Note sul libro dell’ESODO

Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:20
CAPITOLI 28 E 29
Capitoli 28 e 29
Questi capitoli ci fanno conoscere il sacerdozio in tutto il suo valore e la sua efficacia e sono pieni d’un interesse profondo. Il solo termine sacerdozio risveglia nel cuore dei sentimenti di viva riconoscenza per la grazia che non solo ha trovato per noi un mezzo perché potessimo arrivare fino alla presenza di Dio, ma che ha anche provveduto a far sì che potessimo rimanere in questa presenza, secondo il carattere e le esigenze di questa alta e santa posizione.

Il sacerdozio di Aaronne era un dono di Dio a un popolo che era lontano da lui e aveva bisogno che qualcuno rimanesse per lui alla presenza di Dio continuamente. Il cap. 7 agli Ebrei ci dice che quest’ordine di sacerdozio era legato alla legge, fatto tale «a tenore di una legge dalle prescrizioni carnali» (v. 16); che quelli che lo esercitavano erano molti «perché per la morte erano impediti di durare» (v. 23) ed erano «uomini soggetti a infermità» (v. 28). Un tale ordine di sacerdozio non poteva portare alla perfezione; abbiamo quindi da benedire Dio se esso venne istituito «senza giuramento» (v. 21). Il giuramento di Dio non poteva unirsi se non a ciò che doveva durare per sempre, cioè al sacerdozio perfetto, immortale, non trasmissibile del nostro grande e glorioso Melchisedec, che dà al suo sacrificio e al suo sacerdozio tutto il valore, tutta la gloriosa dignità della sua incomparabile persona. Il pensiero d’avere un siffatto sacrificio e un siffatto sacerdote, produce nel cuore un sentimento di viva gratitudine.

Al cap. 28 è parlato dei paramenti sacerdotali e al cap. 29 dei sacrifici. I primi sono immediatamente in rapporto ai bisogni del popolo, mentre gli ultimi sono in relazione ai diritti di Dio. I paramenti sono e rappresentano le varie funzioni e i diversi attributi del sacerdozio. L’«efod» era l’abito sacerdotale per eccellenza; era inseparabilmente unito alle due spallette e al pettorale, perché la forza della spalla dei sacerdote e l’affezione del suo cuore, erano interamente consacrate agli interessi di coloro ch’egli rappresentava e in favore dei quali portava l’efod. Queste cose, tipificate in Aaronne, sono realizzate in Cristo: la sua forza onnipotente e il suo amore infinito ci appartengono eternamente, incontestabilmente. La spalla che sostiene l’universo sostiene il membro più debole e più sconosciuto dell’Assemblea riscattata a prezzo di sangue. Il cuore di Gesù è pieno di un’affetto invariabile, d’un amore eterno e infaticabile anche per il membro meno considerato dell’Assemblea.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:20
I nomi delle dodici tribù, scolpiti sulle pietre preziose, erano portati sia sulle spalle che sul cuore del sommo sacerdote (v. 9-12; 15-29). Il valore di una pietra preziosa si manifesta nel fatto che più è intensa la luce che la colpisce più essa brilla di vivo splendore. La luce non può mai sminuire lo splendore di una pietra preziosa, ma, al contrario, ne aumenta la bellezza e il pregio. Le dodici tribù tutte, ad una ad una, la più piccola come la più grande, erano portate continuamente davanti all’Eterno, sul cuore e sulle spalle d’Aaronne. Erano tutte assieme, e ciascuna in particolare, mantenute nella presenza di Dio nello splendore perfetto e nell’inalterabile bellezza che erano proprie della posizione in cui le aveva poste la grazia perfetta dell’Iddio d’Israele. Il popolo era rappresentato davanti a Dio dal sommo sacerdote. Qualunque fosse la sua ingenuità o i suoi errori o le sue fatiche, il suo nome brillava sul pettorale con una luce meravigliosa. Dio gli aveva dato quel posto; chi avrebbe potuto strapparlo di là? Chi altro avrebbe potuto mettersi al suo posto? Chi avrebbe potuto entrare nel luogo santo per togliere d’in sul cuore d’Aaronne il nome di una sola delle tribù di Israele? Chi avrebbe sminuito lo splendore che avvolgeva quei nomi, là dove li aveva messi Dio? Essi erano irraggiungibili da un qualunque nemico, al di là d’ogni influenza del male.

Come è incoraggiante per i figli di Dio che sono provati, tentati, umiliati, pensare che Dio li vede sul cuore di Gesù! Agli occhi di Dio brillano continuamente dello splendore supremo di Cristo; sono rivestiti d’una divina bellezza. Il mondo non può vederli così, ma Dio li vede così. Gli uomini non vedono altro che i loro difetti e i loro errori; non sono capaci a vedere altro, per cui il loro giudizio è sempre errato e parziale. Non possono vedere le pietre preziose su cui sono incisi, dall’amore eterno, i nomi dei riscattati di Dio. I cristiani, è vero, dovrebbero aver cura di non dare al mondo alcuna occasione di parlare male di loro; dovrebbero «chiudere la bocca all’ignoranza degli uomini stolti» (Romani 3:7; 1 Pietro 2:15) perseverando nel «bene operare». Se, per la potenza dello Spirito Santo, afferrano la bellezza di cui brillano incessantemente agli occhi di Dio, ne realizzano certo i caratteri in tutta la loro condotta; il loro cammino sarà santo, puro, degno di Dio, la loro luce sarà visibile agli occhi degli uomini. Più entreremo, per la fede, in ciò che siamo in Cristo, più l’opera interiore sarà profonda, reale e pratica, più ancora la manifestazione degli effetti morali di quest’opera in noi sarà completa.

