PINOCCHIO (20 - 22) di Carlo Collodi

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vanni-merlin
00giovedì 9 luglio 2009 20:29
XX.

Liberato dalla prigione, si avvia per tornare a casa della Fata;

ma lungo la strada trova un serpente orribile, e poi rimane preso alla tagliuola
.



Figuratevi l’allegrezza di Pinocchio quando si sentí libero. Senza stare a dire che è e che non è, uscí subito fuori della città e riprese la strada, che doveva ricondurlo alla Casina della Fata.

A cagione del tempo piovigginoso, la strada era diventata tutta un pantano e ci si andava fino a mezza gamba. Ma il burattino non se ne dava per inteso. Tormentato dalla passione di rivedere il suo babbo e la sua sorellina dai capelli turchini, correva a salti come un can levriero, e nel correre le pillacchere gli schizzavano fin sopra il berretto. Intanto andava dicendo fra sé e sé: «Quante disgrazie mi sono accadute... E me le merito! perché io sono un burattino testardo e piccoso... e voglio far sempre tutte le cose a modo mio, senza dar retta a quelli che mi voglion bene e che hanno mille volte piú giudizio di me!... Ma da questa volta in là, faccio proponimento di cambiar vita e di diventare un ragazzo ammodo e ubbidiente... Tanto ormai ho bell’e visto che i ragazzi, a essere disubbidienti, ci scapitano sempre e non ne infilano mai una per il su’ verso. E il mio babbo mi avrà aspettato?... Ce lo troverò a casa della Fata? È tanto tempo, pover’uomo, che non lo vedo piú, che mi struggo di fargli mille carezze e di finirlo dai baci! E la Fata mi perdonerà la brutta azione che le ho fatta?... E pensare che ho ricevuto da lei tante attenzioni e tante cure amorose... e pensare che se oggi son sempre vivo, lo debbo a lei!... Ma si può dare un ragazzo piú ingrato e piú senza cuore di me?...»

Nel tempo che diceva cosí, si fermò tutt’a un tratto spaventato, e fece quattro passi indietro.

Che cosa aveva veduto?

Aveva veduto un grosso Serpente, disteso attraverso alla strada, che aveva la pelle verde, gli occhi di fuoco e la coda appuntata, che gli fumava come una cappa di camino.


Impossibile immaginarsi la paura del burattino: il quale, allontanatosi piú di mezzo chilometro, si mise a sedere sopra un monticello di sassi, aspettando che il Serpente se ne andasse una buona volta per i fatti suoi e lasciasse libero il passo della strada.

Aspettò un’ora; due ore; tre ore: ma il Serpente era sempre là, e, anche di lontano, si vedeva il rosseggiare de’ suoi occhi di fuoco e la colonna di fumo che gli usciva dalla punta della coda.

Allora Pinocchio, figurandosi di aver coraggio, si avvicinò a pochi passi di distanza, e facendo una vocina dolce, insinuante e sottile, disse al Serpente:

— Scusi, signor Serpente, che mi farebbe il piacere di tirarsi un pochino da una parte, tanto da lasciarmi passare? —

Fu lo stesso che dire al muro. Nessuno si mosse.

Allora riprese colla solita vocina:

— Deve sapere, signor Serpente, che io vado a casa, dove c’è il mio babbo che mi aspetta e che è tanto tempo che non lo vedo piú!... Si contenta dunque che io seguiti per la mia strada? —

Aspettò un segno di risposta a quella dimanda: ma la risposta non venne: anzi il Serpente, che fin allora pareva arzillo e pieno di vita, diventò immobile e quasi irrigidito. Gli occhi gli si chiusero e la coda gli smesse di fumare.

— Che sia morto davvero?... — disse Pinocchio, dandosi una fregatina di mani dalla gran contentezza; e senza mettere tempo in mezzo, fece l’atto di scavalcarlo, per passare dall’altra parte della strada. Ma non aveva ancora finito di alzare la gamba, che il Serpente si rizzò all’improvviso come una molla scattata: e il burattino, nel tirarsi indietro spaventato, inciampò e cadde per terra.

E per l’appunto cadde cosí male, che restò col capo conficcato nel fango della strada e con le gambe ritte su in aria.

Alla vista di quel burattino, che sgambettava a capo fitto con una velocità incredibile, il Serpente fu preso da una tal convulsione di risa, che ridi, ridi, ridi, alla fine, dallo sforzo del troppo ridere, gli si strappò una vena sul petto: e quella volta morí davvero.

Allora Pinocchio ricominciò a correre per arrivare a casa della Fata avanti che si facesse buio. Ma lungo la strada, non potendo piú reggere ai morsi terribili della fame, saltò in un campo coll’intenzione di cogliere poche ciocche d’uva moscadella. Non l’avesse mai fatto!

Appena giunto sotto la vite, crac... sentí stringersi le gambe da due ferri taglienti, che gli fecero vedere quante stelle c’erano in cielo.

