OMELIE, DISCORSI, MESSAGGI E TESTI DEL SANTO PADRE SUI SACERDOTI E L'ANNO SACERDOTALE

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Cattolico_Romano
00domenica 27 settembre 2009 13:42
Il Papa apre l'Anno Sacerdotale: "La Chiesa ha bisogno di sacerdoti santi; di ministri che aiutino i fedeli a sperimentare l'amore misericordioso del Signore e ne siano convinti testimoni"
(Omelia del Santo Padre durante la celebrazione dei secondi Vespri della solennità in occasione dell'apertura dell'Anno Sacerdotale, 19 giugno 2009)

CELEBRAZIONE DEI SECONDI VESPRI DELLA SOLENNITÀ DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ, IN OCCASIONE DELL’APERTURA DELL’ANNO SACERDOTALE, 19.06.2009


Alle ore 18 di oggi, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la Celebrazione dei secondi Vespri della Solennità in occasione dell’apertura dell’Anno Sacerdotale, nel 150° anniversario della morte di San Giovanni Maria Vianney.
La celebrazione è preceduta alle ore 17.30 dall’intervento di S.E. Mons. Mauro Piacenza, Segretario della Congregazione per il Clero. Segue la processione con la Reliquia di San Giovanni Maria Vianney dalla Cappella della Pietà all’altare della Confessione e alla Cappella del Coro. La processione è guidata dal Card. Angelo Comastri, Arciprete della Basilica Vaticana, dal Card. Cláudio Hummes, Prefetto della Congregazione per il Clero e da S.E. Mons. Guy Bagnard, Vescov di Belley-Ars.
Al suo arrivo in Basilica, il Papa si reca alla Cappella del Coro e venera la Reliquia del Santo Curato d’Ars. Dopo la Celebrazione dei Vespri, ha luogo l’Adorazione Eucaristica.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia nel corso della recita dei Vespri
:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

nell'antifona al Magnificat tra poco canteremo: "Il Signore ci ha accolti nel suo cuore - Suscepit nos Dominus in sinum et cor suum". Nell'Antico Testamento si parla 26 volte del cuore di Dio, considerato come l'organo della sua volontà: rispetto al cuore di Dio l'uomo viene giudicato.
A causa del dolore che il suo cuore prova per i peccati dell'uomo, Iddio decide il diluvio, ma poi si commuove dinanzi alla debolezza umana e perdona. C'è poi un passo veterotestamentario nel quale il tema del cuore di Dio si trova espresso in modo assolutamente chiaro: è nel capitolo 11 del libro del profeta Osea, dove i primi versetti descrivono la dimensione dell'amore con cui il Signore si è rivolto ad Israele all'alba della sua storia: "Quando Israele era fanciullo, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio" (v. 1).
In verità, all'instancabile predilezione divina, Israele risponde con indifferenza e addirittura con ingratitudine. "Più li chiamavo - è costretto a constatare il Signore -, più si allontanavano da me" (v. 2).
Tuttavia Egli mai abbandona Israele nelle mani dei nemici, perché, cosí dice il versetto 8, "il mio cuore - osserva il Creatore dell'universo - si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione".

Il cuore di Dio freme di compassione!
Nell'odierna solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, la Chiesa offre alla nostra contemplazione questo mistero, il mistero del cuore di un Dio che si commuove e riversa tutto il suo amore sull'umanità. Un amore misterioso, che nei testi del Nuovo Testamento ci viene rivelato come incommensurabile passione di Dio per l'uomo.

Egli non si arrende dinanzi all'ingratitudine e nemmeno davanti al rifiuto del popolo che si è scelto; anzi, con infinita misericordia, invia nel mondo l'Unigenito suo Figlio perché prenda su di sé il destino dell'amore distrutto; perché, sconfiggendo il potere del male e della morte, possa restituire dignità di figli agli esseri umani resi schiavi dal peccato.

Tutto questo a caro prezzo: il Figlio Unigenito del Padre si immola sulla croce: "Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" (cfr Gv 13,1). Simbolo di tale amore che va oltre la morte è il suo fianco squarciato da una lancia. A tale riguardo, il testimone oculare, l'apostolo Giovanni, afferma: "Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua" (cfr Gv 19,34).

Cari fratelli e sorelle, grazie perché, rispondendo al mio invito, siete venuti numerosi a questa celebrazione con cui entriamo nell'Anno Sacerdotale. Saluto i Signori Cardinali e i Vescovi, in particolare il Cardinale Prefetto e il Segretario della Congregazione per il Clero con i loro collaboratori, ed il Vescovo di Ars. Saluto i sacerdoti e i seminaristi dei vari seminari e collegi di Roma; i religiosi e le religiose e tutti i fedeli. Un saluto speciale rivolgo a Sua Beatitudine Ignace Youssef Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri, venuto a Roma per incontrarmi e significare pubblicamente l'"ecclesiastica communio" che gli ho concesso.

Cari fratelli e sorelle, fermiamoci insieme a contemplare il Cuore trafitto del Crocifisso. Abbiamo ascoltato ancora una volta, poco fa, nella breve lettura tratta dalla
Lettera di san Paolo agli Efesini, che "Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatti rivivere con Cristo... Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù" (Ef 2,4-6).

Essere in Cristo Gesù è già sedere nei Cieli. Nel Cuore di Gesù è espresso il nucleo essenziale del cristianesimo; in Cristo ci è stata rivelata e donata tutta la novità rivoluzionaria del Vangelo: l'Amore che ci salva e ci fa vivere già nell'eternità di Dio. Scrive l'evangelista Giovanni: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna" (3,16).
Il suo Cuore divino chiama allora il nostro cuore; ci invita ad uscire da noi stessi, ad abbandonare le nostre sicurezze umane per fidarci di Lui e, seguendo il suo esempio, a fare di noi stessi un dono di amore senza riserve.

Se è vero che l'invito di Gesù a "rimanere nel suo amore" (cfr Gv 15,9) è per ogni battezzato, nella festa del Sacro Cuore di Gesù, Giornata di santificazione sacerdotale, tale invito risuona con maggiore forza per noi sacerdoti, in particolare questa sera,
solenne inizio dell'Anno Sacerdotale, da me voluto in occasione del 150° anniversario della morte del Santo Curato d'Ars.
Mi viene subito alla mente una sua bella e commovente affermazione, riportata nel
Catechismo della Chiesa Cattolica dove dice: "Il sacerdozio è l'amore del Cuore di Gesù" (n. 1589).
Come non ricordare con commozione che direttamente da questo Cuore è scaturito il dono del nostro ministero sacerdotale? Come dimenticare che noi presbiteri siamo stati consacrati per servire, umilmente e autorevolmente, il sacerdozio comune dei fedeli?
La nostra è una missione indispensabile per la Chiesa e per il mondo, che domanda fedeltà piena a Cristo ed incessante unione con Lui; esige cioè che tendiamo costantemente alla santità come ha fatto san Giovanni Maria Vianney.

Nella
Lettera a voi indirizzata per questo speciale anno giubilare, cari fratelli sacerdoti, ho voluto porre in luce alcuni aspetti qualificanti del nostro ministero, facendo riferimento all'esempio e all'insegnamento del Santo Curato di Ars, modello e protettore di tutti i sacerdoti, e in particolare dei parroci. Che questo mio scritto vi sia di aiuto e di incoraggiamento a fare di questo anno un'occasione propizia per crescere nell'intimità con Gesù, che conta su di noi, suoi ministri, per diffondere e consolidare il suo Regno, per diffondere il suo amore, la sua verità.
E pertanto, "sull'esempio del Santo Curato d'Ars - così concludevo la mia Lettera - lasciatevi conquistare da Lui e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace".
Lasciarsi conquistare pienamente da Cristo! Questo è stato lo scopo di tutta la vita di san Paolo, al quale abbiamo rivolto la nostra attenzione durante
l'Anno Paolino che si avvia ormai verso la sua conclusione; questa è stata la meta di tutto il ministero del Santo Curato d'Ars, che invocheremo particolarmente durante l'Anno Sacerdotale; questo sia anche l'obiettivo principale di ognuno di noi. Per essere ministri al servizio del Vangelo, è certamente utile e necessario lo studio con una accurata e permanente formazione pastorale, ma è ancor più necessaria quella "scienza dell'amore" che si apprende solo nel "cuore a cuore" con Cristo. E' Lui infatti a chiamarci per spezzare il pane del suo amore, per rimettere i peccati e per guidare il gregge in nome suo. Proprio per questo non dobbiamo mai allontanarci dalla sorgente dell'Amore che è il suo Cuore trafitto sulla croce.
Solo così saremo in grado di cooperare efficacemente al misterioso "disegno del Padre" che consiste nel "fare di Cristo il cuore del mondo"! Disegno che si realizza nella storia, man mano che Gesù diviene il Cuore dei cuori umani, iniziando da coloro che sono chiamati a stargli più vicini, i sacerdoti appunto. Ci richiamano a questo costante impegno le "promesse sacerdotali", che abbiamo pronunciato il giorno della nostra Ordinazione e che rinnoviamo ogni anno, il Giovedì Santo, nella Messa Crismale.

Perfino le nostre carenze, i nostri limiti e debolezze devono ricondurci al Cuore di Gesù. Se infatti è vero che i peccatori, contemplandoLo, devono apprendere da Lui il necessario "dolore dei peccati" che li riconduca al Padre, questo vale ancor più per i sacri ministri.

Come dimenticare, in proposito, che nulla fa soffrire tanto la Chiesa, Corpo di Cristo, quanto i peccati dei suoi pastori, soprattutto di quelli che si tramutano in "ladri delle pecore" (Gv 10,1ss), o perché le deviano con le loro private dottrine, o perché le stringono con lacci di peccato e di morte? Anche per noi, cari sacerdoti, vale il richiamo alla conversione e al ricorso alla Divina Misericordia, e ugualmente dobbiamo rivolgere con umiltà l'accorata e incessante domanda al Cuore di Gesù perché ci preservi dal terribile rischio di danneggiare coloro che siamo tenuti a salvare.

Poc'anzi ho potuto venerare, nella Cappella del Coro, la reliquia del Santo Curato d'Ars: il suo cuore. Un cuore infiammato di amore divino, che si commuoveva al pensiero della dignità del prete e parlava ai fedeli con accenti toccanti e sublimi, affermando che "dopo Dio, il sacerdote è tutto! ... Lui stesso non si capirà bene che in cielo" (cfr Lettera per l'Anno Sacerdotale, p. 2). Coltiviamo, cari fratelli, questa stessa commozione, sia per adempiere il nostro ministero con generosità e dedizione, sia per custodire nell'anima un vero "timore di Dio": il timore di poter privare di tanto bene, per nostra negligenza o colpa, le anime che ci sono affidate, o di poterle - Dio non voglia! - danneggiare. La Chiesa ha bisogno di sacerdoti santi; di ministri che aiutino i fedeli a sperimentare l'amore misericordioso del Signore e ne siano convinti testimoni.

Nell'adorazione eucaristica, che seguirà la celebrazione dei Vespri, chiederemo al Signore che infiammi il cuore di ogni presbitero di quella "carità pastorale" capace di assimilare il suo personale "io" a quello di Gesù Sacerdote, così da poterlo imitare nella più completa auto-donazione.

Ci ottenga questa grazia la Vergine Madre, della quale domani contempleremo con viva fede il Cuore Immacolato. Per Lei il Santo Curato d'Ars nutriva una filiale devozione, tanto che nel 1836, in anticipo sulla proclamazione del Dogma dell'Immacolata Concezione, aveva già consacrato la sua parrocchia a Maria "concepita senza peccato". E mantenne l'abitudine di rinnovare spesso quest'offerta della parrocchia alla Santa Vergine, insegnando ai fedeli che "bastava rivolgersi a lei per essere esauditi", per il semplice motivo che ella "desidera soprattutto di vederci felici". Ci accompagni la Vergine Santa, nostra Madre, nell'Anno Sacerdotale che oggi iniziamo, perché possiamo essere guide salde e illuminate per i fedeli che il Signore affida alle nostre cure pastorali. Amen!

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00domenica 27 settembre 2009 13:45
Il Papa: "All’intercessione della Madonna e di san Pio da Pietrelcina vorrei affidare in modo speciale l’Anno Sacerdotale, che ho inaugurato venerdì scorso, Solennità del Sacro Cuore di Gesù"
(Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus Domini sul Sagrato della Chiesa di San Pio da Pietrelcina, 21 giugno 2009)

VISITA PASTORALE DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A SAN GIOVANNI ROTONDO, 21.06.2009

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS SUL SAGRATO DELLA CHIESA DI SAN PIO DA PIETRELCINA

Al termine della Santa Messa celebrata sul sagrato della chiesa di San Pio da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo, il Papa guida la recita dell’Angelus. Queste le parole del Santo Padre nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

al termine di questa solenne
Celebrazione, vi invito a recitare con me – come ogni domenica – la preghiera mariana dell’Angelus.
Ma qui, nel santuario di san Pio da Pietrelcina, ci sembra di sentire la sua stessa voce, che ci esorta a rivolgerci con cuore di figli alla Vergine Santa: "Amate la Madonna e fatela amare".
Così egli ripeteva a tutti, e più delle parole valeva la testimonianza esemplare della sua profonda devozione alla Madre celeste. Battezzato nella chiesa di Santa Maria degli Angeli di Pietrelcina col nome di Francesco, come il Poverello di Assisi nutrì sempre per la Vergine un amore tenerissimo. La Provvidenza lo condusse poi qui, a San Giovanni Rotondo, presso il Santuario di Santa Maria delle Grazie, dove è rimasto fino alla morte e dove riposano le sue spoglie mortali. Tutta la sua vita e il suo apostolato si sono svolti dunque sotto lo sguardo materno della Madonna e con la potenza della sua intercessione. Anche la Casa Sollievo della Sofferenza egli la considerava opera di Maria, "Salute dei malati".
Pertanto, cari amici, sull’esempio di Padre Pio, anch’io oggi voglio affidarvi tutti alla materna protezione della Madre di Dio. In modo particolare la invoco per la comunità dei Frati Cappuccini, per i malati dell’Ospedale e per quanti con amore se ne prendono cura, come pure per i Gruppi di Preghiera che portano avanti in Italia e nel mondo la consegna spirituale del Santo fondatore.

All’intercessione della Madonna e di san Pio da Pietrelcina vorrei affidare in modo speciale l’Anno Sacerdotale, che ho inaugurato venerdì scorso, Solennità del Sacro Cuore di Gesù. Sia esso un’occasione privilegiata per porre in luce il valore della missione e della santità dei sacerdoti al servizio della Chiesa e dell’umanità del terzo millennio!

Preghiamo quest’oggi anche per la situazione difficile e talora drammatica dei rifugiati. Si è celebrata proprio ieri la Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite. Molte sono le persone che cercano rifugio in altri Paesi fuggendo da situazioni di guerra, persecuzione e calamità, e la loro accoglienza pone non poche difficoltà, ma è tuttavia doverosa. Voglia Iddio che, con l’impegno di tutti, si riesca il più possibile a rimuovere le cause di un fenomeno tanto triste.

Con grande affetto saluto tutti i pellegrini qui convenuti. Esprimo la mia riconoscenza alle Autorità civili e a quanti hanno collaborato alla preparazione della mia visita. Grazie di cuore! A tutti ripeto: camminate sulla via che Padre Pio vi ha indicato, la via della santità secondo il Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo. Su questa via vi precederà sempre la Vergine Maria, e con mano materna vi guiderà alla patria celeste.

DOPO L’ANGELUS

Z San Giovanni Rotondo, z Sanktuarium świętego Ojca Pio z Pietrelciny, pozdrawiam serdecznie Polaków, a szczególnie uczestników uroczystości milenijnych ku czci świętego Brunona z Kwerfurtu, męczennika, którzy dzisiaj, w Giżycku, dziękują Bogu za dar wiary przyniesiony przez tego wielkiego Misjonarza. Niech jego starania o dobre relacje między narodami owocują duchem ich zgody i bliskości oraz gorliwością serc w głoszeniu Ewangelii. Z serca wszystkim błogosławię.

[Da San Giovanni Rotondo, presso il Santuario di San Pio da Pietrelcina, saluto cordialmente i Polacchi, particolarmente i partecipanti al millenario del martirio di san Bruno di Querfurt che oggi, a Giżycko, ringraziano Dio per il dono della fede portata da questo grande Missionario. Che il suo sforzo in favore dei buoni rapporti tra le nazioni fruttifichi nella loro concordia e nello zelo per l’annuncio del Vangelo. Tutti vi benedico di cuore.]

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00domenica 27 settembre 2009 13:47
Il Papa ai giovani di San Giovanni Rotondo: "La Chiesa non vi abbandona. Voi non abbandonate la Chiesa!". Ai sacerdoti: "Poiché il contenuto essenziale dell’annuncio cristiano resta sempre lo stesso, è necessario tornare alla sua sorgente originaria, a Gesù Cristo che è lo stesso ieri e oggi e sempre"
(Discorso del Santo Padre in occasione dell'incontro con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i giovani nella Chiesa di San Pio da Pietrelcina, 21 giugno 2009)

VISITA PASTORALE DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A SAN GIOVANNI ROTONDO, 21.06.2009

INCONTRO CON I SACERDOTI, I RELIGIOSI, LE RELIGIOSE E I GIOVANI NELLA CHIESA DI SAN PIO DA PIETRELCINA

Alle ore 17.30, nella chiesa di san Pio da Pietrelcina di San Giovanni Rotondo, ha luogo l’incontro con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i giovani.
Al suo arrivo, il Santo Padre si reca nella Cappella del Santissimo Sacramento per una breve preghiera di adorazione. Quindi, nella chiesa, dopo l’introduzione di S.E. Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio, Arcivescovo eletto di Lecce, Amministratore Apostolico di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, riceve il saluto di Fra Mauro Jöhri, Ministro Generale dell’Ordine Francescano dei Frati Minori Cappuccini, e di due giovani.
Questo il testo del discorso che il Papa pronuncia nel corso dell’incontro:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari sacerdoti,
cari religiosi e religiose,
cari giovani
,

con questo nostro incontro si chiude il mio pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo. Sono grato all’Arcivescovo di Lecce, Amministratore Apostolico di questa Diocesi, Mons. Domenico Umberto d’Ambrosio, e al Padre Mauro Jöhri, Ministro Generale dei Frati Minori Cappuccini, per le parole di cordiale benvenuto che mi hanno rivolto a nome vostro. Il mio saluto si volge ora a voi, cari sacerdoti, che siete ogni giorno impegnati al servizio del popolo di Dio come guide sagge e assidui operai nella vigna del Signore. Saluto con affetto anche le care persone consacrate, chiamate ad offrire una testimonianza di totale dedizione a Cristo mediante la fedele pratica dei consigli evangelici. Un pensiero speciale per voi, cari Frati Cappuccini, che curate con amore questa oasi di spiritualità e di solidarietà evangelica, accogliendo pellegrini e devoti richiamati dalla viva memoria del vostro santo confratello Padre Pio da Pietrelcina. Grazie di cuore per questo prezioso servizio che rendete alla Chiesa e alle anime che qui riscoprono la bellezza della fede e il calore della tenerezza divina. Saluto voi, cari giovani, ai quali il Papa guarda con fiducia come al futuro della Chiesa e della società.

Qui, a San Giovanni Rotondo, tutto parla della santità di un umile frate e zelante sacerdote, che questa sera, invita anche noi ad aprire il cuore alla misericordia di Dio; ci esorta ad essere santi, cioè sinceri e veri amici di Gesù. E grazie alle parole dei vostri rappresentanti giovani.

Cari sacerdoti, proprio l’altro ieri, solennità del Sacro Cuore di Gesù e Giornata di santità sacerdotale, abbiamo iniziato
l’Anno Sacerdotale, durante il quale ricorderemo con venerazione ed affetto il 150° anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney, il santo Curato d’Ars.
Nella
lettera che ho scritto per l’occasione
, ho voluto sottolineare quanto sia importante la santità dei sacerdoti per la vita e la missione della Chiesa. Come il Curato d’Ars, anche Padre Pio ci ricorda la dignità e la responsabilità del ministero sacerdotale.
Chi non restava colpito dal fervore con cui egli riviveva la Passione di Cristo in ogni celebrazione eucaristica? Dall’amore per l’Eucaristia scaturiva in lui come nel Curato d’Ars una totale disponibilità all’accoglienza dei fedeli, soprattutto dei peccatori. Inoltre, se san Giovanni Maria Vianney, in un'epoca tormentata e difficile, cercò in ogni modo, di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale, per il santo Frate del Gargano, la cura delle anime e la conversione dei peccatori furono un anelito che lo consumò fino alla morte.
Quante persone hanno cambiato vita grazie al suo paziente ministero sacerdotale; quante lunghe ore egli trascorreva in confessionale!
Come per il Curato d’Ars, è proprio il ministero di confessore a costituire il maggior titolo di gloria e il tratto distintivo di questo santo Cappuccino. Come allora non renderci conto dell’importanza di partecipare devotamente alla celebrazione eucaristica e di accostarsi frequentemente al sacramento della Confessione? In particolare, il sacramento della Penitenza va ancor più valorizzato, e i sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli per questa straordinaria fonte di serenità e di pace.

C’è poi un altro grande insegnamento che possiamo trarre dalla vita di Padre Pio: il valore e la necessità della preghiera. A chi gli chiedeva un parere sulla sua persona, egli soleva rispondere: "Non sono che un povero frate che prega".

Ed effettivamente pregava sempre e dovunque con umiltà, fiducia e perseveranza. Ecco allora un punto fondamentale non solo per la spiritualità del sacerdote, ma anche per quella di ogni cristiano, ed ancor più per la vostra, cari religiosi e religiose, scelti per seguire più da vicino Cristo mediante la pratica dei voti di povertà, castità e obbedienza. Talora si può essere presi da un certo scoraggiamento dinanzi all’affievolimento e persino all’abbandono della fede, che si registra nelle nostre società secolarizzate.

Sicuramente occorre trovare nuovi canali per comunicare la verità evangelica agli uomini e alle donne del nostro tempo, ma poiché il contenuto essenziale dell’annuncio cristiano resta sempre lo stesso, è necessario tornare alla sua sorgente originaria, a Gesù Cristo che è "lo stesso ieri e oggi e sempre" (Eb 13,8). La vicenda umana e spirituale di Padre Pio insegna che solo un’anima intimamente unita al Crocifisso riesce a trasmettere anche ai lontani la gioia e la ricchezza del Vangelo.

All’amore per Cristo è inevitabilmente unito l’amore per la sua Chiesa, guidata ed animata dalla potenza dello Spirito Santo, nella quale ognuno di noi ha un ruolo e una missione da compiere. Cari sacerdoti, cari religiosi e religiose, diversi sono i compiti che vi sono affidati e i carismi dei quali siete interpreti, ma unico sia sempre lo spirito con cui realizzarli, perché la vostra presenza e la vostra azione all’interno del popolo cristiano, diventino eloquente testimonianza del primato di Dio nella vostra esistenza. Non era forse proprio questo ciò che tutti percepivano in san Pio da Pietrelcina?

Permettete ora che rivolga una parola speciale ai giovani, che vedo così numerosi ed entusiasti.

Cari amici, grazie per la vostra accoglienza calorosa e per i fervidi sentimenti di cui si è fatto interprete il vostro rappresentante. Ho notato che il piano pastorale della vostra Diocesi, per il triennio 2007-2010, dedica molta attenzione alla missione nei confronti della gioventù e della famiglia e sono certo che dall’itinerario di ascolto, di confronto, di dialogo e di verifica nel quale siete impegnati, scaturiranno una sempre maggiore cura delle famiglie e un puntuale ascolto delle reali attese delle nuove generazioni.

Ho presente i problemi che vi assillano, cari ragazzi e ragazze, e rischiano di soffocare gli entusiasmi tipici della vostra giovinezza. Tra questi, in particolare, cito il fenomeno della disoccupazione, che interessa in maniera drammatica non pochi giovani e ragazze del Mezzogiorno d’Italia. Non perdetevi d’animo!

Siate "giovani dal cuore grande", come vi è stato ripetuto spesso quest’anno a partire dalla Missione Diocesana Giovani, animata e guidata dal Seminario Regionale di Molfetta nel settembre scorso.

La Chiesa non vi abbandona. Voi non abbandonate la Chiesa! C’è bisogno del vostro apporto per costruire comunità cristiane vive, e società più giuste e aperte alla speranza. E se volete avere il "cuore grande", mettetevi alla scuola di Gesù. Proprio l’altro giorno abbiamo contemplato il suo Cuore grande e colmo di amore per l’umanità. Mai Egli vi abbandonerà o tradirà la vostra fiducia, mai vi condurrà per sentieri sbagliati.

Come Padre Pio, anche voi siate fedeli amici del Signore Gesù, intrattenendo con Lui un quotidiano rapporto mediante la preghiera e l’ascolto della sua Parola, l’assidua pratica dei Sacramenti e l’appartenenza cordiale alla sua famiglia, che è la Chiesa. Questo deve essere alla base del programma di vita di ciascuno di voi, cari giovani, come pure di voi, cari sacerdoti e di voi, cari religiosi e religiose. Per ciascuno e ciascuna assicuro la mia preghiera, mentre imploro la materna protezione di Santa Maria delle Grazie, che veglia su di voi dal suo Santuario nella cui cripta riposano le spoglie di Padre Pio. Di cuore vi ringrazio, ancora una volta, per la vostra accoglienza e vi benedico tutti, insieme alle vostre famiglie, comunità, parrocchie e all’intera vostra Diocesi. Grazie!

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00domenica 27 settembre 2009 13:50
Il Papa a San Giovanni Rotondo: "Molti di voi, religiosi, religiose e laici, siete talmente presi dalle mille incombenze richieste dal servizio ai pellegrini, oppure ai malati nell’ospedale, da correre il rischio di trascurare la cosa veramente necessaria: ascoltare Cristo per compiere la volontà di Dio. Quando vi accorgete che siete vicini a correre questo rischio, guardate a Padre Pio"
(Omelia del Santo Padre nel corso della Concelebrazione Eucaristica sul Sagrato della Chiesa di San Pio da Pietrelcina, 21 giugno 2009)

VISITA PASTORALE DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A SAN GIOVANNI ROTONDO (21 GIUGNO 2009), 21.06.2009

VISITA PRIVATA AL SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE E VENERAZIONE DELLE SPOGLIE DI SAN PIO DA PIETRELCINA

Il Santo Padre Benedetto XVI lascia questa mattina il Vaticano per la Visita Pastorale a San Giovanni Rotondo. A causa delle avverse condizioni atmosferiche, lo spostamento non avviene in elicottero, ma in aereo. Dall'aeroporto di Ciampino (Roma) il Papa raggiunge lo scalo militare di Amendola (Foggia), quindi si reca in auto presso il Campo sportivo "Antonio Massa" di San Giovanni Rotondo dove è accolto dalle Autorità politiche, civili ed ecclesiastiche.
Alle ore 10 il Santo Padre raggiunge in auto il sagrato del Santuario di Santa Maria delle Grazie e qui riceve il saluto di benvenuto da parte del Sindaco di San Giovanni Rotondo, Dr. Gennaro Giuliani e di S.E. Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio, Arcivescovo eletto di Lecce, Amministratore Apostolico di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo.
Nel Santuario, il Papa è accolto da Fra Mauro Jöhri, Ministro Generale dell’Ordine Francescano dei Frati Minori Cappuccini, con il Definitorio Generale; fra Aldo Broccato, Ministro Provinciale; Fra Carlos M. Laborde, Guardiano del Convento; Fra Francesco Dileo, Rettore del Santuario, e dalla Fraternità dei Frati Minori Cappuccini di San Giovanni Rotondo. Dopo l’Adorazione del Santissimo Sacramento, il Papa sale al primo piano del Convento per una breve visita della cella n. 1, dove è morto Padre Pio da Pietrelcina. Quindi scende nella cripta del Santuario per venerare le spoglie mortali di San Pio. Nella cripta, alla presenza della sola Fraternità dei Frati Minori Cappuccini, il Santo Padre accende due lampade, simbolo delle visite apostoliche di Papa Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto XVI.

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA SUL SAGRATO DELLA CHIESA DI SAN PIO DA PIETRELCINA

Alle ore 10.45, sul sagrato della chiesa di San Pio da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Concelebrazione eucaristica.
Nel corso della Santa Messa, il Papa tiene la seguente omelia:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Nel cuore del
mio pellegrinaggio in questo luogo, dove tutto parla della vita e della santità di Padre Pio da Pietrelcina, ho la gioia di celebrare per voi e con voi l’Eucaristia, mistero che ha costituito il centro di tutta la sua esistenza: l’origine della sua vocazione, la forza della sua testimonianza, la consacrazione del suo sacrificio.
Con grande affetto saluto tutti voi, qui convenuti numerosi, e quanti sono con noi collegati mediante la radio e la televisione. Saluto, in primo luogo, l’Arcivescovo Domenico Umberto D’Ambrosio, che, dopo anni di fedele servizio a questa Comunità diocesana, si appresta ad assumere la cura dell’Arcidiocesi di Lecce. Lo ringrazio cordialmente anche perché si è fatto interprete dei vostri sentimenti. Saluto gli altri Vescovi concelebranti. Un saluto speciale rivolgo ai Frati Cappuccini con il Ministro Generale, Fra Mauro Jöhri, il Definitorio Generale, il Ministro Provinciale, il Padre Guardiano del Convento, il Rettore del Santuario e la Fraternità Cappuccina di San Giovanni Rotondo. Saluto inoltre con riconoscenza quanti offrono il loro contributo nel servizio del Santuario e delle opere annesse; saluto le Autorità civili e militari; saluto i sacerdoti, i diaconi, gli altri religiosi e religiose e tutti i fedeli. Un pensiero affettuoso indirizzo a quanti sono nella Casa Sollievo della Sofferenza, alle persone sole e a tutti gli abitanti di questa vostra Città.

