Origene

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Cattolico_Romano
00giovedì 4 giugno 2009 20:19

Origene

Origene, che ben si può dire il più grande erudito dell'antichità cristiana, nacque intorno all'anno 185, probabilmente in Alessandria. Insieme con la sua famiglia cadde in grande indigenza negli anni 201/202 in seguito alla morte del martire Leonida, suo padre. Egli cercò di provvedere in qualche modo alle prime necessità della sua famiglia dando lezioni. Nel 204 il vescovo Demetrio lo pose, malgrado la giovane età, a capo della prima scuola catechistica di carattere ufficiale.

Si prese subito come aiuto per l'insegnamento della grammatica l'amico Eracla, mentre riservava a sé, per gli alunni più progrediti, quello della filosofia, della teologia speculativa e della S.Scrittura. Nei primi tempi seguì anche le lezioni del famoso neoplatonico Ammonio Sacca, il cui metodo e la cui filosofia dovevano assumere grande importanza per la sua teologia. Origene si procurò pure qualche conoscenza della lingua ebraica. Conduceva una vita ascetica e nel 210/211, interpretando falsamente il passo di Mt. 19,12, si evirò.

Interrompeva 1'insegnamento con frequenti viaggi. Forse in seguito ai massacri ordinati nel 215 in Alessandria dall’imperatore Caracalla, Origene lasciò la città e si recò a Cesarea di Palestina, dove tenne delle conferenze alla comunità dietro richiesta del vescovo Teoctisto ed anche di Alessandro vescovo di Gerusalemme. Quindici anni più tardi, quando in viaggio per la Grecia (230) giunse a Cesarea, i suoi due amici vescovi lo ordinarono sacerdote, nonostante la sua mutilazione volontaria. Irritato per questo fatto, il suo vescovo Demetrio lo fece dichiarare deposto dalla cattedra e dall'ufficio sacerdotale da due Sinodi tenuti in Alessandria (230/231), per l'irregolarità della sua ordinazione e verosimilmente anche per qualche opinione non ammessa dalla Chiesa. Si recò allora a Cesarea ove rimase fino all'impero di Decio, e dove fondò una scuola sul tipo di quella alessandrina. Vi fu suo discepolo Gregorio il Taumaturgo.

La sua produzione scientifica lo aveva reso noto anche fra i pagani. Giulia Mammea, madre dell'imperatore Alessandro Severo, lo invitò, tra il 218 e 222, ad Antiochia per udirne le conferenze. Sotto Decio fu probabilmente rinchiuso in carcere nella stessa Cesarea, e barbaramente torturato; morì in conseguenza di questo trattamento, all’età di 70 anni, verosimilmente nel 253, a Tiro.

Fin dai suoi tempi Origene fu considerato come il più importante fra i teologi della Chiesa greca. Il suo nome fu discusso nell'antichità cristiana e pronunziato con entusiasmo o disprezzo. Se molti eretici si richiamarono alla sua autorità, anche la vera dottrina ebbe assai da imparare da lui. Origene volle essere un cristiano "ortodosso", il che si rileva anzitutto dal valore grandissimo ch'egli attribuisce all'insegnamento ufficiale della Chiesa, tanto che ogni errore di dottrina ritiene peggiore di una deviazione morale. Tuttavia, le sue preferenze per l'interpretazione allegorica della Scrittura e l'influenza della filosofia platonica, lo fecero cadere in gravi errori dogmatici. Le discussioni intorno alla sua ortodossia ebbero termine solo nel VI secolo quando l'imperatore Giustiniano I, nell'editto del 543, condannò nove proposizioni di Origene. A questo editto aderirono presto tutti i vescovi dell'impero, e tra i primi il patriarca Costantinopoli e papa Vigilio.

Origene superò in fecondità letteraria tutti i Padri dell'antichità cristiana. Molte delle sue opere sono però produzioni occasionali, come prediche e conferenze, che venivano riprese dagli stenografi; così soltanto si può intendere l'enorme numero degli scritti, e il loro non grande valore letterario.

Delle sue numerosissime opere - per lo più di carattere biblico - soltanto una piccola parte ci è pervenuta, e non nell'originale greco.

www.monasterovirtuale.it

Cattolico_Romano
00giovedì 4 giugno 2009 20:21

Origene - L'annuncio solo dopo la pienezza della rivelazione di Cristo.

 

 

 

 

 

 

 


Se si predica Gesù Cristo, è necessario annunciano crocifisso. Incompleto è l’annuncio che non parla della sua croce! Non così incompleto, mi pare, dire che Gesù è il Cristo tralasciando qualcuno del suoi prodigi, come Invece il tralasciare la sua crocifissione!

