scienze empiriche. Agli inizi la filosofia ha proposto immagini per spiegare l'origine del cosmo sulla base di uno o più elementi del mondo materiale. Questa genesi non era considerata come una creazione, quanto piuttosto come una mutazione o trasformazione. Implicava una interpretazione in qualche modo orizzontale dell'origine del mondo. Un progresso decisivo nella comprensione dell'origine del cosmo è stato la considerazione dell'essere in quanto essere e l'interesse della metafisica per la questione fondamentale dell'origine prima e trascendente dell'essere partecipato. Per svilupparsi ed evolversi il mondo deve prima essere, e quindi essere passato dal nulla all'essere. Deve essere creato, in altre parole, dal primo Essere che è tale per essenza.
Affermare che il fondamento del cosmo e dei suoi sviluppi è la sapienza provvida del Creatore non è dire che la creazione ha a che fare soltanto con l'inizio della storia del mondo e della vita. Ciò implica, piuttosto, che il Creatore fonda questi sviluppi e li sostiene, li fissa e li mantiene costantemente. Tommaso d'Aquino ha insegnato che la nozione di creazione deve trascendere l'origine orizzontale del dispiegamento degli eventi, ossia della storia, e di conseguenza tutti i nostri modi meramente naturalistici di pensare e di parlare dell'evoluzione del mondo. Tommaso ha osservato che la creazione non è né un movimento né una mutazione. È piuttosto il rapporto fondazionale e costante che lega le creature al Creatore poiché Egli è la causa di tutti gli esseri e di tutto il divenire (cfr. Summa theologiae, I, q. 45, a.3).
"Evolvere" significa letteralmente "srotolare un rotolo di pergamena", cioè, leggere un libro. L'immagine della natura come libro ha le sue origini nel cristianesimo ed è rimasta cara a molti scienziati. Galileo vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio così come lo è delle Scritture. È un libro la cui storia, la cui evoluzione, la cui "scrittura" e il cui significato "leggiamo" secondo i diversi approcci delle scienze, presupponendo per tutto il tempo la presenza fondamentale dell'autore che vi si è voluto rivelare. Questa immagine ci aiuta a comprendere che il mondo, lungi dall'essere stato originato dal caos, assomiglia a un libro ordinato. È un cosmo. Nonostante elementi irrazionali, caotici e distruttivi nei lunghi processi di cambiamento del cosmo, la materia in quanto tale è "leggibile". Possiede una "matematica" innata. La mente umana, quindi, può impegnarsi non solo in una "cosmografia" che studia fenomeni misurabili, ma anche in una "cosmologia" che discerne la logica interna visibile del cosmo. All'inizio potremmo non riuscire a vedere né l'armonia del tutto né delle relazioni fra le parti individuali né il loro rapporto con il tutto. Tuttavia, resta sempre un'ampia gamma di eventi intellegibili, e il processo è razionale poiché rivela un ordine di corrispondenze evidenti e finalità innegabili:  nel mondo inorganico fra microstruttura e macrostruttura, nel mondo animale e organico fra struttura e funzione, e nel mondo spirituale fra conoscenza della verità e aspirazione alla libertà. L'indagine filosofica e sperimentale scopre gradualmente questi ordini. Percepisce che operano per mantenersi in essere, difendendosi dagli squilibri e superando ostacoli. Grazie alle scienze naturali abbiamo molto ampliato la nostra comprensione dell'unicità del posto dell'umanità nel cosmo.
La distinzione fra un semplice essere vivente e un essere spirituale, che è capax Dei, indica l'esistenza dell'anima intellettiva di un libero oggetto trascendente. Quindi, il Magistero della Chiesa ha costantemente affermato che "ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio - non è "prodotta" dai genitori - ed è immortale" (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 366). Ciò evidenzia gli elementi distintivi dell'antropologia e invita il pensiero moderno ad esplorarli.
Illustri accademici, desidero concludere ricordando le parole che vi rivolse il mio predecessore Papa Giovanni Paolo ii nel novembre del 2003:  "Sono sempre più convinto che la verità scientifica, che è di per sé una partecipazione alla Verità divina, possa aiutare la filosofia e la teologia a comprendere sempre più pienamente la persona umana e la Rivelazione di Dio sull'uomo, una rivelazione compiuta e perfezionata in Gesù Cristo. Per questo importante arricchimento reciproco nella ricerca della verità e del bene dell'umanità, io, insieme a tutta la Chiesa, sono profondamente grato".
Su di voi, sulle vostre famiglie e su tutti coloro che sono associati all'opera della Pontificia Accademia delle Scienze invoco di cuore le benedizioni  divine  di  sapienza  e  di pace.



(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008) Benedetto XVI a professori e studenti delle università ecclesiastiche romane

Liberi dall'orgoglio intellettuale
per giungere alla vera sapienza


"Una riflessione sulla sapienza della Croce, vale a dire sulla sapienza di Dio, che si contrappone alla sapienza di questo mondo" è stata proposta dal Papa - nel pomeriggio di giovedì 30 ottobre, nella basilica Vaticana - ai professori e agli studenti delle università ecclesiastiche romane nel tradizionale incontro all'inizio dell'anno accademico.

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
È sempre per me motivo di gioia questo tradizionale incontro con le Università ecclesiastiche romane all'inizio dell'anno accademico. Vi saluto tutti con grande affetto, a partire dal Signor Cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, che ha presieduto la santa Messa e che ringrazio per le parole con cui si è fatto interprete dei vostri sentimenti. Sono lieto di salutare gli altri Cardinali e Presuli presenti, come pure i Rettori, i Professori, i Responsabili e i Superiori dei Seminari e dei Collegi, e naturalmente voi, cari studenti, che da diversi Paesi siete venuti a Roma per compiere i vostri studi. 
In questo anno, nel quale celebriamo il giubileo bimillenario della nascita dell'apostolo Paolo, vorrei soffermarmi brevemente insieme con voi su un aspetto del suo messaggio che mi sembra particolarmente adatto per voi, studiosi e studenti, e sul quale mi sono intrattenuto anche ieri nella catechesi durante l'Udienza generale. Intendo cioè riferirmi a quanto san Paolo scrive sulla sapienza cristiana, in particolare nella sua prima Lettera ai Corinzi, comunità nella quale erano scoppiate rivalità tra i discepoli. L'Apostolo affronta il problema di tali divisioni nella comunità, additando in esse un segno della falsa sapienza, cioè di una mentalità ancora immatura perché carnale e non spirituale (cfr. 1 Cor 3, 1-3). Riferendosi poi alla propria esperienza, Paolo ricorda ai Corinzi che Cristo lo ha mandato ad annunciare il Vangelo "non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo" (1, 17).
Da qui prende avvio una riflessione sulla "sapienza della Croce", vale a dire sulla sapienza di Dio, che si contrappone alla sapienza di questo mondo. L'Apostolo insiste sul contrasto esistente tra le due sapienze, delle quali una sola è vera, quella divina, mentre l'altra in realtà è "stoltezza". Ora, la novità stupefacente, che esige di essere sempre riscoperta ed accolta, è il fatto che la sapienza divina, in Cristo, ci è stata donata, ci è stata partecipata. C'è, alla fine del capitolo 2 della Lettera menzionata, un'espressione che riassume tale novità e che proprio per questo non finisce mai di sorprendere. San Paolo scrive:  "Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo -
(2, 16). Questa contrapposizione tra le due sapienze non è da identificare con la differenza tra la teologia, da una parte, e la filosofia e le scienze, dall'altra. Si tratta, in realtà, di due atteggiamenti fondamentali. La "sapienza di questo mondo" è un modo di vivere e di vedere le cose prescindendo da Dio e seguendo le opinioni dominanti, secondo i criteri del successo e del potere. La "sapienza divina" consiste nel seguire la mente di Cristo - è Cristo che ci apre gli occhi del cuore per seguire la strada della verità e dell'amore.
Cari studenti, voi siete venuti a Roma per approfondire le vostre conoscenze in campo teologico, e anche se studiate altre materie diverse dalla teologia, per esempio il diritto, la storia, le scienze umane, l'arte, ecc., comunque la formazione spirituale secondo il pensiero di Cristo resta per voi fondamentale, ed è questa la prospettiva dei vostri studi. Perciò sono importanti per voi queste parole dell'apostolo Paolo e quelle che leggiamo subito dopo, sempre nella prima Lettera ai Corinzi:  "Chi conosce infatti i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato" (2, 11-12). Eccoci ancora all'interno dello schema di contrapposizione tra la sapienza umana e quella divina. Per conoscere e comprendere le cose spirituali bisogna essere uomini e donne spirituali, poiché se si è carnali, si ricade inevitabilmente nella stoltezza, anche se magari si studia molto e si diventa "dotti" e "sottili ragionatori di questo mondo" (1, 20).
Possiamo vedere in questo testo paolino un accostamento quanto mai significativo con i versetti del Vangelo che riportano la benedizione di Gesù rivolta a Dio Padre, perché - dice il Signore - "hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11, 25). I "sapienti" di cui parla Gesù sono quelli che Paolo chiama i "sapienti di questo mondo". Mentre i "piccoli" sono coloro che l'Apostolo qualifica "stolti", "deboli", "ignobili e disprezzati" per il mondo (1, 27-28), ma che in realtà, se accolgono "la parola della Croce" (1, 18), diventano i veri sapienti. Al punto che Paolo esorta chi si ritiene sapiente secondo i criteri del mondo a "farsi stolto", per diventare veramente sapiente davanti a Dio (3, 18). Questo non è un atteggiamento anti-intellettuale, non è opposizione alla "recta ratio". Paolo - seguendo Gesù - si oppone ad un tipo di superbia intellettuale, in cui l'uomo, pur sapendo molto, perde la sensibilità per la verità e la disponibilità ad aprirsi alla novità dell'agire divino.
Cari amici, questa riflessione paolina quindi non vuole affatto condurre a sottovalutare l'impegno umano necessario per la conoscenza, ma si pone su un altro piano:  a Paolo interessa sottolineare - e lo fa senza mezzi termini - che cosa vale realmente per la salvezza e che cosa invece può recare divisione e rovina. L'Apostolo cioè denuncia il veleno della falsa sapienza, che è l'orgoglio umano. Non è infatti la conoscenza in sé che può far male, ma la presunzione, il "vantarsi" di ciò che si è arrivati - o si presume di essere arrivati - a conoscere. Proprio da qui derivano poi le fazioni e le discordie nella Chiesa e, analogamente, nella società. Si tratta dunque di coltivare la sapienza non secondo la carne, bensì secondo lo Spirito. Sappiamo bene che san Paolo con le parole "carne, carnale" non si riferisce al corpo, ma ad un modo di vivere solo per se stessi e secondo i criteri del mondo. Perciò, secondo Paolo, è sempre necessario purificare il proprio cuore dal veleno dell'orgoglio, presente in ognuno di noi. Anche noi dobbiamo dunque elevare con san Paolo il grido:  "Chi ci libererà?" (cfr. Rm 7, 24). E pure noi possiamo ricevere con lui la risposta:  la grazia di Gesù Cristo, che il Padre ci ha donato mediante lo Spirito Santo (cfr. Rm 7, 25). Il "pensiero di Cristo", che per grazia abbiamo ricevuto, ci purifica dalla falsa sapienza. E questo "pensiero di Cristo" lo accogliamo attraverso la Chiesa e nella Chiesa, lasciandoci portare dal fiume della sua viva tradizione. Lo esprime molto bene l'iconografia che raffigura Gesù-Sapienza in grembo alla Madre Maria, simbolo della Chiesa:  In gremio Matris sedet Sapientia Patris:  in grembo alla Madre siede la Sapienza del Padre, cioè Cristo. Rimanendo fedeli a quel Gesù che Maria ci offre, al Cristo che la Chiesa ci presenta, possiamo impegnarci intensamente nel lavoro intellettuale, interiormente liberi dalla tentazione dell'orgoglio e vantandoci sempre e solo nel Signore.
Cari fratelli e sorelle, è questo l'augurio che vi rivolgo all'inizio del nuovo anno accademico, invocando su voi tutti la materna protezione di Maria, Sedes Sapientiae, e dell'Apostolo Paolo. Vi accompagni anche la mia affettuosa Benedizione.



(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008) Il Papa al Rinnovamento Carismatico Cattolico

Salvaguardate la fedeltà all'identità cattolica


"Si intensifichi il dialogo tra Pastori e Movimenti ecclesiali a tutti i livelli:  nelle parrocchie, nelle diocesi e con la Sede Apostolica". Lo ha auspicato Benedetto XVI ricevendo venerdì mattina, 31 ottobre, esponenti del Rinnovamento Carismatico Cattolico e vescovi che accompagnano queste nuove comunità.
Durante l'udienza, svoltasi nell'Aula della Benedizione, il Papa ha sottolineato in particolare il ruolo della Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships.

Eminenza, Venerati Fratelli nell'Episcopato
e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Porgo con vivo piacere a voi tutti il mio cordiale benvenuto, e vi ringrazio per la visita che mi rendete in occasione del ii Incontro Internazionale dei Vescovi che accompagnano le nuove Comunità del Rinnovamento Carismatico Cattolico, del Consiglio internazionale della Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships e, infine, della xiii Conferenza Internazionale, convocata in Assisi, sul tema:  "Noi predichiamo Cristo Crocifisso, potenza e sapienza di Dio" (cfr. 1 Cor 1, 23-24), a cui prendono parte le principali Comunità del Rinnovamento Carismatico nel mondo. Saluto voi, cari Fratelli nell'Episcopato, e voi tutti, che operate al servizio dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove Comunità. Un saluto speciale rivolgo al Prof. Matteo Calisi, Presidente della Catholic Fraternity, che si è fatto interprete dei vostri sentimenti.
Come ho avuto già modo di affermare in altre circostanze, i Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità, fioriti dopo il Concilio Vaticano ii, costituiscono un singolare dono del Signore ed una risorsa preziosa per la vita della Chiesa. Essi vanno accolti con fiducia e valorizzati nei loro diversi contributi da porre a servizio dell'utilità comune in modo ordinato e fecondo. Di grande interesse è poi l'attuale vostra riflessione sulla centralità di Cristo nella predicazione, come pure sull'importanza dei "Carismi nella vita della Chiesa particolare", con riferimento alla teologia paolina, al Nuovo Testamento e all'esperienza del Rinnovamento Carismatico. Ciò che apprendiamo nel Nuovo Testamento sui carismi, che apparvero come segni visibili della venuta dello Spirito Santo, non è un evento storico del passato, ma realtà sempre viva:  è lo stesso divino Spirito, anima della Chiesa, ad agire in essa in ogni epoca, e questi suoi misteriosi ed efficaci interventi si manifestano in questo nostro tempo in maniera provvidenziale. I Movimenti e le Nuove Comunità sono come delle irruzioni dello Spirito Santo nella Chiesa e nella società contemporanea. Possiamo allora ben dire che uno degli elementi e degli aspetti positivi delle Comunità del Rinnovamento Carismatico Cattolico è proprio il rilievo che in esse rivestono i carismi o doni dello Spirito Santo e loro merito è averne richiamato nella Chiesa l'attualità. 
Il Concilio Vaticano II, in diversi documenti, fa riferimento ai Movimenti e alle nuove Comunità ecclesiali, specialmente nella Costituzione Dogmatica Lumen gentium, dove leggiamo:  "I carismi straordinari o anche più semplici e più comuni, siccome sono soprattutto appropriati e utili alle necessità della Chiesa, si devono accogliere con gratitudine e consolazione" (n. 12). In seguito, anche il Catechismo della Chiesa Cattolica ha sottolineato il valore e l'importanza dei nuovi carismi nella Chiesa, la cui autenticità viene però garantita dalla disponibilità a sottomettersi al discernimento dell'autorità ecclesiastica (cfr. n. 2003). Proprio perché assistiamo a una promettente fioritura di movimenti e comunità ecclesiali, è importante che i Pastori esercitino nei loro confronti un prudente, saggio e benevolo discernimento. Auspico di cuore che si intensifichi il dialogo tra Pastori e Movimenti ecclesiali a tutti i livelli:  nelle parrocchie, nelle diocesi e con la Sede Apostolica. So che sono allo studio opportune modalità per dare riconoscimento pontificio ai nuovi Movimenti e Comunità ecclesiali e non sono pochi quelli che già lo hanno ricevuto. Di questo dato - il riconoscimento o l'erezione di associazioni internazionali da parte della Santa Sede per la Chiesa universale - i Pastori, specialmente i Vescovi, non possono non tenere conto nel doveroso discernimento che ad essi compete (cfr. Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il Ministero Pastorale dei Vescovi Apostolorum Successores, Cap. 4, 8).
Cari fratelli e sorelle, fra queste nuove realtà ecclesiali riconosciute dalla Santa Sede, va annoverata anche la vostra, la Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships, Associazione Internazionale di fedeli, che assolve a una specifica missione in seno al Rinnovamento Carismatico Cattolico (cfr Decreto del Pontificio Consiglio per i Laici del 30 novembre 1990 prot. 1585/S-6//B-SO). Uno dei suoi obiettivi, conformemente alle indicazioni del mio venerato predecessore Giovanni Paolo ii, è salvaguardare l'identità cattolica delle comunità carismatiche e incoraggiarle nel mantenere uno stretto legame con i Vescovi e con il Romano Pontefice (cfr. Lettera autografa alla Catholic Fraternity, 1 giugno 1998). Apprendo, inoltre, con compiacimento, che essa si propone la costituzione di un Centro di formazione permanente per i membri e i responsabili delle Comunità Carismatiche. Ciò permetterà alla Catholic Fraternity di meglio valorizzare la propria missione ecclesiale orientata all'evangelizzazione, alla liturgia, all'adorazione, all'ecumenismo, alla famiglia, ai giovani e alle vocazioni di speciale consacrazione; missione che sarà ancor più aiutata dal trasferimento della Sede internazionale dell'associazione a Roma, con la possibilità di essere in più stretto contatto con il Pontificio Consiglio per i Laici.
Cari fratelli e sorelle, la salvaguardia della fedeltà all'identità cattolica e dell'ecclesialità da parte di ognuna delle vostre comunità vi permetterà di rendere dappertutto una testimonianza viva ed operante del profondo mistero della Chiesa. E sarà proprio questo a promuovere la capacità delle varie comunità di attirare nuovi membri. Affido i lavori dei vostri rispettivi convegni alla protezione di Maria, Madre della Chiesa, Tempio vivo dello Spirito Santo, e all'intercessione dei santi Francesco e Chiara di Assisi, esempi di santità e di rinnovamento spirituale, mentre di cuore imparto a voi e a tutte le vostre comunità una speciale Benedizione Apostolica.



(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008)
zsbc08
00lunedì 3 novembre 2008 17:27
L'Osservatore Romano
Creazionismo ed evoluzionismo

Non solo conciliabilità ma armonia


di Fiorenzo Facchini

Nel 2009 le celebrazioni galileiane per l'anno dedicato all'astronomia e gli anniversari darwiniani - bicentenario della nascita di Charles Darwin e centocinquantesimo della pubblicazione di Le origini delle specie - offriranno occasione di riprendere i grandi temi della evoluzione dell'universo e della vita nel quadro dei rapporti tra scienza e fede.
Le origini dell'universo interpellano cosmologi, filosofi e teologi. Il tema riguarda anche i cambiamenti che si sono susseguiti, dagli inizi fino al presente, e quelli prevedibili per il futuro. Le origini della vita sulla terra, e i processi che si svilupparono fino alla comparsa dell'uomo, interessano pure scienziati, filosofi e teologi sotto diversi profili. Si tratta di tematiche complesse che richiedono prospettive distinte, ma complementari. 
Un rischio che si corre, ed è alla origine di tante incomprensioni e conflitti, è la pretesa di rispondere a tutte le domande che si pongono utilizzando unicamente le proprie particolari metodologie ed escludendo altri orizzonti, facendo così assumere al proprio punto di vista un carattere totalizzante. A volte non c'è una esclusione esplicita, ma di fatto non vengono considerate o vengono ritenute superflue altre posizioni. In questo modo si compie un'autolimitazione nella sfera della conoscenza. Ciò si verifica anche quando sia scienziati che filosofi dichiarano di non volersi occupare di questioni di senso o di significato.
Spesso l'evoluzione e la creazione vengono considerati come poli contrapposti. Ma sulla loro conciliabilità si registrano numerosi interventi degli ultimi Papi, che riguardano affermazioni di principio sul significato della creazione, sul rapporto di tutta la realtà, anche nei suoi processi evolutivi, con il Creatore secondo un suo disegno, e sulla dimensione spirituale dell'uomo, lasciando aperto il campo delle modalità agli approfondimenti e alle interpretazioni degli studiosi. Di fatto le posizioni, sia in campo cattolico che fuori, sono piuttosto diverse.
Una, che si ricollega a un atteggiamento largamente presente nel mondo scientifico e nel mondo religioso dell'Ottocento, e spesso riemerge, è quella del conflitto. Da una parte si assiste al rifiuto della dimensione trascendente e alla pretesa di spiegare tutta la realtà con le conquiste della scienza, come avviene nel naturalismo darwiniano. Secondo alcuni il darwinismo emancipa la natura dall'ipotesi-Dio, di cui non c'è più bisogno. È una estensione della visione evolutiva non richiesta dalla teoria evolutiva, neppure nella versione darwiniana; essa assume i connotati di una ideologia e come tale va considerata:  non come scienza.
Dall'altra parte si registra la difesa a oltranza della creazione secondo l'interpretazione letterale dei primi capitoli della Genesi, oppure, per affermare il principio della creazione, vengono contestate le vedute evoluzionistiche della scienza. Questa contrapposizione non è risolta, ma anzi sembra alimentarsi delle recenti proposte della teoria dell'Intelligent Design, importata dagli Stati Uniti che vuole mettere insieme sia l'idea di creazione e sia quella di evoluzione; ma in modo improprio. Ci sarebbe un disegno intelligente dietro tutta l'evoluzione della vita. Per spiegare strutture considerate irriducibilmente complesse che si formano nel corso evolutivo si ricorre a specifici interventi di una causa esterna. Così viene vista in qualche ambiente cattolico la conciliabilità tra scienza e fede in ordine all'evoluzione attraverso interventi particolari volti a realizzare un disegno. Come osservato in altra occasione, anche su queste colonne, la conciliabilità non dovrebbe basarsi su ipotesi fuorvianti, non fondate scientificamente, che prestano il fianco a nuove polemiche. Si rinnovano infatti le accuse di indebita intromissione da parte della religione. Si agitano fantasmi di nuovi dogmi e così via. Certo, un disegno sulla creazione viene affermato nella dottrina della Chiesa, ma non agganciamolo alla teoria americana dell'Intelligent Design creando nuovi equivoci. Non ce n'è bisogno. Come si sia realizzato questo disegno è oggetto di riflessione, ma senza mescolare indebitamente i piani di conoscenza. Esso va visto in quella autonomia che Dio lascia alla natura e ha ancora tanti aspetti da scoprire. Possono esservi potenzialità che ancora non conosciamo e vanno esplorate dalla scienza e dalla filosofia. Alcuni parlano di evoluzione canalizzata - per quali fattori? Diverso è il caso dell'uomo per il quale la presenza dello spirito, ai suoi inizi, come in ogni generazione, comporta una concausalità di ordine superiore. Ciò non per spiegare la complessità della struttura biologica umana, ma per ragioni di ordine ontologico. Il discorso è complesso, perché mette in relazione ambiti diversi.
Ma a parte queste considerazioni, lo scontro fra evoluzionisti e creazionisti ad oltranza non giova al dialogo. Esso si alimenta di argomentazioni di tipo totalizzante e non aiuta nella ricerca della verità. A volte degrada nella derisione e nel disprezzo.
Perché il dibattito non assuma il carattere di scontro diventa importante che ciascuno riconosca l'ambito specifico in cui intende muoversi ed espliciti le sue posizioni che possono includere elementi di ordine scientifico e argomentazioni di ordine filosofico o teologico.
Un'altra posizione sul tema evoluzione e creazione è quella che vede nelle vedute della scienza e in quelle della fede due ambiti ben distinti e non comunicanti, due magisteri indipendenti, come affermava Stephen Gould, ognuno con le sue verità. Una posizione rispettosa, ma poco dialogante, avvicinabile a un dialogo tra sordi. Questa posizione non aiuta una fede pensata e può favorire atteggiamenti fideistici.
Una terza posizione è quella che, nel rispetto delle autonomie di campo e di metodo, ammette e cerca punti di contatto sia nella necessaria mediazione filosofica, per quanto attiene i principi della logica, sia cercando di allargare gli orizzonti della conoscenza sulla base di istanze che possono venire dallo studio della natura. Mi sembra che vada in questa direzione l'appello che Benedetto XVI raccoglie dalla razionalità della natura - nei giorni scorsi ha parlato di "intelligibilità della creazione" - verso una mente superiore. Questa apertura si accorda con la necessità di un sapere unitario della persona e di una visione della realtà che non si chiuda nell'unico orizzonte delle scienze positive. Ciò per rispondere alle diverse domande, specialmente a quelle di significato, che sorgono dalla realtà. Si può ricercare un'armonia che si riallaccia alla forza della verità, un compito arduo, ma non impossibile alla mente umana tenendo conto dei diversi approcci conoscitivi.
In questa direzione vanno alcune vedute a carattere più filosofico. Pierre Teilhard de Chardin parla di energia radiale o psichica che muove la materia verso strutture via via più complesse. Jean Guitton ammette una tendenza della materia a organizzarsi per andare verso stati più ordinati e complessi. Francisco J. Ayala ritiene che anche attraverso eventi casuali possa realizzarsi di fatto un disegno. Francis Collins pensa al "BioLogos", in cui Dio, che è fuori dallo spazio e dal tempo, usa il processo della evoluzione per trarne un piano creativo. Diventa importante la mediazione filosofica in ordine alla causalità efficiente e alla causa finale dell'evoluzione - a partire dalla teleologia interna a livello di strutture o teleonomia, secondo Jacques Monod - come pure per la spiegazione del carattere trascendente dell'uomo.
L'intento del dialogo dovrebbe essere quello di arrivare a una composizione armonica delle conoscenze. Se "le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio", come sottolinea il Vaticano ii (Lumen gentium, 36), dovranno esserci punti di contatto e insieme rimanderanno alla loro fonte. L'evoluzione può diventare terreno di incontro tra scienza e fede. Non solo conciliabilità, ma complementarità e armonia.