Abbiamo appena ascoltato il Vangelo della tempesta sedata, al quale è stato accostato un breve ma incisivo testo del Libro di Giobbe, in cui Dio si rivela come il Signore del mare. Gesù minaccia il vento e ordina al mare di calmarsi, lo interpella come se esso si identificasse con il potere diabolico. In effetti, secondo quanto ci dicono la prima Lettura e il Salmo 106/107, il mare nella Bibbia è considerato un elemento minaccioso, caotico, potenzialmente distruttivo, che solo Dio, il Creatore, può dominare, governare e tacitare.

C’è però un’altra forza - una forza positiva - che muove il mondo, capace di trasformare e rinnovare le creature: la forza dell’"amore del Cristo",  (2 Cor 5,14) - come la chiama san Paolo nella
Seconda Lettera ai Corinzi - : non quindi essenzialmente una forza cosmica, bensì divina, trascendente.
Agisce anche sul cosmo ma, in se stesso, l’amore di Cristo è un potere "altro", e questa sua alterità trascendente, il Signore l’ha manifestata nella sua Pasqua, nella "santità" della "via" da Lui scelta per liberarci dal dominio del male, come era avvenuto per l’esodo dall’Egitto, quando aveva fatto uscire gli Ebrei attraverso le acque del Mar Rosso. "O Dio – esclama il salmista –, santa è la tua via… Sul mare la tua via, / i tuoi sentieri sulle grandi acque" (Sal 77/76,14.20). Nel mistero pasquale, Gesù è passato attraverso l’abisso della morte, poiché Dio ha voluto così rinnovare l’universo: mediante la morte e risurrezione del suo Figlio "morto per tutti", perché tutti possano vivere "per colui che è morto e risorto per loro" (2 Cor 5,16).

Il gesto solenne di calmare il mare in tempesta è chiaramente segno della signoria di Cristo sulle potenze negative e induce a pensare alla sua divinità: "Chi è dunque costui – si domandano stupiti e intimoriti i discepoli –, che anche il vento e il mare gli obbediscono?" (Mc 4,41).

La loro non è ancora fede salda, si sta formando; è un misto di paura e di fiducia; l’abbandono confidente di Gesù al Padre è invece totale e puro. Per questo Egli dorme durante la tempesta, completamente sicuro nelle braccia di Dio. Ma verrà il momento in cui anche Gesù proverà paura e angoscia: quando verrà la sua ora, sentirà su di sé tutto il peso dei peccati dell’umanità, come un’onda di piena che sta per rovesciarsi su di Lui. Quella sì, sarà una tempesta terribile, non cosmica, ma spirituale. Sarà l’ultimo, estremo assalto del male contro il Figlio di Dio.

Ma in quell’ora Gesù non dubitò del potere di Dio Padre e della sua vicinanza, anche se dovette sperimentare pienamente la distanza dell’odio dall’amore, della menzogna dalla verità, del peccato dalla grazia.
Sperimentò questo dramma in se stesso in maniera lacerante, specialmente nel Getsemani, prima dell’arresto, e poi durante tutta la passione, fino alla morte in croce. In quell’ora, Gesù da una parte fu un tutt’uno con il Padre, pienamente abbandonato a Lui; dall’altra, in quanto solidale con i peccatori, fu come separato e si sentì come abbandonato da Lui.

Alcuni Santi hanno vissuto intensamente e personalmente questa esperienza di Gesù. Padre Pio da Pietrelcina è uno di loro. Un uomo semplice, di origini umili, "afferrato da Cristo" (Fil 3,12) – come scrive di sé l’apostolo Paolo – per farne uno strumento eletto del potere perenne della sua Croce: potere di amore per le anime, di perdono e di riconciliazione, di paternità spirituale, di solidarietà fattiva con i sofferenti.

Le stigmate, che lo segnarono nel corpo, lo unirono intimamente al Crocifisso-Risorto.
Autentico seguace di san Francesco d’Assisi, fece propria, come il Poverello, l’esperienza dell’apostolo Paolo, così come egli la descrive nelle sue Lettere: "Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20); oppure: "In noi agisce la morte, in voi la vita" (2 Cor 5,12). Questo non significa alienazione, perdita della personalità: Dio non annulla mai l’umano, ma lo trasforma con il suo Spirito e lo orienta al servizio del suo disegno di salvezza.
Padre Pio conservò i propri doni naturali, e anche il proprio temperamento, ma offrì ogni cosa a Dio, che ha potuto servirsene liberamente per prolungare l’opera di Cristo: annunciare il Vangelo, rimettere i peccati e guarire i malati nel corpo e nello spirito.

Come è stato per Gesù, la vera lotta, il combattimento radicale Padre Pio ha dovuto sostenerli non contro nemici terreni, bensì contro lo spirito del male (cfr Ef 6,12).

Le più grandi "tempeste" che lo minacciavano erano gli assalti del diavolo, dai quali egli si difese con "l’armatura di Dio", con "lo scudo della fede" e "la spada dello Spirito, che è la parola di Dio" (Ef 6,11.16.17).
Rimanendo unito a Gesù, egli ha avuto sempre di mira la profondità del dramma umano, e per questo si è offerto e ha offerto le sue tante sofferenze, ed ha saputo spendersi per la cura ed il sollievo dei malati, segno privilegiato della misericordia di Dio, del suo Regno che viene, anzi, che è già nel mondo, della vittoria dell’amore e della vita sul peccato e sulla morte. Guidare le anime e alleviare la sofferenza: così si può riassumere la missione di san Pio da Pietrelcina, come ebbe a dire di lui anche il servo di Dio, il Papa Paolo VI: "Era un uomo di preghiera e di sofferenza" (Ai Padri Capitolari Cappuccini, 20 febbraio 1971).

Cari amici, Frati Minori Cappuccini, membri dei Gruppi di preghiera e fedeli tutti di San Giovanni Rotondo, voi siete gli eredi di Padre Pio e l’eredità che vi ha lasciato è la santità. In una sua lettera scrive: "Sembra che Gesù non abbia altra cura per le mani se non quella di santificare l’anima vostra" (Epist. II, p. 155). Questa era sempre la sua prima preoccupazione, la sua ansia sacerdotale e paterna: che le persone ritornassero a Dio, che potessero sperimentare la sua misericordia e, interiormente rinnovate, riscoprissero la bellezza e la gioia di essere cristiani, di vivere in comunione con Gesù, di appartenere alla sua Chiesa e praticare il Vangelo. Padre Pio attirava sulla via della santità con la sua stessa testimonianza, indicando con l’esempio il "binario" che ad essa conduce: la preghiera e la carità.

Prima di tutto la preghiera.
Come tutti i grandi uomini di Dio, Padre Pio era diventato lui stesso preghiera, anima e corpo. Le sue giornate erano un rosario vissuto, cioè una continua meditazione e assimilazione dei misteri di Cristo in unione spirituale con la Vergine Maria. Si spiega così la singolare compresenza in lui di doni soprannaturali e di concretezza umana. E tutto aveva il suo culmine nella celebrazione della santa Messa: lì egli si univa pienamente al Signore morto e risorto. Dalla preghiera, come da fonte sempre viva, sgorgava la carità. L’amore che egli portava nel cuore e trasmetteva agli altri era pieno di tenerezza, sempre attento alle situazioni reali delle persone e delle famiglie. Specialmente verso i malati e i sofferenti nutriva la predilezione del Cuore di Cristo, e proprio da questa ha preso origine e forma il progetto di una grande opera dedicata al "sollievo della sofferenza". Non si può capire né interpretare adeguatamente tale istituzione se la si scinde dalla sua fonte ispiratrice, che è la carità evangelica, animata a sua volta dalla preghiera.

Tutto questo, carissimi, Padre Pio ripropone oggi alla nostra attenzione. I rischi dell’attivismo e della secolarizzazione sono sempre presenti; perciò la mia visita ha anche lo scopo di confermarvi nella fedeltà alla missione ereditata dal vostro amatissimo Padre. Molti di voi, religiosi, religiose e laici, siete talmente presi dalle mille incombenze richieste dal servizio ai pellegrini, oppure ai malati nell’ospedale, da correre il rischio di trascurare la cosa veramente necessaria: ascoltare Cristo per compiere la volontà di Dio. Quando vi accorgete che siete vicini a correre questo rischio, guardate a Padre Pio: al suo esempio, alle sue sofferenze; e invocate la sua intercessione, perché vi ottenga dal Signore la luce e la forza di cui avete bisogno per proseguire la sua stessa missione intrisa di amore per Dio e di carità fraterna.

E dal cielo continui egli ad esercitare quella squisita paternità spirituale che lo ha contraddistinto durante l’esistenza terrena; continui ad accompagnare i suoi confratelli, i suoi figli spirituali e l’intera opera che ha iniziato. Insieme a san Francesco, e alla Madonna, che ha tanto amato e fatto amare in questo mondo, vegli su voi tutti e sempre vi protegga. Ed allora, anche nelle tempeste che possono alzarsi improvvise, potrete sperimentare il soffio dello Spirito Santo che è più forte di ogni vento contrario e spinge la barca della Chiesa ed ognuno di noi. Ecco perché dobbiamo vivere sempre nella serenità e coltivare nel cuore la gioia rendendo grazie al Signore. "Il suo amore è per sempre" (Salmo resp.). Amen!

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00domenica 27 settembre 2009 13:52
Il Papa: "Il presbitero non può considerarsi "padrone" della parola, ma servo. Egli non è la parola, ma, come proclamava Giovanni il Battista, è "voce" della Parola: "Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri" (Mc 1,3)"
(Monumentale catechesi del Santo Padre sull'Anno Sacerdotale ed il sacerdozio, 24 giugno 2009)

L’UDIENZA GENERALE, 24.06.2009

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha incentrato la sua meditazione sull’Anno Sacerdotale da lui indetto nell’occasione del 150° anniversario della morte del Curato d’Ars, san. Giovanni Maria Vianney.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Anno Sacerdotale

Cari fratelli e sorelle,

venerdì scorso 19 giugno, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù e Giornata tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santificazione dei sacerdoti, ho avuto la gioia d’inaugurare
l’Anno Sacerdotale, indetto in occasione del centocinquantesimo anniversario della "nascita al Cielo" del Curato d’Ars, san Giovanni Battista Maria Vianney.
Ed entrando nella Basilica Vaticana per la celebrazione dei Vespri, quasi come primo gesto simbolico, mi sono fermato nella Cappella del Coro per venerare la reliquia di questo santo Pastore d’anime: il suo cuore.

Perché un Anno Sacerdotale? Perché proprio nel ricordo del santo Curato d’Ars, che apparentemente non ha compiuto nulla di straordinario?

La Provvidenza divina ha fatto sì che la sua figura venisse accostata a quella di san Paolo. Mentre infatti si va concludendo
l’Anno Paolino, dedicato all’Apostolo delle genti, modello di straordinario evangelizzatore che ha compiuto diversi viaggi missionari per diffondere il Vangelo, questo nuovo anno giubilare ci invita a guardare ad un povero contadino diventato umile parroco, che ha consumato il suo servizio pastorale in un piccolo villaggio.

Se i due Santi differiscono molto per i percorsi di vita che li hanno caratterizzati – l’uno è passato di regione in regione per annunciare il Vangelo, l’altro ha accolto migliaia e migliaia di fedeli sempre restando nella sua piccola parrocchia -, c’è però qualcosa di fondamentale che li accomuna: ed è la loro identificazione totale col proprio ministero, la loro comunione con Cristo che faceva dire a san Paolo: "Sono stato crocifisso con Cristo. Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20).

E san Giovanni Maria Vianney amava ripetere: "Se avessimo fede, vedremmo Dio nascosto nel sacerdote come una luce dietro il vetro, come il vino mescolato all’acqua".

Scopo di questo Anno Sacerdotale come ho scritto nella
lettera inviata ai sacerdoti per tale occasione - è pertanto favorire la tensione di ogni presbitero "verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del suo ministero", e aiutare innanzitutto i sacerdoti, e con essi l’intero Popolo di Dio, a riscoprire e rinvigorire la coscienza dello straordinario ed indispensabile dono di Grazia che il ministero ordinato rappresenta per chi lo ha ricevuto, per la Chiesa intera e per il mondo, che senza la presenza reale di Cristo sarebbe perduto.

Indubbiamente sono mutate le condizioni storiche e sociali nelle quali ebbe a trovarsi il Curato d’Ars ed è giusto domandarsi come possano i sacerdoti imitarlo nella immedesimazione col proprio ministero nelle attuali società globalizzate. In un mondo in cui la visione comune della vita comprende sempre meno il sacro, al posto del quale, la "funzionalità" diviene l’unica decisiva categoria, la concezione cattolica del sacerdozio potrebbe rischiare di perdere la sua naturale considerazione, talora anche all’interno della coscienza ecclesiale.

Non di rado, sia negli ambienti teologici, come pure nella concreta prassi pastorale e di formazione del clero, si confrontano, e talora si oppongono, due differenti concezioni del sacerdozio. Rilevavo in proposito alcuni anni or sono che esistono "da una parte una concezione sociale-funzionale che definisce l’essenza del sacerdozio con il concetto di ‘servizio’: il servizio alla comunità, nell’espletamento di una funzione… Dall’altra parte, vi è la concezione sacramentale-ontologica, che naturalmente non nega il carattere di servizio del sacerdozio, lo vede però ancorato all’essere del ministro e ritiene che questo essere è determinato da un dono concesso dal Signore attraverso la mediazione della Chiesa, il cui nome è sacramento" (J. Ratzinger, Ministero e vita del Sacerdote, in
Elementi di Teologia fondamentale. Saggio su fede e ministero, Brescia 2005, p.165).

Anche lo slittamento terminologico dalla parola "sacerdozio" a quelle di "servizio, ministero, incarico", è segno di tale differente concezione. Alla prima, poi, quella ontologico-sacramentale, è legato il primato dell’Eucaristia, nel binomio "sacerdozio-sacrificio", mentre alla seconda corrisponderebbe il primato della parola e del servizio dell’annuncio.

A ben vedere, non si tratta di due concezioni contrapposte, e la tensione che pur esiste tra di esse va risolta dall’interno. Così il
Decreto Presbyterorum ordinis del Concilio Vaticano II afferma: "È proprio per mezzo dell'annuncio apostolico del Vangelo che il popolo di Dio viene convocato e adunato, in modo che tutti… possano offrire se stessi come «ostia viva, santa, accettabile da Dio» (Rm 12,1), ed è proprio attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto nell'unione al sacrificio di Cristo, unico mediatore. Questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell'Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore" (n. 2).

Ci chiediamo allora: "Che cosa significa propriamente, per i sacerdoti, evangelizzare? In che consiste il cosiddetto primato dell’annuncio"?. Gesù parla dell’annuncio del Regno di Dio come del vero scopo della sua venuta nel mondo e il suo annuncio non è solo un "discorso".

Include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire: i segni e i miracoli che compie indicano che il Regno viene nel mondo come realtà presente, che coincide ultimamente con la sua stessa persona. In questo senso, è doveroso ricordare che, anche nel primato dell’annuncio, parola e segno sono indivisibili. La predicazione cristiana non proclama "parole", ma la Parola, e l’annuncio coincide con la persona stessa di Cristo, ontologicamente aperta alla relazione con il Padre ed obbediente alla sua volontà.
Quindi, un autentico servizio alla Parola richiede da parte del sacerdote che tenda ad una approfondita abnegazione di sé, sino a dire con l’Apostolo: "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me".

Il presbitero non può considerarsi "padrone" della parola, ma servo. Egli non è la parola, ma, come proclamava Giovanni il Battista, del quale celebriamo proprio oggi la Natività, è "voce" della Parola: "Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri" (Mc 1,3).

Ora, essere "voce" della Parola, non costituisce per il sacerdote un mero aspetto funzionale. Al contrario presuppone un sostanziale "perdersi" in Cristo, partecipando al suo mistero di morte e di risurrezione con tutto il proprio io: intelligenza, libertà, volontà e offerta dei propri corpi, come sacrificio vivente (cfr Rm 12,1-2).
Solo la partecipazione al sacrificio di Cristo, alla sua chènosi, rende autentico l’annuncio! E questo è il cammino che deve percorrere con Cristo per giungere a dire al Padre insieme con Lui: si compia "non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi" (Mc 14,36). L’annuncio, allora, comporta sempre anche il sacrificio di sé, condizione perché l’annuncio sia autentico ed efficace.

Alter Christus, il sacerdote è profondamente unito al Verbo del Padre, che incarnandosi ha preso la forma di servo, è divenuto servo (cfr Fil 2,5-11).

Il sacerdote é servo di Cristo, nel senso che la sua esistenza, configurata a Cristo ontologicamente, assume un carattere essenzialmente relazionale: egli è in Cristo, per Cristo e con Cristo al servizio degli uomini. Proprio perché appartiene a Cristo, il presbitero è radicalmente al servizio degli uomini: è ministro della loro salvezza, della loro felicità, della loro autentica liberazione, maturando, in questa progressiva assunzione della volontà del Cristo, nella preghiera, nello "stare cuore a cuore" con Lui.

È questa allora la condizione imprescindibile di ogni annuncio, che comporta la partecipazione all’offerta sacramentale dell’Eucaristia e la docile obbedienza alla Chiesa.

Il santo Curato d’Ars ripeteva spesso con le lacrime agli occhi: "Come è spaventoso essere prete!". Ed aggiungeva: "Come è da compiangere un prete quando celebra la Messa come un fatto ordinario! Com’è sventurato un prete senza vita interiore!". Possa l’Anno sacerdotale condurre tutti i sacerdoti ad immedesimarsi totalmente con Gesù crocifisso e risorto, perché, ad imitazione di san Giovanni Battista, siano pronti a "diminuire" perché Lui cresca; perché, seguendo l’esempio del Curato d’Ars, avvertano in maniera costante e profonda la responsabilità della loro missione, che è segno e presenza dell’infinita misericordia di Dio. Affidiamo alla Madonna, Madre della Chiesa, l’Anno Sacerdotale appena iniziato e tutti i sacerdoti del mondo.

Saluto in lingua italiana

Il mio cordiale benvenuto va ora ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli della diocesi di San Marino-Montefeltro, accompagnati dal loro Vescovo, Mons. Luigi Negri, ed a quelli che partecipano al pellegrinaggio promosso dalla Congregazione di San Giovanni Battista Precursore. A ciascuno auguro che quest'incontro costituisca un'occasione provvidenziale per un rinnovato impegno di testimonianza cristiana. Saluto, poi, i Legionari di Cristo, invocando su ognuno la continua protezione del Signore. Il mio pensiero va, altresì, alle Suore Apostole del Santo Rosario, che incoraggio a diffondere con entusiasmo la novità del perenne messaggio salvifico portato da Cristo.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Celebriamo oggi la festa della natività di San Giovanni Battista, mandato da Dio per rendere testimonianza alla luce e preparare al Signore un popolo ben disposto. Auguro a voi, cari giovani, di trovare nell'amicizia con Gesù la forza necessaria per essere sempre all'altezza delle responsabilità che vi attendono. Esorto voi, cari ammalati, a considerare le sofferenze e le prove quotidiane come opportunità che Dio offre per cooperare alla salvezza delle anime. Ed invito voi, cari sposi novelli, a manifestare l'amore del Signore nella fedeltà reciproca e nella generosa accoglienza della vita.

Rivolgo un cordiale saluto alla Delegazione guidata dalla Sotto-Segretario dell’ONU e Rappresentante speciale per i Bambini in situazione di conflitto armato. Nell’esprimere a Lei e ai suoi accompagnatori vivo apprezzamento per l’impegno a difesa dell’infanzia vittima della violenza e delle armi, penso a tutti i bambini del mondo, in particolare a quelli che sono esposti alla paura, all’abbandono, alla fame, agli abusi, alla malattia, alla morte. Il Papa è vicino a tutte queste piccole vittime e li ricorda sempre nella preghiera.

* * *

Il 24 giugno di 150 anni fa nasceva l’idea di una grande mobilitazione per l’assistenza delle vittime delle guerre, che in seguito prenderà il nome di Croce Rossa. Nel corso degli anni, i valori di universalità, neutralità, indipendenza del servizio, hanno suscitato l’adesione di milioni di volontari in ogni parte del mondo, formando un importante baluardo di umanità e di solidarietà in tanti contesti di guerra e di conflitto, come pure in molte emergenze. Nell’auspicare che la persona umana, nella sua dignità e nella sua interezza sia sempre al centro dell’impegno umanitario della Croce Rossa, incoraggio specialmente i giovani ad impegnarsi concretamente in questa benemerita Istituzione. Approfitto di questa circostanza per chiedere il rilascio di tutte le persone sequestrate in zone di confitto e nuovamente la liberazione di Eugenio Vagni, operatore della Croce Rossa nelle Filippine.

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00domenica 27 settembre 2009 13:54
Il Papa: "San Paolo è esempio di sacerdote totalmente identificato col suo ministero – come sarà anche il Santo Curato d’Ars –, consapevole di portare un tesoro inestimabile, cioè il messaggio della salvezza, ma di portarlo in un "vaso di creta" (cfr 2 Cor 4,7); perciò egli è forte e umile nello stesso tempo, intimamente persuaso che tutto è merito di Dio, tutto è sua grazia"
(Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus, 28 giugno 2009)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 28.06.2009

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Con la celebrazione dei Primi Vespri dei Santi Pietro e Paolo, che presiederò questa sera nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, si chiude
l’Anno Paolino, indetto nel bimillenario della nascita dell’Apostolo delle genti.
E’ stato un vero tempo di grazia in cui, mediante i pellegrinaggi, le catechesi, numerose pubblicazioni e diverse iniziative, la figura di san Paolo è stata riproposta in tutta la Chiesa e il suo vibrante messaggio ha ravvivato ovunque, nelle comunità cristiane, la passione per Cristo e per il Vangelo. Rendiamo pertanto grazie a Dio per l’Anno Paolino e per tutti i doni spirituali che esso ci ha portato.
La divina Provvidenza ha disposto che proprio pochi giorni fa, il 19 giugno, solennità del Sacro Cuore di Gesù, sia stato inaugurato un altro anno speciale,
l’Anno Sacerdotale
, in occasione del 150° anniversario della morte – dies natalis – di Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d’Ars. Un ulteriore impulso spirituale e pastorale, che – ne sono certo - non mancherà di recare tanti benefici al popolo cristiano e specialmente al clero.

Qual è la finalità dell’Anno Sacerdotale?

Come ho scritto nell’apposita
lettera che ho inviato ai sacerdoti, esso intende contribuire a promuovere l’impegno di interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi.

L’apostolo Paolo costituisce, in proposito, un modello splendido da imitare non tanto nella concretezza della vita – la sua infatti fu davvero straordinaria – ma nell’amore per Cristo, nello zelo per l’annuncio del Vangelo, nella dedizione alle comunità, nella elaborazione di efficaci sintesi di teologia pastorale.

San Paolo è esempio di sacerdote totalmente identificato col suo ministero – come sarà anche il Santo Curato d’Ars –, consapevole di portare un tesoro inestimabile, cioè il messaggio della salvezza, ma di portarlo in un "vaso di creta" (cfr 2 Cor 4,7); perciò egli è forte e umile nello stesso tempo, intimamente persuaso che tutto è merito di Dio, tutto è sua grazia.

"L’amore del Cristo ci possiede" – scrive l’Apostolo, e questo può ben essere il motto di ogni sacerdote, che lo Spirito "avvince" (cfr At 20,22) per farne un fedele amministratore dei misteri di Dio (cfr 1 Cor 4,1-2): il presbitero deve essere tutto di Cristo e tutto della Chiesa, alla quale è chiamato a dedicarsi con amore indiviso, come uno sposo fedele verso la sua sposa.
Cari amici, insieme con quella dei santi Apostoli Pietro e Paolo, invochiamo ora l’intercessione della Vergine Maria, perché ottenga dal Signore abbondanti benedizioni per i sacerdoti durante questo Anno Sacerdotale da poco iniziato. La Madonna, che san Giovanni Maria Vianney tanto amò e fece amare dai suoi parrocchiani, aiuti ogni sacerdote a ravvivare il dono di Dio che è in lui in virtù della santa Ordinazione, così che egli cresca nella santità e sia pronto a testimoniare, se necessario sino al martirio, la bellezza della sua totale e definitiva consacrazione a Cristo e alla Chiesa.

DOPO L’ANGELUS

En ce dimanche, qui est éclairé par les solennités liturgiques de saint Jean-Baptiste et des Apôtres Pierre et Paul, j’accueille avec joie les pèlerins de langue française venus pour la prière de l’Angélus. La liturgie de ce jour nous rappelle que l’homme est fait pour la vie. Quiconque accepte de croire au Christ et de fonder son existence sur son amour reçoit de lui la force qui fait vivre. Au terme de l’année paulinienne que nous venons de vivre, je vous invite à progresser toujours plus dans la communion fraternelle qui vous comblera de la richesse même du Christ. Avec ma Bénédiction apostolique !

I am happy to greet all the English-speaking pilgrims and visitors present for this Angelus Prayer. Today’s Liturgy proclaims Jesus Christ, the Saviour who has done away with death and brought us life through his Gospel. May our thoughts and actions always be inspired by the words and deeds of Jesus whom we venerate as the Way, the Truth and the Life. I wish you all a pleasant stay in Rome and a blessed Sunday!

Ganz herzlich grüße ich alle Pilger und Besucher aus den Ländern deutscher Sprache. Mit der Vesper heute abend in der Basilika Sankt Paul vor den Mauern findet das Paulusjahr seinen Abschluß. Ich hoffe, daß uns die Persönlichkeit dieses Apostels der Völker immer vertrauter wird. Er war kein großer Redner und auch kein geschickter Stratege. Aber er hat sich mit Leib und Seele für das lebendige Wort Gottes, das Jesus Christus ist, eingesetzt und sich ihm ausgesetzt. Die Kirche ist nur dann überzeugend, wenn ihre Verkünder bereit sind, selbstlos und mutig für Gottes Liebe und Wahrheit einzutreten. Euch allen wünsche ich einen gesegneten Sonntag.

Saludo con afecto a los fieles de lengua española, y de modo particular a los miembros del "Instituto Misioneras y Misioneros Identes", venidos a Roma para dar gracias a Dios por la celebración del cincuenta aniversario de su fundación. Invito a todos a fortalecer vuestra fe y esperanza, mediante el trato asiduo con Cristo en la oración, para llevar a todo el mundo el testimonio de vuestro amor a Dios. Feliz domingo.

Pozdrawiam serdecznie Polaków. Dzisiaj wieczorem, Nieszporami zakończymy Rok Świętego Pawła. Był to ważny Rok dla całego Kościoła. Przybliżył nam osobę Apostoła Narodów bez reszty oddanego Chrystusowi i dziełu ewangelizacji. Jego gorliwa posługa i oddanie Kościołowi są dla nas wyzwaniem, byśmy codziennym życiem odważnie świadczyli o Chrystusie. Niech nasze świadectwo będzie duchowym owocem tego Roku. Z serca wam błogosławię.

[Saluto cordialmente tutti i polacchi. Con i Vespri di questa sera chiuderemo l’Anno Paolino. È stato un anno importante per tutta la Chiesa. Ci ha avvicinato alla persona dell’Apostolo delle Nazioni, totalmente donatosi a Cristo e all’opera evangelizzatrice. Il suo zelante ministero e la sua dedizione alla Chiesa siano per noi una sfida a trasformare la nostra vita quotidiana in una coraggiosa testimonianza di Cristo. Che questa nostra testimonianza sia il frutto spirituale di quest’anno. Vi benedico tutti di cuore.]

Saluto ora i pellegrini di lingua italiana, molti dei quali sono a Roma per la conclusione dell’Anno Paolino. Saluto, in particolare, i fedeli delle parrocchie: S. Maria Assunta in Avio, "Spirito Santo" in Botrugno e Santa Maria di Loreto in Fossano. Saluto il parroco e i fedeli della comunità dell’Annunciazione dell’Eparchia di Latakia-Siria della Chiesa Siro–Maronita, il Vicario Generale e i pellegrini della diocesi di Sapes in Albania, le missionarie e i missionari Identes dell’Istituto di Cristo Redentore. A tutti auguro di trascorrere una buona domenica sotto la speciale protezione dell’apostolo Paolo.

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00domenica 27 settembre 2009 13:57
Il Papa chiude l'Anno Paolino: La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso...E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”
(Monumentale omelia del Santo Padre in occasione dei Primi Vespri della Solennità dei Santi Pietro e Paolo per la chiusura dell’Anno Paolino, 28 giugno 2009)

CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI DELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO IN OCCASIONE DELLA CHIUSURA DELL’ANNO PAOLINO, 28.06.2009

Alle ore 18 di questo pomeriggio, il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica di San Paolo fuori le Mura la Celebrazione dei primi Vespri della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, in occasione della chiusura dell’Anno Paolino.

È presente la Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, inviata da S.S. Bartolomeo I e composta da: Sua Eminenza Emmanuel, Metropolita di Francia, Direttore dell’Ufficio della Chiesa Ortodossa presso l’Unione Europea; S.E. Athenagoras, Vescovo di Sinope, Assistente del Metropolita del Belgio; Rev.do Diacono Ioakim Billis, della Sede patriarcale del Fanar.
Dal quadriportico di San Paolo fuori le Mura, il Santo Padre entra processionalmente in Basilica con i monaci varcando la "Porta Paolina". Giunto in presbiterio, il Papa scende alla Confessione per venerare il sepolcro dell’Apostolo.
Inizia quindi la Celebrazione dei Vespri, nel corso della quale il Santo Padre tiene la seguente omelia:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri membri della Delegazione del Patriarcato ecumenico,
Cari fratelli e sorelle
,

rivolgo a ciascuno il mio saluto cordiale. In particolare, saluto il Cardinale Arciprete di questa Basilica e i suoi collaboratori, saluto l’Abate e la comunità monastica benedettina; saluto pure la Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
L’anno commemorativo della nascita di san Paolo si conclude stasera.