Perciò, nel riservare la predicazione più perfetta su di lui ai suoi apostoli, egli diede loro ordine di non dire a nessuno che era il Cristo crocifisso e risorto dai morti. Da quel momento cominciò non solo a dire, e si spinse fino ad insegnare, ma anche a mostrare ai discepoli che egli doveva andare a Gerusalemme, ecc. (Mt 16,21). Fa’ attenzione al verbo «mostrare» perché, come nel caso delle cose sensibili si dice che sono mostrate, così pure nel caso di quelle che Gesù dice ai discepoli, è detto che sono «mostrate».
Non penso che a coloro che l’hanno visto subire fisicamente molte sofferenze da parte degli anziani del popolo, Gesù abbia mostrato ciascuna delle realtà che vedevano, allo stesso modo in cui mostrava ai discepoli la sua manifestazione come logos.

Allora cominciò a mostrare (Mt 16,21). Forse in seguito, con quelli che ne erano capaci, lo fece in modo ancora più chiaro, e non restò più agli inizi del mostrare, come si fa coi principianti, ma avanzò nel modo di mostrare. E se per altro è ragionevole pensare che Gesù, quel che aveva iniziato lo aveva portato compiutamente a termine, deve aver pur dato assoluto compimento a ciò che aveva iniziato a mostrare ai discepoli sul suo dover soffrire le cose descritte. Nel momento, infatti, in cui si apprende dal logos la conoscenza perfetta di questi misteri, in quel momento - si deve dire -, contemplando la mente le realtà mostrate per una manifestazione del logos, si è compiuta la manifestazione per chi questi misteri ha volontà e capacità di contemplarli, e li contempla.

Ma, poiché non era possibile che un profeta perisse fuori di Gerusalemme, un perire che implica che chi perde la sua vita a causa mia la troverà (Mt 10,39), per questo doveva andare a Gerusalemme, perché soffrendo molto e messo a morte in quella città, offrisse le primizie della risurrezione dai morti (cf. 1 Cor 15,20), quella che avverrà nella Gerusalemme di lassù (cf. Gal 4,26), abbandonando, abolendo e dissolvendo la Gerusalemme terrena con ogni suo culto. Fino a quando, infatti, il Cristo non è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti (cf. 1 Cor 15,20) e finché non sono risorti con lui coloro che sono diventati conformi alla sua morte e risurrezione (cf. Rm 6,5; 8,28), si ricercavano quaggiù la città di Dio, il tempio, le purificazioni e tutte le altre realtà. Ma una volta che tutto questo si è realizzato, sono da cercare non più le cose di quaggiù, bensì quelle di lassù! [.. .] Occorreva che fosse ucciso nella Gerusalemme di quaggiù, per regnare da risorto sul monte di Sion e nella città del Dio vivente, nella Gerusalemme celeste (cf. Eb 12,22).

Cattolico_Romano
00giovedì 4 giugno 2009 20:23

Origene Gesù fu tentato perché la Chiesa imparasse che si va a lui

attraverso molte tribolazioni e tentazioni

La vita dei mortali è piena di lacci insidiosi, è tutta una rete di inganni tesi al genere umano per odio contro il Signore, da quel gigante cacciatore chiamato Nembroth.

Infatti chi, se non il diavolo, è il vero gigante che si ribella anche a Dio?
I lacci delle tentazioni e l’inganno delle insidie sono chiamati appunto reti del diavolo. E poiché il nemico aveva teso ovunque queste reti e vi aveva fatto cadere quasi tutti, fu necessario che venisse a infrangerle uno più forte e potente di lui per poter aprire la via a quelli che lo avrebbero seguito.

Per questa ragione anche il Salvatore, prima di giungere all’unione nuziale con la Chiesa, fu tentato dal diavolo, perché con la sua vittoria sulle tentazioni potesse prepararla e chiamarla a sé, insegnandole chiaramente col suo esempio che non nell’ozio e nei piaceri, ma attraverso molte tribolazioni e tentazioni doveva venire a Cristo.

Nessun altro era stato capace di oltrepassare queste reti, com’è scritto: “tutti hanno peccato” (Rm 3,23). E ancora, dice la Scrittura: “Non c’è sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi” (Qo 7,20), e di nuovo: Non c’è nessuno senza peccato, anche se la sua vita fosse di un sol giorno (cfr. Sal 50,7; Gb 15,14).