Il povero burattino era rimasto preso a una tagliuola appostata là da alcuni contadini per beccarvi alcune grosse faine, che erano il flagello di tutti i pollai del vicinato.



XXI.

Pinocchio è preso da un contadino, il quale lo costringe

a far da can di guardia a un pollajo.



Pinocchio, come potete figurarvelo, si dètte a piangere, a strillare, a raccomandarsi: ma erano pianti e grida inutili, perché lí all’intorno non si vedevano case e dalla strada non passava anima viva.

Intanto si fece notte.

Un po’ per lo spasimo della tagliuola che gli segava gli stinchi, e un po’ per la paura di trovarsi solo e al buio in mezzo a quei campi, il burattino principiava quasi a svenirsi; quando a un tratto, vedendosi passare una lucciola di sul capo, la chiamò e le disse:

— O Lucciolina, mi faresti la carità di liberarmi da questo supplizio?...

— Povero figliuolo! — replicò la Lucciola, fermandosi impietosita a guardarlo. — Come mai sei rimasto colle gambe attanagliate fra codesti ferri arrotati?

— Sono entrato nel campo per cogliere due grappoli di quest’uva moscadella, e...

— Ma l’uva era tua?

— No...

— E allora chi t’ha insegnato a portar via la roba degli altri?...

— Avevo fame...

— La fame, ragazzo mio, non è una buona ragione per potersi appropriare la roba che non è nostra...

— È vero, è vero! — gridò Pinocchio piangendo — ma un’altra volta non lo farò piú. —

A questo punto il dialogo fu interrotto da un piccolissimo rumore di passi, che si avvicinavano. Era il padrone del campo che veniva in punta di piedi a vedere se qualcuna di quelle faine, che gli mangiavano di nottetempo i polli, fosse rimasta presa al trabocchetto della tagliuola.

E la sua maraviglia fu grandissima quando, tirata fuori la lanterna di sotto al pastrano, s’accòrse che, invece di una faina, c’era rimasto preso un ragazzo.

— Ah, ladracchiolo! — disse il contadino incollerito — dunque sei tu che mi porti via le galline?

— Io no, io no! — gridò Pinocchio, singhiozzando. — Io sono entrato nel campo per prendere soltanto due grappoli d’uva!

— Chi ruba l’uva è capacissimo di rubare anche i polli. Lascia fare a me, che ti darò una lezione da ricordartene per un pezzo. —

E aperta la tagliuola, afferrò il burattino per la collottola e lo portò di peso fino a casa, come si porterebbe un agnellino di latte.

Arrivato che fu sull’aia dinanzi alla casa, lo scaraventò in terra: e tenendogli un piede sul collo, gli disse:

— Oramai è tardi e voglio andare a letto. I nostri conti li aggiusteremo domani. Intanto, siccome oggi m’è morto il cane che mi faceva la guardia di notte, tu prenderai subito il suo posto. Tu mi farai da cane di guardia. —

Detto fatto, gl’infilò al collo un grosso collare tutto coperto di spunzoni di ottone, e glielo strinse in modo, da non poterselo levare passandoci la testa di dentro. Al collare c’era attaccata una lunga catenella di ferro: e la catenella era fissata nel muro.

— Se questa notte — disse il contadino — cominciasse a piovere, tu puoi andare a cuccia in quel casotto di legno, dove c’è sempre la paglia che ha servito di letto per quattr’anni al mio povero cane. E se per disgrazia venissero i ladri, ricordati di stare a orecchi ritti e di abbaiare. —

Dopo quest’ultimo avvertimento, il contadino entrò in casa chiudendo la porta con tanto di catenaccio: e il povero Pinocchio rimase accovacciato sull’aia piú morto che vivo, a motivo del freddo, della fame e della paura. E di tanto in tanto cacciandosi rabbiosamente le mani dentro al collare, che gli serrava la gola, diceva piangendo:

— Mi sta bene!... Pur troppo mi sta bene! Ho voluto fare lo svogliato, il vagabondo... ho voluto dar retta ai cattivi compagni, e per questo la fortuna mi perseguita sempre. Se fossi stato un ragazzino per bene, come ce n’è tanti; se avessi avuto voglia di studiare e di lavorare, se fossi rimasto in casa col mio povero babbo, a quest’ora non mi troverei qui, in mezzo ai campi, a fare il cane di guardia alla casa di un contadino. Oh se potessi rinascere un’altra volta! Ma oramai è tardi, e ci vuol pazienza!... —

Fatto questo piccolo sfogo, che gli venne proprio dal cuore, entrò dentro il casotto e si addormentò.



XXII.

Pinocchio scopre i ladri,

e in ricompensa di essere stato fedele vien posto in libertà.




Ed era già piú di due ore che dormiva saporitamente; quando verso la mezzanotte fu svegliato da un bisbiglio e da un pissi-pissi di vocine strane, che gli parve di sentire nell’aia. Messa fuori la punta del naso dalla buca del casotto, vide riunite a consiglio quattro bestiuole di pelame scuro, che parevano gatti. Ma non erano gatti: erano faine, animaletti carnivori, ghiottissimi specialmente d’uova e di pollastrine giovani. Una di queste faine, staccandosi dalle sue compagne, andò alla buca del casotto e disse sottovoce:

— Buona sera, Melampo.