Siamo raccolti presso la tomba dell’Apostolo, il cui sarcofago, conservato sotto l’altare papale, è stato fatto recentemente oggetto di un’attenta analisi scientifica: nel sarcofago, che non è stato mai aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. E’ stata anche rilevata la presenza di grani d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo. Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione.

Molte persone hanno, durante questi mesi, seguito le vie dell’Apostolo – quelle esteriori e più ancora quelle interiori, che egli ha percorso durante la sua vita: la via di Damasco verso l’incontro con il Risorto; le vie nel mondo mediterraneo, che egli ha attraversato con la fiaccola del Vangelo, incontrando contraddizione e adesione, fino al martirio, per il quale appartiene per sempre alla Chiesa di Roma. Ad essa ha indirizzato anche la sua
Lettera più grande ed importante.
L’Anno Paolino si conclude, ma essere in cammino insieme con Paolo, con lui e grazie a lui venir a conoscenza di Gesù e, come lui, essere illuminati e trasformati dal Vangelo – questo farà sempre parte dell’esistenza cristiana. E sempre, andando oltre l’ambiente dei credenti, egli rimane il “maestro delle genti”, che vuol portare il messaggio del Risorto a tutti gli uomini, perché Cristo li ha conosciuti ed amati tutti; è morto e risorto per tutti loro. Vogliamo quindi ascoltarlo anche in questa ora in cui iniziamo solennemente la festa dei due Apostoli uniti fra loro da uno stretto legame.

Fa parte della struttura delle
Lettere di Paolo che esse – sempre in riferimento al luogo ed alla situazione particolare – spieghino innanzitutto il mistero di Cristo, ci insegnino la fede. In una seconda parte, segue l’applicazione alla nostra vita: che cosa consegue a questa fede? Come essa plasma la nostra esistenza giorno per giorno?
Nella
Lettera ai Romani
, questa seconda parte comincia con il dodicesimo capitolo, nei primi due versetti del quale l’Apostolo riassume subito il nucleo essenziale dell’esistenza cristiana. Che cosa dice a noi san Paolo in quel passaggio? Innanzitutto afferma, come cosa fondamentale, che con Cristo è iniziato un nuovo modo di venerare Dio – un nuovo culto. Esso consiste nel fatto che l’uomo vivente diventa egli stesso adorazione, “sacrificio” fin nel proprio corpo. Non sono più le cose ad essere offerte a Dio. È la nostra stessa esistenza che deve diventare lode di Dio.

Ma come avviene questo?

Nel secondo versetto ci vien data la risposta: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio…” (12, 2).
Le due parole decisive di questo versetto sono: “trasformare” e “rinnovare”. Dobbiamo diventare uomini nuovi, trasformati in un nuovo modo di esistenza.

Il mondo è sempre alla ricerca di novità, perché con ragione è sempre scontento della realtà concreta. Paolo ci dice: il mondo non può essere rinnovato senza uomini nuovi. Solo se ci saranno uomini nuovi, ci sarà anche un mondo nuovo, un mondo rinnovato e migliore. All’inizio sta il rinnovamento dell’uomo. Questo vale poi per ogni singolo. Solo se noi stessi diventiamo nuovi, il mondo diventa nuovo. Ciò significa anche che non basta adattarsi alla situazione attuale.

L’Apostolo ci esorta ad un non-conformismo.

Nella nostra Lettera si dice: non sottomettersi allo schema dell’epoca attuale. Dovremo tornare su questo punto riflettendo sul secondo testo che stasera voglio meditare con voi. Il “no” dell’Apostolo è chiaro ed anche convincente per chiunque osservi lo “schema” del nostro mondo. Ma diventare nuovi – come lo si può fare? Ne siamo davvero capaci? Con la parola circa il diventare nuovi, Paolo allude alla propria conversione: al suo incontro col Cristo risorto, incontro di cui nella Seconda Lettera ai Corinzi dice: “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (5, 17). Era tanto sconvolgente per lui questo incontro con Cristo che dice al riguardo: “Sono morto” (Gal 2, 19; cfr Rm 6). Egli è diventato nuovo, un altro, perché non vive più per se stesso e in virtù di se stesso, ma per Cristo ed in Lui. Nel corso degli anni, però, ha anche visto che questo processo di rinnovamento e di trasformazione continua per tutta la vita. Diventiamo nuovi, se ci lasciamo afferrare e plasmare dall’Uomo nuovo Gesù Cristo. Egli è l’Uomo nuovo per eccellenza. In Lui la nuova esistenza umana è diventata realtà, e noi possiamo veramente diventare nuovi se ci consegniamo alle sue mani e da Lui ci lasciamo plasmare.

Paolo rende ancora più chiaro questo processo di “rifusione” dicendo che diventiamo nuovi se trasformiamo il nostro modo di pensare. Ciò che qui è stato tradotto con “modo di pensare”, è il termine greco “nous”. È una parola complessa. Può essere tradotta con “spirito”, “sentimenti”, “ragione” e, appunto, anche con “modo di pensare”. La nostra ragione deve diventare nuova. Questo ci sorprende.

Avremmo forse aspettato che riguardasse piuttosto qualche atteggiamento: ciò che nel nostro agire dobbiamo cambiare, un precetto di alterazione. Ma no: il rinnovamento deve andare fino in fondo. Il nostro modo di vedere il mondo, di comprendere la realtà – tutto il nostro pensare deve mutarsi a partire dal suo fondamento.

Il pensiero dell’uomo vecchio, il modo di pensare comune è rivolto in genere verso il possesso, il benessere, l’influenza, il successo, la fama e così via. Ma in questo modo ha una portata troppo limitata. Così, in ultima analisi, resta il proprio “io” il centro del mondo. Dobbiamo imparare a pensare in maniera più profonda. Che cosa ciò significhi, lo dice san Paolo nella seconda parte della frase: bisogna imparare a comprendere la volontà di Dio, così che questa plasmi la nostra volontà. Affinché noi stessi vogliamo ciò che vuole Dio, perché riconosciamo che ciò che Dio vuole è il bello e il buono. Si tratta dunque di una svolta nel nostro spirituale orientamento di fondo. Dio deve entrare nell’orizzonte del nostro pensiero: ciò che Egli vuole e il modo secondo cui Egli ha ideato il mondo e me. Dobbiamo imparare a prendere parte al pensare e al volere di Gesù Cristo. È allora che saremo uomini nuovi nei quali emerge un mondo nuovo.

Lo stesso pensiero di un necessario rinnovamento del nostro essere persona umana, Paolo lo ha illustrato ulteriormente in due brani della
Lettera agli Efesini, sui quali pertanto vogliamo ancora riflettere brevemente. Nel quarto capitolo della Lettera l’Apostolo ci dice che con Cristo dobbiamo raggiungere l’età adulta, un’umanità matura.
Non possiamo più rimanere “fanciulli in balia delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (4, 14).

Paolo desidera che i cristiani abbiano una fede matura, una “fede adulta”. La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi.

E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”.

Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo. Così fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature umane più inermi.

Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo.
La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e si manifesta nella comunione con Gesù Cristo. Tuttavia, anche qui Paolo non si ferma alla negazione, ma ci conduce al grande “sì”.
Descrive la fede matura, veramente adulta in maniera positiva con l’espressione: “agire secondo verità nella carità” (cfr Ef 4, 15). Il nuovo modo di pensare, donatoci dalla fede, si volge prima di tutto verso la verità. Il potere del male è la menzogna. Il potere della fede, il potere di Dio è la verità. La verità sul mondo e su noi stessi si rende visibile quando guardiamo a Dio. E Dio si rende visibile a noi nel volto di Gesù Cristo. Guardando a Cristo riconosciamo un’ulteriore cosa: verità e carità sono inseparabili. In Dio, ambedue sono inscindibilmente una cosa sola: è proprio questa l’essenza di Dio. Per questo, per i cristiani verità e carità vanno insieme. La carità è la prova della verità. Sempre di nuovo dovremo essere misurati secondo questo criterio, che la verità diventi carità e la carità ci renda veritieri.

Ancora un altro pensiero importante appare nel versetto di san Paolo. L’Apostolo ci dice che, agendo secondo verità nella carità, noi contribuiamo a far sì che il tutto – l’universo – cresca tendendo a Cristo.

Paolo, in base alla sua fede, non s’interessa soltanto della nostra personale rettitudine e non soltanto della crescita della Chiesa. Egli s’interessa dell’universo: ta pánta. Lo scopo ultimo dell’opera di Cristo è l’universo – la trasformazione dell’universo, di tutto il mondo umano, dell’intera creazione. Chi insieme con Cristo serve la verità nella carità, contribuisce al vero progresso del mondo. Sì, è qui del tutto chiaro che Paolo conosce l’idea di progresso. Cristo, il suo vivere, soffrire e risorgere è stato il vero grande salto del progresso per l’umanità, per il mondo. Ora, però, l’universo deve crescere in vista di Lui. Dove aumenta la presenza di Cristo, là c’è il vero progresso del mondo. Là l’uomo diventa nuovo e così diventa nuovo il mondo.
La stessa cosa Paolo ci rende evidente ancora a partire da un’altra angolatura. Nel terzo capitolo della Lettera agli Efesini egli ci parla della necessità di essere “rafforzati nell’uomo interiore” (3, 16). Con ciò riprende un argomento che prima, in una situazione di tribolazione, aveva trattato nella Seconda Lettera ai Corinzi: “Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno” (4, 16). L’uomo interiore deve rafforzarsi – è un imperativo molto appropriato per il nostro tempo in cui gli uomini così spesso restano interiormente vuoti e pertanto devono aggrapparsi a promesse e narcotici, che poi hanno come conseguenza un ulteriore crescita del senso di vuoto nel loro intimo. Il vuoto interiore – la debolezza dell’uomo interiore – è uno dei grandi problemi del nostro tempo. Deve essere rafforzata l’interiorità – la percettività del cuore; la capacità di vedere e comprendere il mondo e l’uomo dal di dentro, con il cuore. Noi abbiamo bisogno di una ragione illuminata dal cuore, per imparare ad agire secondo la verità nella carità. Questo, tuttavia, non si realizza senza un intimo rapporto con Dio, senza la vita di preghiera. Abbiamo bisogno dell’incontro con Dio, che ci vien dato nei Sacramenti. E non possiamo parlare a Dio nella preghiera, se non lasciamo che parli prima Egli stesso, se non lo ascoltiamo nella parola, che ci ha donato. Paolo, al riguardo, ci dice: “Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza” (Ef 3, 17ss). L’amore vede più lontano della semplice ragione, è ciò che Paolo ci dice con queste parole. E ci dice ancora che solo nella comunione con tutti i santi, cioè nella grande comunità di tutti i credenti – e non contro o senza di essa – possiamo conoscere la vastità del mistero di Cristo. Questa vastità, egli la circoscrive con parole che vogliono esprimere le dimensioni del cosmo: ampiezza, lunghezza, altezza e profondità. Il mistero di Cristo ha una vastità cosmica: Egli non appartiene soltanto ad un determinato gruppo. Il Cristo crocifisso abbraccia l’intero universo in tutte le sue dimensioni. Egli prende il mondo nelle sue mani e lo porta in alto verso Dio.
A cominciare da sant’ Ireneo di Lione – dunque fin dal II secolo – i Padri hanno visto in questa parola dell’ampiezza, lunghezza, altezza e profondità dell’amore di Cristo un’allusione alla Croce. L’amore di Cristo ha abbracciato nella Croce la profondità più bassa – la notte della morte, e l’altezza suprema – l’elevatezza di Dio stesso. E ha preso tra le sue braccia l’ampiezza e la vastità dell’umanità e del mondo in tutte le loro distanze. Sempre Egli abbraccia l’universo – tutti noi.

Preghiamo il Signore, affinché ci aiuti a riconoscere qualcosa della vastità del suo amore. PreghiamoLo, affinché il suo amore e la sua verità tocchino il nostro cuore. Chiediamo che Cristo abiti nei nostri cuori e ci renda uomini nuovi, che agiscono secondo verità nella carità. Amen !

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Cattolico_Romano
00domenica 27 settembre 2009 14:00
Il Papa: "Rendere sempre di nuovo presente la parola di Dio e dare così nutrimento agli uomini è il compito del retto Pastore. Ed egli deve anche saper resistere ai nemici, ai lupi. Deve precedere, indicare la via, conservare l’unità del gregge"
(Omelia del Santo Padre in occasione della Solennità dei Santi Pietro e Paolo, 29 giugno 2009)

CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO, 29.06.2009

Alle ore 9.30 di oggi, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la Concelebrazione dell’Eucaristia con 34 Arcivescovi Metropoliti ai quali, nel corso del Sacro Rito, impone i Palli presi dalla Confessione di San Pietro.

Come di consueto in occasione della Festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Patroni della Città di Roma, è presente alla Santa Messa una Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, composta da: Sua Eminenza Emmanuel, Metropolita di Francia, Direttore dell’Ufficio della Chiesa Ortodossa presso l’Unione Europea, Sua Eccellenza Athenagoras, Vescovo di Sinope, Assistente del Metropolita del Belgio, Rev.do Diacono Ioakim Billis, della Sede patriarcale del Fanar.
Dopo la lettura del Vangelo e prima del Rito di benedizione e imposizione dei Palli agli Arcivescovi Metropoliti, il Papa tiene l’omelia. Ne riportiamo di seguito il testo:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle
!

A tutti rivolgo il mio saluto cordiale con le parole dell’Apostolo accanto alla cui tomba ci troviamo: "A voi grazia e pace in abbondanza" (1 Pt 1,2).
Saluto, in particolare, i Membri della Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e i numerosi Metropoliti che oggi ricevono il Pallio.
Nella colletta di questa giornata solenne chiediamo al Signore "che la Chiesa segua sempre l’insegnamento degli Apostoli dai quali ha ricevuto il primo annunzio della fede".

La richiesta che rivolgiamo a Dio interpella al contempo noi stessi: seguiamo noi l’insegnamento dei grandi Apostoli fondatori? Li conosciamo veramente?

Nell’Anno Paolino che si è ieri concluso abbiamo cercato di ascoltare in modo nuovo lui, il "maestro delle genti", e di apprendere così nuovamente l’alfabeto della fede.
Abbiamo cercato di riconoscere con Paolo e mediante Paolo il Cristo e di trovare così la via per la retta vita cristiana. Nel Canone del Nuovo Testamento, oltre alle Lettere di san Paolo, ci sono anche due Lettere sotto il nome di san Pietro. La prima di esse si conclude esplicitamente con un saluto da Roma, che però appare sotto l’apocalittico nome di copertura di Babilonia: "Vi saluta la co-eletta che vive in Babilonia…" (5,13).
Chiamando la Chiesa di Roma la "co-eletta", la colloca nella grande comunità di tutte le Chiese locali – nella comunità di tutti coloro che Dio ha adunato, affinché nella "Babilonia" del tempo di questo mondo costruiscano il suo Popolo e facciano entrare Dio nella storia.
La
Prima Lettera di san Pietro è un saluto rivolto da Roma all’intera cristianità di tutti i tempi. Essa ci invita ad ascoltare "l’insegnamento degli Apostoli", che ci indica la via verso la vita.

Questa Lettera è un testo ricchissimo, che proviene dal cuore e tocca il cuore. Il suo centro è – come potrebbe essere diversamente? – la figura di Cristo, che viene illustrato come Colui che soffre e che ama, come Crocifisso e Risorto: "Insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta … Dalle sue piaghe siete stati guariti" (1 Pt 2,23s).

Partendo dal centro che è Cristo, la Lettera costituisce poi anche un’introduzione ai fondamentali Sacramenti cristiani del Battesimo e dell’Eucaristia e un discorso rivolto ai sacerdoti, nel quale Pietro si qualifica come co-presbitero con loro. Egli parla ai Pastori di tutte le generazioni come colui che personalmente è stato incaricato dal Signore di pascere le sue pecorelle e così ha ricevuto in modo particolare un mandato sacerdotale.

Che cosa, dunque, ci dice san Pietro – proprio
nell’Anno sacerdotale – circa il compito del sacerdote? Innanzitutto, egli comprende il ministero sacerdotale totalmente a partire da Cristo.
Chiama Cristo il "pastore e custode delle … anime" (2,25). Dove la traduzione italiana parla di "custode", il testo greco ha la parola epíscopos (vescovo).
Un po’ più avanti, Cristo viene qualificato come il Pastore supremo: archipoímen (5,4). Sorprende che Pietro chiami Cristo stesso vescovo – vescovo delle anime. Che cosa intende dire con ciò? Nella parola greca è contenuto il verbo "vedere"; per questo è stata tradotta con "custode" ossia "sorvegliante".
Ma certamente non s’intende una sorveglianza esterna, come s’addice forse ad una guardia carceraria. S’intende piuttosto un vedere dall’alto – un vedere a partire dall’elevatezza di Dio. Un vedere nella prospettiva di Dio è un vedere dell’amore che vuole servire l’altro, vuole aiutarlo a diventare veramente se stesso. Cristo è il "vescovo delle anime", ci dice Pietro. Ciò significa: Egli ci vede nella prospettiva di Dio. Guardando a partire da Dio, si ha una visione d’insieme, si vedono i pericoli come anche le speranze e le possibilità. Nella prospettiva di Dio si vede l’essenza, si vede l’uomo interiore. Se Cristo è il vescovo delle anime, l’obiettivo è quello di evitare che l’anima nell’uomo s’immiserisca, è di far sì che l’uomo non perda la sua essenza, la capacità per la verità e per l’amore. Far sì che egli venga a conoscere Dio; che non si smarrisca in vicoli ciechi; che non si perda nell’isolamento, ma rimanga aperto per l’insieme. Gesù, il "vescovo delle anime", è il prototipo di ogni ministero episcopale e sacerdotale. Essere vescovo, essere sacerdote significa in questa prospettiva: assumere la posizione di Cristo. Pensare, vedere ed agire a partire dalla sua posizione elevata. A partire da Lui essere a disposizione degli uomini, affinché trovino la vita.

Così la parola "vescovo" s’avvicina molto al termine "pastore", anzi, i due concetti diventano interscambiabili. È compito del pastore pascolare e custodire il gregge e condurlo ai pascoli giusti.

Pascolare il gregge vuol dire aver cura che le pecore trovino il nutrimento giusto, sia saziata la loro fame e spenta la loro sete. Fuori di metafora, questo significa: la parola di Dio è il nutrimento di cui l’uomo ha bisogno. Rendere sempre di nuovo presente la parola di Dio e dare così nutrimento agli uomini è il compito del retto Pastore. Ed egli deve anche saper resistere ai nemici, ai lupi. Deve precedere, indicare la via, conservare l’unità del gregge.

Pietro, nel suo discorso ai presbiteri, evidenzia ancora una cosa molto importante. Non basta parlare. I Pastori devono farsi "modelli del gregge" (5,3).

La parola di Dio viene portata dal passato nel presente, quando è vissuta. È meraviglioso vedere come nei santi la parola di Dio diventi una parola rivolta al nostro tempo. In figure come Francesco e poi di nuovo come Padre Pio e molti altri, Cristo è diventato veramente contemporaneo della loro generazione, è uscito dal passato ed entrato nel presente. Questo significa essere pastore – modello del gregge: vivere la Parola ora, nella grande comunità della santa Chiesa.

Molto brevemente vorrei ancora richiamare l’attenzione su due altre affermazioni della Prima Lettera di san Pietro, che riguardano in modo speciale noi, in questo nostro tempo. C’è innanzitutto la frase oggi nuovamente scoperta, in base alla quale i teologi medievali compresero il loro compito: "Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (3,15).

La fede cristiana è speranza. Apre la via verso il futuro. Ed è una speranza che possiede ragionevolezza; una speranza la cui ragione possiamo e dobbiamo esporre. La fede proviene dalla Ragione eterna che è entrata nel nostro mondo e ci ha mostrato il vero Dio. Va al di là della capacità propria della nostra ragione, così come l’amore vede più della semplice intelligenza. Ma la fede parla alla ragione e nel confronto dialettico può tener testa alla ragione. Non la contraddice, ma va di pari passo con essa e, al contempo, conduce al di là di essa – introduce nella Ragione più grande di Dio. Come Pastori del nostro tempo abbiamo il compito di comprendere noi per primi la ragione della fede. Il compito di non lasciarla rimanere semplicemente una tradizione, ma di riconoscerla come risposta alle nostre domande.

La fede esige la nostra partecipazione razionale, che si approfondisce e si purifica in una condivisione d’amore. Fa parte dei nostri doveri come Pastori di penetrare la fede col pensiero per essere in grado di mostrare la ragione della nostra speranza nella disputa del nostro tempo. Tuttavia – il pensare, da solo, non basta. Così come parlare, da solo, non basta. Nella sua catechesi battesimale ed eucaristica nel secondo capitolo della sua Lettera, Pietro allude al Salmo usato nella Chiesa primitiva nel contesto della comunione, e cioè al versetto che dice: "Gustate e vedete com’è buono il Signore" (Ps 34 [33], 9; 1 Pt 2,3).

Solo il gustare conduce al vedere. Pensiamo ai discepoli di Emmaus: solo nella comunione conviviale con Gesù, solo nella frazione del pane si aprono i loro occhi. Solo nella comunione col Signore veramente sperimentata essi diventano vedenti. Ciò vale per tutti noi: al di là del pensare e del parlare, abbiamo bisogno dell’esperienza della fede; del rapporto vitale con Gesù Cristo. La fede non deve rimanere teoria: deve essere vita. Se nel Sacramento incontriamo il Signore; se nella preghiera parliamo con Lui; se nelle decisioni del quotidiano aderiamo a Cristo – allora "vediamo" sempre di più quanto Egli è buono. Allora sperimentiamo che è cosa buona stare con Lui.

Da una tale certezza vissuta deriva poi la capacità di comunicare la fede agli altri in modo credibile. Il Curato d’Ars non era un grande pensatore. Ma egli "gustava" il Signore. Viveva con Lui fin nelle minuzie del quotidiano oltre che nelle grandi esigenze del ministero pastorale. In questo modo divenne "uno che vede". Aveva gustato, e per questo sapeva che il Signore è buono. Preghiamo il Signore, affinché ci doni questo gustare e possiamo così diventare testimoni credibili della speranza che è in noi.

Alla fine vorrei far notare ancora una piccola, ma importante parola di san Pietro. Subito all’inizio della Lettera egli ci dice che la mèta della nostra fede è la salvezza delle anime (cfr 1,9). Nel mondo del linguaggio e del pensiero dell’attuale cristianità questa è un’affermazione strana, per alcuni forse addirittura scandalosa.

La parola "anima" è caduta in discredito. Si dice che questo porterebbe ad una divisione dell’uomo in spirito e fisico, in anima e corpo, mentre in realtà egli sarebbe un’unità indivisibile. Inoltre "la salvezza delle anime" come mèta della fede sembra indicare un cristianesimo individualistico, una perdita di responsabilità per il mondo nel suo insieme, nella sua corporeità e nella sua materialità.
Ma di tutto questo non si trova nulla nella Lettera di san Pietro. Lo zelo per la testimonianza in favore della speranza, la responsabilità per gli altri caratterizzano l’intero testo. Per comprendere la parola sulla salvezza delle anime come mèta della fede dobbiamo partire da un altro lato. Resta vero che l’incuria per le anime, l’immiserirsi dell’uomo interiore non distrugge soltanto il singolo, ma minaccia il destino dell’umanità nel suo insieme. Senza risanamento delle anime, senza risanamento dell’uomo dal di dentro, non può esserci una salvezza per l’umanità. La vera malattia delle anime, san Pietro la qualifica come ignoranza – cioè come non conoscenza di Dio. Chi non conosce Dio, chi almeno non lo cerca sinceramente, resta fuori della vera vita (cfr 1 Pt 1,14). Ancora un’altra parola della Lettera può esserci utile per capire meglio la formula "salvezza delle anime": "Purificate le vostre anime con l’obbedienza alla verità" (cfr 1,22). È l’obbedienza alla verità che rende pura l’anima.
Ed è il convivere con la menzogna che la inquina. L’obbedienza alla verità comincia con le piccole verità del quotidiano, che spesso possono essere faticose e dolorose. Questa obbedienza si estende poi fino all’obbedienza senza riserve di fronte alla Verità stessa che è Cristo. Tale obbedienza ci rende non solo puri, ma soprattutto anche liberi per il servizio a Cristo e così alla salvezza del mondo, che pur sempre prende inizio dalla purificazione obbediente della propria anima mediante la verità. Possiamo indicare la via verso la verità solo se noi stessi – in obbedienza e pazienza – ci lasciamo purificare dalla verità.

E ora mi rivolgo a voi, cari Confratelli nell’episcopato, che in quest’ora riceverete dalla mia mano il pallio. È stato intessuto con la lana di agnelli che il Papa ha benedetto nella festa di sant’Agnese.

In questo modo esso ricorda gli agnelli e le pecore di Cristo, che il Signore risorto ha affidato a Pietro con il compito di pascerli (cfr Gv 21,15-18). Ricorda il gregge di Gesù Cristo, che voi, cari Fratelli, dovete pascere in comunione con Pietro.

Ci ricorda Cristo stesso, che come Buon Pastore ha preso sulle sue spalle la pecorella smarrita, l’umanità, per riportarla a casa. Ci ricorda il fatto che Egli, il Pastore supremo, ha voluto farsi Lui stesso Agnello, per farsi carico dal di dentro del destino di tutti noi; per portarci e risanarci dall’interno. Vogliamo pregare il Signore, affinché ci doni di essere sulle sue orme Pastori giusti, "non perché costretti, ma volentieri, come piace a Dio … con animo generoso … modelli del gregge" (1 Pt 5,2s). Amen.

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00domenica 27 settembre 2009 14:04
Il Papa: "Si prolunga la gioia della comunione vissuta nella festa dei due grandi Apostoli, in cui ho potuto imporvi il Pallio, simbolo dell’unità che lega i Pastori delle Chiese particolari al Successore di Pietro, Vescovo di Roma"
(Discorso del Santo Padre agli Arcivescovi Metropoliti ai quali ha imposto il Pallio, 30 giugno 2009)

UDIENZA AGLI ARCIVESCOVI METROPOLITI CHE HANNO RICEVUTO IL PALLIO NELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO, 30.06.2009

Alle 12 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza gli Arcivescovi Metropoliti ai quali
ieri, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, ha imposto il Pallio.
Ai Presuli, accompagnati dai familiari e dai fedeli delle rispettive diocesi, il Papa rivolge il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle,

dopo le celebrazioni della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, è per me un vero piacere incontrare, in udienza speciale, tutti voi, Arcivescovi Metropoliti che ieri nella Basilica Vaticana avete ricevuto il Pallio ed accogliere anche i vostri familiari ed amici che vi accompagnano.
Si prolunga così la gioia della comunione vissuta nella festa dei due grandi Apostoli, in cui ho potuto imporvi il Pallio, simbolo dell’unità che lega i Pastori delle Chiese particolari al Successore di Pietro, Vescovo di Roma. Rivolgo il mio cordiale benvenuto a ciascuno di voi, che provenite da ogni continente, mostrando in modo significativo il volto della Chiesa cattolica diffusa in tutta la terra.

Mi rivolgo innanzitutto a voi, amati Pastori della Chiesa che è in Italia. Saluto Monsignor Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze, Monsignor Salvatore Pappalardo, Arcivescovo di Siracusa e Monsignor Domenico Umberto D’Ambrosio, Arcivescovo di Lecce. Siamo all’inizio dell’Anno Sacerdotale: sia pertanto vostra cura essere pastori esemplari, zelanti e ricchi di amore per il Signore e per le vostre comunità. Potrete così guidare e sostenere saldamente i sacerdoti, vostri primi collaboratori nel ministero pastorale, e cooperare in modo efficace alla diffusione del Regno di Dio nell’amata terra d’Italia.

Je suis heureux d’accueillir les pèlerins francophones venus accompagner les nouveaux Archevêques métropolitains à qui j’ai eu la joie de remettre le pallium. Je voudrais d’abord saluer Monseigneur Ghaleb Moussa Abdalla Bader, Archevêque d’Alger (Algérie), Monseigneur Pierre-André Fournier, Archevêque de Rimouski (Canada), Monseigneur Joseph Aké Yapo, Archevêque de Gagnoa (Côte d’Ivoire), Monseigneur Marcel Utembi Tapa, Archevêque de Kisangani (République démocratique du Congo), et Monseigneur Philippe Ouédraogo, Archevêque de Ouagadougou (Burkina Faso). J’adresse aussi mes salutations chaleureuses aux Évêques, aux prêtres et aux fidèles de vos pays, les assurant de ma prière fervente. Le pallium est un signe de communion particulière avec le Successeur de Pierre. Que ce signe soit aussi pour les prêtres et les fidèles de vos diocèses un appel à consolider toujours plus une authentique communion avec leurs Pasteurs et entre tous les membres de l’Église.