(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008)

 Rischi dell'informazione

Divulgazione scientifica
o arte della persuasione?


di Giulia Galeotti

I fattori chiamati in causa dal problema della divulgazione scientifica sono quattro:  le scoperte scientifiche (A), gli scienziati che le producono (B), i giornalisti che le raccontano (C), il grande pubblico che le recepisce (D). Poiché D, pur non avendo alcuna conoscenza specifica nel campo, beneficia di A (o la subisce, a seconda dei casi), il compito cui è chiamata la divulgazione scientifica è di fare in modo che il pubblico comprenda ciò che gli viene comunicato, il che presuppone che B e C svolgano correttamente il loro compito.
Di questo hanno discusso martedì a Roma scienziati e giornalisti durante la giornata di studio organizzata dal premio Sapio per la ricerca italiana 2008, giunto alla decima edizione. Moderata da Andrea Pamparana, vicedirettore del "tg5" che l'anno scorso ha vinto il premio, la tavola rotonda ha cercato di approfondire il tema, acuitosi di recente:  i mass media, infatti, pullulano ormai quotidianamente di notizie, dati e resoconti di ricerche e ritrovati scientifici, questioni che interessano grandemente i non addetti ai lavori. Ed è proprio perché gli ascoltatori sono incompetenti nello specifico che la scienza rischia di trasformarsi nell'arte della persuasione. Recependo informazioni, infatti, o ci fidiamo di chi ci ispira maggiore fiducia, o veniamo convinti da chi ha la migliore arte oratoria ed espositiva. Com'è evidente, chi fornisce in primis l'informazione (lo scienziato) e chi poi la riporta (il giornalista) detiene il potere di decidere cosa dirci, e come dircelo.
Un aspetto cruciale, come ha sottolineato Amelia Beltramini (caporedattrice della rivista "Focus"), è quello dell'interesse economico che v'è dietro:  per poterci affidare a una pagina di quotidiano, avremmo bisogno di sapere chi è il proprietario del giornale, così come dinnanzi alle parole dello scienziato sarebbe importante sapere chi finanzia le sue ricerche. Data, invece, la cieca fiducia che ormai nutriamo verso gli uomini di scienza, prescindendo dall'ambito in cui intervengono, il rischio è che nelle decisioni scientifiche "si finisca per scegliere in modo emotivo" (la Beltramini ha argomentato prendendo come esempio Veronesi:  se parla di cancro al seno è la massima autorità in materia, ma quando si pronuncia sull'energia nucleare non ha alcuna competenza specifica).
Sul fronte dei giornalisti, accanto al grande nodo della loro onestà e della reale libertà rispetto ai propri editori, v'è il problema della loro effettiva competenza. Chi fa informazione scientifica conosce realmente ciò di cui sta parlando? Diversi relatori hanno sollevato la questione dei giovani collaboratori dei giornali che, pagati pochissimo, non dispongono né delle risorse né del tempo necessario per scrivere in modo accurato e documentato, scopiazzando qua e là (per cui un eventuale errore può essere ripetuto infinite volte). Più in generale, del resto, la divulgazione scientifica è una lotta contro il tempo, alla ricerca del dato sensazionale di immediata percezione per chi legge. L'informazione, invece, dovrebbe diventare adulta e restituire alla ricerca scientifica la complessità che le pertiene, il che non è affatto in contraddizione con la semplicità nell'esposizione.
Partendo dal presupposto che l'informazione, compresa quella scientifica, non è mai neutra, Vito Pindozzi - caporedattore centrale del "Giornale radio rai" - ha ricordato alcuni aspetti positivi indotti dal giornalismo in questo campo, come le campagne di denuncia o di sensibilizzazione alla tutela della salute. È facile, però, entrare nel circolo distorto del sovraccarico informativo, con un'autentica escalation:  aumentando i dati, aumentano le fonti d'informazione, il che fa aumentare il disagio in chi le riceve, disagio che poi si traduce in ansia, in confusione e, quindi, nella diminuzione di certezze, il che porta, inevitabilmente, alla necessità di reperire nuovi dati.
Quanto agli scienziati, è stato più volte ribadito che la scienza dovrebbe farsi divulgatrice, trasmettendo lei stessa le informazioni al pubblico. Secondo Stefano Fantoni, direttore della Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste, non bastano più i mediatori, occorre invece spendersi come scienziati per cercare di dare risposte ai grandi dubbi della società. Manuela Arata, del Technology tranfer office del Cnr, da parte sua ritiene che il divulgatore scientifico per eccellenza sia lo scienziato, che deve imparare a usare il linguaggio del pubblico. Proprio in quest'ottica - che può ingenerare qualche riserva - è stata data una menzione speciale per la divulgazione scientifica a Lucy Hawking, coautrice insieme con il padre Stephen Hawking del libro per bambini La chiave segreta per l'universo (Mondadori), in cui vengono spiegate al piccolo pubblico le meraviglie del cosmo. La Hawking ha raccontato che l'avventura è stata pensata e scritta partendo dalle domande che i bambini, in tanti anni, hanno rivolto a suo padre. Né deve sorprendere, ha aggiunto, che un eminente scienziato abbia scritto un libro per l'infanzia:  Stephen Hawking condivide, infatti, con i bambini la curiosità verso il mondo, e il fatto di porsi costantemente la domanda sul perché delle cose. Padre e figlia sono del resto preoccupati dell'allontanamento dei bambini dalla scienza:  uno studio effettuato nel Regno Unito ha rivelato che un'alta percentuale di bimbi crede che Mars sia solo una barretta di cioccolato.
Stimolante l'intervento di Piergiuseppe Pelicci - presidente del Comitato scientifico della Fondazione Umberto Veronesi e Direttore scientifico del Dipartimento di Oncologia sperimentale dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano - che ha affrontato il delicato tema del trasferimento e del passaggio delle scoperte scientifiche al processo industriale. Si tratta di un aspetto fondamentale anche perché il trasferimento alle imprese è nel mondo occidentale odierno "il solo modo funzionante con cui la scienza rende noti i propri risultati al pubblico", cioè è la via mediante cui la gente usufruisce della scienza. Le logiche che dominano questo rapporto sono, dunque, quelle dell'impresa, il che ha gravi conseguenze, ad esempio, laddove lo scienziato faccia una scoperta efficace ma non proteggibile, tale scoperta non si svilupperà mai. Le soluzioni non sono facili. Ma già riconoscerlo è importante:  parte dell'interesse della tavola rotonda di martedì è stato proprio il fatto di aver richiamato l'attenzione sul delicato e importante tema della divulgazione scientifica.

(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008)



 In aumento nel mondo il fenomeno dei trapianti illegali che coinvolge specialmente bambini

Il commercio degli organi
una moderna schiavitù


di Danilo Quinto

All'interno della tratta degli esseri umani - un'industria che secondo i dati diffusi a Vienna all'inizio di quest'anno, durante la prima Conferenza mondiale sul tema, vale trentadue miliardi di dollari - esiste anche il fenomeno della tratta a scopo di traffico di organi per trapianti illegali.
La schiavitù moderna prevede che la persona umana sia adoperata per vari usi, come merce di scambio:  oltre che per pedopornografia, prostituzione, lavoro e matrimoni forzati, adozioni, anche, appunto, per commercio di organi. 
L'Organizzazione mondiale della sanità stima che dei sessantaseimila trapianti di rene effettuati nel mondo nel 2007, circa il dieci per cento siano illegali.
Si preleva l'organo da un povero del terzo mondo, pagandolo a prezzi "stracciati" e lo si rivende a migliaia di dollari agli occidentali che ne hanno necessità. Avviene in molti Paesi.
La domanda di organi per il trapianto, che cresce ad un ritmo del 33 per cento l'anno, conosce un'offerta di donatori che è pari solo al 2 per cento. Le liste d'attesa diventano lunghe, estenuanti. Ci si affida, quindi, all'"organizzazione", complessa e ben articolata, che gestisce i "donatori" di organi, che sono coloro che sopravvivono nei quartieri degradati del Brasile, dell'India, del Pakistan, delle Filippine.
Nel mese di febbraio di quest'anno, i vescovi delle Filippine hanno chiesto al Governo "regole più severe" in materia di donazione di organi, condannando "ogni forma di vendita e traffico illecito di organi", soprattutto di reni.
"La vendita e il commercio di organi - ha affermato monsignor Angel Lagdameo, arcivescovo di Jaro e presidente della Conferenza episcopale - è moralmente inaccettabile". Sono stati denunciati l'abuso della vendita di reni, che sfrutta la povertà di tanta gente. "Comprendiamo i poveri, che non dovrebbero essere biasimati per questo; sono esseri umani e non possono essere trattati come merci. Incoraggiamo invece la donazione volontaria di organi dopo la morte e anche da donatori viventi".
Secondo il Dipartimento della salute filippino, il costo di un rene è stimato intorno ai tremilaseicento dollari, dei quali il donatore riceve solo un terzo della somma; i due terzi vanno ad intermediari. Nell'aprile di quest'anno, il Governo filippino, "per proteggere i poveri dal mercato nero della vendita di organi", ha messo al bando tutte le donazioni di reni in favore di cittadini stranieri. L'unica eccezione prevista è nel caso si possa dimostrare una parentela di sangue tra donatore e paziente.
Nel 1994, il Governo federale indiano ha introdotto la legge sul trapianto di organi umani, per controllare i trapianti di tutti gli organi. Per favorire l'attuazione della legge, tutti gli Stati hanno istituito delle commissioni per l'autorizzazione dei trapianti. Senza l'approvazione della commissione, nessun parente o altra persona può donare un rene, ma ciò nonostante la situazione non appare migliorata.
Il 6 febbraio 2008, si è conclusa in Nepal la storia di un medico-chirurgo indiano che per la polizia ha organizzato il maggiore tra i racket di trapianto di rene finora scoperti. A chi l'ha arrestato, che gli contestava 500 trapianti illegali, il dottore avrebbe detto che il numero era almeno di tremila reni espianti dai poveri e trapiantati agli occidentali nel suo ospedale.
La Cina, nel maggio 2007, ha proibito qualsiasi commercio di organi umani. La decisione del Consiglio di Stato ha risposto all'accusa, da più parti formulata, che funzionari pubblici e medici prelevino senza consenso e vendano gli organi di condannati a morte e di vittime di incidenti stradali. Ai medici coinvolti in simili traffici sarà revocata la licenza e per cliniche e ospedali sarà sospesa ogni operazione di trapianto per almeno tre anni. Per i funzionari pubblici ci sarà l'arresto e il licenziamento e per tutti una multa da otto a dieci volte il valore della "vendita".
È accertato che in Pakistan si vendono oltre 6.500 reni l'anno.
In Afghanistan sono in corso indagini su alcuni centri clinici che al tempo dei talebani avrebbero fornito supporto di personale e di attrezzature ai trafficanti di organi.
Per anni, le Suore di Santa Maria hanno denunciato la scomparsa di bambini a Maputo, in Mozambico. Nel febbraio del 2004, viene uccisa a Nampula, la missionaria luterana, di origine brasiliana Doraci Julita Edinger, di 53 anni, in Africa da sei anni. Aveva rotto il muro di omertà sulla sorte di molti bimbi fatti a pezzi dai trafficanti di organi. Prima l'hanno violentata, poi l'hanno uccisa a martellate.
Molti elementi fanno ritenere che una "fonte" per il traffico di organi sia costituito dai bambini, "invisibili" o "intoccabili", come vengono chiamati:  i primi, sono i bambini che scompaiono nel nulla; i secondi sono i non registrati, quarantotto milioni nel mondo, secondo le stime, oltre tre quarti dei quali nell'Africa subsahariana e nel sud-est asiatico, ma anche in America Latina, dove, in base ai dati, un bambino su sei non esiste.
Che il commercio di parti del corpo umano sia una realtà e non una leggenda - come in molti colpevolmente sostengono - lo testimoniano anche atti parlamentari.
Il Parlamento europeo, quest'anno, due volte è intervenuto sul tema. Entrambe le volte, affermando che anche l'Europa è interessata da questo fenomeno.
Nel mese di gennaio, è stata la Commissione affari interni del Parlamento europeo a sostenere:  "Considerando che sebbene le stime attuali pongano il traffico di organi in posizione relativamente bassa tra tutte le forme di traffico illecito, il traffico di organi e tessuti sta diventando sempre più un problema globale che si verifica all'interno e attraverso le frontiere nazionali ed è sostenuto dalla domanda (stima di 150-250 casi all'anno in Europa)".
Nel mese di aprile, una risoluzione del Parlamento europeo afferma che traffico, commercializzazione e turismo dei trapianti "sono in rapido sviluppo", che "vi è un legame tra penuria di organi e traffico" e sottolinea come sia "necessario disporre di ulteriori dati sul traffico di organi". Denuncia anche che quattro Stati membri non hanno ancora ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale; cinque Stati membri non hanno ratificato il relativo protocollo aggiuntivo per prevenire, eliminare e punire la tratta di esseri umani, specialmente donne e bambini ("il Protocollo di Palermo"); nove Stati membri non hanno ratificato il protocollo facoltativo della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo sulla vendita di bambini, la prostituzione infantile e la pedo-pornografia; diciassette Stati membri non hanno ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro il traffico di essere umani.
Il testo sottolinea che qualsiasi sfruttamento commerciale di organi non è etico ed è contrario ai valori umani fondamentali e che la donazione di organi dettata da considerazioni di carattere finanziario degrada il dono dell'organo a semplice merce di scambio, il che costituisce una violazione della dignità umana e viola l'articolo 21 della Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla bio-medicina ed è proibito ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Il Parlamento europeo ritiene che, per combattere il traffico di organi nelle parti più povere del mondo, sia necessario adottare una strategia a lungo termine, finalizzata ad abolire le disuguaglianze sociali che sono alla radice di tali pratiche; sottolinea che, per poter combattere la pratica della vendita di organi in cambio di soldi (specialmente nei Paesi in via di sviluppo), occorre predisporre meccanismi di tracciabilità, al fine di impedire che questi organi entrino nell'Unione europea.
La risoluzione invita la Commissione e gli Stati membri ad adottare misure per prevenire il "turismo di trapianti", elaborando orientamenti volti a proteggere i donatori più poveri e vulnerabili contro il rischio di essere vittime del traffico di organi e adottando misure che accrescano la disponibilità di organi ottenuti in modo legale e mediante lo scambio di registrazioni di liste di attesa fra le organizzazioni per lo scambio di organi per evitare iscrizioni multiple alle liste.
Esorta gli Stati membri a modificare i rispettivi codici penali per far sì che i responsabili del traffico di organi siano adeguatamente perseguiti, comprendendo sanzioni per il personale medico coinvolto nel trapianto di organi ottenuti dal traffico illecito, effettuando nel contempo ogni sforzo per scoraggiare i potenziali riceventi dal cercare organi e tessuti che siano stati oggetto di tale traffico; sottolinea che si dovrebbe prendere in considerazione la previsione della responsabilità penale a carico dei cittadini dell'Unione europea che abbiano acquistato organi all'interno o all'esterno dell'Unione europea.
Il testo, infine, denuncia il fatto che più di sessantamila pazienti in Europa sono attualmente in attesa di un trapianto e dieci muoiono ogni giorno a causa della penuria di organi.
Il Parlamento europeo chiede un piano d'azione che rafforzi la cooperazione tra gli Stati membri al fine di aumentare la disponibilità di organi, potenziare l'accessibilità dei sistemi di trapianto, sensibilizzare l'opinione pubblica e garantire qualità e sicurezza.
La penuria di donazioni d'organi per trapianto è un dato drammatico. È sufficiente osservare a questo riguardo le cifre delle liste d'attesa nei Paesi europei. In Italia, ad esempio, alla data del 31 dicembre 2007, erano 9.779 i pazienti in lista d'attesa (6.897 per il rene, 1.482 per il fegato, 853 per il cuore, 255 per il pancreas, 294 per il polmone). Il tempo d'attesa è stimato in 3,02 anni per il rene (con una mortalità dell'1,31%); 1,83 anni per il fegato (mortalità 7,46%); 2,47 anni per il cuore (mortalità 7,75%); 2,90 per il pancreas (mortalità 1,74%); 2,12 anni per il polmone (mortalità 14,00%).
Grande è stata l'opera di sensibilizzazione svolta dalla Chiesa in tema di donazioni d'organi ("ogni intervento di trapianto d'organo, come già in altra occasione ho avuto modo di sottolineare, ha generalmente all'origine una decisione di grande valore etico:  la decisione di offrire, senza ricompensa, una parte del proprio corpo, per la salute ed il benessere di un'altra persona", affermò Giovanni Paolo ii nel 2000, durante un discorso al Congresso della Società dei Trapianti), così come ferma è stata la posizione nei confronti del traffico di organi umani a scopo di trapianto:  "una prassi inaccettabile - sostenne Giovanni Paolo ii - poiché, attraverso un utilizzo "oggettuale" del corpo, viola la stessa dignità della persona".

(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008)

 I cardinali Nicora e Bagnasco alla Fondazione Giustizia e solidarietà

Il debito dei Paesi poveri
nella crisi finanziaria


di Francesco Ricupero

Il debito dei Paesi poveri "rappresenta uno degli aspetti più inquietanti del più vasto scenario mondiale". È quanto afferma oggi il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), nel messaggio indirizzato a monsignor Alessandro Charrier, vescovo emerito di Alessandria e presidente della Fondazione "Giustizia e solidarietà".
Il messaggio è stato letto ai partecipanti al convegno su:  "Debito, giustizia e solidarietà", in corso a Roma, che chiude anche la fondazione e il percorso avviato nel 2000 con la Campagna ecclesiale per la remissione del debito estero.
"Non vi è dubbio - scrive il cardinale Bagnasco - che l'iniziativa messa in campo abbia sortito l'effetto di sensibilizzare l'opinione pubblica su una questione come quella del debito dei Paesi poveri che rappresenta uno degli aspetti più inquietanti del più vasto scenario mondiale".
Sulla riuscita della campagna ecclesiale per la riduzione del debito estero dei Paesi poveri è intervenuto anche il cardinale Attilio Nicora, presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. "Una formazione consapevole motivata e possibilmente continuativa, un impegno concreto e i gesti. Grazie all'intreccio di questi tre elementi - ha detto il cardinale Nicora - si sono potuti raggiungere grandi risultati. Il segreto della riuscita della campagna per la remissione del debito estero in Guinea Conakry e in Zambia è stato quello di aver cercato di non impostare mai il discorso sul "contro" ma sul "per" la soluzione dei problemi della povertà nel mondo, attraverso l'impegno concreto dei cattolici. Non abbiamo attaccato, ma promosso un messaggio di solidarietà che avesse come obiettivo quello di raggiungere più persone possibili. Non apparire contro, ma apparire per è stata la chiave di volta, siamo riusciti a sensibilizzare un centinaio di migliaia di persone trasmettendo loro i dati drammatici dei problemi dei Paesi indebitati. Abbiamo fatto capire che i debiti avevano alle spalle una spiegazione profonda, abbiamo mostrato alle persone le connessioni e le cause dei problemi senza attaccare nessuno. Questo messaggio - ha aggiunto il cardinale Nicora - è passato e può essere utile pastoralmente per altre iniziative simili".
Il presidente dell'Apsa, poi, ha ricordato il ruolo centrale svolto dal Grande Giubileo dell'Anno 2000 e del fenomeno di una consapevolezza pubblica. "Rimane un fatto indiscutibile, tutto fu favorito dal Giubileo. Nella vita ci sono occasioni straordinarie ed eventi che non si ripetono spesso. Bene, la grazia di quell'evento è stata ampiamente sperimentata. Abbiamo cercato di rendere quotidiano il dono di quell'evento per plasmare dal di dentro le responsabilità umane. Posso dire che abbiamo preparato una strada feconda per un piano pastorale, così come è feconda la Chiesa in Italia. Rimane certo aperta la questione di come far diventare il dono di questo evento uno stile di vita. Gli italiani sono stati generosi e sono sempre presenti all'appuntamento con la solidarietà. Infatti, in occasione della campagna ecclesiale e in mezzo a tante difficoltà - ha spiegato il cardinale Nicora - l'impegno profuso è stato veramente grande. I tempi erano abbastanza lunghi per impiantare le relazioni istituzionali con le autorità governative e operare attivamente mantenendo le dimensioni di accompagnamento è stato complesso e difficile, ma ce l'abbiamo fatta. Al principio di questa nostra impresa vi è stato un indirizzo di carità cristiana, di originalità cristiana che non deve essere brandita come un'arma, ma come un'umile e convinta consapevolezza".
Tutto, quindi, è nato con il Giubileo, ma l'auspicio del porporato è che la Chiesa possa nuovamente intraprendere un'iniziativa simile, basta saper intrecciare i tre elementi sopracitati:  formazione consapevole, impegno concreto e gesti. Tutto ciò, nonostante la crisi finanziaria ed economica abbia colpito l'intero pianeta. "Certamente - ha sottolineato il porporato - non bisogna rassegnarsi, non è una giustificazione dire:  c'è una crisi finanziaria planetaria in atto e siccome stiamo faticando non siamo in grado di avviare altre iniziative di solidarietà. Questa è una prospettiva cieca, se non si risolveranno i grandi problemi siamo punto e a capo con gli squilibri economici. Come cristiani abbiamo il dovere di volgere lo sguardo verso coloro che hanno bisogno. Il cristiano sa che ogni volta che si colpisce l'uomo violandone i diritti fondamentali, si colpisce il figlio di Dio che è imparentato con ogni creatura umana. Occorre onorare Dio nella persona di ogni nostro fratello "l'avete fatto a me". In questa prospettiva è facile comprendere il bisogno di un nostro fratello e di tutti quei Paesi che vivono quotidianamente il dramma di un elevato debito estero".
"Il debito internazionale è un grave ostacolo allo sviluppo umano. In alcuni Paesi i governi non hanno più i mezzi per garantire le basi dello sviluppo sostenibile e della sicurezza". Era questa la forte denuncia contenuta nella dichiarazione Putting life before debt con cui Cisde e Caritas internationalis, nel 1999, chiedevano di prendere seriamente in considerazione il problema del debito estero. Cominciava, cioè, il lungo e deciso cammino della Chiesa e degli organismi ecclesiali internazionali per la sensibilizzazione delle coscienze dei governi riguardo a temi quali la giustizia economica, il divario tra Nord e Sud del mondo e la lotta alla povertà. La povertà che non è solo scarsità di reddito, ma è mancanza di libertà, di cibo, è non saper leggere perché manca la scuola, è mancanza di un lavoro. La povertà è mancanza di un futuro.
Dal rapporto sul debito 2006-2008 emerge che a livello internazionale le varie iniziative per la cancellazione del debito non sono state sufficienti per realizzare un'efficace lotta alla povertà, soprattutto nei Paesi più poveri dell'Africa sub-sahariana. Tutti i Paesi in via di sviluppo - ha detto nel corso del convegno il direttore della Fondazione Giustizia e solidarietà, Riccardo Moro - avevano nel 1996 duemilaventitré miliardi di dollari di esposizione debitoria, che nel 2007 sono diventati tremilatrecentocinquantasette miliardi di dollari. Ma l'aumento non è di per sé negativo perché i dati comprendono anche i Paesi come Cina, India e Russia e il fatto che il debito aumenti potrebbe anche significare che questi Paesi sono diventati più credibili sul piano internazionale. Quindi - ha aggiunto Moro - possono usufruire di nuovi indebitamenti a condizioni sostenibili per finanziare investimenti positivi per il miglioramento dei Paesi".
Un apprezzamento per il compito svolto dalla Fondazione Giustizia e solidarietà è giunto dal cardinale Bagnasco che si è complimentato per la gestione dei fondi raccolti in occasione del Giubileo. "Tale obiettivo - ha ricordato nel suo messaggio il presidente della Cei - è stato perfettamente raggiunto, portando a compimento l'intervento finanziario e la realizzazione dei progetti di sviluppo in favore della Guinea Conakry e dello Zambia".
Al riguardo va sottolineato che i fondi destinati a Guinea e Zambia, rispettivamente di sette milioni e mezzo e di dieci milioni di euro, sono stati tutti spesi e utilizzati per vari progetti.