— Io non mi chiamo Melampo — rispose il burattino.

— O dunque chi sei?

— Io sono Pinocchio.

— E che cosa fai cosí?

— Faccio il cane di guardia.

— O Melampo dov’è? dov’è il vecchio cane, che stava in questo casotto?

— È morto questa mattina.

— Morto? Povera bestia!... Era tanto buono!... Ma giudicandoti dalla fisionomia, anche te mi sembri un cane di garbo.

— Domando scusa, io non sono un cane!...

— O chi sei?

— Io sono un burattino.

— E fai da cane di guardia?

— Pur troppo: per mia punizione!...

— Ebbene, io ti propongo gli stessi patti, che avevo col defunto Melampo: e sarai contento.

— E questi patti sarebbero?

— Noi verremo una volta la settimana, come per il passato, a visitare di notte questo pollaio, e porteremo via otto galline. Di queste galline, sette le mangeremo noi, e una la daremo a te, a condizione, s’intende bene, che tu faccia finta di dormire e non ti venga mai l’estro di abbaiare e di svegliare il contadino.

— E Melampo faceva proprio cosí? — domandò Pinocchio.

— Faceva cosí, e fra noi e lui, siamo andati sempre d’accordo. Dormi dunque tranquillamente, e stai sicuro che prima di partire di qui, ti lasceremo sul casotto una gallina bell’e pelata per la colazione di domani. Ci siamo intesi bene?

— Anche troppo bene!... — rispose Pinocchio: e tentennò il capo in un certo modo minaccioso, come se avesse voluto dire: — Fra poco ci riparleremo!... —

Quando le quattro faine si credettero sicure del fatto loro, andarono difilato al pollaio, che rimaneva appunto vicinissimo al casotto del cane; e aperta a furia di denti e di unghioli la porticina di legno, che ne chiudeva l’entrata, vi sgusciarono dentro, una dopo l’altra. Ma non erano ancora finite d’entrare, che sentirono la porticina richiudersi con grandissima violenza.



Quello che l’aveva richiusa era Pinocchio; il quale, non contento di averla richiusa, vi posò davanti per maggior sicurezza una grossa pietra, a guisa di puntello.

E poi cominciò ad abbaiare: e, abbaiando proprio come se fosse un cane di guardia, faceva colla voce: bú-bú-bú-bú.

A quell’abbaiata, il contadino saltò il letto, e preso il fucile e affacciatosi alla finestra, domandò:

— Che c’è di nuovo?

— Ci sono i ladri! — rispose Pinocchio.

— Dove sono?

— Nel pollaio.

— Ora scendo subito. —

E difatti, in men che si dice amen, il contadino scese: entrò di corsa nel pollaio, e dopo avere acchiappate e rinchiuse in un sacco le quattro faine, disse loro con accento di vera contentezza:

— Alla fine siete cascate nelle mie mani! Potrei punirvi, ma sí vil non sono! Mi contenterò, invece, di portarvi domani all’oste del vicino paese, il quale vi spellerà e vi cucinerà a uso lepre dolce e forte. È un onore che non vi meritate, ma gli uomini generosi, come me, non badano a queste piccolezze!... —

Quindi, avvicinatosi a Pinocchio, cominciò a fargli molte carezze, e, fra le altre cose, gli domandò:

— Com’hai fatto a scoprire il complotto di queste quattro ladroncelle? E dire che Melampo, il mio fido Melampo, non s’era mai accorto di nulla!... —

Il burattino, allora, avrebbe potuto raccontare quel che sapeva; avrebbe potuto, cioè, raccontare i patti vergognosi che passavano fra il cane e le faine: ma ricordatosi che il cane era morto, pensò subito dentro di sé: — A che serve accusare i morti?... I morti son morti, e la miglior cosa che si possa fare è quella di lasciarli in pace!...

— All’arrivo delle faine sull’aia, eri sveglio o dormivi? — continuò a chiedergli il contadino.

— Dormivo — rispose Pinocchio — ma le faine mi hanno svegliato coi loro chiacchiericci, e una è venuta fin qui al casotto per dirmi: «Se prometti di non abbaiare, e di non svegliare il padrone, noi ti regaleremo una pollastra bell’e pelata!...» Capite, eh? Avere la sfacciataggine di fare a me una simile proposta! Perché bisogna sapere che io sono un burattino, che avrò tutti i difetti di questo mondo: ma non avrò mai quello di star di balla e di reggere il sacco alla gente disonesta! —

— Bravo ragazzo! — gridò il contadino, battendogli sur una spalla. — Cotesti sentimenti ti fanno onore: e per provarti la mia grande soddisfazione, ti lascio libero fin d’ora di tornare a casa. —

E gli levò il collare da cane.



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