I extend warm greetings to the English-speaking Metropolitan Archbishops upon whom I conferred the Pallium yesterday: Archbishop Paul Mandale Khumalo of Pretoria (South Africa); Archbishop J. Michael Miller of Vancouver (Canada); Archbishop Allen Henry Vigneron of Detroit (USA); Archbishop Anicetus Bongsu Antonius Sinaga of Medan (Indonesia); Archbishop Philip Naameh of Tamale (Ghana); Archbishop Timothy Michael Dolan of New York (USA); Archbishop Vincent Gerard Nichols of Westminster (UK); Archbishop Robert James Carlson of Saint Louis (USA); Archbishop Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij of Bangkok (Thailand); Archbishop George Joseph Lucas of Omaha (USA); Archbishop Gregory Michael Aymond of New Orleans (USA) and Archbishop Patebendige Don Albert Malcom Ranjith of Colombo (Sri Lanka). I also welcome their family members, their relatives, friends and the faithful of their respective Archdioceses who have come to Rome to pray with them and to share their joy on this happy occasion. The Pallium is received from the hands of the Successor of Peter and worn by the Archbishops as a sign of communion in faith and love and in the governance of God’s People. It also recalls to Pastors their responsibilities as shepherds after the heart of Jesus. To all of you I affectionately impart my Apostolic Blessing as a pledge of peace and joy in the Lord.

Saludo cordialmente a los Arzobispos metropolitanos de lengua española venidos a Roma para la solemne ceremonia de la imposición del palio: Domingo Díaz Martínez, de Tulancingo; Manuel Felipe Díaz Sánchez, de Calabozo; José Luis Escobar Alas, de San Salvador; Carlos Osoro Sierra, de Valencia; Víctor Sánchez Espinosa, de Puebla de los Ángeles; Carlos Aguiar Retes, de Tlalnepantla; Ismael Rueda Sierra, de Bucaramanga, y Braulio Rodríguez Plaza, de Toledo, así como a los familiares, amigos, sacerdotes y fieles de sus respectivas Iglesias particulares, que los acompañan. Queridos hermanos en el Episcopado, que las cruces de seda negra que el palio lleva bordadas, os recuerden que debéis configuraros cada día más con Jesucristo. Siguiendo sus huellas de Buen Pastor, sed siempre signos de unidad en medio de vuestros fieles, afianzando vuestros lazos de comunión con el Sucesor de Pedro, con vuestros Obispos sufragáneos y con todos los que colaboran en vuestra misión evangelizadora. En este Año Sacerdotal apenas iniciado, llevad muy dentro de vuestro corazón a vuestros presbíteros, quienes esperan de vosotros un trato afable, como padres y hermanos que los acogen, escuchan y se preocupan de ellos. Bajo el amparo de María Santísima, Reina de los Apóstoles, que es tan venerada en las tierras de las que procedéis, México, Venezuela, El Salvador, Colombia y España, pongo vuestras personas y vuestras comunidades diocesanas.

Acolho com alegria os familiares e amigos dos novos Arcebispos Metropolitas do Brasil, que vieram acompanhá-los na recepção do pálio, sinal de profunda comunhão com o Sucessor de Pedro. Nesta comunhão dirijo uma particular saudação a Dom Sérgio da Rocha, de Teresina; Dom maurício Grotto de Camargo, de Botucatu; Dom Gil Antônio Moreira, de Juiz de Fora; e Dom Orani João Tempesta, de São Sebastião do Rio de Janeiro. Transmiti as minhas saudações aos presbíteros e a todos os fiéis das vossas arquidioceses, para que unidos na mesma fé de Pedro possam contribuir para a evangelização da sociedade. Como penhor de alegria e de paz no Senhor, a todos concedo a minha Bênção.

Вітаю Тебе, Преосвященний Мечиславе Мокшицький, Архиєпископе Львівський латинського обряду, і всіх тих, які Тебе супроводжують у цю мить живої церковної спільності. Ще раз дякую Тобі за Твоє служіння для Церкви, як мій співробітник, а перед тим – мого достойного попередника Івана Павла ІІ. Нехай Господній Дух супроводжує Тебе у пастирському служінні для добра вірних, довірених Твоєму дбанню, яким передаю щирі вітання.

[Saluto Lei, Monsignor Mieczyslaw Mokrzycki, Arcivescovo di Lviv dei Latini, e quanti la circondano in questo momento di viva comunione ecclesiale. Ancora una volta, Le sono grato per il servizio che ha reso alla Chiesa, quale collaboratore mio, e, prima, del mio venerato predecessore Giovanni Paolo II. Lo Spirito del Signore La accompagni nel ministero pastorale a favore dei fedeli affidati alle Sue cure, ai quali invio un cordiale saluto.]

Witam serdecznie obecnych tu Polaków. Pozdrawiam szczególnie nowego Metropolitę Szczecińsko-Kamieńskiego, Arcybiskupa Andrzeja Dzięgę, który wczoraj otrzymał paliusz i wiernych tej Metropolii. Niech ten paliusz w Roku Kapłańskim będzie także dla wszystkich kapłanów symbolem i zachętą do budowania jedności z własnym biskupem, między sobą oraz wśród wiernych. Upraszając dla wszystkich dary Bożej miłości z serca wam błogosławię. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

[Saluto cordialmente i polacchi qui presenti. In particolare saluto il nuovo Metropolita di Szczecin-Kamień, Arcivescovo Andrzej Dzięga il quale ieri ha ricevuto il pallio e i fedeli provenienti da questa Metropoli. Nell’anno Sacerdotale il pallio sia anche per i presbiteri un simbolo e una sfida per costruire la comunione con il proprio vescovo, tra loro e anche con i fedeli. Implorando per voi tutti i doni della Divina carità, di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo.]

Cari fratelli e sorelle, l’odierna memoria dei Protomartiri di Roma sia stimolo per ognuno di voi a un amore sempre più intenso verso Gesù Cristo e la sua Chiesa. Vi accompagni la materna assistenza di Maria, Madre della Chiesa, dei santi Apostoli Pietro e Paolo e di san Giovanni Maria Vianney. A tutti e a ciascuno la mia benedizione.

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00domenica 27 settembre 2009 14:09
Il Papa: "La preghiera è il primo impegno, la vera via di santificazione dei sacerdoti, e l’anima dell’autentica “pastorale vocazionale”...Chi prega non ha paura; chi prega non è mai solo; chi prega si salva!"
(Catechesi del Santo Padre sulla chiusura dell'Anno Paolino e l'inizio dell'Anno Sacerdotale, 1° luglio 2009)

L’UDIENZA GENERALE, 01.07.2009

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sulla celebrazione dell’Anno sacerdotale.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Anno Sacerdotale

Cari fratelli e sorelle,

con la
celebrazione dei Primi Vespri della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo nella Basilica di san Paolo fuori le Mura si è chiuso, come sapete il 28 giugno, l’Anno Paolino, a ricordo del secondo millennio della nascita dell’Apostolo delle genti.
Rendiamo grazie al Signore per i frutti spirituali, che questa importante iniziativa ha apportato in tante comunità cristiane. Quale preziosa eredità dell’Anno Paolino, possiamo raccogliere l’invito dell’Apostolo ad approfondire la conoscenza del mistero di Cristo, perché sia Lui il cuore e il centro della nostra esistenza personale e comunitaria.
E’ questa infatti la condizione indispensabile per un vero rinnovamento spirituale ed ecclesiale.

Come ebbi a sottolineare già
durante la prima Celebrazione eucaristica nella Cappella Sistina dopo la mia elezione a successore dell’apostolo Pietro, è proprio dalla piena comunione con Cristo che “scaturisce ogni altro elemento della vita della Chiesa, in primo luogo la comunione tra tutti i fedeli, l’impegno di annuncio e di testimonianza del Vangelo, l’ardore della carità verso tutti, specialmente verso i poveri e i piccoli” (cfr Insegnamenti, I, 2005, pp. 8-13). Ciò vale in primo luogo per i sacerdoti.

Per questo, ringraziamo la Provvidenza di Dio che ci offre la possibilità adesso di celebrare
l’Anno Sacerdotale.

Auspico di cuore che esso costituisca per ogni sacerdote un’opportunità di rinnovamento interiore e, conseguentemente, di saldo rinvigorimento nell’impegno per la propria missione.

Come durante l’Anno Paolino nostro riferimento costante è stato san Paolo, così nei prossimi mesi guarderemo in primo luogo a san Giovanni Maria Vianney, il santo Curato d’Ars, ricordandone il 150° anniversario della morte.

Nella lettera che per questa occasione ho scritto ai sacerdoti, ho voluto sottolineare quel che maggiormente risplende nell’esistenza di questo umile ministro dell’altare: “la sua totale identificazione col proprio ministero”.
Egli amava dire che “
un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina”. E, quasi non riuscendo a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati ad una povera creatura umana, sospirava: “Oh come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe... Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia”.

In verità, proprio considerando il binomio “identità-missione”, ciascun sacerdote può meglio avvertire la necessità di quella progressiva immedesimazione con Cristo che gli garantisce la fedeltà e la fecondità della testimonianza evangelica.

Lo stesso titolo dell’Anno Sacerdotale - Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote - evidenzia che il dono della grazia divina precede ogni possibile umana risposta e realizzazione pastorale, e così, nella vita del sacerdote, annuncio missionario e culto non sono mai separabili, come non vanno mai separati identità ontologico-sacramentale e missione evangelizzatrice.

Del resto il fine della missione di ogni presbitero, potremmo dire, è “cultuale”: perché tutti gli uomini possano offrirsi a Dio come ostia viva, santa e a lui gradita (cfr Rm 12,1), che nella creazione stessa, negli uomini diventa culto, lode del Creatore, ricevendone quella carità che sono chiamati a dispensare abbondantemente gli uni agli altri. Lo avvertivano chiaramente negli inizi del cristianesimo.

San Giovanni Crisostomo diceva, ad esempio, che il sacramento dell’altare e il “sacramento del fratello” o, come dice, “sacramento del povero” costituiscono due aspetti dello stesso mistero. L’amore per il prossimo, l’attenzione alla giustizia e ai poveri non sono soltanto temi di una morale sociale, quanto piuttosto espressione di una concezione sacramentale della moralità cristiana, perché, attraverso il ministero dei presbiteri, si compie il sacrificio spirituale di tutti i fedeli, in unione con quello di Cristo, unico Mediatore: sacrificio che i presbiteri offrono in modo incruento e sacramentale in attesa della nuova venuta del Signore. Questa è la principale dimensione, essenzialmente missionaria e dinamica, dell’identità e del ministero sacerdotale: attraverso l’annuncio del Vangelo essi generano la fede in coloro che ancora non credono, perché possano unire al sacrificio di Cristo il loro sacrificio, che si traduce in amore per Dio e per il prossimo.

Cari fratelli e sorelle, a fronte di tante incertezze e stanchezze anche nell’esercizio del ministero sacerdotale, è urgente il recupero di un giudizio chiaro ed inequivocabile sul primato assoluto della grazia divina, ricordando quanto scrive san Tommaso d’Aquino: “Il più piccolo dono della grazia supera il bene naturale di tutto l’universo” (Summa Theologiae, I-II, q. 113, a. 9, ad 2).

La missione di ogni singolo presbitero dipenderà, pertanto, anche e soprattutto dalla consapevolezza della realtà sacramentale del suo “nuovo essere”. Dalla certezza della propria identità, non artificialmente costruita ma gratuitamente e divinamente donata ed accolta, dipende il sempre rinnovato entusiasmo del sacerdote per la missione.

Anche per i presbiteri vale quanto ho scritto
nell’Enciclica Deus caritas est: “All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (n. 1).

Avendo ricevuto un così straordinario dono di grazia con la loro “consacrazione”, i presbiteri diventano testimoni permanenti del loro incontro con Cristo. Partendo proprio da questa interiore consapevolezza, essi possono svolgere appieno la loro “missione”, mediante l'annuncio della Parola e l'amministrazione dei Sacramenti.

Dopo il Concilio Vaticano II, si è prodotta qua e là l'impressione che nella missione dei sacerdoti in questo nostro tempo, ci fosse qualcosa di più urgente; alcuni pensavano che si dovesse in primo luogo costruire una diversa società.

La pagina evangelica, che abbiamo ascoltata all’inizio, sta invece a richiamare i due elementi essenziali del ministero sacerdotale. Gesù invia, in quel tempo e oggi, gli Apostoli ad annunciare il Vangelo e dà ad essi il potere di cacciare gli spiriti cattivi. “Annuncio” e “potere”, cioè “parola” e “sacramento” sono pertanto le due fondamentali colonne del servizio sacerdotale, al di là delle sue possibili molteplici configurazioni.

Quando non si tiene conto del “dittico” consacrazione-missione, diventa veramente difficile comprendere l’identità del presbitero e del suo ministero nella Chiesa.

Chi è infatti il presbitero, se non un uomo convertito e rinnovato dallo Spirito, che vive del rapporto personale con Cristo, facendone costantemente propri i criteri evangelici? Chi è il presbitero se non un uomo di unità e di verità, consapevole dei propri limiti e, nel contempo, della straordinaria grandezza della vocazione ricevuta, quella cioè di concorrere a dilatare il Regno di Dio fino agli estremi confini della terra?

Sì! Il sacerdote è un uomo tutto del Signore, poiché è Dio stesso a chiamarlo ed a costituirlo nel suo servizio apostolico. E proprio essendo tutto del Signore, è tutto degli uomini, per gli uomini.

Durante questo Anno Sacerdotale, che si protrarrà fino alla prossima solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, preghiamo per tutti i sacerdoti. Si moltiplichino nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle comunità religiose specialmente quelle monastiche, nelle associazioni e nei movimenti, nelle varie aggregazioni pastorali presenti in tutto il mondo, iniziative di preghiera e, in particolare, di adorazione eucaristica, per la santificazione del clero e le vocazioni sacerdotali, rispondendo all’invito di Gesù a pregare “il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9,38).

La preghiera è il primo impegno, la vera via di santificazione dei sacerdoti, e l’anima dell’autentica “pastorale vocazionale”.

La scarsità numerica di ordinazioni sacerdotali in taluni Paesi non solo non deve scoraggiare, ma deve spingere a moltiplicare gli spazi di silenzio e di ascolto della Parola, a curare meglio la direzione spirituale e il sacramento della confessione, perché la voce di Dio, che sempre continua a chiamare e a confermare, possa essere ascoltata e prontamente seguita da tanti giovani.

Chi prega non ha paura; chi prega non è mai solo; chi prega si salva!

Modello di un’esistenza fatta preghiera è senz’altro san Giovanni Maria Vianney. Maria, la Madre della Chiesa, aiuti tutti i sacerdoti a seguirne l’esempio per essere, come lui, testimoni di Cristo e apostoli del Vangelo.

* * *

Saluto di cuore i pellegrini italiani presenti, rivolgo anzitutto un cordiale benvenuto ai membri dell’Istituto di Cristo Redentore – Missionari Identes, che ricordano il cinquantesimo anniversario di fondazione, e prego perché continuino, con grande generosità, ad annunciare Gesù Cristo, Salvatore del mondo.

Saluto i rappresentanti della Consulta Nazionale Antiusura e, mentre li ringrazio per l’importante e apprezzata opera che svolgono accanto alle vittime di tale flagello sociale, auspico che vi sia da parte di tutti un rinnovato impegno per contrastare efficacemente il fenomeno devastante dell’usura e dell’estorsione, che costituisce una umiliante schiavitù. Non manchi anche da parte dello Stato un adeguato aiuto e sostegno alle famiglie disagiate e in difficoltà, che trovano il coraggio di denunciare coloro che approfittano della loro spesso tragica condizione. Saluto poi gli esponenti dell’Associazione interparlamentare “Cultori dell’etica”, la cui presenza mi offre l’opportunità di sottolineare l’importanza dei valori etici e morali nella politica. Saluto ora con affetto i fedeli abruzzesi provenienti da Civitella Roveto, Canistro e Pescocanale.

Rivolgo infine un cordiale saluto ai giovani, agli ammalati, e agli sposi novelli. Molti di voi, cari amici, avranno in questi mesi la possibilità di trascorrere un periodo di vacanze, ed auguro che per tutti sia sereno e proficuo. Ma ci sono anche molti che, per diverse ragioni, non potranno usufruire delle ferie. Giunga a voi, cari fratelli e sorelle, il mio affettuoso saluto con l’auspicio che non vi manchino la solidarietà e la vicinanza delle persone care. Un pensiero speciale rivolgo infine ai giovani che in questi giorni stanno sostenendo gli esami, ed assicuro per ciascuno un ricordo nella preghiera. Su tutti vegli con il suo amore il Signore che ora invochiamo con il canto del Pater noster.

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00domenica 27 settembre 2009 14:12
Il Papa: "L’Anno Sacerdotale offre una bella opportunità per ritrovare il senso profondo della pastorale vocazionale, come pure le sue scelte fondamentali di metodo: la testimonianza, semplice e credibile; la comunione, con itinerari concertati e condivisi nella Chiesa particolare; la quotidianità, che educa a seguire il Signore nella vita di tutti i giorni; l’ascolto, guidato dallo Spirito Santo, per orientare i giovani nella ricerca di Dio e della vera felicità; e infine la verità, che sola può generare libertà interiore"
(Discorso del Santo Padre ai partecipanti al Convegno europeo sulla pastorale vocazionale, 4 luglio 2009)

UDIENZA AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO EUROPEO SULLA PASTORALE VOCAZIONALE, 04.07.2009

Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala Clementina, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al Convegno europeo sulla pastorale vocazionale, dal tema: "Seminatori del Vangelo della vocazione: una Parola che chiama e invia" - (Roma, 2-5 luglio 2009). Prendono parte al Convengo i responsabili per le vocazioni delle 34 conferenze episcopali d’Europa.
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’Udienza:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

È con vero piacere che vi incontro, pensando al prezioso servizio pastorale che svolgete nell’ambito della promozione, dell’animazione e del discernimento delle vocazioni. Siete venuti a Roma per prendere parte a un convegno di riflessione, di confronto e di condivisione tra le Chiese d’Europa, che ha come tema "Seminatori del Vangelo della vocazione: una Parola che chiama e invia", finalizzato a infondere nuovo slancio al vostro impegno a favore delle vocazioni.

La cura delle vocazioni costituisce per ogni diocesi una delle priorità pastorali, che assume ancor più valore
nel contesto dell’Anno Sacerdotale appena iniziato. Saluto pertanto di cuore i Vescovi Delegati per la Pastorale Vocazionale delle varie Conferenze Episcopali, come pure i Direttori dei Centri Vocazionali nazionali, i loro collaboratori e tutti voi qui presenti.

Al centro dei vostri lavori avete posto la parabola evangelica del seminatore. Con abbondanza e gratuità, il Signore getta il seme della Parola di Dio, pur sapendo che esso potrà incontrare un terreno inadeguato, che non gli permetterà di maturare a motivo dell’aridità, o che ne spegnerà la forza vitale soffocandolo tra cespugli spinosi.
Tuttavia, il seminatore non si scoraggia, perché sa che una parte di questo seme è destinata a trovare il "terreno buono", cioè cuori ardenti e capaci di accogliere la Parola con disponibilità, per farla maturare nella perseveranza e ridonarne con generosità il frutto a beneficio di molti.

L’immagine del terreno può evocare la realtà più o meno buona della famiglia; l’ambiente talvolta arido e duro del lavoro; i giorni della sofferenza e delle lacrime. La terra è soprattutto il cuore di ogni uomo, in particolare dei giovani, a cui voi vi rivolgete nel vostro servizio di ascolto e di accompagnamento: un cuore spesso confuso e disorientato, eppure capace di contenere in sé impensate energie di donazione; pronto ad aprirsi nelle gemme di una vita spesa per amore di Gesù, capace di seguirlo con la totalità e la certezza che viene dall’avere trovato il più grande tesoro dell’esistenza.

A seminare nel cuore dell’uomo è sempre e solo il Signore. Solo dopo la semina abbondante e generosa della Parola di Dio ci si può inoltrare lungo i sentieri dell’accompagnare e dell’educare, del formare e del discernere. Tutto ciò è legato a quel piccolo seme, dono misterioso della Provvidenza celeste, che sprigiona da sé una forza straordinaria. E’ infatti la Parola di Dio che di per se stessa opera efficacemente quanto dice e desidera.

C’è un’altra parola di Gesù, che utilizza l’immagine del seme, e che si può accostare alla parabola del seminatore: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto" (Gv 12,24).
Qui il Signore insiste sulla correlazione tra la morte del seme e il "molto frutto" che esso porterà. Il chicco di grano è Lui, Gesù. Il frutto è la "vita in abbondanza" (Gv 10,10), che Egli ci ha acquistato mediante la sua Croce. E’ questa anche la logica e la vera fecondità di ogni pastorale vocazionale nella Chiesa: come Cristo, il sacerdote e l’animatore devono essere un "chicco di grano", che rinuncia a se stesso per fare la volontà del Padre; che sa vivere nascosto dal clamore e dal rumore; che rinuncia alla ricerca di quella visibilità e grandezza d’immagine che oggi spesso diventano criteri e addirittura scopi di vita in tanta parte della nostra cultura, ed affascinano molti giovani.

Cari amici, siate seminatori di fiducia e di speranza. E’ infatti profondo il senso di smarrimento che spesso vive la gioventù di oggi. Non di rado le parole umane sono prive di futuro e di prospettiva, prive anche di senso e di sapienza. Si diffonde un atteggiamento di impazienza frenetica e una incapacità a vivere il tempo dell’attesa.
Eppure, questa può essere l’ora di Dio: la sua chiamata, mediata dalla forza e dall’efficacia della Parola, genera un cammino di speranza verso la pienezza della vita. La Parola di Dio può diventare veramente luce e forza, sorgente di speranza, può tracciare un cammino che passa attraverso Gesù, "via" e "porta"; attraverso la sua Croce, che è pienezza d’amore.

E’ questo il messaggio che ci viene
dall’Anno Paolino appena concluso.

San Paolo, conquistato da Cristo, è stato un suscitatore e formatore di vocazioni, come si vede bene dai saluti delle sue lettere, dove compaiono decine di nomi propri, cioè volti di uomini e donne che hanno collaborato con lui nel servizio del Vangelo.

Questo è anche il messaggio dell’Anno Sacerdotale appena iniziato: il Santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney – che costituisce il "faro" di questo nuovo itinerario spirituale – è stato un sacerdote che ha dedicato la sua vita alla guida spirituale delle persone, con umiltà e semplicità, "gustando e vedendo" la bontà di Dio nelle situazioni ordinarie.

Egli si è così dimostrato un vero maestro nel ministero della consolazione e dell’accompagnamento vocazionale.

L’Anno Sacerdotale offre pertanto una bella opportunità per ritrovare il senso profondo della pastorale vocazionale, come pure le sue scelte fondamentali di metodo: la testimonianza, semplice e credibile; la comunione, con itinerari concertati e condivisi nella Chiesa particolare; la quotidianità, che educa a seguire il Signore nella vita di tutti i giorni; l’ascolto, guidato dallo Spirito Santo, per orientare i giovani nella ricerca di Dio e della vera felicità; e infine la verità, che sola può generare libertà interiore.

Possa, cari fratelli e sorelle, la Parola di Dio diventare in ciascuno di voi sorgente di benedizione, di consolazione e di fiducia rinnovata, perché siate in grado di aiutare molti a "vedere" e "toccare" quel Gesù che hanno accolto come Maestro. La Parola del Signore dimori sempre in voi, rinnovi nei vostri cuori la luce, l’amore, la pace che solo Dio può donare, e vi renda capaci di testimoniare e annunciare il Vangelo, sorgente di comunione e di amore. Con questo augurio, che affido all’intercessione di Maria Santissima, imparto di cuore a tutti voi la Benedizione Apostolica.

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00domenica 27 settembre 2009 14:14
Il Papa: "L’Anno Sacerdotale che stiamo celebrando costituisce una preziosa occasione per approfondire il valore della missione dei presbiteri nella Chiesa e nel mondo"
(Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus, 2 agosto 2009)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 02.08.2009

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI, giunto mercoledì scorso a Castel Gandolfo dalla Valle d’Aosta, dove ha trascorso un periodo di riposo, recita l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti nel Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Sono rientrato pochi giorni fa
dalla Val d’Aosta, ed ora con vivo piacere mi ritrovo tra voi, cari amici di Castel Gandolfo.
Al Vescovo, al parroco e alla comunità parrocchiale, come pure alle Autorità civili e a tutti i Castellani insieme ai pellegrini e ai villeggianti rinnovo con affetto il mio saluto, unito a un sentito ringraziamento per la vostra accoglienza sempre tanto cordiale. Grazie anche per la vicinanza spirituale, che molti mi hanno dimostrato quando a Les Combes mi è capitato il
piccolo infortunio al polso della mano destra.

Cari fratelli e sorelle, l’Anno Sacerdotale che stiamo celebrando costituisce una preziosa occasione per approfondire il valore della missione dei presbiteri nella Chiesa e nel mondo.

Utili spunti di riflessione, al riguardo, ci vengono dalla memoria dei santi che la Chiesa quotidianamente ci propone. In questi primi giorni del mese di agosto, ad esempio, ne ricordiamo alcuni che sono veri modelli di spiritualità e di dedizione sacerdotale.

Ieri era la memoria liturgica di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Vescovo e Dottore della Chiesa, grande maestro di teologia morale e modello di virtù cristiane e pastorali, sempre attento alle necessità religiose del popolo.

Oggi contempliamo in san Francesco d’Assisi l’ardente amore per la salvezza delle anime, che ogni sacerdote deve costantemente nutrire: ricorre infatti il cosiddetto "Perdono di Assisi", che egli ottenne dal Papa Onorio III nell’anno 1216, dopo aver avuto una visione, mentre si trovava in preghiera nella chiesetta della Porziuncola.
Apparendogli Gesù nella sua gloria, con alla destra la Vergine Maria e intorno molti Angeli, gli chiese di esprimere un desiderio, e Francesco implorò un "ampio e generoso perdono" per tutti coloro che "pentiti e confessati" avrebbero visitato quella chiesa. Ricevuta l’approvazione pontificia, il Santo non aspettò nessun documento scritto, ma corse ad Assisi e, giunto alla Porziuncola, annunciò la bella notizia: "Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!".
Da allora, dal mezzogiorno del 1° agosto alla mezzanotte del 2, si può lucrare, alle consuete condizioni, l’indulgenza plenaria anche per i defunti, visitando una chiesa parrocchiale o francescana.

Che dire di san Giovanni Maria Vianney, che ricorderemo il 4 agosto? Proprio per commemorare il 150° anniversario della sua morte ho indetto
l’Anno Sacerdotale. Di quest’umile parroco, che costituisce un modello di vita sacerdotale non solo per i parroci ma per tutti i sacerdoti, mi riprometto di parlare nella catechesi dell’Udienza generale di mercoledì prossimo.

Il 7 agosto, poi, sarà la memoria di san Gaetano da Thiene, il quale soleva ripetere che "non con l’amore sentimentale, ma con l’amore dei fatti si purificano le anime". Ed il giorno dopo, l’8 agosto, la Chiesa ci additerà come modello san Domenico, del quale è stato scritto che "apriva bocca o per parlare con Dio nella preghiera o per parlare di Dio".

Non posso infine dimenticare di ricordare anche la grande figura di Papa Montini, Paolo VI, di cui il 6 agosto ricorre il 31° anniversario della morte, avvenuta proprio qui a Castel Gandolfo. La sua vita, così profondamente sacerdotale e ricca di tanta umanità, rimane nella Chiesa un dono di cui ringraziare Dio. La Vergine Maria, Madre della Chiesa, aiuti i sacerdoti ad essere tutti totalmente innamorati di Cristo, seguendo l’esempio di questi modelli di santità sacerdotale.

DOPO L’ANGELUS

Je vous accueille avec joie, chers amis francophones venus à Castel Gandolfo pour vous associer à la prière mariale de l’Angélus. Aujourd’hui encore le Seigneur nous accompagne sur notre route quotidienne. Il nous donne à manger la vraie manne qui vient du ciel, le vrai pain de la vie, qui redonne courage et confiance, et qui fortifie notre foi. En cette année sacerdotale, illuminée par le 150ème anniversaire de l’enciellement du saint curé d’Ars célébré cette semaine, je vous encourage à participer avec fidélité et dévotion à l’Eucharistie dominicale et à prendre du temps pour l’adorer en vérité. Priez pour les prêtres et les séminaristes. Je demande à Dieu de vous bénir, ainsi que vos familles et vos amis.

I offer a warm welcome to the English-speaking visitors gathered for this Angelus prayer, including the international pilgrimage group of Sisters of Saint Felix of Cantalice. In today’s Gospel, Jesus tells us to work for the food that remains unto life eternal. During these quiet days of summer, may all of us find spiritual nourishment in "the bread come down from heaven", offered to us daily in God’s holy word and in the sacrament of the Eucharist. Upon you and your families I invoke an abundance of joy and peace in the Lord!

Mit Freude grüße ich die deutschsprachigen Gäste und heute besonders die große Ministrantengruppe aus Teublitz in der Oberpfalz. Am kommenden Dienstag feiern wir den 150. Todestag des heiligen Pfarrers von Ars. Aus Anlaß dieses Jubiläums habe ich, wie ihr wißt, in diesem Jahr alle Gläubigen zum besonderen Gebet für die Priester und um Priesterberufe aufgerufen. Durch den Dienst der Priester wird Christus, das Brot des Lebens, in der Eucharistie den Menschen immer neu geschenkt. Christus stillt unseren Hunger nach Liebe und Frieden und regt uns an, eine Welt aufzubauen, in der es Gerechtigkeit und Wohlfahrt für alle Menschen gibt. Der Herr begleite euch und schenke euch eine frohe Ferienzeit!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular a las Religiosas Reparadoras del Sagrado Corazón, que están celebrando su Capítulo General. Invito a todos a renovar la mente y el espíritu escuchando la Palabra de Dios, que se proclama en la Eucaristía, donde también el Señor se nos ofrece como comida y bebida de salvación. En este camino de vida cristiana os acompaña la amorosa protección de María Santísima, Estrella de la esperanza. Feliz Domingo!