(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008)
zsbc08
00mercoledì 5 novembre 2008 15:35
Il Papa: prego perché Obama costruisca un mondo più giusto
Da: RaiNews24.it

Roma | 5 novembre 2008
Il Papa: prego perché Obama costruisca un mondo più giusto. Mandela: ora nessuno avrà paura di sognare
Barack Obama
Barack Obama

In un messaggio inviato tramite i canali diplomatici al vincitore delle elezioni americane Barack Obama, il Papa assicura le sue preghiere perché il nuovo presidente possa "costruire un mondo
di pace, di solidarietà e giustizia". Lo ha riferito ai giornalisti padre Federico Lombardi, portavoce vaticano.

Il Papa ha parlato di una "occasione storica" per gli Stati Uniti, secondo quando ha riferito ai giornalisti padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede

L'elezione di Barack Obama alla Casa Bianca è "un evento che segna la storia, che diffonde nel mondo intero la speranza che un cambiamento è possibile e che dice ai neri che l'unico limite è il cielo", è il commento all'elezione di Obama del'arcivescovo sudafricano e premio Nobel per la pace Desmond Tutu.

"Abbiamo una nuova primavera davanti a noi e le nostre spalle sono dritte - ha aggiunto - è quasi come quando Nelson Mandela divenne presidente del Sudafrica nel 1994". Il primo presidente nero del Sudafrica ha inviato una lettera di congratulazioni a Barak Obama, in cui scrive che la sua vittoria dimostra con evidenza che bisogna sempre "credere nel sogno di
cambiare il mondo e farne un posto migliore".

Ora "nessuno avrà paura di sognare", ha affermato un felice Nelson Mandela, commentando il successo di Barack Obama. "La sua vittoria -ha scritto nella lettera al presidente eletto- dimostra che nessuna persona ovunque sulla Terra deve aver paura di sognare di poter cambiare il mondo in meglio".

zsbc08
00mercoledì 5 novembre 2008 15:49
Benedetto XVI Servitore di una liturgia cosmica

Il volume Omelie. L'anno liturgico narrato da Joseph Ratzinger, Papa (Milano, Scheiwiller, 2008, pagine 280, euro 18) viene presentato mercoledì 5 novembre a Roma nella Sala del Cenacolo di Palazzo Valdina da Sandro Bondi, ministro italiano per i Beni e le attività culturali, dal cardinale vicario emerito della diocesi di Roma - del quale anticipiamo l'intervento - e dal curatore del libro di cui pubblichiamo la prefazione.

di Sandro Magister

Le omelie liturgiche sono una vetta del pontificato di Benedetto XVI. La meno frequentata e conosciuta. Di lui hanno fatto notizia e rumore la lezione di Ratisbona, il libro su Gesù, l'enciclica sulla speranza. Molto meno, pochissimo, le prediche che egli rivolge ai fedeli nelle messe che celebra in pubblico. Eppure, senza le omelie, il magistero di questo Papa teologo resterebbe incomprensibile. Così come senza di esse non si capirebbero un san Leone Magno, il primo Pontefice di cui sia giunta a noi la predicazione liturgica, un sant'Ambrogio, un sant'Agostino, tutti quei grandi pastori e teologi, colonne della Chiesa, che Joseph Ratzinger ha per maestri.
Anzitutto le omelie sono quanto di più genuino esce dalla mente di Papa Benedetto. Le scrive quasi integralmente di suo pugno, talvolta le improvvisa. Ma soprattutto imprime in esse quel tratto inconfondibile che distingue le omelie da ogni altro momento del suo magistero:  il loro essere parte di un'azione liturgica; anzi, esse stesse liturgia.
Benedetto XVI l'ha detto chiaro nell'omelia da lui pronunciata il 29 giugno 2008 nella festa dei santi Pietro e Paolo:  la sua vocazione è di "servire come liturgo di Gesù Cristo per le genti". L'espressione ardita è di Paolo nel capitolo quindici della lettera ai Romani. E il Papa l'ha fatta propria. Ha identificato la sua missione di successore degli Apostoli proprio nel farsi servitore di una "liturgia cosmica". Poiché "quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo".
È una visione da vertigine. Ma Papa Ratzinger ha questa certezza incrollabile:  quando celebra la messa sa che lì c'è tutto l'agire di Dio, intrecciato con i destini ultimi dell'uomo e del mondo.
Per lui la messa non è un semplice rito officiato dalla Chiesa. È la Chiesa stessa, abitata dal Dio trinitario. È immagine e realtà della totalità dell'avventura cristiana. Non sbagliavano i pagani colti dei primi secoli, quando per identificare la cristianità la descrivevano nell'atto di celebrare. Perché questa era anche la fede di quei primi credenti. Sine dominico non possumus, senza l'eucaristia della domenica non possiamo vivere, risposero i martiri di Abitene all'imperatore Diocleziano che proibiva loro di celebrare. E per questo sacrificarono la vita. Benedetto XVI ha richiamato questo episodio nell'omelia della sua prima messa celebrata fuori Roma da Papa, a Bari, il 29 maggio del 2005.
In quella stessa omelia il Papa definì la domenica "pasqua settimanale". E con ciò la identificò come l'asse del tempo cristiano. La Pasqua, ossia la passione, la morte e la risurrezione di Gesù, è un atto unico nel tempo, compiuto una volta per tutte, ma è anche un atto compiuto "per sempre", come ben sottolinea la lettera agli Ebrei. E questa contemporaneità si realizza nell'azione liturgica, dove "la Pasqua storica di Gesù entra nel nostro presente e a partire da lì vuole raggiungere e investire la vita di coloro che celebrano e, quindi, l'intera realtà storica".
Da cardinale, nel libro Introduzione allo spirito della liturgia, Ratzinger scrisse pagine suggestive sul "tempo della Chiesa", un tempo in cui "passato, presente e futuro si compenetrano e toccano l'eternità". Il tempo della Chiesa è ritmato dalla domenica. Essa è "il primo giorno della settimana" (Matteo, 28, 1) e quindi il primo dei sette giorni della creazione. Ma è anche l'ottavo giorno, il tempo nuovo che ha avuto principio con la risurrezione di Gesù.
La domenica è dunque per i cristiani, dice Ratzinger, "la vera misura del tempo, l'unità di misura della loro vita", poiché in ogni messa domenicale irrompe la nuova creazione. Lì ogni volta la Parola di Dio si fa carne. Lo mostrano i dipinti di tante chiese del medioevo e del rinascimento:  da un lato l'angelo annunziante, dall'altro la Vergine annunziata, e al centro l'altare sul quale in ogni messa Verbum caro factum est, per opera dello Spirito Santo. Ma anche la struttura della messa mostra ciò in modo lampante, come Papa Benedetto ha ricordato in un suo commento alla cena di Gesù risorto con i discepoli di Emmaus, all'Angelus di domenica 6 aprile 2008. Nella prima parte della messa c'è l'ascolto delle sacre Scritture, e nella seconda ci sono "la liturgia eucaristica e la comunione con Cristo presente nel sacramento del suo Corpo e del suo Sangue". Le due mense, della Parola e del Pane, sono indissolubilmente connesse.
L'omelia fa da ponte tra le due. Il modello è Gesù nella sinagoga di Cafarnao, nel capitolo quattro del vangelo di Luca. Riavvolto il rotolo delle Scritture, "gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro:  Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato". Nelle sue omelie, Papa Benedetto fa la stessa cosa. Commenta le Scritture e dice che "oggi" esse si compiono nell'atto liturgico che si sta celebrando. Con il riverbero che ne consegue per la vita di tutti, poiché - ha scritto - "la celebrazione non è solo rito, non è solo un gioco liturgico, essa vuole essere logikè latrèia, trasformazione della mia esistenza in direzione del Lògos, contemporaneità interiore tra me e Cristo".
Le Scritture illustrate da Benedetto XVI in ogni omelia sono naturalmente quelle della messa del giorno, alla quale danno l'impronta. E qui entra in campo quell'altra grande articolazione del tempo della Chiesa che è il ciclo dell'anno liturgico.
Sul ritmo fondante, quello settimanale delle domeniche, si è innestato fin dai primi secoli cristiani un secondo ritmo, a ciclicità annuale, che ha nella Pasqua il suo perno, e nel Natale e nella Pentecoste altri due centri di gravità. Questo secondo ritmo fa risplendere il mistero cristiano nei suoi aspetti e momenti distinti, lungo l'intero arco della storia sacra. Comincia con le settimane dell'Avvento e prosegue col tempo di Natale e dell'Epifania, con i quaranta giorni della Quaresima, con la Pasqua, con i cinquanta giorni del tempo pasquale, con la Pentecoste. Le domeniche al di fuori di questi tempi forti sono quelle del tempo ordinario, per annum. In più vi sono le feste:  come l'Ascensione, la Trinità, il Corpus Domini, i santi Pietro e Paolo, l'Immacolata, l'Assunta. Ma l'anno liturgico è molto più che la narrazione a puntate di un'unica grande storia e dei suoi protagonisti. L'Avvento, ad esempio, non è solo memoria dell'attesa del Messia, perché Egli è già venuto e ancora verrà alla fine dei tempi. La Quaresima è sì preparazione alla Pasqua, ma anche al battesimo come matrice della vita cristiana di ciascuno, sacramento amministrato per antica tradizione nella veglia pasquale. L'umano e il divino, il tempo e l'eterno, Cristo e la Chiesa, la vicenda di tutti e di ciascuno sono sorprendentemente intrecciati in ogni momento dell'anno liturgico. Lo attesta una stupenda antifona della festa dell'Epifania:  "Oggi allo Sposo celeste si è unita la Chiesa, perché nel Giordano Cristo lavò i suoi peccati. Corrono i Magi coi doni alle nozze regali e i convitati si allietano dell'acqua mutata in vino". I Magi, il battesimo di Gesù nel Giordano, le nozze di Cana, tutto diventa "epifania", manifestazione, dell'unione nuziale tra Dio e l'uomo, di cui la Chiesa è il segno e l'eucaristia il sacramento.
In questo libro è per la prima volta raccolto  un  ciclo  di  omelie  di  Benedetto XVI. Sono quelle dell'anno liturgico che è iniziato con la prima domenica d'Avvento del 2007, o meglio, con i vespri della vigilia di questa domenica. Questa prima omelia e quella del successivo 31 dicembre sono state pronunciate dal Papa durante i vespri, prima del Magnificat. Tutte le altre durante la messa, dopo il vangelo. La maggior parte hanno avuto luogo a San Pietro, nella basilica o nella piazza; una nella cappella Sistina; una a San Giovanni in Laterano; una a San Paolo fuori le Mura; quattro in altre chiese di Roma; una a Castel Gandolfo; una ad Albano; le altre in altre città dell'Italia e del mondo dove il Papa era in visita:  a New York, Genova, Brindisi, Sydney, Cagliari, Parigi.
In due occasioni Benedetto XVI, oltre che celebrare la messa, ha amministrato il battesimo a bambini e adulti. Una volta ha conferito la cresima a dei giovani. Una volta ha ordinato dei sacerdoti. Un'altra volta ha consacrato gli olii per l'amministrazione dei sacramenti. Un'altra volta ancora ha imposto il pallio ai nuovi arcivescovi metropoliti. In un'occasione ha consacrato una nuova chiesa parrocchiale e in un'altra il nuovo altare di una cattedrale. In tutti questi casi il Papa ha dedicato una parte dell'omelia a illustrare questi gesti.
Inoltre, per tre volte la messa è stata preceduta o seguita da una processione:  il mercoledì delle Ceneri, la domenica delle Palme e il Corpus Domini. La sera del Giovedì santo il Papa ha lavato i piedi a dodici persone. La notte di Pasqua ha presieduto la liturgia della luce, con l'accensione del cero pasquale e il canto dell'Exultet.
Il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, ha partecipato con lui alla messa - ma senza consacrare né fare la comunione - il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il quale si è anche associato all'omelia, parlando subito prima del Papa.
In ogni caso, sempre Benedetto XVI ha poggiato le sue omelie sui brani della Scrittura letti nella messa del giorno o, analogamente, nei vespri. Il lettore troverà tali brani riprodotti al termine di ciascuna omelia:  corredo indispensabile per situarla nel suo contesto liturgico. I brani quasi sempre coincidono con le letture del messale romano proclamate quello stesso giorno in quasi tutte le chiese cattoliche del mondo. Dopo le omelie dei vespri d'inizio d'Avvento e del 31 dicembre il lettore troverà anche i testi del Magnificat e del Te Deum. A leggerle in modo continuato, le omelie di Benedetto XVI disegnano l'arco dell'anno liturgico, e quindi il mistero cristiano, con una nitidezza esemplare. Il disegno ha qua e là dei vuoti, perché in non poche domeniche e feste il Papa non celebra in pubblico. Ma lui stesso mostra di voler colmare questi vuoti dedicando a tale scopo i messaggi che rivolge ai fedeli e al mondo tutte le domeniche a mezzogiorno prima della preghiera dell'Angelus o, nel tempo pasquale, del Regina Caeli.
Questi messaggi sono spesso delle piccole omelie. Nelle quali Benedetto XVI commenta le letture della messa del giorno. Sono inconfondibilmente di suo pugno, veri gioielli di omiletica minore. In appendice al libro il lettore ne troverà raccolte alcune. E con esse arricchirà la visione di quel capolavoro che è l'anno liturgico narrato da Papa Benedetto.



(©L'Osservatore Romano - 5 novembre 2008)
zsbc08
00giovedì 6 novembre 2008 09:43
«Siamo gli Stati Uniti d'America» : L'augurio di Benedetto XVI al presidente eletto
Il senatore Barack Obama vince la corsa alla Casa Bianca

«Siamo gli Stati Uniti d'America»


L'augurio di Benedetto XVI al presidente eletto


Washington, 5. Calorosi saluti e cordiali auguri sono stati rivolti da Benedetto XVI al senatore Barack Obama che ieri si è aggiudicato le presidenziali negli Stati Uniti. Nella "storica occasione" dell'elezione, il Papa - in un telegramma trasmesso attraverso l'ambasciatore statunitense presso la Santa Sede, Mary Ann Glendon - assicura Obama delle sue preghiere affinché Dio lo assista nelle sue "alte responsabilità al servizio della nazione e nella comunità internazionale". Possano le abbondanti benedizioni del Signore - auspica Benedetto XVI - "sostenere lei e l'amato popolo americano nei vostri sforzi, insieme a tutti gli uomini e alle donne di buona volontà, per costruire un mondo di pace, solidarietà e giustizia". Analogo messaggio è stato rivolto al presidente eletto, sempre attraverso l'ambasciatore, dal segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone.
L'affermazione di Obama è stata netta, anche se non si è avuto quell'effetto valanga che alcuni presagivano. Il senatore dell'Illinois ha vinto - come era prevedibile - nel New England e nella regione settentrionale dei laghi, ma soprattutto ha confermato la supremazia democratica in Pennsylvania e ha strappato ai repubblicani l'Ohio e lo Iowa, oltre ad altri Stati chiave, quali la Florida. Proprio i risultati dell'Ohio e dello Iowa sono stati il primo segnale della sconfitta di McCain, arrivato al giorno dell'elezione in forte ritardo in tutti i sondaggi.
Complessivamente, Obama ha ottenuto circa il 52 per cento dei suffragi conquistando almeno 349 voti elettorali, quando ne erano necessari 270 per vincere. McCain ne ha al momento ottenuti 160. In termini assoluti, a Obama,  secondo  la  Fox,  sono  andati 61,5 milioni di suffragi, a John McCain 54,8 milioni, pari a circa il 47 per cento del totale.
Nel suo primo discorso rivolto alla nazione come presidente eletto Obama ha parlato di "una nuova alba". Davanti alle migliaia di persone radunatesi al Grant Park di Chicago, Obama ha ribadito che l'America ha dimostrato di essere un Paese "dove nulla è impossibile". Il presidente eletto ha offerto l'onore delle armi agli avversari:  dobbiamo "lavorare uniti per rinnovare il Paese". E ha puntato buona parte del suo discorso sull'unità, dopo una doppia campagna elettorale senza esclusione di colpi. "Siamo e saremo - ha sottolineato - gli Stati Uniti. Abbiamo dimostrato al mondo che non siamo solo una collezione di individui di tutti i tipi".
Ma la parte del leone nel suo discorso l'ha fatta l'economia, questione che molto probabilmente gli ha fatto vincere le elezioni. "Wall Street, la strada della finanza - ha spiegato con un gioco di parole a portata di tutti quelli che lo ascoltavano - non si può arricchire mentre Main Street, la gente comune, soffre". La finanza, cioè, non può vivere in una gabbia dorata separata, se non addirittura parassita dell'economia reale. E Obama, in un periodo di crisi così profondo per l'economia americana, ha cercato di indicare un obiettivo più alto ai suoi concittadini, un sogno che può ridare slancio:  "Cresciamo o cadiamo come una nazione, come un popolo". Una nuova identità, quella indicata da Obama, basata sui valori più che sul valore. "Un nuovo giorno per la leadership americana - ha aggiunto il senatore dell'Illinois - è a portata di mano. La forza autentica della nostra nazione non proviene dall'entità del nostro benessere ma dal potere dei nostri ideali".
Nel suo discorso più difficile, pronunciato dopo che il sogno della Casa Bianca era definitivamente tramontato, John McCain si è dimostrato un vero statista e ha anteposto il futuro del Paese all'amarezza personale. "Cari amici, siamo arrivati alla fine di un lungo viaggio. Il popolo americano ha parlato, e ha parlato chiaramente", ha esordito il candidato repubblicano davanti alle tremila persone assiepate sul prato dell'Arizona Biltmore Hotel di Phoenix. "Poco fa - ha aggiunto - ho avuto l'onore di chiamare il senatore Barack Obama e di congratularmi con lui per l'elezione a prossimo presidente del Paese che entrambi amiamo". Una frase, quest'ultima, accolta da qualche fischio dei sostenitori delusi, che McCain ha subito messo a tacere. "In un contesto lungo e difficile come questa campagna elettorale - ha detto - il solo fatto che abbia vinto merita il mio rispetto per la sua abilità e perseveranza".
Oltre a conquistare alla grande la Casa Bianca, il partito democratico ha ampliato la propria maggioranza al Congresso, ma senza raggiungere la cosiddetta "cifra magica" di 60 senatori su 100 al Congresso. Una maggioranza che avrebbe neutralizzato di fatto l'opposizione repubblicana, impedendole di fare ostruzionismo. In base ai risultati provvisori, il partito democratico guadagna 15 seggi alla Camera, raggiungendo un totale di 248, contro 166 per i repubblicani. Al Senato, il guadagno è di 5 seggi, per raggiungere quota 56, contro i 40 per i repubblicani.


(©L'Osservatore Romano - 6 novembre 2008)
zsbc08
00giovedì 6 novembre 2008 09:53
"Da sola la Croce non potrebbe spiegare la fede cristiana, anzi rimarrebbe una tragedia, indicazione dell'assurdità dell'essere"
All'udienza generale il Pontefice ricorda che la teologia è al servizio della verità

La risurrezione nella storia


"Da sola la Croce non potrebbe spiegare la fede cristiana, anzi rimarrebbe una tragedia, indicazione dell'assurdità dell'essere", se non ci fosse la risurrezione. Lo ha detto il Papa, nella catechesi su san Paolo, all'udienza generale di mercoledì 5 novembre, in piazza San Pietro.

Cari fratelli e sorelle,
"Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede... e voi siete ancora nei vostri peccati" (1 Cor 15, 14.17). Con queste forti parole della prima Lettera ai Corinzi, san Paolo fa capire quale decisiva importanza egli attribuisse alla risurrezione di Gesù. In tale evento infatti sta la soluzione del problema posto dal dramma della Croce. Da sola la Croce non potrebbe spiegare la fede cristiana, anzi rimarrebbe una tragedia, indicazione dell'assurdità dell'essere. Il mistero pasquale consiste nel fatto che quel Crocifisso "è risorto il terzo giorno secondo le Scritture" (1 Cor 15, 4) - così attesta la tradizione protocristiana. Sta qui la chiave di volta della cristologia paolina:  tutto ruota attorno a questo centro gravitazionale. L'intero insegnamento dell'apostolo Paolo parte dal e arriva sempre al mistero di Colui che il Padre ha risuscitato da morte. La risurrezione è un dato fondamentale, quasi un assioma previo (cfr. 1 Cor 15, 12), in base al quale Paolo può formulare il suo annuncio (kerygma) sintetico:  Colui che è stato crocifisso, e che ha così manifestato l'immenso amore di Dio per l'uomo, è risorto ed è vivo in mezzo a noi. 
È importante cogliere il legame tra l'annuncio della risurrezione, così come Paolo lo formula, e quello in uso nelle prime comunità cristiane prepaoline. Qui davvero si può vedere l'importanza della tradizione che precede l'Apostolo e che egli, con grande rispetto e attenzione, vuole a sua volta consegnare. Il testo sulla risurrezione, contenuto nel cap. 15, 1-11 della prima Lettera ai Corinzi, pone bene in risalto il nesso tra "ricevere" e "trasmettere". San Paolo attribuisce molta importanza alla formulazione letterale della tradizione; al termine del passo in esame sottolinea:  "Sia io che loro così predichiamo" (1 Cor 15, 11), mettendo con ciò in luce l'unità del kerigma, dell'annuncio per tutti i credenti e per tutti coloro che annunceranno la risurrezione di Cristo. La tradizione a cui si ricollega è la fonte alla quale attingere. L'originalità della sua cristologia non va mai a discapito della fedeltà alla tradizione. Il kerigma degli Apostoli presiede sempre alla personale rielaborazione di Paolo; ogni sua argomentazione muove dalla tradizione comune, in cui s'esprime la fede condivisa da tutte le Chiese, che sono una sola Chiesa. E così san Paolo offre un modello per tutti i tempi sul come fare teologia e come predicare. Il teologo, il predicatore non crea nuove visioni del mondo e della vita, ma è al servizio della verità trasmessa, al servizio del fatto reale di Cristo, della Croce, della risurrezione. Il suo compito è aiutarci a comprendere oggi, dietro le antiche parole, la realtà del "Dio con noi", quindi la realtà della vera vita.
È qui opportuno precisare:  san Paolo, nell'annunciare la risurrezione, non si preoccupa di presentarne un'esposizione dottrinale organica - non vuol scrivere quasi un manuale di teologia - ma affronta il tema rispondendo a dubbi e domande concrete che gli venivano proposte dai fedeli; un discorso occasionale dunque, ma pieno di fede e di teologia vissuta. Vi si riscontra una concentrazione sull'essenziale:  noi siamo stati "giustificati", cioè resi giusti, salvati, dal Cristo morto e risorto per noi. Emerge innanzitutto il fatto della risurrezione, senza il quale la vita cristiana sarebbe semplicemente assurda. In quel mattino di Pasqua avvenne qualcosa di straordinario, di nuovo e, al tempo stesso, di molto concreto, contrassegnato da segni ben precisi, registrati da numerosi testimoni. Anche per Paolo, come per gli altri autori del Nuovo Testamento, la risurrezione è legata alla testimonianza di chi ha fatto un'esperienza diretta del Risorto. Si tratta di vedere e di sentire non solo con gli occhi o con i sensi, ma anche con una luce interiore che spinge a riconoscere ciò che i sensi esterni attestano come dato oggettivo. Paolo dà perciò - come i quattro Vangeli - fondamentale rilevanza al tema delle apparizioni, le quali sono condizione fondamentale per la fede nel Risorto che ha lasciato la tomba vuota. Questi due fatti sono importanti:  la tomba è vuota e Gesù è apparso realmente. Si costituisce così quella catena della tradizione che, attraverso la testimonianza degli Apostoli e dei primi discepoli, giungerà alle generazioni successive, fino a noi. La prima conseguenza, o il primo modo di esprimere questa testimonianza, è di predicare la risurrezione di Cristo come sintesi dell'annuncio evangelico e come punto culminante di un itinerario salvifico. Tutto questo Paolo lo fa in diverse occasioni:  si possono consultare le Lettere e gli Atti degli Apostoli dove si vede sempre che il punto essenziale per lui è essere testimone della risurrezione. Vorrei citare solo un testo:  Paolo, arrestato a Gerusalemme, sta davanti al Sinedrio come accusato. In questa circostanza nella quale è in gioco per lui la morte o la vita, egli indica quale è il senso e il contenuto di tutta la sua predicazione:  "Io sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti" (At 23, 6). Questo stesso ritornello Paolo ripete continuamente nelle sue Lettere (cfr. 1 Ts 1, 9s; 4, 13-18; 5, 10), nelle quali fa appello anche alla sua personale esperienza, al suo personale incontro con Cristo risorto (cfr. Gal 1, 15-16; 1 Cor 9, 1).
Ma possiamo domandarci:  qual è, per san Paolo, il senso profondo dell'evento della risurrezione di Gesù? Che cosa dice a noi a distanza di duemila anni? L'affermazione "Cristo è risorto" è attuale anche per noi? Perché la risurrezione è per lui e per noi oggi un tema così determinante? Paolo dà solennemente risposta a questa domanda all'inizio della Lettera ai Romani, ove esordisce riferendosi al "Vangelo di Dio... che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità in virtù della risurrezione dei morti" (Rm 1, 3-4). Paolo sa bene e lo dice molte volte che Gesù era Figlio di Dio sempre, dal momento della sua incarnazione. La novità della risurrezione consiste nel fatto che Gesù, elevato dall'umiltà della sua esistenza terrena, viene costituito Figlio di Dio "con potenza". Il Gesù umiliato fino alla morte di croce può dire adesso agli Undici:  "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt 28, 18). È realizzato quanto dice il Salmo 2, 8:  "Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra". Perciò con la risurrezione comincia l'annuncio del Vangelo di Cristo a tutti i popoli - comincia il Regno di Cristo, questo nuovo Regno che non conosce altro potere che quello della verità e dell'amore. La risurrezione svela quindi definitivamente qual è l'autentica identità e la straordinaria statura del Crocifisso. Una dignità incomparabile e altissima:  Gesù è Dio! Per san Paolo la segreta identità di Gesù, più ancora che nell'incarnazione, si rivela nel mistero della risurrezione. Mentre il titolo di Cristo, cioè di "Messia", "Unto", in san Paolo tende a diventare il nome proprio di Gesù e quello di Signore specifica il suo rapporto personale con i credenti, ora il titolo di Figlio di Dio viene ad illustrare l'intimo rapporto di Gesù con Dio, un rapporto che si rivela pienamente nell'evento pasquale. Si può dire, pertanto, che Gesù è risuscitato per essere il Signore dei morti e dei vivi (cfr. Rm 14, 9; e 2 Cor 5, 15) o, in altri termini, il nostro Salvatore (cfr. Rm 4, 25).
Tutto questo è gravido di importanti conseguenze per la nostra vita di fede:  noi siamo chiamati a partecipare fin nell'intimo del nostro essere a tutta la vicenda della morte e della risurrezione di Cristo. Dice l'Apostolo:  siamo "morti con Cristo" e crediamo che "vivremo con lui, sapendo che Cristo risorto dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui" (Rm 6, 8-9). Ciò si traduce in una condivisione delle sofferenze di Cristo, che prelude a quella piena configurazione con Lui mediante la risurrezione a cui miriamo nella speranza. È ciò che è avvenuto anche a san Paolo, la cui personale esperienza è descritta nelle Lettere con toni tanto accorati quanto realistici:  "Perché io possa conoscere Lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti" (Fil 3, 10-11; cfr. 2 Tm 2, 8-12). La teologia della Croce non è una teoria - è la realtà della vita cristiana. Vivere nella fede in Gesù Cristo, vivere la verità e l'amore implica rinunce ogni giorno, implica sofferenze. Il cristianesimo non è la via della comodità, è piuttosto una scalata esigente, illuminata però dalla luce di Cristo e dalla grande speranza che nasce da Lui. Sant'Agostino dice:  Ai cristiani non è risparmiata la sofferenza, anzi a loro ne tocca un po' di più, perché vivere la fede esprime il coraggio di affrontare la vita e la storia più in profondità. Tuttavia solo così, sperimentando la sofferenza, conosciamo la vita nella sua profondità, nella sua bellezza, nella grande speranza suscitata da Cristo crocifisso e risorto. Il credente si trova perciò collocato tra due poli:  da un lato, la risurrezione che in qualche modo è già presente e operante in noi (cfr. Col 3, 1-4; Ef 2, 6); dall'altro, l'urgenza di inserirsi in quel processo che conduce tutti e tutto verso la pienezza, descritta nella Lettera ai Romani con un'ardita immagine:  come tutta la creazione geme e soffre quasi le doglie del parto, così anche noi gemiamo nell'attesa della redenzione del nostro corpo, della nostra redenzione e risurrezione (cfr. Rm 8, 18-23).
In sintesi, possiamo dire con Paolo che il vero credente ottiene la salvezza professando con la sua bocca che Gesù è il Signore e credendo con il suo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti (cfr. Rm 10, 9). Importante è innanzitutto il cuore che crede in Cristo e nella fede "tocca" il Risorto; ma non basta portare nel cuore la fede, dobbiamo confessarla e testimoniarla con la bocca, con la nostra vita, rendendo così presente la verità della croce e della risurrezione nella nostra storia. In questo modo infatti il cristiano si inserisce in quel processo grazie al quale il primo Adamo, terrestre e soggetto alla corruzione e alla morte, va trasformandosi nell'ultimo Adamo, quello celeste e incorruttibile (cfr. 1 Cor 15, 20-22.42-49). Tale processo è stato avviato con la risurrezione di Cristo, nella quale pertanto si fonda la speranza di potere un giorno entrare anche noi con Cristo nella vera nostra patria che sta nei Cieli. Sorretti da questa speranza proseguiamo con coraggio e con gioia.



