Offside

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verdoux47
00domenica 30 ottobre 2011 11:14
e il cinema iraniano



Viene da chiedersi perché delle persone maltrattate e perseguitate, quali sono le donne iraniane, tifino per la nazionale del proprio paese; si potrebbe dire che il calcio è l'oppio dei popoli, credo che sia vero e che il calcio offre spesso copertura ai regimi dittatoriali e sanguinari, che ne traggono giovamento e consenso; io per molto meno, berlusconi, da 10 anni non tifo più Italia e anzi gufo contro.
Non so cosa rappresenti il calcio in Iran, ma le scene di giubilo per una vittoria contro il Bahrein sono oggettivamente ridicole, è come l'Italia si impazzisse per una vittoria contro San Marino.
Alle donne in Iran è vietato andare allo stadio e questo film narra i trucchi, i sotterfugi, i mascheramenti cui ricorrono per entrare, per poi farsi quasi sempre beccare ed essere coatte in un recinto (da dove non vedono la partita).

Comunque l'argomento del film non è il calcio naturalmente, ma è l'Iran; il calcio ne è solo il grimaldello e l'Iran esce male da questo film e purtroppo ne esce con le ossa rotte il suo geniale autore, Jafar Panahi: 6 anni di reclusione e divieto a vita di fare cinema.

Direi che il passaggio più esplicativo del film, quello che sottolinea le contraddizioni del paese, si realizza quando un soldato indignato dice al vecchio che stava cercando la figlia nel recinto: “Ma che fai sei impazzito? Picchi una donna?” Giusto. Non si picchiano le donne. È cosa impensabile in Iran. Perché è vero che le donne sono le vittime di un sistema e di leggi per noi incomprensibili, da un certo punto di vista, ma sono anche quelle che nella sostanza detengono il potere ed che hanno in pugno la situazione. A un certo punto del film i loro guardiani, che poi sono dei bravi ragazzi, diventano dei prigionieri.

Come narrazione il film è una mirabile concatenazione di piccoli nuclei che si susseguono e si ramificano a grappolo, sempre con rinnovata carica di attesa suscitata e di umorismo graffiante.

Non deve essere facile fare un film così, il regista mostra grande maestria tecnica, sia nelle riprese, che nel montaggio.

In attesa che Jafar Panahi sconti la pena, o meglio che scappi in occidente a fare film, godiamoci le opere del suo allievo più dotato: Asghar Farhad.
Gran film “una separazione”, Asghar Farhad supera se stesso (about Elly) e va sulle orme del suo maestro (offside di Panahai), che gli resta forse una spanna sopra ed a cui deve molti crediti sia per la tecnica di ripresa e montaggio, sia per la tecnica narrativa; la trama del film è come un micelio che si espande sottoterra e da cui qua e la vengono alla luce dei funghi narrativi; c'è anche affinità tematica tra i due film, la menzogna che da piccola opportuna necessità , monta incontrollata, si espande e diventa sistema di vita fino a corrompere l'innocenza di una giovane adolescente.
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