Z Castel Gandolfo serdecznie pozdrawiam wszystkich Polaków. Wiem, że sierpień jest dla was miesiącem obchodów ważnych wydarzeń religijnych i narodowych. Dzisiaj łączę się w modlitwie z uczestnikami obchodów rocznicy Powstania Warszawskiego. Z heroizmu Powstańców i męstwa narodu zrodziła się wolna Polska. Niech ofiara ich życia owocuje pokojem i pomyślnym rozwojem waszej Ojczyzny. Niech Bóg błogosławi Polsce i każdemu z was.

[Da Castel Gandolfo saluto cordialmente tutti i polacchi. So che agosto è per voi un mese di importanti celebrazioni religiose e patriottiche. Oggi mi unisco nella preghiera con i partecipanti alle celebrazioni dell’anniversario dell’insurrezione di Varsavia. Dall’eroismo degli Insorti e dalla fortezza della nazione nacque la Polonia libera. Il sacrificio della loro vita porti frutti di pace e di prosperità della vostra Patria. Dio benedica la Polonia e ciascuno di voi.]

Rivolgo, infine, il mio saluto cordiale ai pellegrini di lingua italiana, prima di tutto ai cittadini di Castel Gandolfo, dove ritorno sempre con gioia e dove oggi si tiene la tradizionale Sagra delle Pesche. Saluto in particolare i giovani delle parrocchie San Giovanni Battista e Santa Maria Assunta in Monterosso Almo e tutti i gruppi parrocchiali e le famiglie, anche quanti ci seguono in questo momento sugli schermi di Piazza San Pietro a Roma. A tutti auguro una buona domenica e un sereno mese di agosto.

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00domenica 27 settembre 2009 14:17
Il Papa: "Il Santo Curato d’Ars riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie, comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo. Fu "innamorato" di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto"
(Catechesi del Santo Padre sulla figura di San Giovanni Maria Vianney, il "Santo Curato d'Ars", 5 agosto 2009)

L’UDIENZA GENERALE, 05.08.2009

Alle ore 10.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si è affacciato al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo per incontrare i fedeli ed i pellegrini convenuti per l’Udienza Generale del mercoledì.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sulla figura di San Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d’Ars.
Dopo la catechesi, il Santo Padre ha rivolto un saluto in varie lingue ai gruppi di fedeli presenti e ha concluso impartendo la Benedizione Apostolica.
Pubblichiamo di seguito il testo integrale della catechesi del Santo Padre in lingua italiana (di cui il Papa, per brevità, ha letto solo una sintesi, ma che è da considerare in questo caso come "dato tutto per letto") e i saluti nelle diverse lingue:

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

San Giovanni Maria Vianney

Cari fratelli e sorelle,

nell’odierna catechesi vorrei ripercorrere brevemente l’esistenza del Santo Curato d’Ars sottolineandone alcuni tratti, che possono essere di esempio anche per i sacerdoti di questa nostra epoca, certamente diversa da quella in cui egli visse, ma segnata, per molti versi, dalle stesse sfide fondamentali umane e spirituali. Proprio ieri si sono compiuti 150 anni dalla sua nascita al Cielo: erano infatti le due del mattino del 4 agosto 1859, quando san Giovanni Battista Maria Vianney, terminato il corso della sua esistenza terrena, andò incontro al Padre celeste per ricevere in eredità il regno preparato fin dalla creazione del mondo per coloro che fedelmente seguono i suoi insegnamenti (cfr Mt 25, 34). Quale grande festa deve esserci stata in Paradiso all’ingresso di un così zelante pastore! Quale accoglienza deve avergli riservata la moltitudine dei figli riconciliati con il Padre, per mezzo dalla sua opera di parroco e confessore!
Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire
l’Anno Sacerdotale, che, com’è noto, ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva, l’efficacia stessa della missione di ogni sacerdote.
Giovanni Maria Vianney nacque nel piccolo borgo di Dardilly l’8 maggio del 1786, da una famiglia contadina, povera di beni materiali, ma ricca di umanità e di fede. Battezzato, com’era buon uso all’epoca, lo stesso giorno della nascita, consacrò gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza ai lavori nei campi e al pascolo degli animali, tanto che, all’età di diciassette anni, era ancora analfabeta. Conosceva però a memoria le preghiere insegnategli dalla pia madre e si nutriva del senso religioso che si respirava in casa. I biografi narrano che, fin dalla prima giovinezza, egli cercò di conformarsi alla divina volontà anche nelle mansioni più umili. Nutriva in animo il desiderio di divenire sacerdote, ma non gli fu facile assecondarlo. Giunse infatti all’Ordinazione presbiterale dopo non poche traversie ed incomprensioni, grazie all’aiuto di sapienti sacerdoti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre, intuendo l’orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare. Così, il 23 giugno 1815, fu ordinato diacono e, il 13 agosto seguente, sacerdote. Finalmente all’età di 29 anni, dopo molte incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l’altare del Signore e realizzare il sogno della sua vita.

Il Santo Curato d’Ars manifestò sempre un’altissima considerazione del dono ricevuto. Affermava: "Oh! Che cosa grande è il Sacerdozio! Non lo si capirà bene che in Cielo… se lo si comprendesse sulla terra, si morirebbe, non di spavento ma di amore!" (Abbé Monnin, Esprit du Curé d’Ars, p. 113).

Inoltre, da fanciullo aveva confidato alla madre: "Se fossi prete, vorrei conquistare molte anime" (Abbé Monnin, Procès de l’ordinaire, p. 1064). E così fu. Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo, questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente riconoscibile, alter Christus, immagine del Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le proprie pecore (cfr Gv 10,11).

La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale.

Centro di tutta la sua vita era dunque l’Eucaristia, che celebrava ed adorava con devozione e rispetto. Altra caratteristica fondamentale di questa straordinaria figura sacerdotale era l’assiduo ministero delle confessioni. Riconosceva nella pratica del sacramento della penitenza il logico e naturale compimento dell’apostolato sacerdotale, in obbedienza al mandato di Cristo: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi" (cfr Gv 20,23).
San Giovanni Maria Vianney si distinse pertanto come ottimo e instancabile confessore e maestro spirituale. Passando "con un solo movimento interiore, dall’altare al confessionale", dove trascorreva gran parte della giornata, cercava in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica (cfr
Lettera ai sacerdoti per l’Anno Sacerdotale).

I metodi pastorali di san Giovanni Maria Vianney potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali.

Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato? Se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, c’è però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti sono chiamati a coltivare.
A ben vedere, ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è stata la sua umile fedeltà alla missione a cui Iddio lo aveva chiamato; è stato il suo costante abbandono, colmo di fiducia, nelle mani della Provvidenza divina.

Egli riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie, comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo. Fu "innamorato" di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto.

La sua testimonianza ci ricorda, cari fratelli e sorelle, che per ciascun battezzato, e ancor più per il sacerdote, l’Eucaristia "non è semplicemente un evento con due protagonisti, un dialogo tra Dio e me. La Comunione eucaristica tende ad una trasformazione totale della propria vita. Con forza spalanca l’intero io dell’uomo e crea un nuovo noi" (Joseph Ratzinger,
La Comunione nella Chiesa, p. 80).

Lungi allora dal ridurre la figura di san Giovanni Maria Vianney a un esempio, sia pure ammirevole, della spiritualità devozionale ottocentesca, è necessario al contrario cogliere la forza profetica che contrassegna la sua personalità umana e sacerdotale.

Nella Francia post-rivoluzionaria che sperimentava una sorta di "dittatura del razionalismo" volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società, egli visse, prima - negli anni della giovinezza - un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote – si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile.

Cari fratelli e sorelle, a 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, le sfide della società odierna non sono meno impegnative, anzi forse, si sono fatte più complesse. Se allora c’era la "dittatura del razionalismo", all’epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di "dittatura del relativismo".

Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità.

Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo. Oggi però, come allora, l’uomo "mendicante di significato e compimento" va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi.

Avevano ben presente questa "sete di verità", che arde nel cuore di ogni uomo, i Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II quando affermarono che spetta ai sacerdoti, "quali educatori della fede", formare "un’autentica comunità cristiana" capace di aprire "a tutti gli uomini la strada che conduce a Cristo" e di esercitare "una vera azione materna" nei loro confronti, indicando o agevolando a che non crede "il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa", e costituendo per chi già crede "stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale" (cfr Presbyterorum ordinis, 6). L’insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d’Ars é che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo così potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore; solo così, di conseguenza, potrà infondere entusiasmo e vitalità spirituale alle comunità che il Signore gli affida. Preghiamo perché, per intercessione di san Giovanni Maria Vianney, Iddio faccia dono alla sua Chiesa di santi sacerdoti, e perché cresca nei fedeli il desiderio di sostenere e coadiuvare il loro ministero.

Affidiamo questa intenzione a Maria, che oggi invochiamo come Madonna della Neve.

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00domenica 27 settembre 2009 14:20
Il Papa: "Dai Santi possiamo apprendere, specialmente noi sacerdoti, l’eroismo evangelico che ci spinge, senza nulla temere, a dare la vita per la salvezza delle anime. L’amore vince la morte!"
(Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus, 9 agosto 2009)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 09.08.2009

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI recita l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti nel Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Come domenica scorsa, anche quest’oggi – nel contesto dell’Anno Sacerdotale che stiamo celebrando – ci soffermiamo a meditare su alcuni Santi e Sante che la liturgia ricorda in questi giorni. Eccetto la vergine Chiara d’Assisi, ardente di amore divino nella quotidiana oblazione della preghiera e della vita comune, gli altri sono martiri, due dei quali uccisi nel lager di Auschwitz: santa Teresa Benedetta della Croce - Edith Stein, che, nata nella fede ebraica e conquistata da Cristo in età adulta, divenne monaca carmelitana e sigillò la sua esistenza con il martirio; e san Massimiliano Kolbe, figlio della Polonia e di san Francesco d’Assisi, grande apostolo di Maria Immacolata.
Incontreremo poi altre figure splendide di martiri della Chiesa di Roma, come san Ponziano Papa, sant’Ippolito sacerdote e san Lorenzo diacono.
Quali meravigliosi modelli di santità la Chiesa ci propone! Questi santi sono testimoni di quella carità che ama "sino alla fine", e non tiene conto del male ricevuto, ma lo combatte con il bene (cfr 1 Cor 13,4-8).
Da essi possiamo apprendere, specialmente noi sacerdoti, l’eroismo evangelico che ci spinge, senza nulla temere, a dare la vita per la salvezza delle anime. L’amore vince la morte!
Tutti i santi, ma specialmente i martiri, sono testimoni di Dio, che è Amore: Deus caritas est.

I lager nazisti, come ogni campo di sterminio, possono essere considerati simboli estremi del male, dell’inferno che si apre sulla terra quando l’uomo dimentica Dio e a Lui si sostituisce, usurpandogli il diritto di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di dare la vita e la morte.

Purtroppo però questo triste fenomeno non è circoscritto ai lager. Essi sono piuttosto la punta culminante di una realtà ampia e diffusa, spesso dai confini sfuggenti.
I santi, che abbiamo brevemente ricordato, ci fanno riflettere sulle profonde divergenze che esistono tra l’umanesimo ateo e l’umanesimo cristiano; un’antitesi che attraversa tutta quanta la storia, ma che alla fine del secondo millennio, con il nichilismo contemporaneo, è giunta ad un punto cruciale, come grandi letterati e pensatori hanno percepito, e come gli avvenimenti hanno ampiamente dimostrato.
Da una parte, ci sono filosofie e ideologie, ma sempre più anche modi di pensare e di agire, che esaltano la libertà quale unico principio dell’uomo, in alternativa a Dio, e in tal modo trasformano l’uomo in un dio, che fa dell’arbitrarietà il proprio sistema di comportamento.
Dall’altra, abbiamo appunto i santi, che, praticando il Vangelo della carità, rendono ragione della loro speranza; essi mostrano il vero volto di Dio, che è Amore, e, al tempo stesso, il volto autentico dell’uomo, creato a immagine e somiglianza divina.
Cari fratelli e sorelle, preghiamo la Vergine Maria, perché ci aiuti tutti – in primo luogo noi sacerdoti - ad essere santi come questi eroici testimoni della fede e della dedizione di sé sino al martirio.
È questo l’unico modo per offrire alle istanze umane e spirituali, che suscita la crisi profonda del mondo contemporaneo, una risposta credibile ed esaustiva : quella della carità nella verità.

DOPO L’ANGELUS

Je suis heureux, chers pèlerins francophones, de vous accueillir à Castel Gandolfo pour la prière de l’Angélus. L’Église, en ce dimanche, nous donne de reconnaître dans nos vies que la Bonne Nouvelle est nourriture et libération. Cette Bonne Nouvelle du Christ nous enracine dans la vérité et nous délivre de tout ce qui nous entrave tant au plan spirituel que moral. En suivant l’exemple du saint curé d’Ars, je vous invite à vous laisser transfigurer par l’Eucharistie qui est la source de tout amour. Je vous invite également à prier pour les vocations sacerdotales afin que Dieu donne à notre monde les prêtres dont il a tant besoin pour servir à la prière et à l’Eucharistie. Je demande à Dieu de vous bénir, ainsi que vos familles et vos amis.

I am pleased to greet the English-speaking pilgrims and visitors gathered for this Angelus prayer. The readings from today’s Mass invite us to put our faith in Jesus, the "bread of life" who offers himself to us in the Eucharist and promises us eternal joy in the house of the Father. During these summer holidays, may you and your families respond to the Lord’s invitation by actively participating in the Eucharistic sacrifice and through generous acts of charity. Upon all of you I invoke his blessings of joy and peace!

Von Herzen heiße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache hier in Castel Gandolfo willkommen und grüße auch alle, die über Radio und Fernsehen mit uns verbunden sind. Der Sonntag ist der Tag des Herrn, der uns eine besondere Gelegenheit gibt, Christus, dem Sohn Gottes zu begegnen, der als Mensch das Leben der Menschen geteilt und ihnen seine Liebe geschenkt hat. Er ist auch uns nahe. Im heutigen Evangelium hören wir, daß Jesus von sich als dem Brot vom Himmel spricht. Wer von diesem Brot ißt, wird in Ewigkeit leben. Schenken wir ihm den Platz in unserem Herzen, der ihm gebührt, und er wird unseren Hunger nach Leben und Liebe stillen. Der gute Gott geleite euch auf allen Wegen!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que se unen a esta oración del Ángelus. En particular el grupo de la Pastoral Juvenil de Toledo, acompañado por su Arzobispo. Especialmente en el Día del Señor, invito a todos a buscar en la Eucaristía el pan bajado del cielo, el alimento que perdura y da la vida eterna. Que la Santísima Virgen María interceda para que nunca falte este sustento de nuestra esperanza y nuestros esfuerzos por la paz. Feliz domingo.

Serdecznie pozdrawiam wszystkich Polaków. Szczególne słowa łączności kieruję dzisiaj do wielkiej rzeszy wiernych, którzy w te sierpniowe dni, pielgrzymują pieszo na Jasną Górę i do innych sanktuariów maryjnych. Niech wasz pielgrzymi szlak obfituje przeminą serc, darem Bożego miłosierdzia i opieką Matki Bożej. Waszym modlitwom polecam moją papieską posługę i intencje Kościoła. Z serca wszystkim błogosławię.

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Oggi rivolgo una particolare parola di vicinanza alla moltitudine dei fedeli, che in questi giorni di agosto, vanno a piedi in pellegrinaggio a Jasna Góra (Częstochowa) e verso gli altri santuari mariani. Che il vostro cammino porti copiosi frutti: la conversione dei cuori, il dono della divina misericordia e la protezione della Madonna. Affido alle vostre preghiere il mio universale ministero e le intenzioni della Chiesa. Di cuore vi benedico tutti.]

Un cordiale saluto rivolgo infine ai pellegrini italiani, in particolare alle Piccole Sorelle dei Poveri con gli anziani e i volontari, ai fedeli di Monteleone di Puglia, della parrocchia Nostra Signora della Salute in Cagliari, ai giovani della parrocchia Maria Madre di Dio, in Siracusa; all’Istituto secolare Compagnia di Gesù Maestro, di Mazara del Vallo; alla Compagnia dei tipi loschi del Beato Piergiorgio Frassati. Maria Santissima, che invochiamo con la preghiera dell'Angelus, ci aiuti a rispondere sempre fedelmente alla vocazione alla santità che Cristo rivolge ad ogni cristiano. Grazie per la vostra presenza. A tutti buona domenica!

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00domenica 27 settembre 2009 14:24
Il Papa: "Quando Dio decise di farsi uomo nel suo Figlio, aveva bisogno del «sì» libero di una sua creatura. Dio non agisce contro la nostra libertà...
Maria predilige i presbiteri per due ragioni: perché sono più simili a Gesù, amore supremo del suo cuore, e perché anch’essi, come Lei, sono impegnati nella missione di proclamare, testimoniare e dare Cristo al mondo"

(Catechesi, in gran parte "a braccio, sul nesso fra la Madonna ed il sacerdozio, 12 agosto 2009)


L’UDIENZA GENERALE, 12.08.2009

Alle ore 10.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si è affacciato al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo per incontrare i fedeli ed i pellegrini convenuti per l’Udienza Generale del mercoledì.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa - alla vigilia della Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria e nel contesto dell’Anno Sacerdotale - ha parlato di Maria come Madre di tutti i sacerdoti.
Dopo la catechesi, il Santo Padre ha rivolto un saluto in varie lingue ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica . Quindi il Papa si è affacciato al balcone del Cortile esterno del Palazzo Apostolico per salutare e benedire i fedeli che non avevano trovato posto all’interno
.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Il nesso tra la Madonna ed il sacerdozio

Cari fratelli e sorelle,

è imminente la celebrazione della
solennità dell'Assunzione della Beata Vergine, sabato prossimo, e siamo nel contesto dell'Anno Sacerdotale; così vorrei parlare del nesso tra la Madonna e il sacerdozio.
È un nesso profondamente radicato nel mistero dell'Incarnazione.
Quando Dio decise di farsi uomo nel suo Figlio, aveva bisogno del «sì» libero di una sua creatura. Dio non agisce contro la nostra libertà.
E succede una cosa veramente straordinaria: Dio si fa dipendente dalla libertà, dal «sì» di una sua creatura; aspetta questo «sì». San Bernardo di Chiaravalle, in una delle sue omelie, ha spiegato in modo drammatico questo momento decisivo della storia universale, dove il cielo, la terra e Dio stesso aspettano cosa dirà questa creatura.
Il «sì» di Maria è quindi la porta attraverso la quale Dio è potuto entrare nel mondo, farsi uomo.
Così Maria è realmente e profondamente coinvolta nel mistero dell'Incarnazione, della nostra salvezza.
E l'Incarnazione, il farsi uomo del Figlio, era dall'inizio finalizzata al dono di sé; al donarsi con molto amore nella Croce, per farsi pane per la vita del mondo. Così sacrificio, sacerdozio e Incarnazione vanno insieme e Maria sta nel centro di questo mistero.

Andiamo adesso alla Croce.

Gesù, prima di morire, vede sotto la Croce la Madre; e vede il figlio diletto e questo figlio diletto certamente è una persona, un individuo molto importante, ma è di più: è un esempio, una prefigurazione di tutti i discepoli amati, di tutte le persone chiamate dal Signore per essere «discepolo amato» e, di conseguenza, in modo particolare anche dei sacerdoti. Gesù dice a Maria: «Madre ecco tuo figlio» (Gv 19, 26). È una specie di testamento: affida sua Madre alla cura del figlio, del discepolo. Ma dice anche al discepolo: «Ecco tua madre» (Gv 19, 27). Il Vangelo ci dice che da questo momento san Giovanni, il figlio prediletto, prese la madre Maria «nella propria casa».

Così è nella traduzione italiana; ma il testo greco è molto più profondo, molto più ricco. Potremmo tradurlo: prese Maria nell'intimo della sua vita, del suo essere, «eis tà ìdia», nella profondità del suo essere. Prendere con sé Maria, significa introdurla nel dinamismo dell’intera propria esistenza – non è una cosa esteriore - e in tutto ciò che costituisce l’orizzonte del proprio apostolato.

Mi sembra si comprenda pertanto come il peculiare rapporto di maternità esistente tra Maria e i presbiteri costituisca la fonte primaria, il motivo fondamentale della predilezione che nutre per ciascuno di loro.

Maria li predilige infatti per due ragioni: perché sono più simili a Gesù, amore supremo del suo cuore, e perché anch’essi, come Lei, sono impegnati nella missione di proclamare, testimoniare e dare Cristo al mondo.
Per la propria identificazione e conformazione sacramentale a Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, ogni sacerdote può e deve sentirsi veramente figlio prediletto di questa altissima ed umilissima Madre.

Il Concilio Vaticano II invita i sacerdoti a guardare a Maria come al modello perfetto della propria esistenza, invocandola "Madre del sommo ed eterno Sacerdote, Regina degli Apostoli, Ausilio dei presbiteri nel loro ministero".
E i presbiteri – prosegue il Concilio – "devono quindi venerarla ed amarla con devozione e culto filiale" (cfr.
Presbyterorum ordinis, 18).
Il Santo Curato d'Ars, al quale pensiamo particolarmente in quest’anno, amava ripetere: «Gesù Cristo, dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire la sua Santa Madre» (B. Nodet, Il pensiero e l’anima del Curato d’Ars, Torino 1967, p. 305).
Questo vale per ogni cristiano, per tutti noi, ma in modo speciale per i sacerdoti. Cari fratelli e sorelle, preghiamo perché Maria renda tutti i sacerdoti, in tutti i problemi del mondo d’oggi, conformi all’immagine del suo Figlio Gesù, dispensatori del tesoro inestimabile del suo amore di Pastore buono. Maria, Madre dei sacerdoti, prega per noi!

SALUTI DEL SANTO PADRE NELLE DIVERSE LINGUE

Je suis heureux d’accueillir ce matin les pèlerins francophones. À l’approche de la Solennité de l’Assomption de la Vierge Marie, et en cette année sacerdotale, il nous est bon de regarder Marie comme la Mère de tous les prêtres. Sur la croix, Jésus a proclamé sa maternité spirituelle et universelle. En faisant ainsi le don de sa mère à tous, Jésus a voulu particulièrement la confier à ses disciples, aux prêtres qui plus que tout autre sont appelés à la prendre dans leur maison, c’est-à-dire à l’introduire dans le dynamisme de leur existence et dans l’horizon de leur apostolat. Prions pour que Marie aide les prêtres à se conformer à l’image de son Fils Jésus, dispensateur des trésors inestimables de son amour de Bon Pasteur. Marie, Mère des prêtres, priez pour nous !

I offer a warm welcome to the English-speaking visitors present at today’s Audience, including the Sisters of Saint Anne, the altar servers from Malta, and the pilgrims from Australia and the United States of America. As the Feast of the Assumption of the Blessed Virgin draws near in this Year of the Priest, my catechesis today is centered on Mary the Mother of priests. She looks upon them with special affection as her sons. Indeed, their mission is similar to hers; priests are called to bring forth Christ’s saving love into the world. On the cross, Jesus invites all believers, especially his closest disciples, to love and venerate Mary as their mother. Let us pray that all priests will make a special place for the Blessed Virgin in their lives, and seek her assistance daily as they bear witness to the Gospel of Jesus. Upon you and your families I invoke God’s blessings of joy and peace!

Mit Freude begrüße ich die Pilger und Besucher aus den Ländern deutscher Sprache und unter ihnen besonders die vielen Jugendlichen aus dem Ferienlager in Ostia. Bei seiner Menschwerdung erwählte sich Jesus Christus eine leibliche Mutter, die ihn mit Liebe und Hingabebereitschaft annahm. Vom Kreuz herab hat der Erlöser uns allen Maria als geistliche Mutter geschenkt, und insbesondere gilt ihre Fürsorge den Priestern, die durch ihre Berufung und Weihe ihrem Sohn ähnlich geworden sind und mit ihrem ganzen Leben den Menschen die Liebe Christi erfahren lassen. Das Hochfest der Aufnahme Mariens in den Himmel am kommenden Samstag erinnert uns daran, daß die Gemeinschaft unter uns Christen mit dem Tod nicht endet, sondern sich intensiviert, weil die Heiligen im Himmel noch fester mit Gott verbunden sind und für uns auf der Erde Fürsprache leisten. So begleite uns besonders Maria, unsere himmlische Mutter, mit ihrem Segen. Euch allen wünsche ich erholsame Ferien.

Queridos peregrinos de lengua española. Agradezco vuestra visita y os saludo muy cordialmente, en particular a los jóvenes de la Comunidad Misionera de Villaregia, venidos de Perú y México. Pido al Señor que la estancia en la sede de Pedro sea una ocasión para alentar el compromiso de ser verdaderos testigos del Evangelio en el mundo de hoy, como lo fueron los primeros Apóstoles que nos transmitieron con su palabra y su ejemplo de vida el mensaje salvador de Jesucristo.

Witam obecnych tu w Castel Gandolfo Polaków, a szczególnie młodzież z Ruchu Światło-Życie, przebywającą na rzymskich rekolekcjach. Zainicjował je trzydzieści lat temu Sługa Boży Jan Paweł II. Niech one umocnią was w waszym charyzmacie. Proszę wszystkich: za wstawiennictwem Matki Kapłanów, wypraszajcie w Roku Kapłańskim potrzebne łaski dla waszych pasterzy. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

[Do il mio benvenuto ai Polacchi presenti qui a Castel Gandolfo, e in modo particolare alla gioventù del movimento Luce e Vita che segue a Roma il corso di esercizi spirituali. Essi nacquero sotto l’invito del Servo di Dio Giovanni Paolo II. Il tema di quest’anno vi consolidi nel vostro carisma. Chiedo a tutti voi presenti: implorate le grazie di cui i vostri pastori hanno bisogno per l’intercessione della Madre dei Sacerdoti nell’Anno Sacerdotale. Sia lodato Gesù Cristo.]

Un cordiale saluto rivolgo ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alle Figlie della Madonna del Divino Amore e ai partecipanti alla Fiaccola della Speranza. Nel ringraziarvi per la vostra presenza, sono lieto di invocare su di voi l’abbondanza dei doni dello Spirito per un rinnovato fervore spirituale e apostolico.

Mi rivolgo ora ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Abbiamo celebrato ieri la memoria di Santa Chiara d'Assisi, che ha saputo vivere con coraggio e generosità la sua adesione a Cristo. Imitate il suo esempio particolarmente voi, cari giovani, perché possiate come lei rispondere fedelmente alla chiamata del Signore. Incoraggio voi, cari malati, ad unirvi a Gesù sofferente nel portare con fede la vostra croce. E voi, cari sposi novelli, siate nella vostra famiglia apostoli del Vangelo dell'amore.

Il mio pensiero va, infine, alle numerose popolazioni che nei giorni scorsi sono state colpite dalla violenza del tifone nelle Filippine, a Taiwan, in alcune provincie sud-orientali della Repubblica Popolare Cinese e in Giappone, Paese, quest’ultimo, provato anche da un forte terremoto. Desidero manifestare la mia vicinanza spirituale a quanti si sono venuti a trovare in condizioni di grave disagio e invito tutti a pregare per loro e per quanti hanno perso la vita. Mi auguro che non manchino il sollievo della solidarietà e l’aiuto dei soccorsi materiali.

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00domenica 27 settembre 2009 14:26
All'Angelus nella Solennità dell'Assunta il Papa cita il Santo Curato d'Ars: "L’uomo era creato per il cielo. Il demonio ha spezzato la scala che vi conduceva. Nostro Signore, con la sua Passione, ce ne ha formata un’altra… La Santissima Vergine è sull’alto della scala e la tiene a due mani"
(Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus, 15 agosto 2009)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 15.08.2009

Alle ore 12 di oggi, Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo per recitare l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Nel cuore del mese di agosto, tempo di ferie per molte famiglie, la Chiesa celebra la
solennità dell’Assunzione della Beata Vergine.
È questa un’occasione privilegiata per meditare sul senso ultimo dell’umana esistenza,
aiutati dall’odierna liturgia che ci invita a vivere in questo mondo sempre orientati ai beni eterni, per condividere la stessa gloria di Maria, nostra Madre (cfr Orazione "colletta").
Volgiamo, pertanto, lo sguardo verso la Madonna, Stella della speranza, che illumina il nostro cammino terreno, seguendo l’esempio dei santi e delle sante che a Lei hanno fatto ricorso in ogni circostanza. Stiamo celebrando
l’Anno Sacerdotale nel ricordo del Santo Curato d’Ars, e vorrei attingere dai pensieri e dalle testimonianze di questo santo parroco di campagna alcuni spunti di riflessione che ci aiutino tutti, specialmente noi sacerdoti, a ravvivare l’amore e la venerazione per la Vergine Santissima.

I biografi attestano che san Giovanni Maria Vianney parlava della Madonna con devozione e al tempo stesso con confidenza e immediatezza.
"La Santa Vergine – soleva ripetere – è senza macchia, ornata di tutte le virtù che la rendono così bella e gradita alla SS. Trinità" (B. Nodet, Il pensiero e l’anima del Curato d’Ars, Torino 1967, p. 303).
E inoltre: "Il cuore di questa buona Madre non è che amore e misericordia, non desidera che di vederci felici. Basta solo rivolgersi a Lei per essere esauditi" (ivi, 307).
Traspare da queste espressioni lo zelo del sacerdote, che, mosso da anelito apostolico, gioisce nel parlare di Maria ai fedeli, e non si stanca mai di farlo. Anche un mistero arduo come quello odierno dell’Assunzione, egli sapeva presentarlo con immagini efficaci, ad esempio così: "L’uomo era creato per il cielo. Il demonio ha spezzato la scala che vi conduceva. Nostro Signore, con la sua Passione, ce ne ha formata un’altra… La SS. Vergine è sull’alto della scala e la tiene a due mani" (ibid.).