(©L'Osservatore Romano - 6 novembre 2008)
zsbc08
00giovedì 6 novembre 2008 11:50
"Sviluppo sostenibile: tutela del clima globale per le generazioni attuali e future dell'umanità"
Intervento della Santa Sede al secondo Comitato dell'Assemblea generale dell'Onu

Sviluppo sostenibile e difesa dell'ambiente


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 28 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, durante i lavori del secondo Comitato sul tema "Sviluppo sostenibile:  tutela del clima globale per le generazioni attuali e future dell'umanità", svoltisi nell'ambito della 63ª sessione ordinaria dell'Assemblea generale dell'Onu.

Signor presidente,
la mia delegazione è lieta di partecipare a questo dibattito sulla tutela del clima globale per le generazioni attuali e future dell'umanità, e desidera esprimere subito il proprio apprezzamento per  l'approccio efficace a questo particolare tema dell'Assemblea generale.
Si dice spesso che bisogna difendere l'ambiente. Il termine "difesa" potrebbe ingannevolmente portarci a credere nell'esistenza di un conflitto fra l'ambiente e l'essere umano. In questo forum, parliamo di "tutela" o "salvaguardia". Di fatto, in questo caso, per tutela si intende qualcosa di più della difesa. Essa implica una visione positiva dell'essere umano, intendendo che la persona è considerata non come un disturbo o una minaccia per l'ambiente, ma come sua amministratrice. In questo senso, non solo non c'è opposizione fra essere umano e ambiente, ma esiste un'alleanza inseparabile e salda, nella quale l'ambiente essenzialmente condiziona l'esistenza e lo sviluppo dell'essere umano mentre quest'ultimo perfeziona e nobilita l'ambiente con la sua attività creativa.
L'uso di un linguaggio appropriato è importante quando parliamo di tutela dell'ambiente e di mutamento climatico che sono tanto vitali per l'intera umanità oggi.
Da quando il diritto internazionale ha cominciato ad accogliere ecosistemi globali comuni e condivisi, sono stati formulati nuovi concetti con l'intento di ripensare le basi legali dell'appropriazione, dell'uso, della salvaguardia, della tutela e della condivisione equa delle risorse naturali e degli ecosistemi. Nonostante alcune divergenze di opinione a proposito del loro significato e del loro status normativo, i principi di "comune patrimonio dell'umanità", "responsabilità statale", "responsabilità comuni, ma differenziate", "equità generazionale e intragenerazionale", hanno offerto prospettive e orientamenti preziosi per affrontare le interrelazioni fra ambiente, sviluppo economico e diritti umani.
Parimenti, il principio della "responsabilità di tutelare", sebbene non sia stato in grado di generare norme giuridiche precise in sé, è stato invocato da alcuni come aspetto essenziale dell'esercizio della sovranità a livello nazionale e internazionale.
In realtà applicare questo principio a questioni ambientali e associarlo alla tutela del clima globale offre alla comunità internazionale un'opportunità per riflettere su diversi aspetti che possono contribuire a promuovere uno sviluppo umano autentico.
La responsabilità di tutelare il clima ci esorta ad approfondire ulteriormente le interazioni fra sicurezza alimentare e cambiamento climatico, prestando particolare attenzione alla centralità della persona umana, in particolare alle popolazioni più vulnerabili, che spesso vivono in zone rurali di Paesi in via di sviluppo. Le strategie per affrontare le sfide della sicurezza alimentare e del cambiamento climatico, attraverso sinergie di adattamento e attenuazione, devono prendere in considerazione la centralità di queste popolazioni, rispettare la loro cultura e i loro usi tradizionali.
La responsabilità di tutelare il clima dovrebbe basarsi sull'alleanza fra i principi di sussidiarietà e di solidarietà globale. In un mondo così interconnesso come quello di oggi assistiamo all'espansione rapida di una serie di sfide in numerosi settori della vita umana, dalla crisi alimentare al dissesto finanziario. Queste crisi hanno rivelato le scarse risorse nazionali e le limitate possibilità di trattarle adeguatamente e l'esigenza sempre maggiore di un'azione collettiva da parte della comunità internazionale. I negoziati attuali relativi al quadro della convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico sono un buon esempio di come la responsabilità di tutelare, la sussidiarietà e la solidarietà globale sono strettamente interconnesse, un fatto che dobbiamo prendere in considerazione nell'ambito della tutela del clima globale per le generazioni attuali e future.
Dovremmo comprendere che la questione ambientale non si può considerare separata da altre, come quelle dell'energia e dell'economia, della pace e della giustizia, degli interessi nazionali e della solidarietà internazionale. Non è difficile percepire il modo in cui le questioni della tutela ambientale, dei modelli di sviluppo, dell'equità sociale e della responsabilità comune di prendersi cura dell'ambiente sono legate fra loro inestricabilmente.
La società odierna non può compiere adeguatamente il dovere legato alla responsabilità di tutelare l'ambiente se non rivede seriamente il suo stile di vita, i suoi modelli di consumo e produzione. Quindi, c'è bisogno urgente di educare alla responsabilità ecologica, basata sul fatto che molti valori etici, fondamentali per edificare una società pacifica, hanno un rapporto diretto con la questione ambientale. Al contrario, l'interdipendenza delle molte sfide che il mondo affronta oggi conferma la necessità di soluzioni coordinate basate su una coerente visione morale del mondo.
Quest'educazione non può basarsi semplicemente su motivi politici o ideologici né ha per scopo il rifiuto del mondo moderno. Implica una conversione e un cambiamento autentici dei modelli di pensiero e di comportamento e dovrebbe basarsi sul valore e sulla dignità della persona umana.



(©L'Osservatore Romano - 6 novembre 2008)
zsbc08
00giovedì 6 novembre 2008 14:49
E sul trono UNO stava seduto
Da: Rainews24.it

Roma | 6 novembre 2008
Il Papa apre all'Islam: "Cristiani e musulmani sono la stessa famiglia"
Invito al dialogo
Invito al dialogo

"Cristiani e musulmani hanno approcci diversi su Dio", ma ugualmente debbono sentirsi "membri di una stessa famiglia". E' questo in sintesi il messaggio che il Papa ha affidato al Forum islamo-cattolico promosso dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. "Possiamo e dobbiamo essere fedeli dell'unico Dio che ci ha creati e si cura di ogni persona in ogni angolo del mondo", "Insieme - insiste - dobbiamo mostrare, con il rispetto e la solidarietà reciproca, che ci consideriamo membri di una stessa famiglia.

Dovremmo lavorare insieme - chiede il Pontefice ai leader musulmani - nella promozione di un genuino rispetto per la dignità della persona umana e i diritti umani fondamentali, anche se le nostre visioni antropologiche e le nostre teologie lo giustificano in modi diversi. C'e' un campo grande e ampio nel quale possiamo agire insieme nel difendere e promuovere i valori morali parte di un'eredita' comune".

zsbc08
00venerdì 7 novembre 2008 09:26
forum cattolico-musulmano
Firmata al termine dell'incontro

La dichiarazione conclusiva
del primo seminario
del forum cattolico-musulmano


Pubblichiamo in una nostra traduzione italiana il testo della dichiarazione comune firmata a conclusione dell'incontro del forum cattolico-musulmano.

Il forum cattolico-musulmano è stato creato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e da una Delegazione dei 138 firmatari musulmani della Lettera aperta intitolata Una Parola  Comune,  alla  luce  di  tale documento e della risposta di Sua Santità Benedetto XVI tramite il suo segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone.
Il suo primo seminario si è svolto a Roma dal 4 al 6 novembre 2008. Sono intervenuti 24 partecipanti e cinque consiglieri di ciascuna delle due religioni. Il tema del seminario è stato "Amore di Dio, amore del prossimo". Il dibattito, condotto in un caldo spirito conviviale, si è concentrato su due grandi temi:  "fondamenti teologici e spirituali", "dignità umana e rispetto reciproco". 
Sono emersi punti di similitudine e di diversità che riflettono lo specifico genio distintivo delle due religioni.
1. Per i cristiani la fonte e l'esempio dell'amore di Dio e del prossimo è l'amore di Dio per suo Padre, per l'umanità e per ogni persona. "Dio è amore" (1 Giovanni, 4, 16) e "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Giovanni, 3, 16). L'amore di Dio è posto nel cuore dell'uomo per mezzo dello Spirito Santo. È Dio che per primo ci ama permettendoci in tal modo di amarlo a nostra volta. L'amore non danneggia il prossimo nostro, piuttosto cerca di fare all'altro ciò che vorremmo fosse fatto a noi (cfr. 1 Corinzi, 13, 4-17). L'amore è il fondamento e la somma di tutti i comandamenti (cfr. Galati, 5, 14). L'amore del prossimo non si può separare dall'amore di Dio, perché è un'espressione del nostro amore verso Dio. Questo è il nuovo comandamento "che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Giovanni, 15, 12). Radicato nell'amore sacrificale di Cristo, l'amore cristiano perdona e non esclude alcuno. Quindi include anche i propri nemici. Non dovrebbero essere solo parole, ma fatti (cfr. 1 Giovanni, 4, 18). Questo è il segno della sua autenticità.
Per i musulmani, come esposto nella lettera Una Parola Comune, l'amore è una forza trascendente e imperitura, che guida e trasforma il rispetto umano reciproco. Questo amore, come indicato dal Santo e amato profeta Maometto, precede l'amore umano per il Dio uno e trino. Un hadit mostra che la compassione amorevole di Dio per l'umanità è persino più grande di quella di una madre per il proprio figlio (Muslim, Bab al-Tawba:  21). Quindi esiste prima e indipendentemente dalla risposta umana dell'unico che è "amorevole". Questo amore e questa compassione sono così immensi che Dio è intervenuto per guidare e salvare l'umanità in modo perfetto, molte volte e in molti luoghi, inviando profeti e scritture. L'ultimo di questi libri, il Corano, ritrae un mondo di segni, un cosmo meraviglioso di maestria divina, che suscita il nostro amore e la nostra devozione assoluti affinché "coloro che credono hanno per Allah un amore ben più grande" (2:  165) e "in verità il Compassionevole concederà il suo amore a coloro che credono e compiono il bene" (19:  96). In un hadit leggiamo che "Nessuno di voi ha fede finquando non ama il suo prossimo come ama se stesso" (Bukhari, Bab al-Iman:  13).
2. La vita umana è un dono preziosissimo di Dio a ogni persona, dovrebbe essere quindi preservata e onorata in tutte le sue fasi.
3. La dignità umana deriva dal fatto che ogni persona è creata da un Dio amorevole per amore, le sono stati offerti i doni della ragione e del libero arbitrio e, quindi, le è stato permesso di amare Dio e gli altri. Sulla solida base di questi principi la persona esige il rispetto della sua dignità originaria e della sua vocazione umana. Quindi ha diritto al pieno riconoscimento della propria identità e della propria libertà di individuo, comunità e governo, con il sostegno della legislazione civile che garantisce pari diritti e piena cittadinanza.
4. Affermiamo che la creazione dell'umanità da parte di Dio presenta due grandi aspetti:  la persona umana maschio e femmina e ci impegniamo insieme a garantire che la dignità e il rispetto umani vengano estesi sia agli uomini sia alle donne su una base paritaria.
5. L'amore autentico del prossimo implica il rispetto della persona e delle sue scelte in questioni di coscienza e di religione. Esso include il diritto di individui e comunità a praticare la propria religione in privato e in pubblico.
6. Le minoranze religiose hanno il diritto di essere rispettate nelle proprie convinzioni e pratiche religiose. Hanno anche diritto ai propri luoghi di culto e le loro figure e i loro simboli fondanti che considerano sacri non dovrebbero subire alcuna forma di scherno o di irrisione.
7. In quanto credenti cattolici e musulmani siamo consapevoli degli inviti e dell'imperativo a testimoniare la dimensione trascendente della vita attraverso una spiritualità alimentata dalla preghiera, in un mondo che sta diventando sempre più secolarizzato e materialistico.
8. Affermiamo che nessuna religione né i suoi seguaci dovrebbero essere esclusi dalla società. Ognuno dovrebbe poter rendere il suo contributo indispensabile al bene della società, in particolare nel servizio ai più bisognosi.
9. Riconosciamo che la creazione di Dio nella sua pluralità di culture, civiltà, lingue e popoli è una fonte di ricchezza e quindi non dovrebbe mai divenire causa di tensione e di conflitto.
10. Siamo convinti del fatto che cattolici e musulmani hanno il dovere di offrire ai propri fedeli una sana educazione nei valori morali, religiosi, civili e umani e di promuovere una attenta informazione sulla religione dell'altro.
11. Professiamo che cattolici e musulmani sono chiamati a essere strumenti di amore e di armonia tra i credenti e per tutta l'umanità, rinunciando a qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare quelli perpetrati in nome della religione, e a sostenere il principio di giustizia per tutti.
12. Esortiamo i credenti a operare per un sistema finanziario etico in cui i meccanismi normativi prendano in considerazione la situazione dei poveri e degli svantaggiati, siano essi individui o nazioni indebitate. Esortiamo i privilegiati del mondo a considerare la piaga di quanti sono colpiti più gravemente dall'attuale crisi nella produzione e nella distribuzione alimentare, e chiediamo ai credenti di tutte le denominazioni e a tutte le persone di buona volontà di cooperare per alleviare la sofferenza di chi ha fame e di eliminare le cause di quest'ultima.
13. I giovani sono il futuro delle comunità religiose e delle società in generale. Vivranno sempre di più in società multiculturali e multireligiose. È essenziale che siano ben formati nelle proprie tradizioni religiose e ben informati sulle altre culture e religioni.
14. Abbiamo concordato di prendere in considerazione la possibilità di creare un Comitato cattolico-musulmano permanente, che coordini le risposte ai conflitti e ad altre situazioni di emergenza, e di organizzare un secondo seminario in un Paese a maggioranza musulmana ancora da definire.
15. Attendiamo dunque il secondo seminario del Forum cattolico-musulmano che si svolgerà entro due anni, in un Paese a maggioranza musulmana ancora da definire.
Tutti i partecipanti sono stati grati a Dio per il dono di questo tempo trascorso insieme e per questo scambio proficuo. Alla fine del seminario, Sua Santità Papa Benedetto XVI e, dopo gli interventi del professor Seyyed Hossein Nasr e del Grand Mufti Mustafa Ceric, ha parlato al gruppo. Tutti i presenti hanno espresso soddisfazione per i risultati del seminario e la loro aspettativa di un dialogo più proficuo.



(©L'Osservatore Romano - 7 novembre 2008)
zsbc08
00venerdì 7 novembre 2008 09:28
Le religioni veicolo di armonia fra i popoli
Benedetto XVI al nuovo Ambasciatore della Repubblica Araba di Egitto presso la Santa Sede

Le religioni
veicolo di armonia fra i popoli


Benedetto XVI ha ricevuto nella mattina di giovedì 6 novembre, alle ore 11, in solenne udienza, Sua Eccellenza la Signora Lamia Aly Hamada Mekhemar, nuovo Ambasciatore della Repubblica Araba di Egitto presso la Santa Sede, il quale ha presentato le Lettere con le quali viene accreditato nell'alto ufficio.
Sua Eccellenza l'Ambasciatore, rilevato alla sua residenza da un Gentiluomo di Sua Santità e da un Addetto di Anticamera, è giunto alle 10.45 al Cortile di San Damaso, nel Palazzo Apostolico Vaticano, ove un reparto della Guardia Svizzera Pontificia rendeva gli onori.
Al ripiano degli ascensori, Sua Eccellenza l'Ambasciatore era ricevuto da un Gentiluomo di Sua Santità e subito dopo saliva alla seconda Loggia, dove si trovavano ad attenderlo gli Addetti di Anticamera e i Sediari. Dalla seconda Loggia il corteo si dirigeva alla Sala Clementina, dove l'Ambasciatore veniva ricevuto dal prefetto della Casa Pontificia, l'arcivescovo James Michael Harvey, il quale lo introduceva alla presenza del Pontefice nella Biblioteca privata.
Dopo la presentazione delle Credenziali da parte dell'Ambasciatore avevano luogo lo scambio dei discorsi e, quindi, il colloquio privato.
Dopo l'udienza, nella Sala Clementina l'Ambasciatore prendeva congedo dal prefetto della Casa Pontificia e si recava a far visita al cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato.
Al termine del colloquio l'Ambasciatore discendeva nel Cortile di San Damaso, dove si congedava dai Dignitari che lo avevano accompagnato e faceva ritorno alla sua residenza.

Questo è il testo del discorso del Papa.

Madame l'Ambassadeur,
Je suis heureux de vous accueillir, Excellence, et de vous souhaiter la bienvenue à l'occasion de la présentation des Lettres qui vous accréditent comme Ambassadeur extraordinaire et plénipotentiaire de la République Arabe d'Egypte près le Saint-Siège. Je vous remercie pour les salutations courtoises que vous m'avez adressées au nom de Son Excellence Monsieur Mohamed Hosni Moubarak, Président de la République, et de son épouse, Madame Suzanne Moubarak, que vous avez servis de nombreuses années. Je vous saurais gré de bien vouloir leur exprimer en retour mes souhaits les meilleurs pour leurs personnes ainsi que pour le peuple égyptien tout entier. 
L'Egypte est une terre d'antique civilisation connue du monde entier pour ses monuments, son art, et pour son savoir ancestral. Sur votre terre, Madame, se sont rencontrés et mélangés des peuples, des cultures et des religions diverses construisant au fil des millénaires l'identité de votre peuple, renommé pour sa sagesse et sa pondération, et constituant la richesse de votre culture encore capable aujourd'hui d'intégrer la nouveauté tout en conservant sa spécificité.
Vous avez évoqué avec raison, Madame, les bonnes relations qui existent entre l'Egypte et le Saint-Siège depuis l'établissement des relations diplomatiques, il y a plus de 60 ans. Et je ne peux qu'en rendre grâce à Dieu qui les a permises et favorisées. L'Egypte était alors déjà à l'avant-garde dans la recherche de ponts entre les peuples et les religions. De telles relations sont basées certainement sur un profond respect réciproque de nos identités propres, mais aussi, et surtout, sur un réel désir commun de promouvoir l'unité et la paix tant à l'intérieur des frontières nationales qu'au sein de l'espace international, ainsi que de développer le dialogue et la collaboration entre les membres des diverses cultures et religions.
Vous venez aussi de mentionner, Excellence, les innombrables et graves problèmes internationaux qui agitent toujours et encore, souvent violemment hélas, les confins de l'Afrique et de l'Asie surtout au Moyen-Orient. Les efforts de l'Egypte en faveur de la paix, de l'harmonie et de solutions justes qui respectent les Etats et les personnes, sont innombrables et rejoignent ceux du Saint-Siège qui s'efforce lui aussi de les favoriser et de les promouvoir. Un climat de dialogue et de rapprochement qui pourrait engendrer une culture de paix, doit peu à peu voir le jour et arriver jusqu'à éliminer, ou atténuer au moins, les égoïsmes nationaux et tempérer les intérêts privés ou publics. Les religions peuvent et doivent être des facteurs de paix. Malheureusement aussi, elles peuvent être mal comprises et utilisées pour provoquer violence ou mort. Le respect de la sensibilité et de l'histoire propres de chaque pays ou de chaque communauté humaine et religieuse, les consultations répétées et les rencontres multilatérales, et surtout une authentique volonté de recherche de la paix favoriseront la réconciliation des peuples et la cohabitation pacifique entre tous. C'est ce que le Saint-Siège appelle de ses voeux, et qu'il sait être aussi ceux de l'Egypte. Dans ce contexte, je voudrais saluer tous les efforts accomplis par votre pays et ses gouvernants pour rejoindre peu à peu ce noble objectif. L'Egypte a toujours été connue pour être une terre d'hospitalité pour les innombrables réfugiés, musulmans et chrétiens, qui ont cherché sécurité et paix sur ses terres. Que cette noble tradition se poursuive pour le bien de tous! L'hôte reçu est un dépôt sacré confié par Dieu qui saura s'en souvenir au juste moment.
Je viens d'évoquer le rôle primordial des religions dans la réalisation de l'harmonie entre les peuples, les cultures et les individus. Depuis des décennies, les rencontres annuelles entre le Comité Permanent pour le Dialogue entre les Religions Monothéistes de l'Institution Al-Azhar Al Sharif et le Conseil Pontifical pour le Dialogue Interreligieux essayent d'ouvrir une route vers une compréhension et un respect réciproque entre l'Islam et le Christianisme. Du chemin a déjà été fait, du chemin reste à parcourir encore. Ce dialogue, Excellence, est une chance pour le monde, une opportunité offerte par Dieu qu'il faut saisir au vol et vivre le mieux possible. Il est important de promouvoir avant tout une bonne connaissance réciproque qui ne peut se limiter au cercle restreint de l'instance de dialogue, mais qui doit irradier peu à peu vers son bord, vers les individus qui jour après jour, dans les villes et les villages, auront à développer une mentalité de respect réciproque qui pourrait parvenir à une estime mutuelle. L'individu et l'humanité y gagneraient tout comme les religions. Les instituts de recherche des communautés dominicaines et franciscaines présentes en Egypte offrent, eux-aussi, des espaces de rencontres interreligieuses. Leurs présences et activités démontrent qu'il est possible de vivre en frères dans une nation unie et sereine.
Vous voudrez bien transmettre aussi, Madame l'Ambassadeur, mes salutations à la communauté catholique de votre pays. Bien que réduite en nombre, elle manifeste la grande diversité qui existe au sein de notre Eglise et la possibilité d'une harmonieuse coexistence entre les grandes traditions chrétiennes orientales et occidentales. Son engagement social et historique auprès du peuple égyptien dans les domaines de l'éducation, de la santé et des oeuvres caritatives témoigne de l'amour gratuit et sans exclusive religieuse. Il est connu et apprécié par l'ensemble de la société égyptienne. L'Eglise catholique voudrait aussi atteindre dans votre pays les innombrables touristes catholiques qui le visitent et qui désirent pratiquer leur religion. Je suis convaincu qu'il leur sera bientôt donné la possibilité de pouvoir prier Dieu dignement dans des lieux de culte appropriés sur les nouveaux sites touristiques qui se sont développés ces dernières années. Ce serait là un beau signe que l'Egypte donnerait au monde en favorisant les relations amicales et fraternelles entre les religions et les peuples en accord total avec son antique et noble tradition.
Alors que vous commencez votre mission de représentation auprès du Saint-Siège, vous assurant que vous trouverez toujours un bon accueil et une compréhension attentive auprès de mes collaborateurs, je vous offre, Madame l'Ambassadeur, mes voeux cordiaux pour son heureux accomplissement, afin que les relations harmonieuses qui existent entre la République Arabe d'Egypte et le Saint-Siège puissent se poursuivre et s'approfondir. Sur vous, Excellence, sur votre famille et sur vos collaborateurs, ainsi que sur les Responsables et sur tous les habitants de l'Egypte, j'invoque de grand coeur l'abondance des Bénédictions du Tout-Puissant.