Dunque il nostro Signore e Salvatore Gesù è stato il solo a non commettere peccato, ma il Padre “lo trattò da peccato in nostro favore” (2Cor 5,21), cosicché “mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato, e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne” (Rm 8,3).

Si accostò dunque a queste reti, ma fu l’unico a non rimanervi impigliato, anzi, spezzandole e distruggendole, diede alla sua Chiesa il coraggio di calpestame i lacci e di oltrepassarle, dicendo con tutto l’ardore: “Noi siamo stati liberati come un uccello dal laccio dei cacciatori; il laccio si è spezzato e noi siamo scampati” (Sal 123,7).

Ma chi spezzò quel laccio se non colui che era il solo a non poterne essere avvinto?

Poiché egli è morto, è vero, ma di sua spontanea volontà e non, come noi, per aver peccato. Ed essendo libero fra i morti, per questo, debellato chi aveva il potere sulla morte, liberò coloro che erano schiavi della morte. E non solo risuscitò se stesso, ma risvegliò anche loro e li fece sedere con sé nei cieli. Infatti, salendo al cielo, condusse come schiava la schiavitù, non solo liberando le anime ma risuscitando anche i corpi, come attesta il vangelo quando dice che “molti corpi di santi morti risuscitarono e apparvero a molti, ed entrarono nella città santa” del Dio vivente, Gerusalemme (Mt 27,52.53).


Origene
Discorso 3 sul Cantico dei Cantici

Cattolico_Romano
00giovedì 4 giugno 2009 20:25

ORIGENE, Omelie su Luca, VIII, 4-6.

 

 

 

Il Magnificat

4. "Orbene dapprima «l’anima» di Maria «magnifica il Signore», e, dopo, «il suo spirito esulta in Dio»; cioè, se non siamo dapprima cresciuti, non possiamo esultare.

Ella dice: «Perché ha guardato l’umiltà della sua ancella» (Lc 1, 48). Su quale umiltà di Maria il Signore ha volto il suo sguardo? Che cosa aveva, la madre del Signore, di umile e di basso, ella che portava nel seno il Figlio di Dio? Dicendo: «Ha guardato l’umiltà della sua ancella», è come se dicesse: ha guardato la giustizia della sua ancella, ha guardato la sua temperanza, ha guardato la sua fortezza e la sua sapienza. È giusto infatti che Dio rivolga il suo sguardo sulle virtù. Qualcuno potrebbe dire: capisco che Dio guardi la giustizia e la sapienza della sua ancella; ma non è troppo chiaro perché volge il suo sguardo sull’umiltà. Chi pone questa domanda si ricordi che proprio nelle Scritture l’umiltà è considerata come una delle virtù.

5. Dice il Salvatore: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo alle anime vostre» (Mt 11, 29). E se vuoi conoscere il nome di questa virtù, cioè come essa è chiamata dai filosofi, sappi che l’umiltà su cui Dio rivolge il suo sguardo è quella stessa virtù che i filosofi chiamano atyphía oppure metriótês. Noi possiamo peraltro definirla con una perifrasi: l’umiltà è lo stato di un uomo che non si gonfia, ma si abbassa. Chi infatti si gonfia, cade, come dice l’Apostolo, «nella condotta del diavolo» - il quale appunto ha cominciato col gonfiarsi di superbia -; l’Apostolo dice: «Per non incappare, gonfiato d’orgoglio, nella condanna del diavolo» (I Tm 3, 6).

«Ha guardato l’umiltà della sua ancella»: Dio mi ha guardato dice Maria - perché sono umile e perché ricerco la virtù della mitezza e del nascondimento.

6. «Ecco che sin d’ora tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1, 48). Se intendo «tutte le generazioni» secondo il più semplice significato, ritengo che si faccia allusione ai credenti. Ma se cerco di vedere il significato più profondo, capirò quanto sia preferibile aggiungere: «Perché fece grandi cose per me colui che è potente» (Lc 1, 49). Proprio perché chiunque si umilia sarà esaltato» (Lc 14, 11), Dio ha guardato l’umiltà» della beata Maria; per questo ha fatto per lei grandi «cose colui che è potente e il cui nome è santo».

E «la sua misericordia si estende di generazione in generazione» (Lc 1, 50). Non è su una generazione, né su due, né su tre, e neppure su cinque che si estende «la misericordia» di Dio; essa si estende eternamente «di generazione in generazione».

«Per coloro che lo temono ha dispiegato la potenza del suo braccio». Anche se sei debole, se tu ti accosti al Signore, se avrai timore di lui, potrai udire la promessa con la quale il Signore risponde al tuo timore."

ORIGENE, Omelie su Luca, VIII, 4-6.

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