Il Santo Curato d’Ars era attratto soprattutto dalla bellezza di Maria, bellezza che coincide con il suo essere l’Immacolata, l’unica creatura concepita senza ombra di peccato.

"La Santa Vergine – affermava – è quella bella creatura che non ha mai disgustato il buon Dio" (ivi, 306).
Quale pastore buono e fedele, egli dette prima di tutto l’esempio, anche in questo amore filiale per la Madre di Gesù, dalla quale si sentiva attratto verso il cielo. "Se non andassi in cielo – esclamava – come sarei addolorato! Non vedrei mai la Santa Vergine, questa creatura così bella!" (ivi, 309).
Consacrò inoltre più volte la sua parrocchia alla Madonna, raccomandando specialmente alle mamme di fare altrettanto ogni mattina con i loro figli. Cari fratelli e sorelle, facciamo nostri i sentimenti del Santo Curato d’Ars. E con la stessa fede, rivolgiamoci verso Maria Assunta in cielo, affidandole in modo particolare i sacerdoti del mondo intero.

DOPO L’ANGELUS

En ce jour de l’Assomption, j’accueille avec joie les pèlerins de langue française venus à Castel Gangolfo pour la prière de l’Angélus. Au cœur de ce mois d’août, qui pour beaucoup est un temps de repos, l’Église nous donne de célébrer la gloire sans pareille de la Vierge Marie. Humble servante du Seigneur elle a été associée dans son corps à la résurrection de son fils Jésus, devenant pour toute l’humanité un gage d’espérance. En contemplant Marie, je vous invite à vous ouvrir comme elle à la confiance et à vous abandonner à la tendresse et à la fidélité de Dieu. Que la Vierge Marie veille sur l’Église et sur toutes les familles !

I am happy to greet all the English-speaking pilgrims and visitors gathered here at Castel Gandolfo and also in Saint Peter’s Square. As we celebrate the Solemnity of the Assumption of the Blessed Virgin, we are invited to raise our eyes to heaven and contemplate Mary, the Mother of Jesus and our Mother. She who on earth believed in God’s word is now glorified in body and soul. May Mary’s intercession and example guide you always and renew your hearts in faith and hope. May God grant you and your families abundant blessings of peace and joy!

Zum Hochfest Mariä Himmelfahrt heiße ich ganz herzlich die Pilger und Besucher deutscher Sprache willkommen. Die Kirche stellt uns Maria als den Menschen vor Augen, der ganz offen ist für den göttlichen Ruf, vorbehaltlos Ja sagt zu Gottes Willen und deshalb Heil und Segen für die Menschen wird. Die Kunst stellt uns Maria oft als die Betende vor, die in der Zwiesprache mit Gott die Botschaft des Engels annimmt. Eine solche Haltung sollte auch unser Gebet auszeichnen, nämlich die Offenheit für die Gegenwart des lebendigen Herrn, um das Geschenk seiner Güte zu empfangen und weiterzugeben. Euch allen wünsche ich einen gesegneten Festtag!

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española. La Iglesia celebra hoy la Solemnidad de la Asunción de la Virgen María. Con esta fiesta los cristianos reconocemos agradecidos la especial complacencia que Dios tiene hacia la Madre de su Hijo, que en este día la vemos coronada de gloria y esplendor. Pidamos, por la poderosa intercesión de la Santísima Virgen, poder vivir en todo momento apoyados en la gracia y alcanzar como ella el premio de la gloria celeste. Muchas gracias.

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, a quem agradeço a presença e a união na oração do "Angelus", neste dia de Nossa Senhora da Assunção. Ela aponta-nos a meta do Céu, ensinando-nos que o destino do homem não se esgota no tempo, mas completa-se na Vida Eterna, junto de Deus. Esta mensagem encha os vossos corações de alegria e de esperança que vos desejo com a minha Bênção Apostólica.

Witam obecnych tu w Castel Gandolfo Polaków. Szczególnie pozdrawiam wiernych zgromadzonych na Jasnej Górze i w sanktuariach maryjnych w Polsce. Uroczystość Wniebowzięcia Matki Bożej przypomina nam, że niebo jest naszą ojczyzną. Tam jest cel naszej ziemskiej wędrówki. Niech ta Uroczystość będzie dla was okazją, by w duchu wiary Ojców raz jeszcze odnowić swoje osobiste zawierzenie, jak również rodzin i całego Narodu, Niepokalanej Matce.

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi presenti qui a Castel Gandolfo. In modo particolare saluto i fedeli presenti a Jasna Góra e nei santuari mariani in Polonia. La solennità della Assunzione della Beata Vergine Maria ci ricorda che la nostra patria è nel cielo. Li è la meta del nostro pellegrinaggio terreno. Che questa solennità sia per voi occasione per affidare - nello spirito di fede dei vostri avi – di nuovo voi stessi, le famiglie e tutta la nazione alla Madre Immacolata.]

Saluto, infine, i pellegrini italiani. In particolare i fedeli della parrocchia di San Martino, in Cenate Sotto e quelli della parrocchia dei Santi Giovanni Battista ed Irene, in Veglie. Saluto altresì i rappresentanti dell’Opera di Nazaret. A tutti auguro una buona festa dell’Assunta!

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00domenica 27 settembre 2009 19:04
Il Papa: "Il Concilio di Trento, nel 1563, aveva emanato norme per l'erezione dei seminari diocesani e per la formazione dei sacerdoti, in quanto il Concilio era ben consapevole che tutta la crisi della riforma era anche condizionata da un'insufficiente formazione dei sacerdoti, che non erano preparati per il sacerdozio in modo giusto, intellettualmente e spiritualmente, nel cuore e nell'anima...Anche oggi si avverte la necessità che i sacerdoti testimonino l’infinita misericordia di Dio con una vita tutta "conquistata" dal Cristo, ed apprendano questo fin dagli anni della loro preparazione nei seminari"
(Catechesi del Santo Padre sulla figura di San Giovanni Eudes, 19 agosto 2009)

L’UDIENZA GENERALE, 19.08.2009

Alle ore 10.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si è affacciato al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo per incontrare i fedeli ed i pellegrini convenuti per l’Udienza Generale del mercoledì.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa - nel contesto dell'Anno Sacerdotale - ha trattato il tema: "San Giovanni Eudes e la formazione del clero", ricorrendo proprio oggi la memoria liturgica del santo francese.
Dopo la catechesi, il Santo Padre ha rivolto un saluto in varie lingue ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica
.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

San Giovanni Eudes e la formazione del clero

Cari fratelli e sorelle!

ricorre oggi la memoria liturgica di san Giovanni Eudes, apostolo infaticabile della devozione ai Sacri Cuori di Gesù e Maria, vissuto in Francia nel secolo XVII, un secolo segnato da contrapposti fenomeni religiosi e anche da gravi problemi politici. E’ il tempo della guerra dei Trent’anni, che ha devastato non solo gran parte del Centro Europa, ma ha devastato anche le anime. Mentre si andava diffondendo il disprezzo per la fede cristiana da parte di alcune correnti di pensiero allora dominanti, lo Spirito Santo suscitava un rinnovamento spirituale pieno di fervore, con personalità di alto rilievo come il de Bérulle, san Vincenzo de Paoli, san Luigi M. Grignon de Montfort e san Giovanni Eudes. Questa grande "scuola francese" di santità ebbe tra i suoi frutti anche san Giovanni Maria Vianney.
Per un misterioso disegno della Provvidenza, il mio venerato predecessore Pio XI proclamò santi insieme, il 31 maggio 1925, Giovanni Eudes e il Curato d’Ars, offrendo alla Chiesa e al mondo intero due straordinari esempi di santità sacerdotale.

Nel contesto dell’Anno Sacerdotale, mi è caro soffermarmi a sottolineare lo zelo apostolico di san Giovanni Eudes, particolarmente rivolto alla formazione del clero diocesano.
I santi sono la vera interpretazione della Sacra Scrittura. I santi hanno verificato, nell'esperienza della vita, la verità del Vangelo; così ci introducono nel conoscere e capire il Vangelo.

Il Concilio di Trento, nel 1563, aveva emanato norme per l'erezione dei seminari diocesani e per la formazione dei sacerdoti, in quanto il Concilio era ben consapevole che tutta la crisi della riforma era anche condizionata da un'insufficiente formazione dei sacerdoti, che non erano preparati per il sacerdozio in modo giusto, intellettualmente e spiritualmente, nel cuore e nell'anima. Questo nel 1563; ma siccome l'applicazione e la realizzazione delle norme tardavano sia in Germania, sia in Francia, san Giovanni Eudes vide le conseguenze di questa mancanza.

Mosso dalla lucida consapevolezza del grave bisogno di aiuto spirituale, in cui versavano le anime proprio a causa anche dell’inadeguatezza di gran parte del clero, il santo, che era un parroco, istituì una Congregazione dedita in maniera specifica alla formazione dei sacerdoti.

Nella città universitaria di Caen fondò il suo primo seminario, esperienza quanto mai apprezzata, che ben presto si allargò ad altre diocesi. Il cammino di santità, da lui percorso e proposto ai suoi discepoli, aveva come fondamento una solida fiducia nell’amore che Dio ha rivelato all’umanità nel Cuore sacerdotale di Cristo e nel Cuore materno di Maria. In quel tempo di crudeltà, di perdita di interiorità, egli si rivolse al cuore, per dire al cuore una parola dei Salmi molto ben interpretata da sant'Agostino. Voleva richiamare le persone, gli uomini e soprattutto i futuri sacerdoti al cuore, mostrando il cuore sacerdotale di Cristo e il cuore materno di Maria. Di questo amore del cuore di Cristo e di Maria ogni sacerdote deve essere testimone e apostolo. E qui arriviamo al nostro tempo.

Anche oggi si avverte la necessità che i sacerdoti testimonino l’infinita misericordia di Dio con una vita tutta "conquistata" dal Cristo, ed apprendano questo fin dagli anni della loro preparazione nei seminari.

Papa Giovanni Paolo II, dopo il Sinodo del 1990, ha emanato l’Esortazione apostolica
Pastores dabo vobis nella quale riprende e aggiorna le norme del Concilio di Trento e sottolinea soprattutto la necessaria continuità tra il momento iniziale e quello permanente della formazione; questo per lui, per noi è un vero punto di partenza per un’autentica riforma della vita e dell’apostolato dei sacerdoti, ed è anche il punto nodale affinché la "nuova evangelizzazione" non sia semplicemente solo uno slogan attraente, ma si traduca in realtà.
Le fondamenta poste nella formazione seminaristica, costituiscono quell’insostituibile "humus spirituale" nel quale "imparare Cristo", lasciandosi progressivamente configurare a Lui, unico Sommo Sacerdote e Buon Pastore. Il tempo del Seminario va visto pertanto come l’attualizzazione del momento in cui il Signore Gesù, dopo aver chiamato gli apostoli e prima di mandarli a predicare, chiede loro di stare con Lui (cfr.Mc 3,14).
Quando san Marco racconta la vocazione dei dodici apostoli, ci dice che Gesù aveva un duplice scopo: il primo era che stessero con Lui, il secondo che fossero mandati a predicare. Ma andando sempre con Lui, realmente annunciano Cristo e portano la realtà del Vangelo al mondo.

Durante questo Anno Sacerdotale vi invito a pregare, cari fratelli e sorelle, per i sacerdoti e per quanti si preparano a ricevere il dono straordinario del Sacerdozio ministeriale.

A tutti rivolgo, e così concludo, l’esortazione di san Giovanni Eudes, che dice così ai sacerdoti: "Donatevi a Gesù, per entrare nell’immensità del suo grande Cuore, che contiene il Cuore della sua Santa Madre e di tutti i santi, e per perdervi in questo abisso di amore, di carità, di misericordia, di umiltà, di purezza, di pazienza, di sottomissione e di santità" (Coeur admirable, III, 2).

In questo senso cantiamo adesso insieme il Padre Nostro in latino.

SALUTI DEL SANTO PADRE NELLE DIVERSE LINGUE

Je suis heureux de vous saluer, chers amis de langue française, en ce jour où l’Église fait mémoire de saint Jean Eudes, qui fut un modèle de sainteté sacerdotale. Le chemin de sainteté qu’il suivit et qu’il proposa à ses disciples avait comme fondement une solide confiance en l’amour que Dieu a révélé à l’humanité dans le cœur sacerdotal du Christ et dans le cœur maternel de Marie. Je vous invite à prier pour que les prêtres d’aujourd’hui, à l’exemple de saint Jean Eudes, soient aussi des témoins ardents de cet amour à travers leur vie et leur ministère, afin que le Peuple de Dieu tout entier puisse en bénéficier. Avec ma Bénédiction Apostolique !

I offer a warm welcome to the English-speaking visitors present at today’s Audience, including the pilgrims from India and Nigeria. Our catechesis considers Saint John Eudes whose feast we celebrate today. He lived in seventeenth-century France which, notwithstanding considerable trials for the faith, produced many outstanding examples of spiritual courage and insight. Saint John Eudes’ particular contribution was the foundation of a religious congregation dedicated to the task of giving solid formation to the diocesan priesthood. He encouraged seminarians to grow in holiness and to trust in God’s love revealed to humanity in the priestly heart of Jesus and in the maternal heart of Mary. During this year let us pray in a special way for priests and seminarians that, inspired by today’s saint, they may spiritually "enter into the heart of Jesus", becoming men of true love, mercy, humility and patience, renewed in holiness and pastoral zeal. My dear Brothers and Sisters, upon you and your families I invoke God’s blessings of joy and peace!

Von Herzen heiße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache willkommen. Heute feiert die Kirche den Gedenktag des heiligen Johannes Eudes, einer großen Priestergestalt wie der Pfarrer von Ars, mit dem er zusammen im Jahre 1925 heiliggesprochen wurde. Johannes Eudes im 17. Jh. hatte erkannt, daß die geistliche Not der Menschen seiner Zeit zu einem guten Teil auf Unzulänglichkeiten in der Ausbildung und dann im Dienst der Priester zurückzuführen war. Sein ganzes Bemühen ging dahin, die geistliche Lebensführung der Priester zu verbessern, sie zu wahrhaft geistlichen Menschen zu machen. Der Weg der Heiligung - davon war er überzeugt - besteht in der vorbehaltlosen Antwort und Hingabe an die Liebe, die Gott der Menschheit im priesterlichen Herzen Jesu und im mütterlichen Herzen Marias offenbart. In diesem Sinn wollen wir alle Priester und uns selber dieser Herzensliebe unseres Herrn und seiner Mutter anvertrauen, damit auch durch uns Gottes Erbarmen in dieser Welt sichtbar wird. Der Heilige Geist stärke euch und begleite euch auf allen euren Wegen.

Saludo a los peregrinos de lengua española. En particular a la Parroquia de San Nicolás de la Villa de Córdoba. Celebramos hoy la fiesta de san Juan Eudes, apóstol incansable de la devoción a los Sagrados Corazones de Jesús y María y entregado totalmente a la formación del clero diocesano. La adecuada preparación del sacerdote es el punto de partida de una auténtica reforma de la vida y del apostolado de los presbíteros. Durante este Año Sacerdotal, os invito a rezar por los sacerdotes para que configurándose cada vez más con Cristo, Buen Pastor, sean testigos en el mundo de la infinita misericordia de Dios. Muchas gracias.

Amados peregrinos de língua portuguesa, nomeadamente os grupos de Mirandela e de São Paulo, agradeço a vossa presença com votos de que este encontro com o Sucessor de Pedro revigore, em todos vós, o fervor espiritual para assim testemunhardes, com as vossas vidas, a Mensagem Salvadora de Jesus Cristo. Sobre cada um de vós e vossas famílias desça a Minha Bênção.

Witam pielgrzymów polskich. Sierpień to czas żniw. Dziękujmy Bogu za dar chleba: za Eucharystię, pokarm dla duszy i za chleb powszedni, pokarm dla ciała. Niech Bóg błogosławi tegoroczne plony ziemi, i ludzi, którzy je w trudzie zbierają. Otwórzmy nasze serca, by dzielić się chlebem z potrzebującymi braćmi. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

[Il mese di agosto è il tempo della mietitura. Ringraziamo Dio per il dono del pane: sia per l’Eucaristia, il nutrimento dell’anima, sia per il pane quotidiano, nutrimento del corpo. Dio benedica il raccolto di quest’anno e quanti per esso faticano. Noi tutti apriamo i nostri cuori per dividere il pane con i fratelli bisognosi. Sia lodato Gesù Cristo.]

S velikom radošću pozdravljam sve hrvatske hodočasnike! Dragi prijatelji, kroz ovu godinu posebno molite u vašim obiteljima za vaše svećenike da budu vjerni nasljedovatelji našega Gospodina i za nova duhovna zvanja u vašem narodu! Hvaljen Isus i Marija!

[Con grande gioia saluto i pellegrini croati! Cari amici, particolarmente durante quest’anno, pregate nelle vostre famiglie per i vostri sacerdoti che siano fedeli imitatori del nostro Signore e per le nuove vocazioni sacerdotali dalla vostra nazione. Siano lodati Gesù e Maria!]

Rivolgo infine un saluto cordialissimo ai pellegrini di lingua italiana. Nel ringraziarvi per la vostra presenza, vi incoraggio a proseguire la vostra fedele testimonianza cristiana nella nostra società.

Con affetto saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. La mirabile figura di san Giovanni Eudes, a cui ho fatto cenno poc’anzi, aiuti ciascuno a progredire sempre più nell’amore di Dio, che dona pienezza di significato alla giovinezza, alla sofferenza e alla vita familiare.

Grazie a voi tutti per la vostra presenza. Il Signore vi benedica.

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00domenica 27 settembre 2009 19:05
Il Papa: "Gesù infatti non si accontenta di un’appartenenza superficiale e formale, non gli è sufficiente una prima ed entusiastica adesione; occorre, al contrario, prendere parte per tutta la vita "al suo pensare e al suo volere". SeguirLo riempie il cuore di gioia e dà senso pieno alla nostra esistenza, ma comporta difficoltà e rinunce perché molto spesso si deve andare controcorrente"
(Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus, 23 agosto 2009)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 23.08.2009

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo per recitare l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Vedete che la mano è liberata dal gesso, ma ancora un po’ pigra!
Un po’ devo ancora rimanere a scuola di pazienza, ma andiamo avanti!


Sapete che da alcune domeniche la liturgia propone alla nostra riflessione il capitolo VI del Vangelo di Giovanni, nel quale Gesù si presenta come il "pane della vita disceso dal cielo" ed aggiunge: "se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo" (Gv. 6,51).
Ai giudei che discutono aspramente tra loro chiedendosi: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?" (v. 52), Gesù ribadisce "se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita" (v. 53).
Oggi, XXI domenica del tempo ordinario, meditiamo la parte conclusiva di questo capitolo, in cui il quarto Evangelista riferisce la reazione della gente e degli stessi discepoli, scandalizzati dalle parole del Signore, al punto che tanti, dopo averlo seguito sino ad allora, esclamano: "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?" (v. 60).
E da quel momento "molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con Lui" (v. 66).
Gesù però non attenua le sue affermazioni, anzi si rivolge direttamente ai Dodici dicendo: "Volete andarvene anche voi?" (v. 67).

Questa provocatoria domanda non è diretta soltanto agli ascoltatori di allora, ma raggiunge i credenti e gli uomini di ogni epoca. Anche oggi, non pochi restano "scandalizzati" davanti al paradosso della fede cristiana.
L’insegnamento di Gesù sembra "duro", troppo difficile da accogliere e da mettere in pratica. C’è allora chi lo rifiuta e abbandona Cristo; c’è chi cerca di "adattarne" la parola alle mode dei tempi snaturandone il senso e il valore. "Volete andarvene anche voi?".
Quest’inquietante provocazione ci risuona nel cuore ed attende da ciascuno una risposta personale.

Gesù infatti non si accontenta di un’appartenenza superficiale e formale, non gli è sufficiente una prima ed entusiastica adesione; occorre, al contrario, prendere parte per tutta la vita "al suo pensare e al suo volere".
SeguirLo riempie il cuore di gioia e dà senso pieno alla nostra esistenza, ma comporta difficoltà e rinunce perché molto spesso si deve andare controcorrente
.


"Volete andarvene anche voi?". Alla domanda di Gesù, Pietro risponde a nome degli Apostoli: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (vv. 68-69).

Cari fratelli e sorelle, anche noi possiamo ripetere la risposta di Pietro, consapevoli certo della nostra umana fragilità, ma fiduciosi nella potenza dello Spirito Santo, che si esprime e si manifesta nella comunione con Gesù.

La fede è dono di Dio all’uomo ed é, al tempo stesso, libero e totale affidamento dell’uomo a Dio; la fede è docile ascolto della parola del Signore, che è "lampada" per i nostri passi e "luce" sul nostro cammino (cfr Salmo 119, 105).
Se apriamo con fiducia il cuore a Cristo, se ci lasciamo conquistare da Lui, possiamo sperimentare anche noi, insieme al santo Curato d’Ars, che "la nostra sola felicità su questa terra è amare Dio e sapere che Lui ci ama".


Chiediamo alla Vergine Maria di tenere sempre desta in noi questa fede impregnata di amore, che ha resa Lei, umile fanciulla di Nazaret, Madre di Dio e madre e modello di tutti i credenti.

DOPO L’ANGELUS

Oggi si è aperta a Rimini la XXX edizione del "Meeting per l’amicizia tra i popoli ", che quest’anno ha come titolo "La conoscenza è sempre un avvenimento". Nel rivolgere un cordiale saluto a quanti prendono parte a questo significativo appuntamento, auguro che esso sia occasione propizia per comprendere che "Conoscere non è un atto solo materiale, perché … in ogni conoscenza e in ogni atto d’amore l’anima dell’uomo sperimenta un «di più» che assomiglia molto a un dono ricevuto, ad un'altezza a cui ci sentiamo elevati" (Enc.
Caritas in Veritate, n. 77).

Je vous salue cordialement chers pèlerins francophones rassemblés pour la prière de l’Angélus, en particulier les jeunes du diocèse de Beauvais. Au milieu des transformations du monde, la liturgie de ce jour nous convie à faire des choix, à discerner ce qui nous fait vivre. Pour cela, il est indispensable de nous appuyer sur la Parole du Christ car elle est Esprit et Vie. Avant de recommencer nos activités habituelles, je vous invite, en cette fin du mois d’août, à prendre du temps pour méditer la Parole de Dieu et à vous nourrir de l’Eucharistie, source et sommet de toute vie. Que Dieu vous bénisse !

I greet all the English-speaking pilgrims present at today’s Angelus. May your visit to Castel Gandolfo and Rome strengthen your faith in our Lord, the Holy One of God, and renew your desire to share the peace of his kingdom with others. Upon you and your loved ones, I invoke God’s blessings of true happiness and joy!

Gerne grüße ich die Gäste aus den Ländern deutscher Sprache hier in Castel Gandolfo und alle, die über Rundfunk und Fernsehen am Angelusgebet teilnehmen. Glauben bedeutet Entscheidung, nämlich ganz und gar Ja zu sagen zu Jesus Christus und zu seiner Botschaft. Wer Christus glaubt, ihm sich anvertraut und von seinem Wort leiten läßt, der kann mit Petrus im heutigen Evangelium bekennen: „Herr, du hast Worte des ewigen Lebens." Ja, Jesu Wort ist wirklich Geist und Leben, göttliches Leben für uns. Wir wollen jeden Tag unsere Entscheidung für Christus erneuern und mithelfen, daß die Menschen Ihn erkennen, der allen Heil und Leben schenken will. Gottes Gnade begleite euch an diesem Sonntag und die ganze Woche.

Saludo con afecto a los fieles de lengua española, y de modo particular a las religiosas Mercedarias del Santísimo Sacramento, así como a los que siguen esta oración mariana a través de la radio y la televisión. El Evangelio de hoy nos trae las palabras de Simón Pedro a Jesús: «Señor, ¿a quién vamos a acudir? Tú tienes palabras de vida eterna». A todos os invito a renovar vuestra entrega a Cristo para que, encontrando en Él la fuente de la verdadera vida, deis testimonio de su amor ante el mundo. Gracias por vuestra visita y feliz domingo.

Witam Polaków. W dzisiejszej Ewangelii Pan Jezus mówi do swoich uczniów: „pośród was są tacy, którzy nie wierzą" (J 6, 64). W Roku Kapłańskim prośmy w modlitwie, by kapłani, którzy wzorem Piotra i Apostołów uwierzyli i poznali, że Chrystus jest Świętym Boga (por. J 6, 69), świadectwem swego życia umacniali wiarę wątpiących. Niech wszyscy dzięki ich posłudze doznają łaski nawrócenia i odnowy ducha. Życzę wszystkim dobrej niedzieli.

[Saluto i Polacchi. Nel Vangelo odierno il Signore Gesù dice ai discepoli: "Ci sono alcuni di voi che non credono" (Gv 6, 64). In quest’anno sacerdotale chiediamo nella preghiera che i sacerdoti, i quali sul esempio di Pietro e degli Apostoli "hanno creduto e hanno riconosciuto che Cristo è il santo di Dio" (Gv 6, 69), con la testimonianza della loro vita rafforzino quanti dubitano. Tutti sperimentino, grazie al loro ministero, il dono della conversione e del rinnovamento del cuore. A tutti auguro una buona domenica.]

Saluto infine i pellegrini di lingua italiana, in particolare i Legionari di Cristo e i fedeli di Seriate partecipanti alla fiaccolata votiva partita da Marktl am Inn e giunta a Castel Gandolfo. Saluto inoltre i fedeli provenienti da Catania, Cassana, Sedico, Lavis, Pressano. A tutti auguro una Buona Domenica.

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00domenica 27 settembre 2009 19:07
Il Papa: "Nei decenni successivi al Concilio Vaticano ii, alcuni hanno interpretato l'apertura al mondo non come un'esigenza dell'ardore missionario del Cuore di Cristo, ma come un passaggio alla secolarizzazione...Si è così assistito a interventi di alcuni responsabili ecclesiali in dibattiti etici, in risposta alle aspettative dell'opinione pubblica, ma si è smesso di parlare di certe verità fondamentali della fede..."
(Monumentale discorso ai vescovi brasiliani, 7 settembre 2009)

VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE, 07.09.2009

Alle ore 12.00 di questa mattina, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale del Brasile (Regioni Ovest 1 e Ovest 2), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad limina Apostolorum", e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli nell'Episcopato,

Con sentimenti d'intima gioia e di amicizia, accolgo e saluto tutti e ognuno di voi, amati Pastori dei Regionais Oeste 1 e 2, nell'ambito della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile. Con il vostro gruppo, si apre il lungo pellegrinaggio dei membri di questa Conferenza Episcopale in visita ad limina Apostolorum, che mi darà l'occasione di conoscere meglio la realtà delle vostre rispettive comunità diocesane. Saranno giornate di condivisione fraterna per riflettere insieme sulle questioni che vi preoccupano. Un momento profondamente atteso da quelle indimenticabili giornate di maggio del 2007, in cui,
durante la mia visita nel vostro paese, ho potuto constatare tutto l'affetto del popolo brasiliano per il Successore di Pietro e, in modo particolare, quando ho avuto l'opportunità di abbracciare con lo sguardo l'intero episcopato di questa grande nazione nell'incontro nella Catedral da Sé di San Paolo.
In effetti, solo il cuore grande di Dio può conoscere, custodire e guidare la moltitudine di figli e figlie che Egli stesso ha generato nella vastità immensa del Brasile. Nel corso dei nostri colloqui di questi giorni, sono emersi alcuni problemi e sfide che dovete affrontare, come l'Arcivescovo di Campo Grande ha riferito all'inizio di questo incontro. Impressionano le distanze che voi stessi, insieme ai vostri sacerdoti e agli altri agenti missionari, dovete percorrere per servire e animare pastoralmente i vostri rispettivi fedeli, molti dei quali convivono con i problemi propri di una urbanizzazione relativamente recente, in cui lo Stato non sempre riesce a essere uno strumento di promozione della giustizia e del bene comune.
Non vi scoraggiate! Ricordatevi che l'annuncio del Vangelo e l'adesione ai valori cristiani, come ho affermato di recente nell'Enciclica
Caritas in veritate, "è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale" (n. 4). La ringrazio, monsignor Vitório Pavanello, per le cordiali parole e i devoti sentimenti che mi ha rivolto a nome di tutti e che sono lieto di contraccambiare con voti di pace e di prosperità per il popolo brasiliano in questo significativo giorno della sua Festa Nazionale.

Come Successore di Pietro e Pastore Universale, vi posso assicurare che il mio cuore vive ogni giorno le vostre preoccupazioni e fatiche apostoliche, non smettendo di ricordare presso Dio le sfide che affrontate nella crescita delle vostre comunità diocesane. In questi giorni, e concretamente in Brasile, gli operai nella messe del Signore continuano a essere pochi per la raccolta, che è grande (cfr. Mt 36-37). Nonostante tale carenza, resta veramente essenziale un'adeguata formazione di quanti sono chiamati a servire il Popolo di Dio.
Per questo motivo,
nell'ambito dell'Anno Sacerdotale in corso, permettetemi di soffermarmi oggi a riflettere con voi, amati Vescovi dell'Ovest brasiliano, sulla sollecitudine propria del vostro ministero episcopale che è quella di generare nuovi pastori.
Sebbene sia Dio l'unico capace di seminare nel cuore umano la chiamata al servizio pastorale del suo popolo, tutti i membri della Chiesa dovrebbero interrogarsi sull'urgenza intima e sull'impegno reale con cui sentono e vivono questa causa. Un giorno, ad alcuni discepoli che temporeggiavano osservando che mancavano "ancora quattro mesi" alla mietitura, Gesù rispose: "Ecco io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura" (Gv 4, 35). Dio non vede come l'uomo! L'urgenza del buon Dio è dettata dal suo desiderio che "tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità" (1 Tm 2, 4). Ci sono tante persone che sembrano voler consumare l'intera vita in un minuto, altri che vagano nel tedio e nell'inerzia, o si abbandonano a violenze di ogni genere. In fondo, non sono altro che vite disperate alla ricerca della speranza, come dimostra una diffusa, sebbene a volte confusa, esigenza di spiritualità, una rinnovata ricerca di punti di riferimento per riprendere il cammino della vita.