Questa è una nostra traduzione italiana del discorso del Pontefice.

Signora Ambasciatore,
sono lieto di accoglierla, Eccellenza, e di porgerle il benvenuto in occasione della presentazione delle lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Araba di Egitto presso la Santa Sede. La ringrazio per i saluti cordiali che mi ha rivolto a nome di Sua Eccellenza il signor Mohamed Hosni Mubarak, presidente della Repubblica, e della sua consorte, la signora Suzanne Mubarak, che lei ha servito per molti anni. Le sarei grato se potesse trasmettere loro i miei voti migliori per le loro persone e per tutto il popolo egiziano.
L'Egitto è una terra di antica civiltà, conosciuta in tutto il mondo per i suoi monumenti, la sua arte e il suo sapere ancestrale. Nella sua terra, Signora, si sono incontrati e mescolati popoli, culture e religioni diverse, costruendo nel corso dei millenni l'identità del suo popolo, famoso per la sua saggezza e la sua ponderatezza, e costituendo la ricchezza della sua cultura capace ancora oggi di accogliere la novità pur conservando la sua specificità.
Lei ha giustamente ricordato, Signora, le buone relazioni che esistono fra l'Egitto e la Santa Sede dall'instaurazione delle relazioni diplomatiche, avvenuta più di sessant'anni fa. Non posso che rendere grazie a Dio che le ha permesse e favorite. L'Egitto era allora già all'avanguardia nella ricerca di ponti fra i popoli e le religioni. Simili relazioni sono certamente fondate su un profondo rispetto reciproco delle nostre identità proprie, ma anche, e soprattutto, su un reale desiderio comune di promuovere l'unità e la pace sia dentro i confini nazionali sia sulla scena internazionale, e anche di sviluppare il dialogo e la collaborazione fra i membri delle diverse culture e religioni.
Lei ha pure menzionato, Eccellenza, i numerosi e gravi problemi internazionali che turbano sempre e ancora, ahimè spesso con violenza, le zone di confine dell'Africa e dell'Asia, soprattutto in Medio Oriente. Gli sforzi dell'Egitto a favore della pace, dell'armonia e delle soluzioni giuste che rispettano gli Stati e le persone sono innumerevoli e si uniscono a quelli della Santa Sede che si sforza a sua volta di favorirle e di promuoverle. Un clima di dialogo e di avvicinamento in grado di generare una cultura di pace deve poco a poco nascere e riuscire a eliminare, o almeno ad attenuare, gli egoismi nazionali e a mitigare gli interessi privati o pubblici. Le religioni possono e devono essere fattori di pace. Purtroppo possono essere intese e utilizzate male per provocare violenza o morte. Il rispetto della sensibilità e della storia propria di ogni Paese o di ogni comunità umana e religiosa, le consultazioni frequenti e gli incontri multilaterali, e soprattutto un'autentica volontà di ricerca della pace, favoriranno la riconciliazione dei popoli e la coabitazione pacifica fra tutti. È ciò che la Santa Sede auspica di cuore, e che sa essere anche l'auspicio dell'Egitto. In questo contesto, desidero rendere omaggio a tutti gli sforzi compiuti dal suo Paese e dai suoi Governi per raggiungere poco a poco questo nobile obiettivo. L'Egitto è sempre stato conosciuto come una terra di ospitalità per numerosi rifugiati, musulmani e cristiani, che hanno cercato sicurezza e pace nel suo territorio. Che questa nobile tradizione prosegua per il bene di tutti! L'ospite accolto è un deposito sacro affidato da Dio che saprà ricordarsene al momento opportuno.
Ho appena ricordato il ruolo fondamentale delle religioni nell'instaurare l'armonia fra i popoli, le culture e gli individui. Da decenni, gli incontri annuali fra il Comitato Permanente per il Dialogo fra le Religioni Monoteiste dell'Istituzione Al-Azhar al Sharif e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso cercano di aprire una via verso una comprensione e un rispetto reciproco fra l'Islam e il Cristianesimo. Un tratto del cammino è stato già percorso, ma il resto è ancora da percorrere. Questo dialogo, Eccellenza, è un'opportunità per il mondo, un'occasione offerta da Dio che bisogna cogliere al volo e vivere il meglio possibile. È importante promuovere innanzitutto una buona conoscenza reciproca che non può limitarsi al circolo ristretto dell'istanza di dialogo, ma che deve irradiarsi poco a poco verso i suoi confini, verso gli individui che giorno dopo giorno, nelle città e nei villaggi, dovranno sviluppare una mentalità di mutuo rispetto che dovrebbe portare a una stima reciproca. L'individuo e l'umanità ne beneficerebbero, come pure le religioni. Gi istituti di ricerca delle comunità domenicane e francescane presenti in Egitto offrono, anch'essi, spazi d'incontro interreligioso. La loro presenza e le loro attività dimostrano che è possibile vivere come fratelli in una nazione unita e serena.
Le chiedo di trasmettere anche, Signora Ambasciatore, i miei saluti alla comunità cattolica del suo Paese. Anche se non numerosa, manifesta la grande diversità che esiste in seno alla nostra Chiesa e la possibilità di un'armoniosa coesistenza fra le grandi tradizioni cristiane orientali e occidentali. Il suo impegno sociale e storico fra il popolo egiziano negli ambiti dell'educazione, della salute e delle opere caritative testimonia l'amore gratuito e senza esclusione religiosa. È noto e apprezzato da tutta la società egiziana. La Chiesa cattolica desidera altresì raggiungere nel suo Paese i numerosi turisti cattolici che lo visitano e che desiderano praticare la propria religione. Sono convinto che sarà presto data la possibilità di pregare Dio degnamente in luoghi di culto adeguati nei nuovi centri turistici che si sono sviluppati in questi ultimi anni. Questo sarebbe un bel segno che l'Egitto darebbe al mondo, favorendo le relazioni amichevoli e fraterne fra le religioni e i popoli in piena sintonia con la sua antica e nobile tradizione.
Mentre comincia la sua missione di rappresentanza presso la Santa Sede, assicurandola che troverà sempre una buona accoglienza e una comprensione attenta presso i miei collaboratori, le porgo, Signora Ambasciatore, i miei voti cordiali per il suo felice compimento, affinché le relazioni armoniose che esistono fra la Repubblica Araba di Egitto e la Santa Sede possano proseguire e approfondirsi. Su di lei, Eccellenza, sulla sua famiglia e sui suoi collaboratori, e anche sui responsabili e su tutti gli abitanti dell'Egitto, invoco di tutto cuore l'abbondanza delle Benedizioni dell'Onnipotente.



(©L'Osservatore Romano - 7 novembre 2008)
zsbc08
00venerdì 7 novembre 2008 09:30
Negli Stati Uniti si cambia nel segno della contin
George W. Bush:  «Un trionfo della storia d'America»

Negli Stati Uniti si cambia
nel segno della continuità


Washington, 6. È un cambiamento nel segno della continuità quello avviato dalla vittoria di Barack Obama. Ne sono testimonianza le parole con cui il presidente degli Stati Uniti d'America, George W. Bush, ha salutato ieri l'elezione del suo successore. "Un presidente - ha detto Bush - il cui percorso rappresenta un trionfo della storia d'America; la prova che il duro lavoro, l'ottimismo e la fede nella promessa costante della nostra Nazione funzionano". Lo stesso senso dello Stato e di comune appartenenza che ha caratterizzato il discorso con cui McCain aveva ammesso la propria sconfitta ha quindi segnato l'intervento del presidente uscente.
"Tutti gli americani, a prescindere da come abbiano votato - ha aggiunto - possono essere orgogliosi per avere fatto la storia". E veramente di una tappa storica si tratta per gli Stati Uniti d'America, perché, come ha rilevato Bush, "molti dei nostri cittadini non avrebbero mai pensato di poter vivere abbastanza per assistere a una cosa del genere". Bush ha inoltre riconosciuto che "questo è un momento di speciale soddisfazione per una generazione di americani che sono stati testimoni diretti della lotta per i diritti civili e che adesso quattro decenni dopo vedono realizzato il loro sogno".
Sempre nell'ottica della continuità il presidente uscente ha assicurato massima collaborazione con Obama in queste mesi che lo dividono dal prossimo 20 gennaio, data in cui avverrà l'insediamento ufficiale. Nel frattempo molte cose restano da fare e anche importanti. A cominciare dal vertice del g20 in programma la settimana prossima a Washington. Un vertice, dedicato alla crisi finanziaria, che potrebbe segnare il debutto di Barack Obama sulla scena internazionale. Funzionari dell'amministrazione Bush stanno infatti verificando la possibilità che il presidente eletto partecipi all'incontro.
Nel frattempo Obama ha proceduto alle primissime nomine all'interno del futuro staff presidenziale. Il deputato dell'Illinois Rahm Emanuel è stato designato come capo di Gabinetto. La transizione alla Casa Bianca viene gestita dall'italo-americano di Chicago John Podesta. Con lui lavorano a stretto contato di gomito Valerie Jarrett, economista, e David Axelrod, l'architetto della vittoria di Obama.
La priorità immediata del presidente eletto pare comunque la nomina del nuovo segretario al Tesoro. Il nome che circola più di frequente è quello di Lawrence Summers, che aveva già ricoperto l'incarico negli anni dell'amministrazione Clinton. La poltrona - come è facilmente intuibile - è bollente a causa della peggiore crisi economica e finanziaria dai tempi della Grande Depressione. La decisione potrebbe arrivare in settimana e comunque prima del g20 di Washington. Oltre a Summers, l'eredità di Henry Paulson potrebbe essere raccolta dall'ex presidente della Federal Reserve, Paul Volcker, o dal giovane presidente della Fed di New York, Timothy Geithner, 47 anni come Obama. Tra i candidati figura anche il governatore del New Jersey, John Corzine, ex Goldman Sachs. "Mi piace il lavoro che faccio, ma mai dire mai", ha dichiarato alla Cnbc, aggiungendo di non aver parlato con nessuno dello staff di Obama della questione. La carica di segretario alla Difesa potrebbe per il momento rimanere a Bob Gates, mentre, per il posto di consigliere della Sicurezza nazionale, Obama potrebbe puntare su Susan Rice, 44 anni, afro-americana, assistente segretario di Stato per l'Africa sotto Clinton.
Un'altra Rice, Condoleezza, repubblicana e attuale segretario di Stato, ha ieri dichiarato di essere, come afro-americana, "particolarmente orgogliosa" per l'elezione di Obama. Il segretario di Stato ha affermato, non senza una nota di commozione, che il successo di Obama rappresenta "uno straordinario passo avanti" per la società americana, in quello che è stato "un lungo viaggio". La Rice, che ha definito "fonte di ispirazione" la campagna e la persona di Obama, ha avuto parole di lode anche per il repubblicano John McCain, che ha descritto come "gentile" nella sconfitta. Il segretario di Stato uscente ha inoltre affermato che farà tutto il possibile, per quanto riguarda il suo dipartimento, per rendere più fluido possibile il passaggio di consegne alla nuova amministrazione. "Una delle grandi cose nel rappresentare questo Paese - ha concluso - è il fatto che continua a sorprendere, continua a rinnovarsi. E continua a sorprendere tutte le previsioni e le aspettative".



(©L'Osservatore Romano - 7 novembre 2008)
zsbc08
00venerdì 7 novembre 2008 09:32
Monsignor Parolin e l'ambasciatore di Israele Lewy
Monsignor Parolin e l'ambasciatore di Israele Lewy a un incontro promosso da «Carità politica»

La diplomazia
arte della speranza


di Giovanni Zavatta

L'arte della diplomazia è saper intravedere possibilità, speranze, anche in un presente che spesso appare avaro di segni di pace; è saper cogliere una realtà positiva all'interno delle situazioni umanamente più difficili e compromesse. Il diplomatico deve essere in grado di leggere al di là del visibile e, attraverso il dialogo, trovare soluzioni a problemi e conflitti. Si è parlato di diplomazia come arte della speranza all'incontro organizzato mercoledì pomeriggio a Roma da "Carità politica". Un incontro che si inserisce nel ciclo di approfondimenti sull'enciclica Spe salvi promosso dall'associazione internazionale di diritto pontificio da anni impegnata a promuovere una collaborazione fra i membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Sono intervenuti monsignor Pietro Parolin, sotto-segretario della Segreteria di Stato per i rapporti con gli Stati, e Mordechay Lewy, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede.
Il tema ha preso spunto da un'espressione usata da Benedetto XVI il 7 gennaio 2008 nel discorso ai membri del Corpo diplomatico per la presentazione degli auguri per il nuovo anno:  "La diplomazia è, in un certo modo, l'arte della speranza. Essa vive della speranza e cerca di discernerne persino i segni più tenui. La diplomazia deve dare speranza" sottolineò il Papa. "La diplomazia - ha aggiunto ieri Parolin - si impegna attraverso il dialogo e la discussione razionale a cercare vie di incontro fra le parti e così a trovare soluzioni ai problemi. Essa fa appello a ciò che è razionale, positivo, costruttivo per aprire prospettive future". È chiaro allora - ha spiegato il sotto-segretario - "che la diplomazia può essere "arte della speranza" solo se viene usata per il bene di tutti coloro che essa coinvolge. Purtroppo non sempre è così, e nell'opinione pubblica circola talvolta una considerazione critica e negativa della diplomazia".
Una concezione quest'ultima, ha ricordato monsignor Parolin, presente anche ai tempi di Giovanni Battista Montini. Il 25 aprile 1951, l'allora sostituto della Segreteria di Stato, nel discorso per il 250° anniversario di fondazione della Pontificia accademia ecclesiastica, affermava che la diplomazia è considerata a volte come "l'arte di riuscire":  per riuscire - diceva Montini - "ogni mezzo spesso inavvertitamente diventa buono; e perciò rappresenta una forma d'azione in cui la morale riporta facilmente delle ferite". Ma lo stesso Montini invitava a "farsi un concetto più esatto della diplomazia", come "arte di creare e di mantenere l'ordine internazionale, cioè la pace", come "arte d'instaurare rapporti umani, ragionevoli, giuridici fra i popoli, e non per via di forza o di inesorabile contrasto ed equilibrio d'interessi, ma per via di aperto e responsabile regolamento". Concetti ripresi da Montini, divenuto Paolo vi, l'8 gennaio 1968 nel discorso al Corpo diplomatico presso la Santa Sede:  il diplomatico è "artigiano della pace, l'uomo del diritto, della ragione, del dialogo".
In particolare, ha sottolineato monsignor Parolin, "per il laico cristiano che svolge la professione del diplomatico vi è l'apporto della virtù teologale della speranza vera e propria. L'esercizio di questa virtù cristiana offre a chi opera in tale ambito un supplemento di forza, di ottimismo, di fiducia, fondato sulla certezza dell'avvento definitivo del Regno di Dio". In un diplomatico cristiano - e vieppiù in un diplomatico pontificio chiamato nel contesto internazionale a garantire il libero esercizio della missione della Chiesa - sperare "la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla" approfondisce il significato e il valore della definizione della diplomazia come "arte della  speranza". Nella Spe salvi Benedetto XVI ricorda che "noi abbiamo bisogno delle speranze - più piccole o più grandi - che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l'universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere" (n. 31).
Quella del Santo Padre - ha concluso Parolin - "è una visione alta della diplomazia, che richiede un impegno esigente", ma "è oggi più che mai necessario avere questa visione se si vuol contribuire a dare una risposta alle sfide sempre più globali e sempre più drammatiche per un'umanità che ci appare per questo soprattutto bisognosa di poter continuare a sperare".
L'ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, nel suo intervento intitolato "L'arte di conservare la memoria della speranza religiosa e la sua trasformazione in secolare utopia", ha posto l'attenzione sul caso di Israele e su un "unico modello nella speranza ebraica che ha amalgamato i suoi elementi religiosi dentro un contesto secolare":  esso emerse verso la fine del diciannovesimo secolo - ha spiegato Lewy - ma "la natura di questa speranza ebraica risale alla distruzione del secondo tempio nell'anno 70 dell'era cristiana e alla diaspora degli ebrei dalla terra promessa nel 135. Essi diventarono il punto focale di un'autentica tecnica di memorizzazione ebraica per conservare la speranza della redenzione collettiva, la ragion d'essere dello sviluppo di una tradizione di copiare, leggere e pregare la Bibbia".
Quando, nel 1917, lord Balfour approvò l'idea della creazione di una casa nazionale ebraica nel suo futuro mandato in Palestina, "le speranze dei sionisti - ha sottolineato Lewy - cominciarono a materializzarsi attraverso i loro sforzi diplomatici. Quelle utopiche e messianiche aspirazioni del popolo ebraico di una casa nella terra dei loro padri furono soddisfatte nel 1948, dopo che un terzo del nostro popolo era stato sterminato nella Shoa". L'ambasciatore ha ricordato David Ben Gurion, fondatore dello Stato di Israele, che sulla realizzazione delle aspirazioni sioniste disse:  "In Israele se tu non credi nei miracoli non sei realista". Il sionismo - ha concluso Lewy - "non è solo una secolare utopia che sublima le speranze religiose degli ebrei. È la versione ebraica della diplomazia come arte della speranza".



(©L'Osservatore Romano - 7 novembre 2008)
zsbc08
00venerdì 7 novembre 2008 09:33
Le reazioni dei vescovi nei Paesi più coinvolti nella politica degli Stati Uniti
Le reazioni dei vescovi nei Paesi più coinvolti nella politica degli Stati Uniti

«Wait and see»
Obama e la Chiesa nel mondo


di Marco Bellizi

Speranza:  per la democrazia, la giustizia e la difesa della dignità della persona in ogni circostanza; speranza che si possa aprire, lavorando per la pace, un'era di riconciliazione. La speranza è il filo rosso che lega le dichiarazioni dei vescovi di tutto il mondo all'indomani dell'elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti d'America. È il sentimento comune in particolar modo dei presuli nei Paesi più sensibili agli effetti della politica a stelle e strisce, vale a dire l'Iraq, l'India, il Vicino Oriente. E lo è anche per i vescovi degli Stati Uniti, che ieri hanno diffuso il messaggio nel quale si congratulano con il neopresidente per la sua "storica" vittoria alle elezioni e lo invitano a "difendere la vita e i più vulnerabili" fra i cittadini americani. "Il nostro Paese sta attraversando numerose incertezze - scrivono i vescovi nel messaggio firmato dal cardinale Francis Eugene George, arcivescovo di Chicago e presidente della Conferenza episcopale - e preghiamo affinché il potere che le deriva dalla sua carica le permetta di affrontarle, con una particolare attenzione ai più vulnerabili tra di noi, per superare le divisioni nel nostro Paese e nel mondo. Siamo pronti a collaborare con lei per la difesa e l'appoggio alla vita e alla dignità di tutte le persone. Il popolo del nostro Paese le ha affidato una grande responsabilità. Come vescovi cattolici le offriamo le nostre preghiere perché Dio le dia forza e saggezza per far fronte alle sfide future. Dio benedica lei e il vicepresidente eletto Biden ora che vi preparate ad assumere le rispettive responsabilità al servizio del nostro Paese e dei suoi cittadini". La Chiesa negli Stati Uniti negli ultimi mesi ha richiamato più volte l'attenzione dei cattolici sulla dottrina sociale, in riferimento soprattutto alla difesa della vita, dal suo concepimento al suo termine naturale - attraverso il documento Forming Consciences for Faithful Citizenship - e, appunto, alla difesa dei più vulnerabili, immigrati in testa, colpiti dalle politiche anticlandestini che in qualche caso, hanno spiegato i presuli, hanno colpito indiscriminatamente intere famiglie di stranieri. Sul fronte etico, l'impegno della Chiesa è quello di scongiurare gli effetti nefasti che potrebbero derivare dall'approvazione del Freedom of Choice Act, un provvedimento che allargherebbe sostanzialmente le maglie rispetto al diritto all'aborto.
Oltre confine, la speranza è invece che le politiche di Washington possano condurre, almeno in prospettiva, a un'attenuazione dei contrasti in diverse aree del mondo. In molti casi c'è coscienza che l'elezione di Obama rappresenta un cambiamento epocale, almeno nell'immagine esterna che trasmette la più grande potenza mondiale. Allo stesso tempo c'è la consapevolezza che le ragioni della politica sono talvolta ostacoli formidabili a ogni tentativo di cambiamento. La speranza, comunque - hanno affermato i vescovi dell'Iraq subito dopo la diffusione dei risultati elettorali - è "che si apra un'era di pace e di concordia, che non ci siano più guerre, anche preventive". È difficile, ha affermato il vescovo di Baghdad dei Latini, Jean Benjamin Sleiman, "dire adesso se Obama sarà migliore di altri che lo hanno preceduto. Certo che gli Usa hanno una strategia a lungo termine qui in Iraq, e dunque legata alla ragion di Stato e non semplicemente ad affari di singole persone. Così, wait and see:  aspettiamo e vediamo". A Barack Obama, ha poi spiegato il vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei, Shlemon Warduni, "chiediamo di governare con amore il proprio Paese, come devono fare tutti i governanti. Come leader di una superpotenza deve governare con giustizia il suo popolo senza dimenticare il resto del mondo. È urgente lavorare per l'unità e la concordia nel mondo per abbattere le divisioni e porre fine alla sofferenza. Faccia del bene all'uomo".
Per il vescovo di Alep dei Caldei, in Siria, Antoine Audo, è "una scelta coraggiosa ed un segno di vera democrazia eleggere come presidente un afroamericano". Il presule prende atto dell'elezione nella quale "molti qui in Siria, ma non solo, speravano. Nel consenso a Obama nei Paesi arabi credo che abbiano influito anche le sue origini musulmane o arabe". La portata e la novità di Obama presidente degli Stati Uniti, ha aggiunto il vescovo di Aleppo, "potrebbe rappresentare per i nostri Governi arabi e musulmani un esempio positivo e provocante per mostrare questa libertà di spirito e di atteggiamento" e nel contempo "aiutare gli Stati Uniti a scrollarsi di dosso, o quantomeno ad attenuare", l'ostilità che il Paese si è attirata in questi ultimi anni e che "rappresenta un vero problema. Spero - ha concluso - in un cambiamento di politica per un futuro di pace anche in Iraq" e nel "ritorno in patria delle migliaia di rifugiati iracheni, anche cristiani, che sono qui in Siria". Di "reale cambiamento" parla anche il vicario apostolico di Bairut, Paul Dahdah:  "Speriamo che con questa elezione la politica mediorientale americana cambi un po':  al centro rimane sempre l'annosa questione del conflitto israelo-palestinese. Se venisse risolta, la pace in questa regione non sarebbe più un problema e sarebbe molto vicina. Anche l'Iraq merita una particolare considerazione. Sono stato in quel Paese per quindici anni e conosco quale dramma stanno vivendo le comunità cristiane di lì. Molti stanno fuggendo da una patria che non li protegge". Infine, dall'India arriva il commento del presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Oswald Gracias, il quale ha spiegato che prega in modo speciale perché l'impegno di Obama a "favore della vita" sia "buono":  "L'elezione del presidente Obama - ha detto - porta alla Chiesa dell'India molta gioia e speranza. La storica vittoria di un afroamericano a presidente degli Usa riflette l'efficacia della democrazia". Si tratta, ha detto il cardinale, di "un enorme risultato che la società americana ha conquistato in pochissimo tempo. Solo quarant'anni fa la gente soffriva di discriminazione e pregiudizio, e oggi quella stessa gente ha eletto un presidente afroamericano. Quest'apertura è un'opportunità per tutte le società e rafforza la società indiana e le sue speranze".