Amati Fratelli, nei decenni successivi al Concilio Vaticano ii, alcuni hanno interpretato l'apertura al mondo non come un'esigenza dell'ardore missionario del Cuore di Cristo, ma come un passaggio alla secolarizzazione, scorgendo in essa alcuni valori di grande spessore cristiano, come l'uguaglianza, la libertà e la solidarietà, e mostrandosi disponibili a fare concessioni e a scoprire campi di cooperazione.

Si è così assistito a interventi di alcuni responsabili ecclesiali in dibattiti etici, in risposta alle aspettative dell'opinione pubblica, ma si è smesso di parlare di certe verità fondamentali della fede, come il peccato, la grazia, la vita teologale e i novissimi.

Inconsciamente si è caduti nell'autosecolarizzazione di molte comunità ecclesiali; queste, sperando di compiacere quanti erano lontani, hanno visto andare via, defraudati e disillusi, coloro che già vi partecipavano: i nostri contemporanei, quando s'incontrano con noi, vogliono vedere quello che non vedono in nessun'altra parte, ossia la gioia e la speranza che nascono dal fatto di stare con il Signore risorto.

Attualmente c'è una nuova generazione nata in questo ambiente ecclesiale secolarizzato che, invece di registrare apertura e consensi, vede allargarsi sempre più nella società il baratro delle differenze e delle contrapposizioni al Magistero della Chiesa, soprattutto in campo etico. In questo deserto di Dio, la nuova generazione prova una grande sete di trascendenza.

Sono i giovani di questa nuova generazione a bussare oggi alla porta del seminario e ad aver bisogno di trovarvi formatori che siano veri uomini di Dio, sacerdoti totalmente dediti alla formazione, che testimonino il dono di sé alla Chiesa, attraverso il celibato e una vita austera, secondo il modello di Cristo Buon Pastore. Così questi giovani impareranno a essere sensibili all'incontro con il Signore, nella partecipazione quotidiana all'Eucaristia, amando il silenzio e la preghiera e cercando, in primo luogo, la gloria di Dio e la salvezza delle anime.
Amati Fratelli, come sapete, è compito del Vescovo stabilire i criteri fondamentali per la formazione dei seminaristi e dei presbiteri nella fedeltà alle norme universali della Chiesa: è in questo spirito che si devono sviluppare le riflessioni sul tema, oggetto dell'Assemblea Plenaria della vostra Conferenza Episcopale, svoltasi lo scorso aprile.
Certo di poter contare sul vostro zelo per quel che concerne la formazione sacerdotale, invito tutti i Vescovi, i loro sacerdoti e i seminaristi a riprodurre nella propria vita la carità di Cristo Sacerdote e Buon Pastore, come fece il santo Curato d'Ars. E, come lui, prendano come modello e protezione della propria vocazione la Vergine Madre, la quale rispose in modo unico alla chiamata di Dio, concependo nel suo cuore e nella sua carne il Verbo fatto uomo per donarlo all'umanità. Alle vostre diocesi, con un cordiale saluto e la certezza della mia preghiera, portate una paterna Benedizione Apostolica.

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(©L'Osservatore Romano - 7-8 settembre 2009)
Cattolico_Romano
00domenica 27 settembre 2009 19:09
Il Papa: "La fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste proprio anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole dobbiamo portare alla gente. Esse sono il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creativa...Fedeltà non è paura, ma è ispirata dall’amore e dal suo dinamismo"
(Omelia in occasione dell'Ordinazione episcopale a 5 Presuli, 12 settembre 2009)

CAPPELLA PAPALE PER L’ORDINAZIONE EPISCOPALE DI CINQUE ECC.MI PRESULI, 12.09.2009

Alle ore 10 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI, proveniente dalla residenza estiva di Castel Gandolfo, presiede, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa nel corso della quale conferisce l’Ordinazione episcopale a 5 Presuli.

Concelebrano con il Santo Padre i due Vescovi conconsacranti: l’Em.mo Card. Tarcisio Bertone, S.D.B., Segretario di Stato, e l’Em.mo Card. William Joseph Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e i cinque Vescovi eletti.
Al termine della Celebrazione, il Santo Padre rientra a Castel Gandolfo.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Santa Messa:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Salutiamo con affetto e ci uniamo cordialmente alla gioia di questi cinque nostri Fratelli presbiteri che il Signore ha chiamato ad essere successori degli Apostoli: Mons. Gabriele Giordano Caccia, Mons. Franco Coppola, Mons. Pietro Parolin, Mons. Raffaello Martinelli e Mons. Giorgio Corbellini. Sono grato a ciascuno di essi per il fedele servizio che hanno reso alla Chiesa lavorando in Segreteria di Stato o nella Congregazione per la Dottrina della Fede o nel Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e sono certo che, con lo stesso amore per Cristo e con il medesimo zelo per le anime, svolgeranno nei nuovi campi di azione pastorale il ministero che oggi viene loro affidato con l’Ordinazione episcopale.
Secondo la Tradizione apostolica, questo Sacramento viene conferito mediante l’imposizione delle mani e la preghiera. L’imposizione delle mani si svolge in silenzio. La parola umana ammutolisce. L’anima si apre in silenzio per Dio, la cui mano s’allunga verso l’uomo, lo prende per sé e, al contempo, lo copre in modo da proteggerlo, affinché in seguito egli sia totalmente proprietà di Dio, gli appartenga del tutto e introduca gli uomini nelle mani di Dio. Ma, come secondo elemento fondamentale dell’atto di consacrazione, segue poi la preghiera.

L’Ordinazione episcopale è un evento di preghiera. Nessun uomo può rendere un altro sacerdote o vescovo. È il Signore stesso che, attraverso la parola della preghiera e il gesto dell’imposizione delle mani, assume quell’uomo totalmente al suo servizio, lo attira nel suo stesso Sacerdozio. Egli stesso consacra gli eletti. Egli stesso, l’unico Sommo Sacerdote, che ha offerto l’unico sacrificio per tutti noi, gli concede la partecipazione al suo Sacerdozio, affinché la sua Parola e la sua opera siano presenti in tutti i tempi.

Per questa connessione tra la preghiera e l’agire di Cristo sull’uomo, la Chiesa nella sua Liturgia ha sviluppato un segno eloquente. Durante la preghiera di Ordinazione si apre sul candidato l’Evangeliario, il Libro della Parola di Dio. Il Vangelo deve penetrare in lui, la Parola vivente di Dio deve, per così dire, pervaderlo.
Il Vangelo, in fondo, non è solo parola – Cristo stesso è il Vangelo. Con la Parola, la stessa vita di Cristo deve pervadere quell’uomo, così che egli diventi interamente una cosa sola con Lui, che Cristo viva in lui e dia alla sua vita forma e contenuto. In questa maniera deve realizzarsi in lui ciò che nelle letture dell’odierna Liturgia appare come l’essenza del ministero sacerdotale di Cristo.

Il consacrato deve essere colmato dello Spirito di Dio e vivere a partire da Lui. Deve portare ai poveri il lieto annunzio, la vera libertà e la speranza che fa vivere l’uomo e lo risana. Egli deve stabilire il Sacerdozio di Cristo in mezzo agli uomini, il Sacerdozio al modo di Melchisedek, cioè il regno della giustizia e della pace. Come i 72 discepoli mandati dal Signore, egli deve essere uno che porta guarigione, che aiuta a risanare la ferita interiore dell’uomo, la sua lontananza da Dio.

Il primo ed essenziale bene di cui abbisogna l’uomo è la vicinanza di Dio stesso. Il regno di Dio, di cui si parla nel brano evangelico di oggi, non è qualcosa "accanto" a Dio, una qualche condizione del mondo: è semplicemente la presenza di Dio stesso, che è la forza veramente risanatrice.

Gesù ha riassunto tutti questi molteplici aspetti del suo Sacerdozio nell’unica frase: "Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10, 45). Servire e in ciò donare se stessi; essere non per se stessi, ma per gli altri, da parte di Dio e in vista di Dio: è questo il nucleo più profondo della missione di Gesù Cristo e, insieme, la vera essenza del suo Sacerdozio.
Così, Egli ha reso il termine "servo" il suo più alto titolo d’onore. Con ciò ha compiuto un capovolgimento dei valori, ci ha donato una nuova immagine di Dio e dell’uomo. Gesù non viene come uno dei padroni di questo mondo, ma Lui, che è il vero Padrone, viene come servo. Il suo Sacerdozio non è dominio, ma servizio: è questo il nuovo Sacerdozio di Gesù Cristo al modo di Melchisedek.

San Paolo ha formulato l’essenza del ministero apostolico e sacerdotale in maniera molto chiara. Di fronte ai litigi, che c’erano nella Chiesa di Corinto tra correnti diverse che si riferivano ad Apostoli diversi, egli domanda: Ma cosa è mai un Apostolo? Cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Sono servitori; ciascuno come il Signore gli ha concesso (cfr 1 Cor 3, 5). "Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele" (1 Cor 4, 1s).
A Gerusalemme, nell’ultima settimana della sua vita, Gesù stesso ha parlato in due parabole di quei servi ai quali il Signore affida i suoi beni nel tempo del mondo, e vi ha rilevato tre caratteristiche del servire nel modo giusto, nelle quali si concretizza l’immagine del ministero sacerdotale. Gettiamo infine ancora un breve sguardo su queste caratteristiche, per contemplare, con gli occhi di Gesù stesso, il compito che voi, cari amici, siete chiamati ad assumere in quest’ora.

La prima caratteristica, che il Signore richiede dal servo, è la fedeltà.

Gli è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene. La Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato. Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Con ciò li introduciamo nella verità e nella libertà, che deriva dalla verità. La fedeltà è altruismo, e proprio così è liberatrice per il ministro stesso e per quanti gli sono affidati. Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità. Il Signore traccia con poche linee un’immagine del servo malvagio, il quale si mette a gozzovigliare e a percuotere i dipendenti, tradendo così l’essenza del suo incarico. In greco, la parola che indica "fedeltà" coincide con quella che indica "fede".

La fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste proprio anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole dobbiamo portare alla gente. Esse sono il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creativa.

Il padrone rimprovera il servo, che aveva nascosto sottoterra il bene consegnatogli per evitare ogni rischio. Con questa apparente fedeltà il servo ha in realtà accantonato il bene del padrone, per potersi dedicare esclusivamente ai propri affari.

Fedeltà non è paura, ma è ispirata dall’amore e dal suo dinamismo. Il padrone loda il servo, che ha fatto fruttificare i suoi beni. La fede richiede di essere trasmessa: non ci è stata consegnata soltanto per noi stessi, per la personale salvezza della nostra anima, ma per gli altri, per questo mondo e per il nostro tempo. Dobbiamo collocarla in questo mondo, affinché diventi in esso una forza vivente; per far aumentare in esso la presenza di Dio.

La seconda caratteristica, che Gesù richiede dal servo, è la prudenza.

Qui bisogna subito eliminare un malinteso.
La prudenza è una cosa diversa dall’astuzia.
Prudenza, secondo la tradizione filosofica greca, è la prima delle virtù cardinali; indica il primato della verità, che mediante la "prudenza" diventa criterio del nostro agire.
La prudenza esige la ragione umile, disciplinata e vigilante, che non si lascia abbagliare da pregiudizi; non giudica secondo desideri e passioni, ma cerca la verità – anche la verità scomoda. Prudenza significa mettersi alla ricerca della verità ed agire in modo ad essa conforme.
Il servo prudente è innanzitutto un uomo di verità e un uomo dalla ragione sincera. Dio, per mezzo di Gesù Cristo, ci ha spalancato la finestra della verità che, di fronte alle sole forze nostre, rimane spesso stretta e soltanto in parte trasparente. Egli ci mostra nella Sacra Scrittura e nella fede della Chiesa la verità essenziale sull’uomo, che imprime la direzione giusta al nostro agire.
Così, la prima virtù cardinale del sacerdote ministro di Gesù Cristo consiste nel lasciarsi plasmare dalla verità che Cristo ci mostra. In questa maniera diventiamo uomini veramente ragionevoli, che giudicano in base all’insieme e non a partire da dettagli casuali.
Non ci lasciamo guidare dalla piccola finestra della nostra personale astuzia, ma dalla grande finestra, che Cristo ci ha aperto sull’intera verità, guardiamo il mondo e gli uomini e riconosciamo così che cosa conta veramente nella vita.

La terza caratteristica di cui Gesù parla nelle parabole del servo è la bontà: "Servo buono e fedele … prendi parte alla gioia del tuo padrone" (Mt 25, 21.23).

Ciò che s’intende con la caratteristica della "bontà" può rendersi chiaro a noi, se pensiamo all’incontro di Gesù con il giovane ricco. Quest’uomo si era rivolto a Gesù chiamandolo "Maestro buono" e ricevette la risposta sorprendente: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo" (Mc 10, 17s).
Buono in senso pieno è solo Dio. Egli è il Bene, il Buono per eccellenza, la Bontà in persona. In una creatura – nell’uomo – l’essere buono si basa pertanto necessariamente su un profondo orientamento interiore verso Dio. La bontà cresce con l’unirsi interiormente al Dio vivente.
La bontà presuppone soprattutto una viva comunione con Dio, una crescente unione interiore con Lui. E di fatto: da chi altri si potrebbe imparare la vera bontà se non da Colui, che ci ha amato sino alla fine, sino all’estremo (cfr Gv 13, 1)? Diventiamo servi buoni mediante il nostro rapporto vivo con Gesù Cristo. Solo se la nostra vita si svolge nel dialogo con Lui, solo se il suo essere, le sue caratteristiche penetrano in noi e ci plasmano, possiamo diventare servi veramente buoni.

Nel calendario della Chiesa si ricorda oggi il Nome di Maria.
In Lei che era ed è totalmente unita al Figlio, a Cristo, gli uomini nelle tenebre e nelle sofferenze di questo mondo hanno trovato il volto della Madre, che ci dà coraggio per andare avanti. Nella tradizione occidentale il nome "Maria" è stato tradotto con "Stella del Mare". In ciò si esprime proprio questa esperienza: quante volte la storia in cui viviamo appare come un mare buio che colpisce minacciosamente con le sue onde la navicella della nostra vita.

Talvolta la notte sembra impenetrabile. Spesso può crearsi l’impressione che solo il male abbia potere e Dio sia infinitamente lontano. Spesso intravvediamo solo da lontano la grande Luce, Gesù Cristo che ha vinto la morte e il male. Ma allora vediamo molto vicina la luce che si accese, quando Maria disse: "Ecco, sono la serva del Signore". Vediamo la chiara luce della bontà che emana da Lei. Nella bontà con cui Ella ha accolto e sempre di nuovo viene incontro alle grandi e alle piccole aspirazioni di molti uomini, riconosciamo in maniera molto umana la bontà di Dio stesso. Con la sua bontà porta sempre nuovamente Gesù Cristo, e così la grande Luce di Dio, nel mondo. Egli ci ha dato la sua Madre come Madre nostra, affinché impariamo da Lei a pronunciare il "sì" che ci fa diventare buoni.

Cari amici, in questa ora preghiamo per voi la Madre del Signore, perché vi conduca sempre verso il suo Figlio, fonte di ogni bontà. E preghiamo perché diventiate servi fedeli, prudenti e buoni e così possiate un giorno sentire dal Signore della storia la parola: Servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone. Amen.

I VESCOVI ORDINANDI

Questi i Presbiteri ai quali il Santo Padre Benedetto XVI conferisce questa mattina l’Ordinazione episcopale:

1. Mons. Gabriele Giordano CACCIA, del clero dell’Arcidiocesi di Milano, nato il 24 febbraio 1958, ordinato Presbitero l’11 giugno 1983, eletto Arcivescovo titolare di Sepino e nominato Nunzio Apostolico in Libano il 16 luglio 2009.

2. Mons. Franco COPPOLA, del clero dell’Arcidiocesi di Otranto, nato il 31 marzo 1957, ordinato Presbitero il 12 settembre 1981, eletto Arcivescovo titolare di Vinda e nominato Nunzio Apostolico in Burundi il 16 luglio 2009.

3. Mons. Pietro PAROLIN, del clero della Diocesi di Vicenza, nato il 17 gennaio 1955, ordinato Presbitero il 27 aprile 1980, eletto Arcivescovo titolare di Acquapendente e nominato Nunzio Apostolico in Venezuela il 17 agosto 2009.

4. Mons. Raffaello MARTINELLI, del clero della Diocesi di Bergamo, nato il 21 giugno 1948, ordinato Presbitero l’8 aprile 1972, eletto Vescovo della Diocesi Suburbicaria di Frascati il 2 luglio 2009.

5. Mons. Giorgio CORBELLINI, del clero della Diocesi di Piacenza-Bobbio, nato il 20 aprile 1947, ordinato Presbitero il 10 luglio 1971, eletto Vescovo titolare di Abula e nominato Presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica il 3 luglio 2009.

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00domenica 27 settembre 2009 19:11
Il Papa ai suoi ex allievi: "Se riflettiamo sulla perplessità del mondo di fronte alle grandi questioni del presente e del futuro, allora anche dentro di noi dovrebbe sbocciare nuovamente la gioia per il fatto che Dio ci ha mostrato gratuitamente il suo volto, la sua volontà, se stesso. Se questa gioia riemergerà in noi, essa toccherà anche il cuore dei non-credenti. Senza questa gioia noi non siamo convincenti"
(Omelia del Santo Padre in occasione della Santa Messa con gli ex alunni, 30 agosto 2009)

CELEBRAZIONE EUCARISTICA DEL SANTO PADRE CON I SUOI EX-ALUNNI (30 AGOSTO 2009, CASTEL GANDOLFO), 14.09.2009

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica con il circolo dei suoi ex-alunni, domenica 30 agosto a Castel Gandolfo:


OMELIA DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle!

Nel Vangelo ci viene incontro uno dei temi fondamentali della storia religiosa dell’umanità: la questione della purezza dell’uomo davanti a Dio. Volgendo lo sguardo verso Dio, l’uomo riconosce di essere "inquinato" e di trovarsi in una condizione nella quale non può accedere al Santo.
Emerge così la domanda su come egli possa diventare puro, liberarsi dallo "sporco" che lo separa da Dio.
In questo modo sono nati, nelle diverse religioni, riti purificatori, cammini di purificazione interiore ed esteriore. Nel Vangelo di oggi incontriamo riti di purificazione, che sono radicati nella tradizione veterotestamentaria, ma che vengono, comunque, gestiti in una maniera molto unilaterale. Di conseguenza non servono più per un aprirsi dell’uomo a Dio, non sono più cammini di purificazione e di salvezza, ma diventano elementi di un sistema autonomo di adempimenti che, per essere veramente eseguito in pienezza, esige addirittura degli specialisti.
Il cuore dell’uomo non viene più raggiunto. L’uomo, che si muove all’interno di questo sistema, o si sente schiavizzato o cade nella superbia di potersi giustificare da sé.

L’esegesi liberale dice che in questo Vangelo si rivelerebbe il fatto che Gesù avrebbe sostituito il culto con la morale. Egli avrebbe accantonato il culto con tutte le sue pratiche inutili. Il rapporto tra l’uomo e Dio si baserebbe ora unicamente sulla morale. Se ciò fosse vero, significherebbe che il cristianesimo, nella sua essenza, è moralità – che cioè noi stessi ci rendiamo puri e buoni mediante il nostro agire morale.
Se riflettiamo in modo più profondo su tale opinione, risulta ovvio che questa non può essere la risposta completa di Gesù alla questione circa la purezza.
Se vogliamo sentire e comprendere il messaggio del Signore pienamente, allora dobbiamo anche ascoltare pienamente – non possiamo accontentarci di un dettaglio, ma dobbiamo prestare attenzione all’intero suo messaggio.
In altre parole, dobbiamo leggere interamente i Vangeli, tutto il Nuovo Testamento e l’Antico insieme con esso.
La prima lettura di oggi, tratta dal Libro del Deuteronomio, ci offre un particolare importante di una risposta e ci fa fare un passo avanti. Qui ascoltiamo qualcosa forse sorprendente per noi, che cioè Israele viene invitato da Dio stesso ad essere grato ed a provare una umile fierezza per il fatto di conoscere la volontà di Dio e così di essere saggio. Proprio in quel periodo l’umanità, sia in ambiente greco che semitico, cercava la sapienza: cercava di comprendere ciò che conta. La scienza ci dice molte cose e ci è utile sotto tanti aspetti, ma la sapienza è conoscenza dell’essenziale – conoscenza dello scopo della nostra esistenza e di come dobbiamo vivere perché la vita riesca nel modo giusto. La lettura tratta dal Deuteronomio accenna al fatto che la sapienza, in ultima analisi, è identica alla Torà – alla Parola di Dio che ci rivela ciò che è essenziale, per quale fine e in quale maniera dobbiamo vivere.
Così la Legge non appare come una schiavitù, ma è – similmente a quanto è detto nel grande Salmo 119 – causa di una grande gioia: noi non andiamo a tastoni nel buio, non andiamo vagando invano alla ricerca di ciò che potrebbe essere retto, non siamo come pecore senza pastore, che non sanno dove sia la via giusta. Dio si è manifestato. Egli stesso ci indica la strada. Conosciamo la sua volontà e con ciò la verità che conta nella nostra vita. Sono due le cose che ci vengono dette circa Dio: da una parte, che Egli si è manifestato e che ci indica la via giusta; dall’altra, che Dio è un Dio che ascolta, che ci è vicino, ci risponde e ci guida. Con ciò è toccato anche il tema della purezza: la sua volontà ci purifica, la sua vicinanza ci guida.

Credo che valga la pena di soffermarsi un attimo sulla gioia di Israele per il fatto di conoscere la volontà di Dio e di aver così ricevuto in dono la sapienza che ci guarisce e che non possiamo trovare da soli.
Esiste tra noi, nella Chiesa di oggi, un simile sentimento di gioia per la vicinanza di Dio e per il dono della sua Parola? Chi volesse dimostrare una tale gioia, sarebbe ben presto accusato di trionfalismo. Ma, appunto, non è la nostra abilità ad indicarci la vera volontà di Dio. È un dono immeritato che ci rende allo stesso tempo umili e lieti.

Se riflettiamo sulla perplessità del mondo di fronte alle grandi questioni del presente e del futuro, allora anche dentro di noi dovrebbe sbocciare nuovamente la gioia per il fatto che Dio ci ha mostrato gratuitamente il suo volto, la sua volontà, se stesso. Se questa gioia riemergerà in noi, essa toccherà anche il cuore dei non-credenti. Senza questa gioia noi non siamo convincenti.

Dove, però, tale gioia è presente, essa – anche senza volerlo – possiede una forza missionaria. Suscita, infatti, negli uomini la domanda se non si trovi forse veramente qui la via – se questa gioia non guidi forse effettivamente sulle tracce di Dio stesso.
Tutto ciò si trova ulteriormente approfondito nel brano, tratto dalla
Lettera di san Giacomo, che la Chiesa oggi ci propone. Io amo la Lettera di san Giacomo soprattutto perché, grazie ad essa, possiamo farci un’idea della devozione della famiglia di Gesù.
Era questa una famiglia osservante. Osservante nel senso che viveva la gioia deuteronomica per la vicinanza di Dio, che ci è donata nella sua Parola e nel suo Comandamento. È un genere di osservanza del tutto diverso da quella che incontriamo nei farisei del Vangelo, che ne avevano fatto un sistema esteriorizzato e schiavizzante.
È anche un genere di osservanza diverso da quella che Paolo, come rabbino, aveva appreso: quella era – come vediamo dalle sue lettere – l’osservanza di uno specialista che conosceva tutto e sapeva tutto; che era fiero della sua conoscenza e della sua giustizia, e che, tuttavia, soffriva sotto il peso delle prescrizioni, così che la Legge non appariva più come guida gioiosa verso Dio, ma piuttosto come un’esigenza che, in definitiva, non poteva essere adempiuta.

Nella Lettera di san Giacomo troviamo quell’osservanza che non guarda a se stessa, ma si volge gioiosamente verso il Dio vicino, che ci dona la sua vicinanza e ci indica la via giusta. Così la Lettera di san Giacomo parla della Legge perfetta della libertà e intende con ciò la comprensione nuova ed approfondita della Legge donataci dal Signore.
Per Giacomo la Legge non è un’esigenza che pretende troppo da noi, che ci sta di fronte dall’esterno e non può mai essere soddisfatta. Egli pensa nella prospettiva che incontriamo in una frase dei discorsi di addio di Gesù: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi" (Gv 15, 15).
Colui al quale è rivelato tutto, appartiene alla famiglia; non è più servo, ma libero perché, appunto, fa parte egli stesso della casa. Una simile, iniziale introduzione nel pensiero di Dio stesso è avvenuta in Israele presso il monte Sinai. È avvenuta poi in modo definitivo e grande nel Cenacolo e, in genere, mediante l’opera, la vita, la passione e la risurrezione di Gesù; in Lui Dio ci ha detto tutto, si è manifestato completamente. Non siamo più servi, ma amici. E la Legge non è più una prescrizione per persone non libere, ma è il contatto con l’amore di Dio – l’essere introdotti a far parte della famiglia, atto che ci rende liberi e "perfetti". È in questo senso che Giacomo dice, nella lettura di oggi, che il Signore ci ha generati per mezzo della sua Parola, che Egli ha piantato la sua Parola nel nostro intimo come forza di vita. Qui si parla anche della "religione pura" che consiste nell’amore verso il prossimo – particolarmente verso gli orfani e le vedove, verso coloro che hanno più bisogno di noi – e nella libertà di fronte alle mode di questo mondo, che ci contaminano. La Legge, come parola dell’amore, non è una contraddizione alla libertà, ma un rinnovamento dal di dentro mediante l’amicizia con Dio. Qualcosa di simile si manifesta quando Gesù, nel discorso sulla vite, dice ai discepoli: "Voi siete puri, a causa della parola che vi ho annunciato" (Gv 15, 3). E un’altra volta appare la stessa cosa nella Preghiera sacerdotale: Voi siete consacrati nella verità (cfr Gv 17, 17-19).
Così troviamo ora la giusta struttura del processo di purificazione e di purezza: non siamo noi a creare ciò che è buono – questo sarebbe un semplice moralismo –, ma la Verità ci viene incontro. Egli stesso è la Verità, la Verità in persona. La purezza è un avvenimento dialogico. Essa inizia col fatto che Egli ci viene incontro – Egli, che è la Verità e l’Amore –, ci prende per mano, compenetra il nostro essere.
Nella misura in cui ci lasciamo toccare da Lui, in cui l’incontro diventa amicizia e amore, diventiamo noi stessi, a partire della sua purezza, persone pure e poi persone che amano con il suo amore, persone che introducono anche altri nella sua purezza e nel suo amore.

Agostino ha riassunto tutto questo processo nella bella espressione: Da quod iubes et iube quod vis – concedi quello che comandi e poi comanda ciò che vuoi.
Tale richiesta vogliamo in quest’ora portare davanti al Signore e pregarLo: Sì, purificaci nella verità. Sii tu la Verità che ci rende puri. Fa’ che mediante l’amicizia con te diventiamo liberi e così veramente figli di Dio, fa’ che diventiamo capaci di sedere alla tua mensa e di diffondere in questo mondo la luce della tua purezza e bontà. Amen.

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00domenica 27 settembre 2009 19:13
Il Papa: "È nella diversità fondamentale fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune che si comprende l'identità specifica dei fedeli ordinati e laici. Per questo è necessario evitare la secolarizzazione dei sacerdoti e la clericalizzazione dei laici".
(Discorso del Santo Padre ai Presuli della Conferenza Episcopale del Brasile (Nordeste 2), 17 settembre 2009)

VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE (NORDESTE 2), 17.09.2009

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale del Brasile (Nordeste 2), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad limina Apostolorum", e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Venerati fratelli nell'episcopato,

come l'apostolo Paolo ai primordi della Chiesa, siete venuti, amati pastori delle provincie ecclesiastiche di Olinda e Recife, Paraiba, Maceió e Natal, a visitare Pietro (cfr. Gal 1, 18).
Accolgo e saluto con affetto ognuno di voi, a cominciare da monsignor Antônio Munoz Fernandes, arcivescovo di Maceió, che ringrazio per i sentimenti che ha espresso a nome di tutti, facendosi interprete anche delle gioie, delle difficoltà e delle speranze del popolo di Dio che peregrina nel Regional Nordeste II. Nella persona di ognuno di voi, abbraccio i presbiteri e i fedeli delle vostre comunità diocesane.
Con i suoi fedeli e con i suoi ministri, la Chiesa è sulla terra la comunità sacerdotale organicamente strutturata come Corpo di Cristo, per svolgere efficacemente, unita al suo capo, la sua missione storica di salvezza.
Così ci insegna san Paolo: "Voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra" (1 Cor 12, 27).
In effetti, le membra non hanno tutte la stessa funzione: è questo che costituisce la bellezza e la vita del corpo (cfr. 1 Cor 12, 14-17). È nella diversità fondamentale fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune che si comprende l'identità specifica dei fedeli ordinati e laici.
Per questo è necessario evitare la secolarizzazione dei sacerdoti e la clericalizzazione dei laici. In tale prospettiva, i fedeli laici devono quindi impegnarsi a esprimere nella realtà, anche attraverso l'impegno politico, la visione antropologica cristiana e la dottrina sociale della Chiesa.
Diversamente, i sacerdoti devono restare lontani da un coinvolgimento personale nella politica, al fine di favorire l'unità e la comunione di tutti i fedeli e poter così essere un punto di riferimento per tutti. È importante far crescere questa consapevolezza nei sacerdoti, nei religiosi e nei fedeli laici, incoraggiando e vegliando affinché ciascuno possa sentirsi motivato ad agire secondo il proprio stato.
L'approfondimento armonioso, corretto e chiaro del rapporto fra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale costituisce attualmente uno dei punti più delicati dell'essere e della vita della Chiesa. Il numero esiguo di presbiteri potrebbe infatti portare le comunità a rassegnarsi a questa carenza, consolandosi a volte con il fatto che quest'ultima evidenzia meglio il ruolo dei fedeli laici.
Ma non è la mancanza di presbiteri a giustificare una partecipazione più attiva e consistente dei laici. In realtà, quanto più i fedeli diventano consapevoli delle loro responsabilità nella Chiesa, tanto più si evidenziano l'identità specifica e il ruolo insostituibile del sacerdote come pastore dell'insieme della comunità, come testimone dell'autenticità della fede e dispensatore, in nome di Cristo-Capo, dei misteri della salvezza.
Sappiamo che "la missione di salvezza affidata dal Padre al proprio Figlio incarnato è affidata agli apostoli e da essi ai loro successori; questi ricevono lo Spirito di Gesù per operare in suo nome e in persona di lui. Il ministro ordinato è dunque il legame sacramentale che collega l'azione liturgica a ciò che hanno detto e fatto gli apostoli e, tramite loro, a ciò che ha detto e operato Cristo, sorgente e fondamento dei sacramenti" (
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1120). Per questo, la funzione del presbitero è essenziale e insostituibile per l'annuncio della Parola e per la celebrazione dei sacramenti, soprattutto dell'eucaristia, memoriale del sacrificio supremo di Cristo, che dona il proprio Corpo e il proprio Sangue. Per questo urge chiedere al Signore di mandare operai per la sua messe; oltre a ciò, è necessario che i sacerdoti manifestino la gioia della fedeltà alla propria identità con l'entusiasmo della missione.
Amati fratelli, sono certo che, nella vostra sollecitudine pastorale nella vostra prudenza, cercate con particolare attenzione di assicurare alle comunità delle vostre diocesi la presenza di un ministro ordinato.
È importante evitare che la situazione attuale, in cui molti di voi sono costretti a organizzare la vita ecclesiale con pochi presbiteri, non sia considerata normale o tipica del futuro. Come ho ricordato la scorsa settimana al primo gruppo di vescovi brasiliani, dovete concentrare i vostri sforzi per risvegliare nuove vocazioni sacerdotali e trovare i pastori indispensabili alle vostre diocesi, aiutandovi reciprocamente affinché tutti dispongano di presbiteri meglio formati e più numerosi per sostenere la vita di fede e la missione apostolica dei fedeli.
D'altro canto, anche coloro che hanno ricevuto gli ordini sacri sono chiamati a vivere con coerenza e in pienezza la grazia e gli impegni del Battesimo, ossia a offrire se stessi e tutta la loro vita in unione con l'oblazione di Cristo.
La celebrazione quotidiana del sacrificio dell'altare e la preghiera diaria della liturgia delle ore devono essere sempre accompagnate dalla testimonianza di un'esistenza che si fa dono a Dio e agli altri e diviene così orientamento per i fedeli.
In questi mesi la Chiesa ha dinanzi agli occhi l'esempio del santo curato d'Ars, che invitava i fedeli a unire la propria vita al sacrificio di Cristo e offriva se stesso esclamando: "Come fa bene un padre a offrirsi in sacrificio a Dio tutte le mattine!" (Le Curé d'Ars. Sa pensée - son coeur, coord. Bernard Nodet, 1966, pagine 104).
Egli continua a essere un modello attuale per i vostri presbiteri, in particolare nel vivere il celibato come esigenza di dono totale di sé, espressione di quella carità pastorale che il concilio Vaticano ii presenta come centro unificatore dell'essere e dell'agire sacerdotali.
Quasi contemporaneamente viveva nel nostro amato Brasile, a San Paolo, fra Antônio de Sant'Anna Galvão, che ho avuto la gioia di canonizzare l'11 maggio 2007; anch'egli ha lasciato una "testimonianza di fervente adoratore dell'Eucaristia vivendo in laus perennis, in costante atteggiamento di adorazione" (Omelia per la sua canonizzazione, n. 2). In tal modo entrambi cercarono di imitare Gesù Cristo, facendosi ognuno non solo sacerdote ma anche vittima e oblazione come Gesù.
Amati Fratelli nell'Episcopato, sono già visibili numerosi segni di speranza per il futuro delle vostre Chiese particolari, un futuro che Dio sta preparando attraverso lo zelo e la fedeltà con cui esercitate il vostro ministero episcopale. Desidero assicurarvi del mio sostegno fraterno e allo stesso tempo chiedo le vostre preghiere affinché mi sia concesso di confermare tutti nella fede apostolica (cfr. Lc 22, 32). La Beata Vergine Maria interceda per tutto il popolo di Dio in Brasile, affinché Pastori e fedeli possano, con coraggio e gioia, "annunciare apertamente il mistero del Vangelo" (cfr. Ef 6, 19). Con questa preghiera, imparto la mia Benedizione Apostolica a voi, ai presbiteri e a tutti i fedeli delle vostre diocesi: "Pace a voi tutti che siete in Cristo!" (1 Pt 5, 14).

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(©L'Osservatore Romano - 18 settembre 2009)
Cattolico_Romano
00domenica 27 settembre 2009 19:16
Il Papa ai nuovi vescovi: "L’essere a disposizione della gente non deve diminuire o offuscare la nostra disponibilità verso il Signore. Il tempo che il sacerdote e il Vescovo consacrano a Dio nella preghiera è sempre quello meglio impiegato, perché la preghiera è l’anima dell’attività pastorale, la "linfa" che ad essa infonde forza, è il sostegno nei momenti di incertezza e di scoraggiamento e la sorgente inesauribile di fervore missionario e di amore fraterno verso tutti"
(Discorso del Santo Padre ai Presuli ordinati negli ultimi dodici mesi, 21 settembre 2009)

UDIENZA AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PER I VESCOVI DI RECENTE NOMINA PROMOSSO DALLA CONGREGAZIONE PER I VESCOVI E DALLA CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI, 21.09.2009

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Presuli ordinati negli ultimi dodici mesi che hanno partecipato all’Incontro promosso dalle Congregazioni per i Vescovi e per le Chiese Orientali e rivolge loro il discorso che pubblichiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli nell’Episcopato!

Grazie di cuore per la vostra visita, in occasione del convegno promosso per i Vescovi che da poco hanno intrapreso il loro ministero pastorale.
Queste giornate di riflessione, di preghiera e di aggiornamento, sono davvero propizie per aiutarvi, cari Fratelli, a meglio familiarizzare con i compiti che siete chiamati ad assolvere come Pastori di comunità diocesane; sono anche giornate di amichevole convivenza che costituiscono una singolare esperienza di quella "collegialitas affectiva" che unisce tutti i Vescovi nell’unico corpo apostolico, insieme al Successore di Pietro, "perpetuo e visibile fondamento dell’unità" (Lumen gentium, 23). Ringrazio il Cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, per le cortesi espressioni che mi ha rivolto a nome vostro; saluto il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ed esprimo la mia riconoscenza a quanti in vari modi collaborano all’organizzazione di questo annuale incontro.

Quest’anno, il vostro convegno si inserisce
nel contesto dell’Anno Sacerdotale, indetto per il 150° anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney.
Come ho scritto nella
Lettera inviata per l’occasione a tutti i sacerdoti, questo anno speciale "vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi".

L’imitazione di Gesù Buon Pastore è, per ogni sacerdote, la strada obbligata della propria santificazione e la condizione essenziale per esercitare responsabilmente il ministero pastorale. Se questo vale per i presbiteri, vale ancor più per noi, cari Fratelli Vescovi. Ed anzi, è importante non dimenticare che uno dei compiti essenziali del Vescovo è proprio quello di aiutare, con l’esempio e con il fraterno sostegno, i sacerdoti a seguire fedelmente la loro vocazione, e a lavorare con entusiasmo e amore nella vigna del Signore.

A questo proposito, nell’Esortazione postsinodale
Pastores gregis, il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II ebbe ad osservare che il gesto del sacerdote, quando pone le proprie mani nelle mani del Vescovo nel giorno dell’ordinazione presbiterale, impegna entrambi: il sacerdote e il Vescovo. Il novello presbitero sceglie di affidarsi al Vescovo e, da parte sua, il Vescovo si impegna a custodire queste mani (Cfr n.47).
A ben vedere questo è un compito solenne che si configura per il Vescovo come paterna responsabilità nel custodire e promuovere l’identità sacerdotale dei presbiteri affidati alle proprie cure pastorali, un’identità che vediamo oggi purtroppo messa a dura prova dalla crescente secolarizzazione. Il Vescovo dunque – prosegue la Pastores gregis – "cercherà sempre di agire coi suoi sacerdoti come padre e fratello che li ama, li accoglie, li corregge, li conforta, ne ricerca la collaborazione e, per quanto possibile, si adopera per il loro benessere umano, spirituale, ministeriale ed economico" (Ibidem, 47).

In modo speciale, il Vescovo è chiamato ad alimentare nei sacerdoti la vita spirituale, per favorire in essi l’armonia tra la preghiera e l’apostolato, guardando all’esempio di Gesù e degli Apostoli, che Egli chiamò innanzitutto perché "stessero con Lui" (Mc 3,14).

Condizione indispensabile perché produca frutti di bene è infatti che il sacerdote resti unito al Signore; sta qui il segreto della fecondità del suo ministero: soltanto se incorporato a Cristo, vera Vite, porta frutto.

La missione di un presbitero e, a maggior ragione, quella di un Vescovo, comporta oggi una mole di lavoro che tende ad assorbirlo continuamente e totalmente. Le difficoltà aumentano e le incombenze vanno moltiplicandosi, anche perché si è posti di fronte a realtà nuove e ad accresciute esigenze pastorali.

Tuttavia, l’attenzione ai problemi di ogni giorno e le iniziative tese a condurre gli uomini sulla via di Dio non devono mai distrarci dall’unione intima e personale con Cristo. L’essere a disposizione della gente non deve diminuire o offuscare la nostra disponibilità verso il Signore. Il tempo che il sacerdote e il Vescovo consacrano a Dio nella preghiera è sempre quello meglio impiegato, perché la preghiera è l’anima dell’attività pastorale, la "linfa" che ad essa infonde forza, è il sostegno nei momenti di incertezza e di scoraggiamento e la sorgente inesauribile di fervore missionario e di amore fraterno verso tutti.

Al centro della vita sacerdotale c’è l’Eucaristia. Nell’Esortazione Apostolica
Sacramentum caritatis ho sottolineato come "la Santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione" (n. 80). La celebrazione eucaristica illumini dunque tutta la vostra giornata e quella dei vostri sacerdoti, imprimendo la sua grazia e il suo influsso spirituale sui momenti tristi o gioiosi, agitati o riposanti, di azione o di contemplazione.
Un modo privilegiato di prolungare nella giornata la misteriosa azione santificante dell’Eucaristia è la devota recita della Liturgia delle Ore, come pure l’adorazione eucaristica, la lectio divina e la preghiera contemplativa del Rosario. Il Santo Curato d’Ars ci insegna quanto siano preziose l’immedesimazione del sacerdote al Sacrificio eucaristico e l’educazione dei fedeli alla presenza eucaristica e alla comunione. Con la Parola e i Sacramenti – ho ricordato nella Lettera ai Sacerdoti – san Giovanni Maria Vianney ha edificato il suo popolo. Il Vicario Generale della diocesi di Belley, al momento della nomina a parroco di Ars, gli aveva detto: "Non c’è molto amore di Dio in quella parrocchia, ma voi ce lo metterete!". E quella parrocchia fu trasformata.

Cari Vescovi novelli, grazie per il servizio che rendete alla Chiesa con dedizione e amore. Vi saluto con affetto e vi assicuro il mio costante sostegno unito alla preghiera perché "andiate e portiate frutto, e il vostro frutto rimanga" (Gv 15,16). Per questo invoco l’intercessione di Maria Regina Apostolorum, ed imparto di cuore su voi, sui vostri sacerdoti e sulle vostre comunità diocesane una speciale Benedizione Apostolica.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:41
Il Papa: "Il sacerdote, certamente uomo della Parola divina e del sacro, deve oggi più che mai essere uomo della gioia e della speranza"
(Video Messaggio del Santo Padre ai partecipanti Ritiro Sacerdotale Internazionale che si tiene questa settimana ad Ars sul tema "La gioia di essere sacerdote: consacrato per la salvezza del mondo", 29 settembre 2009)

VIDEO MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI AL RITIRO SACERDOTALE INTERNAZIONALE (ARS, 27 SETTEMBRE - 3 OTTOBRE 2009), 29.09.2009

Pubblichiamo di seguito il testo del Video Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha registrato nei giorni scorsi e che è stato trasmesso ieri nel corso del Ritiro Sacerdotale Internazionale che si tiene questa settimana ad Ars sul tema "La gioia di essere sacerdote: consacrato per la salvezza del mondo":


TESTO DEL VIDEO MESSAGGIO

Cari fratelli nel sacerdozio,

Come potete facilmente immaginare, sarei stato estremamente felice di potere essere con voi in questo ritiro sacerdotale internazionale sul tema: "La gioia del sacerdote consacrato per la salvezza del mondo".
Vi state partecipando in gran numero e state beneficiando degli insegnamenti del cardinale Christoph Schönborn. Saluto cordialmente anche gli altri predicatori e il vescovo di Belley-Ars, monsignor Guy-Marie Bagnard. Devo accontentarmi di rivolgervi questo video messaggio, ma credetemi, attraverso queste poche parole è a ognuno di voi che parlo nel modo più personale possibile, poiché, come dice san Paolo: "Vi porto nel cuore... voi con me siete tutti partecipi della grazia" (Fil 1, 7).
San Giovanni Maria Vianney sottolineava il ruolo indispensabile del sacerdote quando diceva: "Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è questo il tesoro più grande che il buon Dio può concedere a una parrocchia, e uno dei doni più preziosi della misericordia divina" (Il curato d'Ars, Pensieri, presentato dall'abate Bernard Nodet, Desclée de Brouwer, Foi Vivante, 2000, p. 101).
In questo
Anno sacerdotale siamo tutti chiamati a esplorare e a riscoprire la grandezza del sacramento che ci ha configurati per sempre a Cristo Sommo Sacerdote e che ci ha tutti "consacrati nella verità" (Gv 17, 19).
Scelto fra gli uomini, il sacerdote resta uno di essi ed è chiamato a servirli donando loro la vita di Dio. È lui che "continua l'opera di redenzione sulla terra" (Nodet, p. 98).
La nostra vocazione sacerdotale è un tesoro che conserviamo in vasi di creta (cfr 2 Cor 4, 7).
San Paolo ha espresso felicemente l'infinita distanza che esiste fra la nostra vocazione e la povertà delle risposte che possiamo dare a Dio. Vi è, da questo punto di vista, un legame segreto che unisce
l'Anno paolino e l'Anno sacerdotale.
Noi udiamo ancora e conserviamo nell'intimo del nostro cuore la commovente e fiduciosa esclamazione dell'Apostolo che dice: "Quando sono debole, è allora che sono forte" (2 Cor 12, 10).
La consapevolezza di questa debolezza apre all'intimità di Dio che dà forza e gioia. Più il sacerdote persevererà nell'amicizia di Dio, più continuerà l'opera del Redentore sulla terra (cfr Nodet, p. 98). Il sacerdote non è per se stesso, ma per tutti (cfr Nodet, p. 100).
È questa una delle sfide più grandi del nostro tempo.
Il sacerdote, certamente uomo della Parola divina e del sacro, deve oggi più che mai essere uomo della gioia e della speranza. Agli uomini che non possono concepire che Dio sia puro amore, egli dirà sempre che la vita vale la pena di essere vissuta e che Cristo le dà tutto il suo senso perché Egli ama gli uomini, tutti gli uomini.
La religione del Curato d'Ars è una religione della felicità, non una ricerca morbosa della mortificazione, come a volte si è creduto: "La nostra felicità è troppo grande; no, no, non lo capiremo mai" (Nodet, p. 110), diceva. O ancora: "Quando siamo in cammino e vediamo un campanile, questa visione deva far battere il nostro cuore come quella della casa dove dimora il suo amato fa battere il cuore della sposa" (Ibidem).
Desidero qui salutare con un affetto particolare quelli fra voi che si prendono cura di molte chiese e che si prodigano senza limiti per mantenere la vita sacramentale nelle loro diverse comunità. La riconoscenza della Chiesa verso tutti voi è immensa! Non perdetevi d'animo, ma continuate a pregare e a far pregare affinché molti giovani accettino di rispondere alla chiamata di Cristo che non smette di volere fare crescere il numero dei suoi apostoli per mietere i suoi campi.
Cari sacerdoti, pensate anche alla grande diversità dei ministeri che esercitate al servizio della Chiesa. Pensate al gran numero di messe che avete celebrato o che celebrerete, rendendo ogni volta Cristo realmente presente sull'altare.
Pensate alle innumerevoli assoluzioni che avete dato e darete, permettendo a un peccatore di lasciarsi redimere. Percepite allora la fecondità infinita del sacramento dell'Ordine. Le vostre mani, le vostre labbra, sono divenute, per un istante, le mani e le labbra di Dio. Portate Cristo in voi; siete, per grazia, entrati nella Santissima Trinità. Come diceva il santo Curato: "Se si avesse la fede, si vedrebbe Dio nascosto nel sacerdote come una luce dietro un vetro, come un vino mescolato all'acqua" (Nodet, p 97).
Questa considerazione deve portare ad armonizzare le relazioni fra sacerdoti al fine di realizzare quella comunità sacerdotale alla quale invitava san Pietro (cfr 1 Pt 2, 9) per costruire il corpo di Cristo e costruirvi nell'amore (cfr Ef 4, 11-16).
Il sacerdote è l'uomo del futuro: è colui che ha preso sul serio le parole di Paolo: "Se dunque siete risorti in Cristo, cercate le cose di lassù" (Col 3, 1).
Ciò che fa sulla terra fa parte dei mezzi ordinati al Fine ultimo. La messa è quel punto unico di congiunzione fra il mezzo e il Fine, poiché ci permette già di contemplare, sotto le umili specie del pane e del vino, il Corpo e il Sangue di Colui che adoreremo per l'eternità. Le frasi semplici e intense del santo Curato sull'Eucaristia ci aiutano a percepire meglio la ricchezza di questo momento unico della giornata in cui viviamo un faccia a faccia vivificante per noi stessi e per ognuno dei fedeli. "La felicità che vi è nel dire la messa si comprenderà solo in cielo" scriveva (Nodet. p. 104). Vi incoraggio quindi a rafforzare la vostra fede e quella dei fedeli nel Sacramento che celebrate e che è la sorgente della vera gioia. Il santo d'Ars scriveva: "Il sacerdote deve provare la stessa gioia (degli apostoli) nel vedere Nostro Signore che tiene fra le mani" (Ibidem).
Rendendo grazie per ciò che siete e ciò che fate, vi ripeto: "Niente rimpiazzerà mai il ministero dei sacerdoti nella vita della Chiesa!" (
Omelia durante la messa del 13 settembre 2008 all'Esplanade des Invalides, Parigi).
Testimoni viventi della potenza di Dio all'opera nella debolezza degli uomini, consacrati per la salvezza del mondo, siete, miei cari fratelli, stati scelti da Cristo stesso al fine di essere, grazie a Lui, sale della terra e luce del mondo. Che possiate, durante questo ritiro spirituale, sperimentare in modo profondo l'Intimo Indicibile (Sant'Agostino, Confessioni, iii, 6, 11, va 13, p. 383) per essere perfettamente uniti a Cristo al fine di annunciare il suo amore attorno a voi e di essere totalmente impegnati al servizio della santificazione di tutti i membri del popolo di Dio! Affidandovi alla Vergine Maria, Madre di Cristo e dei sacerdoti, imparto a tutti voi la mia Benedizione Apostolica.

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(©L'Osservatore Romano - 30 settembre 2009)
S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:42
Il Papa: "Per amore di Cristo san Giovanni Leonardi lavorò alacremente per purificare la Chiesa, per renderla più bella e santa"

(Catechesi del Santo Padre sulla figura di San Giovanni Leonardi, 7 ottobre 2009)

L’UDIENZA GENERALE, 07.10.2009

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato su San Giovanni Leonardi, Fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio, nella ricorrenza dei 400 anni dalla morte.

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

San Giovanni Leonardi

Cari fratelli e sorelle!

Dopodomani, 9 ottobre, si compiranno 400 anni dalla morte di san Giovanni Leonardi, fondatore dell’Ordine religioso dei Chierici Regolari della Madre di Dio, canonizzato il 17 aprile del 1938 ed eletto Patrono dei farmacisti in data 8 agosto 2006. Egli è anche ricordato per il grande anelito missionario. Insieme a Mons. Juan Bautista Vives e al gesuita Martin de Funes progettò e contribuì all’istituzione di una specifica Congregazione della Santa Sede per le missioni, quella di Propaganda Fide, e alla futura nascita del Collegio Urbano di Propaganda Fide, che nel corso dei secoli ha forgiato migliaia di sacerdoti, molti di essi martiri, per evangelizzare i popoli. Si tratta, pertanto, di una luminosa figura di sacerdote, che mi piace additare come esempio a tutti i presbiteri in questo Anno Sacerdotale. Morì nel 1609 per un’influenza contratta mentre stava prodigandosi nella cura di quanti, nel quartiere romano di Campitelli, erano stati colpiti dall’epidemia.

Giovanni Leonardi nacque nel 1541 a Diecimo in provincia di Lucca. Ultimo di sette fratelli, ebbe un’adolescenza scandita dai ritmi di fede vissuti in un nucleo familiare sano e laborioso, oltre che dall’assidua frequentazione di una bottega di aromi e di medicamenti del suo paese natale. A 17 anni il padre lo iscrisse ad un regolare corso di spezieria a Lucca, allo scopo di farne un futuro farmacista, anzi uno speziale, come allora si diceva. Per circa un decennio il giovane Giovanni Leonardi ne fu vigile e diligente frequentatore, ma quando, secondo le norme previste dall’antica Repubblica di Lucca, acquisì il riconoscimento ufficiale che lo avrebbe autorizzato ad aprire una sua spezieria, egli cominciò a pensare se non fosse giunto il momento di realizzare un progetto che da sempre aveva in cuore. Dopo matura riflessione decise di avviarsi al sacerdozio. E così, lasciata la bottega dello speziale, ed acquisita un’adeguata formazione teologica, fu ordinato sacerdote e il giorno dell’Epifania del 1572 celebrò la prima Messa.

Tuttavia non abbandonò la passione per la farmacopea, perché sentiva che la mediazione professionale di farmacista gli avrebbe permesso di realizzare appieno la sua vocazione, quella di trasmettere agli uomini, mediante una vita santa, "la medicina di Dio", che è Gesù Cristo crocifisso e risorto, "misura di tutte le cose".

Animato dalla convinzione che di tale medicina necessitano tutti gli esseri umani più di ogni altra cosa, san Giovanni Leonardi cercò di fare dell’incontro personale con Gesù Cristo la ragione fondamentale della propria esistenza. "È necessario ricominciare da Cristo", amava ripetere molto spesso. Il primato di Cristo su tutto divenne per lui il concreto criterio di giudizio e di azione e il principio generatore della sua attività sacerdotale, che esercitò mentre era in atto un vasto e diffuso movimento di rinnovamento spirituale nella Chiesa, grazie alla fioritura di nuovi Istituti religiosi e alla testimonianza luminosa di santi come Carlo Borromeo, Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Giuseppe Calasanzio, Camillo de Lellis, Luigi Gonzaga. Con entusiasmo si dedicò all’apostolato tra i ragazzi mediante la Compagnia della Dottrina Cristiana, riunendo intorno a sé un gruppo di giovani con i quali, il primo settembre 1574, fondò la Congregazione dei Preti riformati della Beata Vergine, successivamente chiamato Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio.
Ai suoi discepoli raccomandava di avere "avanti gli occhi della mente solo l’onore, il servizio e la gloria di Cristo Gesù Crocifisso", e, da buon farmacista abituato a dosare le pozioni grazie a un preciso riferimento, aggiungeva: "Un poco più levate i vostri cuori a Dio e con Lui misurate le cose".

Mosso da zelo apostolico, nel maggio del 1605, inviò al Papa Paolo V appena eletto un Memoriale nel quale suggeriva i criteri di un autentico rinnovamento nella Chiesa. Osservando come sia "necessario che coloro che aspirano alla riforma dei costumi degli uomini cerchino specialmente, e per prima cosa, la gloria di Dio", aggiungeva che essi devono risplendere "per l'integrità della vita e l'eccellenza dei costumi, così, più che costringere, attireranno dolcemente alla riforma".

Osservava inoltre che "chi vuole operare una seria riforma religiosa e morale deve fare anzitutto, come un buon medico, un'attenta diagnosi dei mali che travagliano la Chiesa per poter così essere in grado di prescrivere per ciascuno di essi il rimedio più appropriato".
E notava che "il rinnovamento della Chiesa deve verificarsi parimenti nei capi e nei dipendenti, in alto e in basso. Deve cominciare da chi comanda ed estendersi ai sudditi".

Fu per questo che, mentre sollecitava il Papa a promuovere una "riforma universale della Chiesa", si preoccupava della formazione cristiana del popolo e specialmente dei fanciulli, da educare "fin dai primi anni… nella purezza della fede cristiana e nei santi costumi".

Cari fratelli e sorelle, la luminosa figura di questo Santo invita i sacerdoti in primo luogo, e tutti i cristiani, a tendere costantemente alla "misura alta della vita cristiana" che è la santità, ciascuno naturalmente secondo il proprio stato. Soltanto infatti dalla fedeltà a Cristo può scaturire l’autentico rinnovamento ecclesiale.

In quegli anni, nel passaggio culturale e sociale tra il secolo XVI e il secolo XVII, cominciarono a delinearsi le premesse della futura cultura contemporanea, caratterizzata da una indebita scissione tra fede e ragione, che ha prodotto tra i suoi effetti negativi la marginalizzazione di Dio, con l’illusione di una possibile e totale autonomia dell’uomo il quale sceglie di vivere "come se Dio non ci fosse".

E’ la crisi del pensiero moderno, che più volte ho avuto modo di evidenziare e che approda spesso in forme di relativismo.
Giovanni Leonardi intuì quale fosse la vera medicina per questi mali spirituali e la sintetizzò nell’espressione: "Cristo innanzitutto", Cristo al centro del cuore, al centro della storia e del cosmo. E di Cristo – affermava con forza – l’umanità ha estremo bisogno, perchè Lui è la nostra "misura". Non c’è ambiente che non possa essere toccato dalla sua forza; non c’è male che non trovi in Lui rimedio, non c’è problema che in Lui non si risolva. "O Cristo o niente"! Ecco la sua ricetta per ogni tipo di riforma spirituale e sociale.

C’è un altro aspetto della spiritualità di san Giovanni Leonardi che mi piace sottolineare. In più circostanze ebbe a ribadire che l’incontro vivo con Cristo si realizza nella sua Chiesa, santa ma fragile, radicata nella storia e nel suo divenire a volte oscuro, dove grano e zizzania crescono insieme (cfr Mt 13,30), ma tuttavia sempre Sacramento di salvezza.

Avendo lucida consapevolezza che la Chiesa è il campo di Dio (cfr Mt 13,24), non si scandalizzò delle sue umane debolezze. Per contrastare la zizzania scelse di essere buon grano: decise, cioè, di amare Cristo nella Chiesa e di contribuire a renderla sempre più segno trasparente di Lui. Con grande realismo vide la Chiesa, la sua fragilità umana, ma anche il suo essere "campo di Dio", lo strumento di Dio per la salvezza dell’umanità.

Non solo. Per amore di Cristo lavorò alacremente per purificare la Chiesa, per renderla più bella e santa. Capì che ogni riforma va fatta dentro la Chiesa e mai contro la Chiesa. In questo, san Giovanni Leonardi è stato veramente straordinario e il suo esempio resta sempre attuale. Ogni riforma interessa certamente le strutture, ma in primo luogo deve incidere nel cuore dei credenti.

Soltanto i santi, uomini e donne che si lasciano guidare dallo Spirito divino, pronti a compiere scelte radicali e coraggiose alla luce del Vangelo, rinnovano la Chiesa e contribuiscono, in maniera determinante, a costruire un mondo migliore.
Cari fratelli e sorelle, l’esistenza di san Giovanni Leonardi fu sempre illuminata dallo splendore del "Volto Santo" di Gesù, custodito e venerato nella Chiesa cattedrale di Lucca, diventato il simbolo eloquente e la sintesi indiscussa della fede che lo animava. Conquistato da Cristo come l’apostolo Paolo, egli additò ai suoi discepoli, e continua ad additare a tutti noi, l’ideale cristocentrico per il quale "bisogna denudarsi di ogni proprio interesse e solo il servizio di Dio riguardare", avendo "avanti gli occhi della mente solo l’onore, il servizio e la gloria di Cristo Gesù Crocifisso". Accanto al volto di Cristo, fissò lo sguardo sul volto materno di Maria. Colei che elesse Patrona del suo Ordine, fu per lui maestra, sorella, madre, ed egli sperimentò la sua costante protezione. L’esempio e l’intercessione di questo "affascinante uomo di Dio" siano, particolarmente in questo Anno Sacerdotale, richiamo e incoraggiamento per i sacerdoti e per tutti i cristiani a vivere con passione ed entusiasmo la propria vocazione.

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