(©L'Osservatore Romano - 7 novembre 2008)
zsbc08
00venerdì 7 novembre 2008 09:35
In California aboliti i matrimoni omosessuali



In California aboliti
i matrimoni omosessuali


Los Angeles, 6. I matrimoni omosessuali tornano fuorilegge in California. Approvando con una percentuale di oltre il 52 per cento il cosiddetto Proposition 8 (proposta numero 8) i californiani hanno sancito che il matrimonio è l'unione tra un uomo e una donna, rimettendo così in dubbio la legalità di migliaia di matrimoni tra omosessuali celebrati negli ultimi quattro mesi e mezzo. Secondo il locale ministro della giustizia Jerry Brown, i matrimoni già celebrati rimarranno validi ma diversi attivisti gay temono ricorsi da parte di organizzazioni contrarie alle unioni. Quello sui matrimoni omosessuali era uno dei numerosi referendum che la California tradizionalmente organizza in occasione di tutte le principali elezioni, ed era considerato probabilmente il più controverso. All'inizio della campagna il "no" al bando veniva dato ampiamente in testa, visto il carattere tradizionalmente liberal della California, che per esempio autorizza, entro certi limiti, l'adozione da parte delle coppie omosessuali e riconosce ai conviventi diritti analoghi a quelli delle coppie sposate. È stato verosimilmente l'elettorato cattolico - in crescita nel Golden State, dove gli ispanici sono sempre più numerosi - a contribuire all'approvazione della riforma. Secondo i dati più recenti della Conferenza episcopale, i cattolici costituiscono il 28,6% della popolazione, pari a quasi dieci milioni e mezzo di persone. Attualmente i matrimoni omosessuali sono autorizzati solo in Massachusetts, da diversi anni, e nel Connecticut, da pochi mesi. Sempre ieri, due altri referendum sui matrimoni tra persone dello stesso sesso sono stati vinti dai fautori del "no" alle unioni omosessuali in Florida e in Arizona.
Intanto, contro il Proposition 8 sono state avviate già tre cause legali da parte dell'American Civil Liberties Union, della Lambda Legal, del National Center for Lesbian Rights, delle contee di San Francisco, Los Angeles e Santa Clara e del legale della prima coppia omosessuale legalmente sposata nello Stato. L'emendamento approvato con il voto popolare era invece stato proposto da un'ampia coalizione di gruppi religiosi e conservatori.



(©L'Osservatore Romano - 7 novembre 2008)
zsbc08
00sabato 8 novembre 2008 09:03
Fede e ragione in John Henry Newman e Joseph Ratzinger

Un nuovo e più ampio senso della razionalità


di Luca M. Possati

"Con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo".
Era il 12 settembre 2006 quando, con queste parole pronunciate nell'aula magna dell'università di Ratisbona, Benedetto XVI evocava la necessità di riscoprire l'amicizia tra fede e ragione, quella "coesione interiore nel cosmo della ragione" superiore a ogni scetticismo, autentico approdo di una critica della razionalità moderna non negativa, distruttrice, bensí capace di introdurre un allargamento del concetto stesso di ragione, dall'interno del quale ritrovare l'aspirazione umana alla verità, e quindi la ragionevolezza della fede.
Proprio in quest'urgenza si manifesta con nitidezza una linea di continuità nella riflessione di Benedetto XVI, in profonda sintonia con un altro grande filosofo e teologo, ch'egli stesso definí un "modello", un "grande maestro della Chiesa":  il cardinale John Henry Newman.
All'importanza di un tale dialogo per la Chiesa di oggi, alla sua immensa utilità per far fronte alle sfide lanciate da quella che in tanti chiamano postmodernità - in primis nichilismo e relativismo, con tutte le loro ripercussioni sociali, etiche ed economiche, come confermato dalla più stringente attualità - è stato dedicato l'incontro "Fede e ragione" tenutosi a Roma organizzato dal Centro internazionale degli Amici di Newman - la cui direzione spetta alla Famiglia Spirituale "L'Opera" - alla presenza di numerose autorità accademiche ed ecclesiastiche, tra cui monsignor Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, e il rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Lorenzo Ornaghi. Momento centrale dell'evento, la conferenza del professore Fortunato Morrone, dell'Istituto Teologico Calabro-Catanzaro, sul tema "L'urgenza di una nuova amicizia tra fede e ragione secondo John Newmann e Benedetto XVI".
La questione del dialogo tra fede e ragione investe la vita stessa dell'uomo nella sua estrema concretezza. La fede non è una serie di dottrine separate, da apprendere a memoria, tanto meno un sentimento. È invece un movimento di tutta l'esistenza umana. Questo è un punto molto chiaro, sia per Benedetto XVI che per Newman:  in una prospettiva più ampia, fede e ragione non possono entrare in conflitto, ma convergono spontaneamente verso una sola verità.
"Per i cristiani - ha spiegato Morrone - la passione per la verità scaturisce dall'incontro con Gesù Cristo, che è il senso profondo della nostra vita e dignità. La rivelazione va accolta come sorgente inesauribile di verità. Lo stesso Benedetto XVI ha sottolineato che l'unico mezzo attraverso il quale possiamo pensare in maniera proficua la ragione è la fede, contro ogni uso distorto, ogni applicazione di schemi vuoti, inutili, spesso invocati dagli stessi credenti".
Legati da una comune familiarità con l'opera di sant'Agostino, Newman e Benedetto XVI riconoscono l'importanza delle grandiose possibilità che il progresso della scienza ha aperto all'uomo moderno. Queste non vanno affatto rifiutate. Dio non chiede all'uomo di sacrificare la propria ragione. Il punto è che quest'ultimo si realizza davvero soltanto se fede e ragione si parlano, entrano in dialogo. La scienza stessa, con la sua volontà di obbedienza alla verità, porta in sé un interrogativo che la trascende. Solo così diventa possibile uno scambio tra culture diverse che possa essere pieno di frutti per il futuro dell'umanità. "Il Papa - ha aggiunto Morrone - spinge verso una visione molto più concreta di quella degli empiristi. Rinnegando la fede, l'illuminismo ha appiattito la ragione su uno sterile scientismo, su ciò che è verificabile nell'esperimento; al contrario, un corretto uso della ragione non può che portare alla fede".
Il problema centrale di Newman ne La grammatica dell'assenso (1870) è la scoperta di un nuovo e più ampio senso della razionalità:  possibile credere in qualcosa e non essere capaci di provarlo? Come la mente ha bisogno della percezione, così la fede ha bisogno della coscienza, dell'interiorità quale via maestra per raggiungere l'Assoluto. "La centralità del concetto di coscienza in Newman - scrive Joseph Ratzinger - deriva dalla centralità del concetto di verità e in base ad essa si può comprendere".
Infatti, per Newman "il decidersi della  fede  non è diverso dal decidersi della ragione - ha spiegato Morrone - piuttosto, il primo spinge il secondo a guardare più in alto, al di là di ogni scetticismo". Contro la visione empirista di stampo humeano - per evitare, non solo le derive opposte del materialismo positivistico e del cieco fideismo, ma altresì l'ideale laico della tolleranza, che non significa vero dialogo ma tranquilla convivenza e reciproca sopportazione - Newman propone uno scavo paziente, tenace e aderente alla realtà data per rintracciare le radici a cui si àncora l'itinerario dell'uomo, dalla prima consapevolezza alle forme più complesse dell'intuizione, che da ultimo si proiettano al di là dell'orizzonte stesso del mondo presente.
"Newman parla della fede come origine dello spirito filosofico - ha commentato Morrone - in effetti, che cosa può temere la scienza dal cristianesimo, che fin dal principio si pone come religione del lògos, della ragione creatrice, aperta a tutto quel che è veramente razionale?".



(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2008)
zsbc08
00sabato 8 novembre 2008 09:06
L'analisi dei risultati elettorali secondo il Pew Forum on Religion and Public Life

Il voto dei cristiani e Obama
Quando l'economia è tema etico


di Marco Bellizi

I cristiani degli Stati Uniti hanno votato per Barack Obama nella stessa percentuale del resto dell'elettorato. Ma dove i temi etici sono stati oggetto di particolari attenzioni da parte della Chiesa il candidato repubblicano McCain ha ottenuto preferenze in misura sensibilmente maggiore che nel resto del Paese. Dalle prime analisi delle elezioni presidenziali del 2008 negli Stati Uniti, condotte per il momento sugli exit poll, si ricava come Barack Obama abbia saputo convincere in modo consistente anche l'elettorato cristiano, sia pura in misura maggiore fra gli ispanici. Non solo. Una piccola percentuale dei cristiani praticanti, tradizionalmente schierati con i repubblicani, in questa occasione avrebbe cambiato orientamento. Il Pew Forum on Religion and Public Life, uno dei maggiori istituti statistici del Paese, ha pubblicato un'analisi articolata nella quale si nota come da quasi tutti i gruppi religiosi il candidato democratico abbia ricevuto il voto in quantità eguali o superiori a quelli ricevuti dal candidato democratico John Kerry nel 2004. Ma, chiaramente, con diverse articolazioni. Una consistente differenza persiste ancora fra il sostegno che Obama ha ricevuto dai protestanti evangelici bianchi e i non religiosamente affiliati, chi cioè pur affermando di essere un credente non si ritiene affiliato a nessuna confessione in particolare. Similarmente, una consistente differenza esiste fra coloro i quali frequentano la chiesa regolarmente e quelli che lo fanno meno spesso.
Nella vittoria di Obama nei confronti del candidato repubblicano McCain, il più grande guadagno dei democratici (otto punti percentuali) è stato dunque fra coloro i quali non sono affiliati a nessuna religione in particolare:  i tre quarti di questo gruppo ha appoggiato Obama. Lo stesso gruppo è stato anche quello che in gran parte ha sostenuto i democratici nelle precedenti due elezioni, con il 61% che aveva appoggiato Al Gore nel 2000 e il 67% che ha appoggiato Kerry nel 2004.
Secondo il Pew Forum, i cattolici si sono mossi notevolmente in direzione democratica nel 2008; in totale i cattolici che hanno votato Obama sono stati il 9% in più rispetto a quelli che hanno scelto McCain (rispettivamente 54% e 45%). Al contrario, quattro anni fa i cattolici che avevano votato repubblicano, favorendo George W. Bush rispetto a Kerry erano stati il 52% contro il 47%. Sebbene al momento ancora non ci siano analisi certe, anche dagli exit poll appare evidente come Obama sia andato bene soprattutto fra i Latino Catholics, i cattolici ispanici. I due terzi dei Latinos hanno preferito Obama a McCain, con un incremento di tredici punti percentuali rispetto a quanti avevano votato per il candidato democratico secondo gli exit poll del 2004. Allo stesso tempo, Obama ha guadagnato il 4% di voti fra i white catholics, un incremento quindi minore rispetto a quello ottenuto fra i cattolici in generale. Infatti, nel 2004, i cattolici bianchi avevano favorito - come anche nel 2008 - il candidato repubblicano, sebbene con un più piccolo margine:  tredici punti percentuali di vantaggio repubblicano nel 2004 contro i cinque punti di vantaggio nel 2008.
In aggiunta all'incremento di voti registrato fra gli inaffiliati e fra i cattolici, Obama si è comportato meglio di Kerry anche fra i protestanti. In totale, il 45% di questi ha votato per il democratico, con un incremento del 5% rispetto al 2004. Il guadagno più consistente ottenuto dal neopresidente degli Stati Uniti fra i protestanti è stato fra i non bianchi. È interessante notare tuttavia come l'incremento registrato da Obama sia avvenuto fra i bianchi evangelici (più 5%), gruppo tradizionalmente repubblicano, rispetto ai protestanti bianchi che non si definiscono evangelici.
Ciononostante, una differenza esiste fra i voti dei protestanti evangelici bianchi e la popolazione religiosamente non affiliata. Nel 2008, il 26% dei bianchi evangelici ha votato per Obama contro il 75% appunto dei non affiliati, con uno scarto quindi del 49%. Tale scarto è largamente più ampio di quello registrato nel 2004, quando il 21% dei bianchi evangelici aveva votato Kerry, contro il 67% degli inaffiliati.
Mentre Obama ha guadagnato consenso ai democratici nella maggioranza dei gruppi religiosi, allo stesso tempo, ha mantenuto o migliorato il risultato indipendentemente da quanto i fedeli siano praticanti. Il 43% dei praticanti - vengono considerati tali ai fini di questo studio i fedeli che frequentano i servizi religiosi almeno una volta a settimana - ha votato Obama, contro il 39% che aveva votato Kerry. E l'incremento è particolarmente pronunciato nel sottogruppo composto da chi partecipa ai servizi religiosi più di una volta a settimana (sempre il 43% contro però il 35% di chi aveva appoggiato Kerry nel 2004). Obama ha poi ottenuto il voto del 57% degli elettori che frequentano solo occasionalmente la chiesa (nel 2004 Kerry aveva ottenuto il 53%). Fra chi dichiara di non frequentare mai la chiesa Obama ha poi ottenuto il 67% dei voti contro il 62% di Kerry.
Gli exit poll dimostrano quindi come ci sia stato un sia pur minimo movimento fra i praticanti e i non praticanti democratici. Infatti mentre la differenza nel 2008 è stata del 24% (43% a favore di Obama fra i praticanti rispetto al 67% dei non praticanti), nel 2004 lo scarto era del 23%. A dimostrazione, ancora una volta, che il candidato democratico nel 2008 è riuscito a guadagnare consensi, sebbene in minima parte, anche fra gli elettori che tradizionalmente votavano per i repubblicani.
In generale, gli exit poll rivelano come la composizione religiosa dell'elettorato nel 2008 rifletta sostanzialmente quella del 2004. La porzione cattolica dell'elettorato è rimasta sostanzialmente stabile (il 27%) così come quella degli inaffiliati (11% contro il 10%). L'elettorato bianco evangelico è stato invece del 23% rispetto al 20% di quattro anni fa. Ma sono diminuiti gli elettori che dichiarano di frequentare la chiesa più di una volta a settimana (12% contro il 16%).
Gran parte degli analisti che in queste ore stanno analizzando il voto, sono d'accordo sul fatto che gli elettori hanno basato la loro scelta in primo luogo su questioni come l'economia, l'assistenza sanitaria e la guerra in Iraq, piuttosto che su questioni sulle quali tradizionalmente si incentrano le preoccupazioni religiose, come l'aborto o le unioni fra persone dello stesso sesso. L'agenzia Catholic News Service riporta a questo proposito alcune dichiarazioni fatte da Stephen Schneck, direttore del Life Cycle Institute presso la Catholic University of America nel corso di una teleconferenza sponsorizzata dall'organizzazione Faith in Public Life:  per i cattolici, soprattutto in tempi di crisi, anche l'economia è una questione morale, ha detto Schneck. Mark Gray, ricercatore associato del Georgetown University's Center for Applied Research in the Apostolate, ha indicato poi alcuni Stati nei quali gli elettori cattolici hanno votato per McCain in misura maggiore rispetto al resto degli elettori dello Stato. In Missouri, per esempio, McCain e Obama hanno ottenuto entrambi il 50% dei voti. I cattolici dello stesso Stato hanno invece scelto il candidato repubblicano con una percentuale del 55%. In Pennsylvania Obama ha invece ottenuto, a sua volta, il 55% ma McCain ha vinto fra i cattolici (52%).
Ciò che distingue questi Stati, ha spiegato Gray, è che in ciascuno di essi almeno un vescovo ha fatto dichiarazioni nelle quali si è evidenziata la spinta agli elettori a votare per il partito favorevole a una revisione della sentenza Roe vs Wade, la decisione della Corte Suprema che nel 1973 ha virtualmente introdotto l'aborto a richiesta.
Va precisato tuttavia che sebbene la Conferenza episcopale degli Stati Uniti nel documento Forming Consciences for Faithful Citizenship abbia sottolineato l'importanza del tema dell'aborto al momento del voto, allo stesso tempo ha lasciata aperta la possibilità che i cattolici possano in buona coscienza votare candidati che non siano a favore della revisione della Roe vs Wade. "Votare in tal modo - è stato detto - potrebbe essere permesso solo per ragioni morali realmente gravi, non per sostenere interessi ristretti o di parte o per ignorare un fondamentale male morale". Ciononostante, il vescovo di Scranton, Joseph Francis Martino, ha scritto una lettera ai fedeli della diocesi e ha diffuso un video nei quali affermava che la questione dell'aborto va considerata preminente rispetto a qualsiasi altra al momento del voto. Secondo Schneck sembra che "gli sforzi del vescovo Martino e di altri presuli hanno avuto effetto nel mettere in evidenza la questione pro vita presso i cattolici della Pennsylvania".



(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2008)
zsbc08
00domenica 9 novembre 2008 13:33
Il Papa: mai più l'orrore dell'antisemitismo
Da: RaiNEws24.it

Roma | 9 novembre 2008
Il Papa: mai più l'orrore dell'antisemitismo
Ratzinger
Ratzinger

Mai piu' si ripeta l'orrore dell'antisemitismo e della discriminazione: lo ha detto oggi papa Benedetto XVI, ricordando il 70/esimo anniversario della "Notte dei Cristalli", con cui i nazisti cominciarono la persecuzione degli ebrei.

"Ricorre quest'oggi - ha detto il Papa alla fine dell'Angelus - il 70/esimo anniversario di quel triste avvenimento, verificatosi nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, quando si scateno' in Germania la furia nazista contro gli ebrei. Furono attaccati e distrutti negozi, uffici, abitazioni e sinagoghe, furono anche uccise numerose persone, dando inizio alla sistematica e violenta persecuzione degli ebrei tedeschi, che si concluse nella Shoah".

 "Ancora oggi - ha confessato il pontefice tedesco - provo dolore per quanto accadde in quella tragica circostanza, la cui memoria deve far si' che simili orrori non si ripetano mai piu' e che ci si impegni , a tutti i livelli, contro ogni forma di antisemitismo e discriminazione, educando sopratutto le nuove generazioni al rispetto e all'accoglienza reciproca". "Invito inoltre - ha concluso - a pregare per le vittime di allora e ad unirvi a me nel manifestare profonda solidarieta' al mondo ebraico".

Il Papa denuncia le atrocità in Congo
Papa Benedetto XVI e' tornato oggi a denunciare le "sistematiche atrocita"' che si stanno compiendo nella regione africana del Nord Kivu, nella repubblica Democratica del Congo, e, nell'esprimere la sua solidarieta' alle vittime, ha rivolto un appello - durante l'Angelus - perche' "tutti collaborino al ripristino della pace in quella terra da troppo tempo martoriata, nel rispetto della legalita' e sopratutto della dignita' di ogni persona".

Benedetto XVI: aumento drammatico dei prezzi
Papa Benedetto XVI, alla fine dell'Angelus domenicale, ha denunciato "l'aumento dei prezzi di alcuni alimenti di base", che ha reso ancora "piu' drammatico" il grave e complesso problema della fame nel mondo

"Si celebra oggi in Italia - ha detto il Papa - la Giornata del ringraziamento, che quest'anno 'ha per tema 'Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare'. Unisco la mia voce a quella dei vescovi italiani che, a partire da queste parole di Gesu', attirano l'attenzione sul grave e complesso problema della fame, reso piu' drammatico dall'aumento dei prezzi di alcuni elementi di base". "Prego - ha aggiunto - per il mondo rurale, specialmente per i piccoli coltivatori dei paesi in via di sviluppo. Incoraggio e benedico quanti si impegnano perche' a nessuno manchi un' alimentazione sana e adeguata: chi soccorre il popolo soccorre Cristo stesso".

zsbc08
00lunedì 10 novembre 2008 09:53
Fede e ragione tra verità e libero arbitrio

Le goffe contraddizioni
dello scientismo

 

L'ultimo numero della rivista bimestrale "Vita e Pensiero" - che esce la prossima settimana - interviene nel dibattito sul tema del rapporto tra scienza e religione con un articolo che pubblichiamo quasi integralmente. L'autore è un ministro della Chiesa anglicana, fisico e vincitore nel 2002 del Premio Templeton proprio per i suoi studi sulla materia trattata in questo contributo.

di John Polkinghorne

 

Ho trascorso metà della mia vita studiando fisica teorica, lavorando nel campo delle particelle elementari. La mia passione era usare la matematica per comprendere il comportamento delle più piccole unità della materia. Poi, nel 1979, ho lasciato la mia cattedra a Cambridge per seguire una vocazione completamente diversa:  ho cominciato a prepararmi per diventare sacerdote nella Chiesa d'Inghilterra.
In ogni occasione sottolineo che non ho lasciato la fisica perché deluso da questa scienza. Ho in grande considerazione la capacità della fisica di capire la realtà naturale e conservo un vivo interesse per i progressi di questo settore della ricerca scientifica. Ho semplicemente sentito che - dopo aver dato, per 25 anni, il mio piccolo contributo alla scienza - era ora di provare a fare qualcosa di diverso. Fin da ragazzo sono stato cristiano, e la fede religiosa occupa il centro della mia vita; perciò abbandonare la condizione di laico e diventare sacerdote mi è parsa una scelta naturale. Poi, dopo alcuni anni di servizio in parrocchia, sono tornato - restando prete - al mondo accademico di Cambridge perché, nel frattempo, ero arrivato a una chiara e ferma conclusione. Avendo sperimentato i due ruoli di scienziato e di sacerdote, mi ero convinto che il modo migliore di soddisfare la mia vocazione sarebbe stato quello di pensare e scrivere su un tema di stringente attualità:  come la scienza e la fede possono collaborare fra loro.
Mi sono proposto di dedicarmi alla scienza e alla fede con uguale impegno. Le considero complementari fra loro. Hanno in comune una caratteristica molto importante:  entrambe credono nell'esistenza di una verità da cercare e da trovare, una verità il cui raggiungimento richiede una ben motivata convinzione. Naturalmente i due tipi di ricerca vedono la realtà da differenti punti di vista; la scienza studia i processi materiali del mondo, la religione s'interessa di questioni più profonde:  indaga sul senso della vita, s'interroga sull'esistenza di un significato soprannaturale e su un obiettivo che si trova al di là di ciò che accade. Come un esploratore in viaggio ha bisogno di un binocolo più che di una sola lente, così io sono convinto di dover contare sul duplice sostegno della scienza e della religione, per poter operare con giustizia nella profonda e ricca realtà del mondo in cui vivo. Di me stesso e di alcuni miei colleghi che hanno compiuto la mia scelta, penso che siamo scienziati-teologi che operano veramente "con due occhi".
Un'importante differenza tra la scienza e la religione è che nella scienza tutte le precedenti acquisizioni si accumulano. Io sono un fisico come tanti altri ma, poiché vivo all'inizio del xxi secolo, sull'universo so molto di più di quanto potesse saperne Isaac Newton più di tre secoli fa, benché lui fosse un grande genio. Non è necessario che io legga i suoi Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, nonostante sia uno dei classici del pensiero umano. Sembrerò presuntuoso, ma dal tempo di Newton, specie negli anni dal 1950 al 1980, si sono accumulate una quantità incalcolabile di scoperte.
E quello che ho detto a proposito di Newton vale per James Clerk Maxwell (1831-1879), il cui Trattato sull'elettricità e il magnetismo ci appare oggi quasi grossolano - e chiedo scusa a Maxwell per questo aggettivo. Le attuali conoscenze sull'elettromagnetismo sono molto più raffinate, grazie all'elettrodinamica quantistica. E poi oggi conosciamo nei particolari la struttura dell'atomo. Solo mezzo secolo fa, i fisici delle alte energie erano convinti che le particelle di base fossero protoni e neutroni. Venticinque anni dopo, un contrordine:  protoni e neutroni sono particelle composite, formate da quark e gluoni.
Nel campo della religione, la conoscenza si forma diversamente. È chiaro che io debba leggere la Bibbia. Tutte le tradizioni religiose guardano a quelli che sono i loro eventi fondanti, e il dialogo che ne segue deve spaziare attraverso i secoli perché non può essere confinato alla sola scena contemporanea. Nella storia del pensiero filosofico-religioso, ogni generazione ha contribuito alla riflessione con l'apporto delle proprie intuizioni. Ma le intuizioni dei pensatori del passato non sono affatto superate, anzi sono utilissime per lo studioso di oggi, anche se possono richiedere un riesame alla luce delle acquisizioni della conoscenza odierna.
Per me, due grandi campioni e maestri - direi "eroi - sono Agostino e Tommaso d'Aquino. Il progresso non si ottiene abbandonando il passato, ma incorporandolo nel presente in modo consono. È chiaro che non possiamo prendere le intuizioni dei pensatori del passato senza sottoporle alla nostra analisi. Ogni generazione è tenuta a far proprie le conoscenze e la cultura religiosa che ha ereditato e a renderle attuali nel proprio tempo e con i propri mezzi. Per noi, nel xxi secolo, questo significa dare impulso al dialogo tra scienza e religione, che è una grande necessità.
Oggi una delle questioni più pressanti è capire come potrebbero correlarsi l'una all'altra le grandi tradizioni religiose presenti nel mondo. Penso che un interesse condiviso con la scienza possa costituire un punto d'incontro vantaggioso per tutti. Una delle iniziative formulate proprio secondo questo criterio è Science and Spiritual Quest - Scienza e Ricerca Spirituale - progetto attualmente sostenuto dalla John Templeton Foundation che vuole dimostrare che il conflitto fra scienza e fede - di cui si legge e si sente parlare spesso - in realtà non esiste. Questi due mondi dovranno forse restare separati, come due torreggianti istituzioni che si contrappongono l'una all'altra, e fra di loro hanno solo un fragilissimo ponte che le colleghi? Oppure possiamo sperare in una sorta di filosofia e teologia della scienza che, intellettualmente onesta, sia capace di integrare i due sistemi?
A queste domande si può dare una risposta preliminare:  non c'è conflitto fra scienza e religione - almeno quella cristiana - e non c'è stato neanche in passato. Anzi, tutti i pionieri della scienza moderna appartenevano alla cultura cristiana o giudaica. E questo particolare non è affatto accidentale. C'è, naturalmente, un conflitto tra la religione e l'ateismo, un tipo di ateismo che ha abbandonato il credo materialistico - caduto sotto il peso delle proprie contraddizioni - e ora adotta il fisicalismo, dottrina filosofica avanzata dal Circolo di Vienna - culla del neopositivismo - secondo la quale anche le scienze morali devono sottostare ai criteri metodologici della fisica. In pratica, si cerca di usare il prestigio della scienza per sostenere una visione ateistica del mondo, che si contraddice da sola. Uno dei temi che dibatto più spesso con quanti mi scrivono riguarda il libero arbitrio dell'uomo. Dobbiamo ritenere che Dio limiti la propria onniscienza per permettere all'uomo di esercitare la propria libera volontà? A tutta prima la questione può sembrare molto, troppo semplice.
In partenza bisognerebbe stabilire se il tempo è lineare o ramificato. Supponiamo che sia già fissato che il 1° luglio 2010, nonostante le attese, John non sposerà Betsy; allora i due non hanno scelta. Non c'è ragionamento che tenga, secondo l'interpretazione naturale è poco probabile che in questo caso sussista il libero arbitrio.
Non pochi filosofi, per la verità, provano ad argomentare che non esiste contraddizione in termini:  il libero arbitrio è compatibile con il determinismo. Io però preferisco battere una mia via, che mi convince di più ed è una spiegazione assolutamente compatibile con l'onnipotenza di Dio. Oltretutto nessuno sa esattamente come il tempo appare a Dio. Il mio punto di vista è che, per garantire il libero arbitrio dell'uomo, non sia affatto necessario ritenere che Dio limiti la propria capacità di conoscere il futuro. Io penso che un mondo che può contenere esseri dotati di libera scelta deve essere aperto al futuro, come un mondo del vero divenire. Allora Dio lo conoscerà davvero, secondo la sua vera natura, cioè nel suo effettivo trasformarsi e divenire. La conseguenza è una divina scelta nei confronti del tempo, che non comporta la conoscenza di tutti i dettagli del futuro.
Questa mi sembra la via di cui parla la Bibbia a proposito del rapporto tra Dio e le creature. Tuttavia questo argomento è complesso e controverso, e la nostra comprensione al riguardo è molto limitata. Del resto, l'idea di un Dio che conosce sempre e di colpo l'intera storia del tempo ha avuto molti sostenitori, tra cui Agostino e Tommaso.
Alla domanda sul libero arbitrio se ne aggiunge subito un'altra, strettamente legata alla prima. Se Dio è buono e onnipotente, perché permette che le creature soffrano e incontrino il male? Questa è una domanda che continuamente tormenta il credente. È l'antica questione della "teodicea", parola ideata dal filosofo Leibniz, che alla lettera significa "giustificazione di Dio" e si riferisce all'esistenza del male nel mondo e al libero arbitrio dell'uomo. L'esistenza del male nel mondo sarebbe una prova dell'inesistenza di Dio, secondo i più duri fra gli scienziati materialisti, in particolare secondo Richard Dawkins, il quale ha scelto la fede religiosa come bersaglio di tiri incessanti. Secondo lui, la fede è "un'allucinazione", mentre l'ateismo poggerebbe su incrollabili basi razionali. Ma si contraddice perché i suoi attacchi sono retorici e privi di argomentazioni logiche.
Scrive Dawkins che in un universo "di cieche forze fisiche, non vi è né ragione né giustizia" e chiama Dio "l'orologiaio cieco". Il suo cupo giudizio dimostra soltanto che è certa scienza a rivelarsi cieca, quella scienza che si è bendata gli occhi davanti alla possibilità di distinguere il bene e il male. Torniamo al libero arbitrio e alla scelta tra bene e male, con una premessa:  perché Dawkins non si rivolge a me e ai colleghi che, come me, sono al tempo stesso scienziati e credenti? Noi non studiamo il mondo fisico per trovare prove dell'esistenza di Dio; al contrario, ci basiamo sull'esistenza di Dio per comprendere come si è evoluto il mondo fisico che ci circonda. Il Creatore, donando l'amore alle sue creature, ha fatto loro il dono della libertà.
Alla domanda di Dawkins - può esistere un Dio che consente all'uomo di commettere il male e le peggiori nefandezze? - io rispondo con un'altra domanda:  a una realtà caratterizzata dall'esistenza del male e dalla possibilità di commetterlo, preferiremmo forse un teatro di burattini, cioè un mondo fatto di esseri assolutamente telecomandati, cioè di autentici automi? No. Meglio un mondo di creature che possono peccare, ma hanno ricevuto da Dio la libertà di azione:  quello che io chiamo lo "spazio metafisico" per essere sé stessi, per autorealizzarsi.
Ma, fra gli scienziati non credenti, ce ne sono molti ai quali non sfugge la potente esperienza di coscienza che l'uomo prova quando sceglie di compiere il bene. Questi scienziati si rendono conto che l'intuizione etica è un segno della dimensione trascendente della vita. Ma non sanno proprio come conciliare questa consapevolezza con la loro filosofia atea. C'è l'altruismo fra consanguinei, studiato dal pensiero evoluzionista - si tratta di proteggere il pool di geni della famiglia, per garantirne la sopravvivenza. C'è l'altruismo reciproco - io aiuto te, in vista dell'aiuto che tu darai a me quando ne avrò bisogno.
Ma che dire dell'altruismo del tutto disinteressato, per esempio quello che spinse la polacca Irena Sendlerova a rischiare ripetutamente la vita per salvare 2500 bambini ebrei intrappolati nel ghetto di Varsavia? Questa eroica donna, morta a 98 anni il 12 maggio scorso, non riusciva a darsi pace per non aver potuto sottrarre alla morte altre piccole vite.
Per risolvere le questioni sollevate dalla teodicea, che Dawkins non riesce a capire, un concreto aiuto viene ai teologi proprio dalla scienza e, in particolare, dalla scoperta che i processi naturali sono inestricabilmente agganciati fra loro. Cercando di conoscere come funziona il mondo, la ricerca scientifica è arrivata alla conclusione che i processi naturali non possono essere separati l'uno dall'altro, in modo che il Creatore possa conservare e convalidare quelli che producono buone conseguenze ed eliminare quelli che hanno conseguenze cattive. Per esempio, il processo di mutazione genetica ha prodotto nuove forme di vita, ma ha anche dato luogo a forme degenerative.
Insomma, l'integrità della Creazione presuppone un "tutto compreso"; non si può avere l'uno senza l'altro, potremmo dire oggi, ricorrendo a una formula commerciale che, in questo caso, appare forse troppo divulgativa. John Humphrys, intervistando Dawkins per la Bbc, si chiede perché non si sia ripetuto un intervento divino, questa volta per impedire il male. Ma io credo che un intervento del genere avrebbe potuto aver luogo soltanto in un mondo magico, non nel nostro mondo, perché il Creatore non è un mago capriccioso. Che le cose, nel nostro mondo, stiano come stanno non è dovuto a indifferenza divina; è soltanto il costo necessario di una creazione cui il Creatore ha accordato la libertà di essere se stessa, nel bene e nel male.
A questo punto possiamo vedere un altro aspetto del rapporto tra fede e ragione. Non le divide una rivalità né un'inevitabile contraddizione. La fede religiosa non comporta affatto che si debbano accettare, con obbedienza cieca, credenze immotivate imposte da un potere superiore. È esattamente il contrario. Con la fede ci si impegna in una forma di credenza motivata; dalla ragione scientifica la fede differisce solo per la natura del soggetto, e per il tipo di motivazioni che la caratterizzano. La scienza mette a segno i propri successi perché le sue ambizioni sono modeste, in quanto considera soltanto esperienze impersonali, che possono essere ripetute a volontà. L'esperienza personale, invece, ci permette di incontrare la realtà transpersonale di Dio, mentre lo scientismo che cosa ci offre? Un mondo di sistemi meta-stabili che processano l'informazione, senza spazio per la persona. E i sistemi meta-stabili sono quelli in cui la condizione di equilibrio regge finché non sopraggiunge un'energia anche minima che spezza lo stato di inerzia. Tutto ciò ci riporta a Richard Dawkins e alla sua incapacità di credere nel potere dell'immaginazione come forza per esplorare la realtà. Di Dawkins è stato detto che "sembra voler sostituire Re Lear con una serie di rapporti e casi clinici sulla demenza senile". Ma il dibattito sul rapporto tra scienza e fede non farà alcun progresso se chi vi partecipa non avrà maturato la convinzione che la questione della verità è essenziale tanto per la religione quanto per la scienza. La religione non ha l'accesso alla prova assoluta delle proprie credenze. Ma non lo possiede neanche la scienza.



(©L'Osservatore Romano - 9 novembre 2008)

zsbc08
00lunedì 10 novembre 2008 09:54
 Settecento anni fa moriva il filosofo e teologo francescano

Duns Scoto
sulle tracce dell'infinito

 

"Pro statu isto. L'appello dell'uomo all'infinito" è il titolo del convegno organizzato a Milano dal Dipartimento di Filosofia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con la Provincia dei Frati minori della Lombardia nel settimo centenario della morte di Giovanni Duns Scoto. Pubblichiamo alcune parti dell'intervento introduttivo.

di Alessandro Ghisalberti
Università Cattolica del Sacro Cuore

"La nostra volontà può desiderare o amare qualcosa di più grande di qualsiasi fine limitato, come l'intelletto può, dal canto suo, conoscerlo. Sembra anzi che la volontà possieda un'inclinazione ad amare sommamente il Bene infinito. Infatti l'esistenza di un'inclinazione naturale nella volontà verso una cosa si arguisce dal fatto che la vuole prontamente e gioiosamente, pur non avendone l'abitudine. Ora, la volontà libera - come ci sembra di percepirla attraverso l'amore del Bene infinito - non riposa perfettamente che nel Bene sommo". Così scrive Giovanni Duns Scoto nel trattato De primo principio mentre parla dell'infinità di Dio.
La stessa considerazione è sviluppata nell'Ordinatio, dove è costruita come terza via per dimostrare l'infinità di Dio. L'esperienza interna dell'uomo, a parere di Duns Scoto, suffraga queste due constatazioni:  la volontà umana, il cui oggetto è il bene, non si appaga mai nel possesso di un bene finito; il desiderio dell'uomo è sempre pronto ad appetere et amare qualcosa di maggiore, un bene più grande di qualsiasi bene finito dato. Inoltre, la volontà mostra la propria naturale inclinazione ad amare al massimo un bene infinito:  l'inclinazione naturale della volontà verso qualche cosa è infatti evidenziata dal fatto che di sua iniziativa, senza un previo abito, vuole quella cosa prompte et delectabiliter, ossia immediatamente e con appagamento del desiderio, e tale è l'inclinazione della volontà umana verso il bene infinito.
Questi dati consentono di concludere non solo che l'uomo esperisce attualmente in sé il desiderio di amare un bene infinito, ma altresì che la volontà umana non sembra acquietarsi in modo perfetto in nessun altro bene. La conferma è data dal fatto che l'uomo odia il non-essere, ossia la natura razionale rifugge da tutto ciò che si configura come distruttivo dell'ordine ontologico:  se il bene infinito risultasse qualcosa di impossibile e di assurdo, qualcosa di contrario all'oggetto del volere umano, la volontà lo odierebbe, ossia lo rifuggirebbe istintivamente.
L'argomentazione di Duns Scoto mira a stabilire l'infinità come caratteristica di Dio (...). La qualifica dell'infinità esprime per il Dottor Sottile il vertice della perfezione formale di Dio; per l'uomo, l'infinità è il concetto più elevato che possa avere di Dio in questa vita, e perciò il nostro maestro si era premurato di mostrare preliminarmente la non ripugnanza dell'infinità all'ente:  enti non repugnat infinitas.
Non c'è contraddizione tra il concetto di ente e il concetto di infinito, perché l'intelletto non prova alcuna ripugnanza nel pensare qualcosa di infinito, lo vede anzi come l'intelligibile più perfetto. L'aspirazione della volontà dell'uomo a un bene infinito non si presenta come una passione inutile o irrazionale di un soggetto inappagato dai risultati delle proprie azioni; essa è calata in un fondo di razionalità, quella per cui si è potuto stabilire che non solo il concetto di infinito non è intrinsecamente contraddittorio, ma anzi è, secondo le parole stesse di Duns Scoto nell'Ordinatio "il concetto insieme più perfetto e più semplice a noi possibile".
L'intuizione come la fruizione diretta di un ente-bene caratterizzato dall'infinità non è tuttavia garantita all'intelletto finito e alla volontà finita dell'uomo viatore:  l'infinito è ovviamente obiectum naturale di un intelletto e di una volontà naturalmente infiniti. Da ciò traiamo una prima considerazione (...):  affermando l'esistenza di un essere infinito nell'ordine delle conoscenze, si afferma contemporaneamente l'esistenza di un ambito di conoscenze eccedente l'orizzonte delle conoscenze intellettive dell'uomo; l'intelletto infinito di Dio istituisce un sapere transmetafisico, ossia si deve ammettere che all'affermazione dell'esistenza dell'infinito consegue l'affermazione dell'ordine delle conoscenze proprio dell'essere infinito, ulteriore a ogni sapere metafisico dell'intelletto umano, e che nel linguaggio di Duns Scoto è definito la theologia in se, naturalmente intenzionata dall'intelletto divino e alla quale l'uomo ha accesso solo se una rivelazione positiva gliene offre dei contenuti articolati e resi comprensibili dalle forme del linguaggio umano.
La rivelazione appare così in una prospettiva che dice la compatibilità e l'intrinseca coerenza tra l'ordine delle conoscenze dell'intelletto umano e l'ordine delle verità rivelate, proprio perché la dimostrazione dell'esistenza dell'infinito comporta l'ammissione dell'esistenza di un sapere infinito, per sua natura sottratto all'intelletto del metafisico. La rivelazione di alcuni contenuti di questo sapere infinito assume perciò i connotati di coerente supporto alla natura dell'intelletto umano, che non dispone in proprio di possibilità alcuna di accedere per altra via alla conoscenza di quel sapere infinito, di cui ha peraltro dimostrato l'esistenza.
Una seconda considerazione consegue alla connessione esplicita operata da Duns Scoto parlando dell'infinitas Dei, tra la natura dell'intelletto divino che deve avere simultaneamente presente un'infinità di oggetti, dall'eternità, distintamente e indipendentemente dalla loro esistenza, e la volontà onnipotente o potenza causale atta a creare una infinità di cose, ossia la perfezione dell'efficienza propria della causa di tutto l'essere attuale e possibile.
L'aspirazione umana a un bene infinito risulta non velleitaria e non contraddittoria proprio perché l'infinità non ripugna all'intelletto e al volere; non siamo dunque in una prospettiva di "volontarismo", non siamo di fronte a una prevaricazione che attribuisce alla volontà totale autonomia rispetto all'intelletto, come spesso la storiografia della prima metà del Novecento ha scritto in riferimento a Duns Scoto.
Il rigoroso percorso, che consente di pervenire all'affermazione dell'ens infinitum e al riconoscimento della intrinseca validità dell'aspirazione dell'uomo all'infinito, ha messo in risalto lo stretto rapporto tra essere e bene, tra intelligenza e volontà, che la libertà della volontà non potrà mai alterare o sopprimere, perché non potrà mai decidere di annullare la propria natura più intima e costituiva, ossia la strutturale capacità della volontà di amare l'oggetto più amabile, di volere il bene più sommo, di desiderare cioè la fruizione di un bene infinito.
Il "cantore dell'infinito", come qualche studioso ama definire Duns Scoto, offre alla nostra speculazione un itinerario del tutto nuovo e peculiare, che dall'analisi dei tratti caratteristici del volto filosofico di Dio come ente infinito, riesce a dedurre i lineamenti e i connotati del volto dell'uomo; l'infinito svela il finito, rivela i tratti più reconditi e significativi di un soggetto che non solo è capace di conoscere e di amare gli enti finiti o i beni limitati, ma che è strutturalmente aperto alla totalità dell'essere e del bene, al punto che solo un abbraccio con l'infinito può saziare ogni suo desiderio.




(©L'Osservatore Romano - 9 novembre 2008)

zsbc08
00lunedì 10 novembre 2008 09:56

Quando il Dottor Sottile andava a scuola

 

Pubblichiamo alcuni stralci di una relazione tenuta nell'ambito delle "Lezioni Scotiste" organizzate dalla Facoltà di Filosofia e dalla Scuola superiore di studi medievali e francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma.

di Timothy B. Noone
The Catholic University of America Washington

L'ordine fondato da san Francesco non era nato, come quello dei domenicani, per estirpare eresie o, strettamente parlando, per la predicazione. L'insegnamento di una imitazione autentica di Cristo con il loro proprio esempio, come aveva fatto Francesco prima di loro, costituiva il primo e più grande ministero dei fratres minores. In questo senso l'elaborazione di un formale sistema educativo poteva sembrare un'impresa fuori luogo, se non del tutto opposta, all'intenzione fondamentale dell'ordine francescano. E tuttavia i francescani si interessarono sin dall'inizio all'organizzazione dello studio e Francesco stesso, nonostante i suoi molteplici sospetti, sembra averne riconosciuto le potenzialità come strumento per il conseguimento del fine dell'ordine. In circa una decina di anni, dalla morte di Francesco, l'ordine aveva eretto dei centri di studio a Parigi, Bologna, Oxford e Montpellier.
La forma di educazione fondamentale all'interno dell'ordine francescano era teologica e, per il periodo di cui stiamo trattando, scolastica. Statuti che risalgono sino al 1239 (ma certamente standardizzati nel 1260) danno disposizioni circa le tappe che dovevano assicurare la formazione teologica dei frati. Si sperava che ogni convento di circa trenta membri avesse uno o due lettori, che tenessero lectiones sui libri della Bibbia, su un'opera teologica standard come quella delle Sentenze e, di tanto in tanto tenessero delle disputationes su temi prescelti. Per tutto il medioevo il principale desiderio dei francescani era quello di avere lettori a sufficienza per riempire ogni casa o comunità francescana in Europa. E per creare un gruppo di docenti qualificati l'ordine istituì e seguì un programma di formazione nei suoi propri studia generalia, dei quali il più in vista si trovava a Parigi.
Ogni provincia dell'ordine poteva mandare a Parigi due frati per volta per partecipare al lettorato, così era definito il programma formativo per i lettori. Le spese per i due erano a carico della comunità di Parigi, benché sovvenzionate dal capitolo generale dell'ordine (studentes de debito); altri due frati potevano essere iscritti a spese della propria provincia (studentes de gratia). Gli studenti del lettorato non erano studenti universitari e seguivano il loro proprio curriculum ideato dall'ordine, che consisteva principalmente nello studio della Bibbia e delle Sentenze. Dopo il loro lettorato, che durava quattro anni, i frati di solito ritornavano nelle loro proprie province per iniziare l'insegnamento o altri doveri amministrativi.
Il lettorato era l'equivalente di un moderno dottorato nel sistema educativo francescano, distinto dal sistema educativo delle università medievali e coloro che ricevevano questo tipo di formazione erano qualificati per l'insegnamento negli studia delle loro proprie province e per essere riassegnati a studia di altre province. In altre parole, il lettorato, e non il magistero in teologia, era la prova di qualifica o ius ubique docendi nell'ordine francescano. Quanti continuavano per il baccellierato e il magistero in teologia emergevano all'interno del sistema universitario.
Come questa visione d'insieme possa applicarsi a Scoto e alla sua carriera letteraria e d'insegnamento non è del tutto facile da stabilire. Quando Scoto era baccelliere, la sua biografia poteva ancora essere influenzata dal sistema francescano per quanto riguarda la sua attività di insegnamento dal momento che sappiamo che i frati già baccellieri ancora insegnavano filosofia negli studia francescani. Ockham, ad esempio, insegnò le sue opere logiche a Londra dopo che era già baccalaureus formatus.
Certamente molto degli inizi della storia personale di Scoto è legato al destino dello studium francescano di Oxford. A tal proposito una delle più generali difficoltà è che, a differenza del caso di molti studia continentali, vi sono pochi documenti istituzionali sopravvissuti riguardanti direttamente questo e i documenti del capitolo provinciale sono andati in gran parte perduti.
Quanto sappiamo di Oxford è che quando Scoto vi giunse verso il 1280 era già uno studium generale all'interno dell'ordine e aveva i suoi propri corsi per il lettorato. Pertanto, era possibile che ci fosse un insegnamento di filosofia nel convento di Grayfriars e probabilmente ciò a due diversi livelli:  uno di base per i frati che ricevevano l'educazione generale della provincia o che si preparavano al lettorato; un altro per il lettorato degli studenti che compivano ad Oxford il lettorato.
Sebbene molto probabilmente Scoto abbia ricevuto il suo lettorato a Parigi, la sua educazione filosofica sarebbe iniziata prima, forse ad Haddington, dove potrebbe aver completato i tre anni di logica o grammatica necessari per iniziare il processo formativo. I corsi di filosofia veri e propri che egli avrebbe fatto potrebbero essere stati compiuti in uno studium regionale, ma c'è ragione di pensare che la sua filosofia provenisse da Oxford, dal momento che è lì che Duns Scoto si recò, secondo John Mair, dopo aver lasciato la Scozia. Mi sia concesso di completare leggermente il quadro del mondo di Oxford in cui entrò Scoto verso il 1280 e ove rimase, ad eccezione della partenza per il lettorato, sino alla sua partenza per Parigi per leggere le Sentenze nel 1302. I teologi che insegnavano ad Oxford in questo periodo includevano Nicola di Ockam e Ruggero Marston. L'arcivescovo di Canterbury e dunque primate d'Inghilterra era Giovanni Peckam, mentre da qualche altra parte nell'ombra, per così dire, del convento francescano, viveva, almeno ad intermittenza, il rinomato Ruggero Bacone. Inoltre, verso il periodo della morte di Peckam nel 1292, Marston divenne ministro provinciale e fu senza dubbio il provinciale che fece da supervisore alla nomina di Scoto a leggere le Sentenze a Oxford. Da un punto di vista fisico, Grayfriars conteneva una media dai 70 ai 75 studenti e professori. Ciò significava che il numero di residenti nel convento di Oxford era leggermente inferiore alla metà di quanti si trovavano nello studium di Parigi, i cui occupanti erano 173 secondo le lettere di adesione del 1303.
Non ci è possibile sapere con esattezza cosa fu insegnato a Scoto durante il periodo in cui studiò logica e filosofia, benché sopravvivano alcuni documenti che ci aiutano ad individuarne alcuni elementi. Prima di tutto, lo studio della logica probabilmente significò lo studio della logica vetus di Aristotele, anche se lo studio di tali opere poteva essere stato aiutato da compendi come ad esempio si vede nella Summa delle Categorie di Guglielmo di Montoriel, ad opera di un frate e che circolava ad Oxford nel 1280. Secondo, sappiamo da alcune fonti come gli Statuta antiqua Oxoniensia e da opere come lo Scriptum super Metaphisicam di Riccardo Rufo che i libri letti dovevano aver compreso la Fisica, il De anima e la Metafisica di Aristotele, anche se ciò non avrebbe precluso l'uso di commentari e sintesi schematiche di autori come Averroè, Avicenna e, al tempo di Scoto, Tommaso d'Aquino.




(©L'Osservatore Romano - 9 novembre 2008)

zsbc08
00lunedì 10 novembre 2008 09:57
Un corso alla Pontificia Università Lateranense

La fede raccontata col linguaggio della bellezza

 

di Andrea Monda

"La vera apologia della fede cristiana, la dimostrazione più convincente della sua verità, contro ogni negazione, sono da un lato i santi, dall'altro la bellezza che la fede ha generato". Così il cardinale Joseph Ratzinger nel 2002. La Via Pulchritudinis è sempre stata una delle vie più battute all'interno della storia del cristianesimo e il Bello non ha mai sofferto una condizione di minorità rispetto al Vero e al Buono.
Non desta stupore quindi la riedizione per il secondo anno consecutivo del corso sul tema "La bellezza della fede" presso la Pontificia Università Lateranense, voluto e organizzato dall'Istituto Superiore di Scienze Religiose Ecclesia Mater e dall'Ufficio per la Pastorale Scolastica del Vicariato di Roma, corso che è iniziato lo scorso 8 ottobre con la relazione di monsignor Giuseppe Lorizio, preside dell'Ecclesia Mater, sul tema "Dire il sacro, dire il bello. Teologia e letteratura" e si concluderà con la conferenza di don Filippo Morlacchi, dell'Ufficio della Pastorale Scolastica, intorno al Requiem di Verdi rivisitato come itinerario didattico.
Punto di partenza di questa seconda edizione del corso è la provocazione del gesuita Michael De Certau che ormai oltre venti anni fa metteva in guardia sul rischio della possibile "estetizzazione del cristianesimo", sul fatto cioè che "Il corpo degli scritti e dei riti cristiani è percepito, cioè utilizzato come un insieme di belle opere d'arte, poetiche e suggestive". Una cosa bella, il cristianesimo, un fatto estetico, "suggestivo", e nulla più? Da questa provocazione scaturisce l'interrogativo a cui il corso vuole rispondere:  se sia possibile, oggi, trasmettere la fede cristiana con il linguaggio della bellezza, senza snaturarne il messaggio.
Per rispondere i relatori che si alterneranno nelle dodici lezioni previste si inoltreranno e faranno luce all'interno dell'articolato e strettissimo legame intrecciato dalla fede cristiana con la letteratura, il teatro, il cinema e la musica.
Monsignor Lorizio, ispiratore e organizzatore del corso, durante la lezione inaugurale, ha citato Hölderlin e Proust, volendo sottolineare, per il mondo occidentale, l'imprescindibilità della Bibbia, ma anche la sua ambiguità e fragilità, perché "fra l'agire e il parlare di Dio nella storia e le Sacre Scritture non si dà originariamente una relazione di totale equivalenza e corrispondenza", questo in quanto "il termine rivelazione sta a designare l'insieme degli eventi e delle parole attraverso cui Dio si manifesta".
Il relatore ha inteso criticare una sorta di "Bibbialatria" che svuoterebbe il testo sacro del suo valore di rivelazione, a favore di un "fondamentalismo estetico" perché il "biblicismo" - da cui anche l'intervento di Benedetto XVI al recente Sinodo sulla Parola di Dio ha messo in guardia - è uno dei rischi in cui si può incorrere qualora l'interpretazione esegetica non venga adeguatamente accompagnata e sostenuta da una riflessione teologica.
"La Rivelazione infatti - ha spiegato Lorizio - eccede il testo scritto, che va sempre e comunque letto nell'alveo della grande tradizione ecclesiale".
Il richiamo a Benedetto XVI permette una breve riflessione su un tema che sta molto a cuore al Papa, quello della liturgia e con essa della rivalutazione della bellezza della fede. Abbiamo chiesto a monsignor Lorizio se non trovi che nella Chiesa, negli ultimi decenni, si sia invece messo un po' sotto tono questo aspetto estetico, a favore magari dell'aspetto etico della fede.
"A me sembra che oggi si corra piuttosto il rischio di una deriva estetizzante del credere, in stretta connessione con la tentazione di ridurre la fede al livello meramente emotivo, col risultato di una sua progressiva privatizzazione. Altra possibile e fuorviante prospettiva sarebbe quella che lei indica in una sorta di identificazione del credere con l'etica. Lo stadio estetico e quello etico sono importanti per la fede cristiana, ma non ne esauriscono la vitalità. Il carattere prismatico della fede consente di integrare anche il rapporto col bello relazionandolo al bene e al vero, in una feconda circolarità. La cura del bello nel culto è fondamentale perché l'ambito liturgico custodisca il senso del mistero e consenta all'uomo di aprirsi ad esso".
Lorizio tiene ad illustrare quali siano gli obiettivi specifici e le aspettative di questa seconda edizione del corso precisando che "nella precedente abbiamo messo a fuoco soprattutto il rapporto della fede con le arti figurative, mentre ora ci rivolgiamo alla letteratura, alla musica, al teatro e al cinema con il loro strutturale riferimento alla parola-voce, che è dimensione fondamentale della rivelazione stessa. Ci rivolgiamo prevalentemente agli insegnanti di religione cattolica, in quanto ci attendiamo da loro un fecondo rapporto con queste forme del bello che i giovani non solo nella scuola incrociano e vivono".



(©L'Osservatore Romano - 9 novembre 2008)

zsbc08
00lunedì 10 novembre 2008 09:58
Intervista al vescovo di Gizo

Nelle Isole Salomone scuole e ospedali
contro l'odio etnico

 

di Danilo Quinto


Secondo i dati pubblicati nel giugno 2008 dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'odio etnico provoca nel mondo 11,4 milioni di rifugiati al di fuori dei loro Paesi di origine e 26 milioni di sfollati interni fuggiti a guerre o persecuzioni. I gruppi più numerosi tra i rifugiati sono gli afghani, gli iracheni, i colombiani, i sudanesi e i somali, tra gli sfollati interni troviamo ancora i colombiani (fino a 3 milioni secondo la locale Corte costituzionale), seguiti da iracheni, cittadini della Repubblica Democratica del Congo, ugandesi e somali.
Anche i luoghi più impensati sono sede di feroci conflitti di carattere etnico. Nelle Isole Salomone, situate a nord-est dell'Australia, vicino all'equatore, abita un numero imprecisato di gruppi etnici e i conflitti tribali per il controllo del territorio sono stati una costante della storia del Paese. Il conflitto etnico più devastante ha avuto l'obiettivo di espellere gli abitanti dell'isola Malaita, povera di risorse, detti "intrusi", dall'isola di Guadalcanal. Dal 1998, gli attivisti di quest'ultima provincia hanno condotto una campagna per cacciare gli immigrati di Malaita presenti a Guadalcanal dai confini della capitale Honiara. Dopo il trattato di pace firmato nel 2000 a Townsville, in Australia, lo Stato tuttora sta lottando per raggiungere la stabilità politica ed economica.
Henderson, a cinque chilometri da Honiara, è il luogo dove si è sviluppata la missione del padre salesiano Luciano Capelli, ora vescovo di Gizo. Dopo trentaquattro anni trascorsi nelle Filippine, dal 1999, in soli cinque anni e partendo dal niente - come ha raccontato di recente all'agenzia Fides - padre Capelli è riuscito a costruire, con l'aiuto di ragazzi raccolti dalle strade e dei volontari succedutisi nel tempo, un insieme di edifici che sono diventati il Don Bosco Technical Institute e che dal 2005-2006 hanno ospitato duecentocinquanta alunni rifiutati dal sistema scolastico locale.
Il coinvolgimento attivo di molti volontari da Italia, Giappone, Cile e altre nazioni, è stato decisivo sia per portare a termine le strutture sia per le varie attività della scuola. Per anni, Tetere, con i suoi nove villaggi, non ha visto un medico, salvo i volontari italiani, perché i medici abbandonano il sistema sanitario pubblico e gestiscono i loro ambulatori privati; le infermiere locali non vengono pagate regolarmente e così non riescono a gestire gli ambulatori. La mancanza cronica di medicine e il vandalismo sistematico contro gli ambulatori durante gli scontri etnici hanno seriamente compromesso la capacità di servire la popolazione locale. L'area montuosa del nord-est di Guadalcanal ha una popolazione di settemila persone che per anni sono state prive di ogni sorta di assistenza farmaceutica e sanitaria. L'attività missionaria ha consegnato alla vita di questa gente un'altra realtà.

Monsignor Capelli, dove ha avuto inizio il suo apostolato missionario?

Nelle Filippine, nel 1965, dove abbiamo iniziato il lavoro dell'opera salesiana. Dopo la rivoluzione cinese di Mao Zedong, molti missionari che si trovavano in Cina si sono trasferiti nelle Filippine, iniziando a svolgere l'opera di don Bosco attraverso le scuole tecniche. Ci siamo poi sviluppati nelle aree rurali, con le scuole agricole. Poi sono iniziate le prime vocazioni locali. Dopo il decennio di provinciale nelle Filippine, nel 1999 ci siamo spinti più in là, nel centro-sud pacifico, a due ore di aereo tra Polinesia e Papua Nuova Guinea, dove ho conosciuto la città più pericolosa al mondo, Port Moresby, la capitale della Papua Nuova Guinea. È iniziata l'esperienza non avendo niente. Dovevo fondare l'opera. Ho fatto ricerche, intervistato, ci siamo orientati per il lavoro sui giovani, coinvolgendo gli amici della loro tribù, che si chiamano one-tock (della stessa tribù). Abbiamo costruito una scuola, abbiamo insegnato i mestieri di muratori, falegnami, meccanici, alle ragazze il taglio, il cucito, l'educazione domestica. La scuola ospita 360 giovani che frequentano regolarmente corsi tecnici, rifiutati dal sistema scolastico, che è altamente selettivo. Parafrasando don Milani, si potrebbe dire che la scuola pubblica in quel Paese è simile a un ospedale che cura i sani e rigetta gli ammalati.

Quando si è recato nelle Isole Salomone?

Tra il 1999 e il 2000. Abbiamo iniziato lo stesso lavoro che avevamo svolto in Papua Nuova Guinea. Abbiamo tentato di raggiungere uno stile di relazioni che sapessero mettere d'accordo le diverse tribù, tanto che siamo riusciti a mettere insieme due gruppi di tribù, nonostante gli odi e le diversità che avevano tra di loro. Abbiamo anche aperto una scuola in una di queste tribù.

Come si è sviluppato il conflitto etnico?

A Guadalcanal coesistono tantissime tribù; sono benestanti, nell'isola c'è persino una miniera d'oro, vivono di rendita. I residenti nell'altra isola, quella di Malaita, che hanno un carattere forte, sono più acculturati, volevano fare i padroni. La guerra, che è stata devastante, si è conclusa con l'intervento delle forze regionali.

Come opera l'evangelizzazione di fronte all'odio etnico?

L'odio etnico non è solo dovuto a quelle che si vivono come ingiustizie. È legato soprattutto al fattore della terra. La terra è considerata madre e tutte le lotte che sono state fatte tra le tribù diverse, un'isola contro l'altra, una tribù contro l'altra, sono originate dal fatto che una tribù si sente aggredita dall'altra. C'è anche un'altra difficoltà da tenere presente:  le tribù sono di diverso credo religioso, il 40 per cento anglicano, il 20 cattolico, un altro 20 costituito da avventisti del settimo giorno e da metodisti, e poi ci sono gli animisti. L'appartenenza a una Chiesa diversa, è concepita come qualcosa da cui difendersi. Ci siamo trovati gruppi l'uno contro l'altro armati per la difesa dell'isola di Guadalcanal. Perfino i miei parrocchiani divisi. Uno di questi, un giorno mi disse:  "Prima della guerra ero cattolico, dopo la guerra sarò cattolico, ora sono moro (difensore della mia isola)".

Come ha affrontato questa situazione?

Nella chiesa in cui sono stato parroco per cinque anni, mi sono posto un interrogativo:  quali sono i bisogni, le esigenze della nostra gente? Siamo partiti, nella nostra azione, dai bisogni concreti della persona umana, per farli emergere, per affrontarli, per superare insieme la violenza delle lotte etniche, i disastri che avevano seminato e le difficoltà della vita quotidiana. Tantissimi bambini morivano prima e dopo il parto, per la malaria, una piaga devastante, che faceva più morti dell'aids. Nostro obiettivo era innanzitutto quello di restituire una vita dignitosa ai bambini e alle donne. Abbiamo operato quindi con diversi programmi:  un ospedale, un'opera a lungo termine. Ci ha aiutato moltissimo l'idea di dotarci di una piccola radiotrasmittente, diffusa nei villaggi, attraverso la quale parlavamo e diffondevamo notizie e informazioni sull'assistenza medica, sull'educazione. In seguito, abbiamo costituito dieci scuole materne. Così abbiamo affrontato le situazioni di degrado, di mancanza di cultura ed educazione che - come avviene anche in molti luoghi della società occidentale - favoriscono la violenza. Abbiamo riunito i capi delle diverse tribù nella nostra comunità cristiana; abbiamo insegnato loro coltivazioni alternative, come quella del riso, e come far pascolare gli animali. Questo significa rispondere alle esigenze dell'uomo. È pre-evangelizzazione, non evangelizzazione, ma è sicuramente proclamazione del messaggio cristiano.

Vi hanno aiutato anche dei volontari?

Sì. Abbiamo ricevuto l'aiuto di moltissimi volontari italiani e di altri Paesi. Con loro e grazie a loro abbiamo risposto alle esigenze della gente. Ci sono anche tre suore che gestiscono l'ospedale. È un servizio fantastico. Sono nati duecentocinquanta bambini dal mese di febbraio di quest'anno. I dottori hanno svolto un grande lavoro. È stata una cosa che ha unito le tribù:  la malaria che soffrono i cattolici è uguale a quella che soffrono gli anglicani. Sono sempre stato convinto che occorra essere universali per superare il tribalismo e i conflitti etnici.

Lei è da poco più di un anno vescovo di Gizo. Quali sono i problemi che deve affrontare?

Nella diocesi i cattolici ci sono da cento anni. Il 10 per cento della popolazione è cattolica. Ci sono sei parrocchie, con una cinquantina di ispezioni missionarie. Le isole sono distanti l'una dall'altra dalle cinque alle sette ore di barca; per raggiungerle dobbiamo attraversare tratti di mare notevoli; il problema del tribalismo deriva dall'isolamento. Il lavoro che svolgiamo è innanzitutto di assistenza alle famiglie che hanno avuto danni ingenti dallo tsunami e dal terremoto dell'aprile 2007. Appena ordinato vescovo, nell'ottobre 2007, ho ripercorso il tragitto fatto dal vescovo che mi preceduto, padre Lombardi, che aveva coinvolto le persone ed elaborato con loro un documento, che conteneva undici raccomandazioni relative alle priorità da affrontare. Nel corso di un'assemblea molto partecipata, abbiamo ripreso e studiato quegli undici punti e discusso le priorità e i progetti che possono portare a risolvere i problemi. In sei mesi abbiamo fatto un programma per la sopravvivenza immediata.

Quali sono le urgenze e le aspettative?

L'educazione di qualità è la questione più importante, decisiva, considerando che il livello scolastico è pessimo. Poi c'è la necessità di formare i formatori. Lo facciamo anche attraverso l'apporto dei laici, che sono cento e che ci danno un aiuto prezioso. Abbiamo solo un sacerdote diocesano; gli altri cinque prestano servizio presso la nostra diocesi. Le vocazioni stanno crescendo:  quest'anno sono dodici i seminaristi. Abbiamo due piccoli ospedali che dobbiamo ristrutturare, se ce la faremo. Dobbiamo ricostruire edifici e le scuole distrutte ed essere molto attenti alla formazione degli insegnanti. Una priorità della nostra azione è sicuramente l'annuncio del Vangelo, fatto da laici ben preparati. Dobbiamo muoverci più a livello orizzontale, per favorire l'ecumenismo.

Che cosa le sta più a cuore?

Sto cercando in Italia sacerdoti disponibili a diventare missionari da noi. Fino ad alcuni anni fa l'evangelizzazione in Oceania era curata dall'Australia. Ora non è più possibile, perché le vocazioni diminuiscono sempre più. C'è bisogno anche di un aiuto finanziario, perché spostare persone da una tribù all'altra, fare corsi di formazione, richiede molto dispendio di denaro, così come il carburante per muoversi, che costituisce l'uscita più grossa delle spese della diocesi.



(©L'Osservatore Romano - 9 novembre 2008)

zsbc08
00martedì 11 novembre 2008 15:56
Staminali, il Vaticano contro il prelievo di quelle embrionali
Da: RaiNews24.it

Roma | 11 novembre 2008
Staminali, il Vaticano contro il prelievo di quelle embrionali
Cellule staminali
Cellule staminali

Il Vaticano, per voce del presidente del pontificio consiglio per la Salute, card.Javier Lozano Barragan, conferma la sua contrarietà al prelievo di cellule staminali da embrione, incoraggiando invece l'utilizzo di quelle estratte da cellule adulte o da cordone ombelicale. "Le staminali embrionali - ha detto - non servono a nulla", mentre "si sono ottenuti ottimi risultati con il prelievo da cordone ombelicale o da cellule adulte ed emopoietiche". Lo ha detto il card.Barragan presentando un convegno internazionale sulla "pastorale nella cura dei bambini malati".

Il no all'uso di cellule staminali embrionali "vale per tutti", ed è quindi rivolto anche agli Stati Uniti. Lo ha ribadito il presidente del Pontificio consiglio per la Salute, card. Javier Lozano Barragan, rispondendo ad una domanda riferita alla revisione delle norme in materia ventilata dal nuovo presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama. Il cardinale ha però precisato di non "conoscere a fondo la posizione" del futuro inquilino della Casa Bianca.

zsbc08
00venerdì 14 novembre 2008 11:28
Santa Sede e Stati Uniti all'indomani del voto
Nuovi scenari aperti dalle elezioni

Santa Sede e Stati Uniti
all'indomani del voto


Anticipiamo un articolo che esce il 14 novembre sul bimestrale di geopolitica "Limes". È stato scritto alla vigilia delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti da Massimo Franco, notista politico del "Corriere della Sera" e autore di Parallel Empires (Doubleday Random House), un saggio sulla storia dei rapporti tra Santa Sede e Stati Uniti che sarà pubblicato il prossimo 19 gennaio.

di Massimo Franco

Le analisi arrivate negli ultimi mesi in Vaticano dagli Stati Uniti sono state piuttosto unanimi. Convergono nel descrivere una nazione orfana di leadership. E destinata a restare parzialmente tale anche dopo le elezioni presidenziali. Per motivi diversi, sia Barack Obama che John McCain sono considerati nella cerchia di Benedetto XVI figure incapaci di soddisfare del tutto le speranze di rinascita degli Stati Uniti; e di restituire fiducia a una popolazione che riemerge sfibrata, frustrata e impoverita dagli otto anni di George W. Bush alla Casa Bianca.
Su Obama pesa, nel giudizio della Santa Sede, l'incognita rappresentata dalla sua mancanza di esperienza internazionale, dalla sua infanzia in Indonesia, in un ambiente islamico, e dall'educazione familiare. Ma per paradosso, più ancora del suo profilo personale sfuggente, che le gerarchie cattoliche tendono a osservare come un punto interrogativo, le perplessità nascono dalla sua appartenenza al Partito democratico. Nel lessico cattolico statunitense, il termine liberal è una sorta di parolaccia culturale, assimilabile a quella di "socialista europeo" o di "relativista morale" in Europa.
La scelta del cattolico Joseph Biden come candidato alla vicepresidenza non è bastata a fugare i sospetti. James Nicholson, ex ambasciatore Usa presso la Santa Sede nella prima amministrazione Bush, poi Secretary of Veteran Affairs nella seconda, ha dato voce alla polemica dei repubblicani contro Obama e Biden definendoli "due dei liberal più estremisti del Congresso".
Poche settimane prima del voto, 50 dei 197 vescovi Usa in attività hanno anche voluto sottolineare che la scelta del presidente si giocava sui "valori morali"; che la vera bussola per votare l'uno o l'altro candidato doveva essere l'atteggiamento in materia di aborto:  un modo per favorire di fatto il fronte repubblicano (cfr. Rocco Palmo, Fifty Bishops Say Us Election Is about Abortion, "The Tablet", 25 ottobre 2008).
Ma l'appartenenza di McCain al partito di Bush, seppure come battitore libero e spesso in contrasto con l'apparato, lo ha comunque danneggiato. L'ombra di Bush ha sovrastato la candidatura repubblicana, nonostante le persistenti diffidenze nei confronti di Obama.
Anche per questo, stavolta "l'elettorato cattolico" e bianco in quanto tale ha perso la sua connotazione di minoranza forte e compatta, orientata verso i repubblicani per l'opposizione ai matrimoni omosessuali e il favore per la pena di morte. E ha riflesso la spaccatura del paese. Nel 2008 "non sono stati i repubblicani a lavorare duro per guadagnarsi il voto cattolico, ma i democratici", ha scritto "America", l'influente rivista dei gesuiti Usa (cfr. Mark Silk - Andrew Walsh, A Past Without a Future?, "America", 3 novembre 2008). Già nel 2004 l'elettorato cattolico non era apparso più un monolito, dividendosi fra Bush e il democratico John Kerry. Ma in un'inchiesta condotta da Faith in Public Life a settembre si vedeva che i cattolici sotto i 35 anni erano in gran parte per Obama:  il 55 per cento contro il 40 per cento per McCain.
Non c'è soltanto "il lavoro duro" dei democratici per modificare la propria immagine di partito filoabortista e favorevole ai matrimoni fra persone dello stesso sesso. C'è anche la crisi economica, che ha oscurato altri temi rimasti in primo piano nelle ultime due campagne presidenziali vinte da Bush:  valori etici, guerra, minaccia del terrorismo islamico contro gli Usa. Il versante domestico conta, agli occhi del Vaticano, sia per la politica che il nuovo presidente farà quando si tratterà di orientare le scelte della Corte Suprema su temi come aborto, eutanasia, ricerca sulle cellule staminali; sia per i suoi riflessi internazionali. Sul primo punto, difficilmente il Papa avrà un alleato come è stato Bush.
La presidenza "religiosa", se non quasi "teologica", che ha guidato Bush in scelte a dir poco controverse, se non disastrose, come la guerra in Iraq, si è accompagnata a una difesa strenua dei "valori" cari alla Santa Sede. Per questo, alla fine il giudizio severo della Roma pontificia di Giovanni Paolo ii è risultato non secondario, ma bilanciato vistosamente da quello positivo per l'"alleanza sui valori". Raramente era accaduto che i due "imperi paralleli", Vaticano e Usa, risultassero così vicini come negli ultimi quattro anni. Bisogna risalire alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, con Ronald Reagan alla Casa Bianca e Giovanni Paolo ii in Vaticano a combattere contro il comunismo morente.
Le visite di Bush a Roma e quella di Benedetto XVI a Washington e New York nell'aprile scorso hanno sottolineato una sintonia se non inedita, certamente insistita fra Stati Uniti e Santa Sede. Il Papa, ha ricordato poche settimane dopo il viaggio il nunzio a Washington, Pietro Sambi, ha parlato degli Usa come di un "paese laico per amore della religione". E il pontefice è riuscito ad attenuare, se non a cancellare, l'impatto negativo provocato dallo scandalo dei preti pedofili. Insomma, la normalizzazione dei rapporti è stata ufficializzata, chiudendo una fase lunga oltre due secoli; ma in parallelo lasciando capire che il futuro dei rapporti fra Santa Sede e Casa Bianca andrà verificato e rimodulato nel dopo-Bush.
Anche perché a livello internazionale la situazione è meno idilliaca. Per il Vaticano, gli Stati Uniti sono un interlocutore obbligato. Soprattutto nel mondo arabo e più in generale musulmano, l'esigenza di trovare l'appoggio militare americano per proteggere le minoranze cristiane è un fatto. Ma sia in Iraq sia nel Vicino Oriente della questione israelo-palestinese, il bilancio viene considerato deludente, se non preoccupante. Gli organi di stampa cattolici sottolineano "il dovere morale" che gli Usa avrebbero di aiutare i profughi e quanti cercano asilo politico. E in filigrana si intravede l'accusa larvata di avere provocato con la guerra un'accelerazione dell'esodo e un'intensificazione delle persecuzioni contro i cristiani da parte dei fondamentalisti, ma non solo.
"È un'emorragia che sta lentamente dissanguando il popolo della pace nella terra della  pace", ha  spiegato  allarmato  Gregorio iii Laham, siriano, Patriarca greco-melkita cattolico di Antiochia. In Palestina, Giordania, Siria, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, per "l'inasprirsi dei conflitti questa presenza è minacciata fortemente dal fenomeno dell'emigrazione. Se Paesi come quelli europei, come gli Stati Uniti mirano effettivamente alla pace, se veramente vogliono mettere la parola fine al terrorismo e mantenere vivo il rapporto con il mondo islamico, devono preoccuparsi di tenere viva la presenza e la testimonianza della comunità cristiana in queste terre" (cfr. intervista di Mario Ponzi, "È urgente frenare l'esodo dei cristiani dal Vicino Oriente", "L'Osservatore Romano", 24 ottobre 2008).
Riaffiora la richiesta di protezione e di lungimiranza strategica innanzi tutto agli Stati Uniti. Barack Obama avrà comunque di fronte il dopoguerra iracheno. E la Santa Sede cerca di condizionarlo in modo tale da ridurre i rischi di estinzione della propria minoranza, che l'amministrazione repubblicana non ha arginato ma anzi accentuato. Quando personaggi come l'arcivescovo latino di Baghdad, Jean Benjamin Sleiman, avvertono che "programmi di ripopolamento nella piana di Ninive o altrove sono un miraggio irrealizzabile, un progetto pericoloso che metterebbe a rischio il futuro della Chiesa irachena", parlano agli americani.
Contestano il progetto di creare un'enclave cristiana, protetta ma isolata, e in prospettiva assediata, nel Nord dell'Iraq (cfr. intervista di Luca Geronico, "Avvenire", 4 settembre 1008). È difficile capire se la convergenza degli ultimi quattro anni dei due "imperi paralleli" dell'Occidente continuerà; e con quale incidenza sugli equilibri mondiali. La sensazione è che l'indebolimento dell'America di Bush abbia quasi di rimbalzo reso più difficile il ruolo ecumenico della Santa Sede. Gli interventi militari degli Usa hanno proiettato un'ombra su chiunque sia cristiano nel Grande Medio Oriente che va dal Marocco all'Indonesia. E hanno messo a rischio l'attività delle Chiese e la loro possibilità non solo di fare proseliti, ma di svolgere la funzione educativa e "politica" che la storia aveva loro assegnato:  quella di cerniera e di raccordo fra fedi e culture diverse. Quella rete di moderazione e tolleranza reciproca si è strappata. E un'America stravolta dalla sua recessione finanziaria potrebbe essere tentata dalla prospettiva di una ritirata non solo geopolitica, ma georeligiosa:  una scelta che risulterebbe, oltre che illusoria, devastante.



(©L'Osservatore Romano - 14 novembre 2008)
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 21:53.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com