Ma, sia benedetto Dio, non abbiamo a che fare con gli uomini per essere giudicati, ma con Dio stesso; e nella sua misericordia Egli ci fa vedere il nostro grande sacerdote che porta «il nostro giudizio sul suo cuore, davanti all’Eterno, del continuo» (v. 30). Questa sicurezza dà una pace stabile, profonda, che nulla può scrollare. Possiamo confessare i nostri falli e le nostre mancanze e farne cordoglio; l’occhio, a volte, può essere talmente annebbiato dalle lacrime di un vero pentimento che non siamo in grado di vedere la luce delle pietre preziose su cui sono incisi i nostri nomi; tuttavia i nostri nomi sono là, sempre. Li vede Dio, e ciò basta. Egli è glorificato dalla loro luce, luce che non viene da noi ma di cui Dio stesso ci ha rivestiti. Non eravamo altro che tenebre, impurità, deformità; Dio ci ha dato luce, purezza, bellezza; a Lui sia la lode da ora e per tutti i secoli!
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:21
La «cintura» è il simbolo ben noto del servizio, e Cristo è il perfetto servitore, il servitore dei consigli e delle affezioni di Dio, dei bisogni profondi del suo popolo. Se ne cinse Cristo stesso per la sua opera in una devozione a tutta prova che nulla poteva scoraggiare; e quando la fede vede il Figlio di Dio cinto così, si rende conto che nessuna difficoltà è troppo grande per lui. Vediamo, in questa figura, che tutte le virtù e le glorie di Cristo, nella sua natura divina come in quella umana, sono pienamente comprese nel suo carattere di servitore. «E la cintura artistica che è sull’efod per fissarlo, sarà del medesimo lavoro dell’efod e tutto d’un pezzo con esso; sarà d’oro, di filo color violaceo, porporino, scarlatto e di lino fino ritorto» (v. 8). Questo deve soddisfare tutti i bisogni dell’anima e i più ardenti desideri del cuore. Cristo è non solo la vittima scannata sull’altare di rame ma anche il sommo Sacerdote sulla casa di Dio. L’apostolo può dunque dire: «Accostiamoci... Riteniamo fermamente... Facciamo attenzione gli uni agli altri» (Ebrei 10:19-24).

«Metterai sul pettorale del giudizio l’Urim e il Thummim (luci e perfezioni); e staranno sul cuore di Aaronne quand’egli si presenterà davanti all’Eterno; così Aaronne porterà il giudizio dei figliuoli di Israele davanti all’Eterno, del continuo» (v. 30). Da alcuni passi della Parola capiamo che gli Urim erano in rapporto con la comunicazione dei pensieri di Dio su questioni che riguardavano particolari della storia di Israele. Così, ad esempio, per eleggere Giosuè è detto: «Egli si presenterà davanti al sacerdote Eleazar che consulterà per lui il giudizio dell’Urim davanti all’Eterno» (Numeri 27:21). E di Levi è detto: «I tuoi Thummim e i tuoi Urim appartengono all’uomo pio che ti sei scelto... Essi insegnano i tuoi statuti a Giacobbe e le tue leggi a Israele» (Deuteronomio 33:8-10). «E Saul consultò l’Eterno, ma l’Eterno non gli rispose né per via di sogni, né mediante l’Urim, né per mezzo dei profeti» (1 Samuele 28:6). «E il governatore disse loro di non mangiare cose santissime finché non si presentasse un sacerdote per consultar Dio con l’Urim e il Thummim» (Esdra 2:63). Veniamo così a sapere che il sacerdote non solo portava il giudizio dell’assemblea davanti all’Eterno, ma che comunicava anche il giudizio dell’Eterno all’assemblea; che funzione solenne e preziosa! Lo stesso fa, con una perfezione divina, il nostro «gran sommo Sacerdote che è passato attraverso i cieli» (Ebrei 4:14). Sul suo cuore, continuamente, porta il giudizio del suo popolo e, per mezzo dello Spirito Santo, ci comunica i consigli di Dio riguardo alle circostanze, anche minime, della nostra vita di tutti i giorni. Non abbiamo bisogno di sogni né di visioni; se camminiamo per lo Spirito godiamo di tutta la certezza che può dare il perfetto Urim, sul cuore del nostro gran Sommo Sacerdote.

«Farai anche il manto dell’efod, tutto di color violaceo; esso avrà, in mezzo, un’apertura per passarvi il capo; e l’apertura avrà all’intorno un’orlatura tessuta, come l’apertura di una corazza, perché non si strappi. All’orlo inferiore del manto, tutto all’intorno, farai delle melagrane di color violaceo, porporino e scarlatto; e in mezzo ad esse, d’ogni intorno, porrai dei sonagli d’oro: un sonaglio d’oro e una melagrana, un sonaglio d’oro e una melagrana, all’orlatura del manto, tutt’all’intorno. Aaronne se lo metterà per fare il servizio; quand’egli entrerà nel luogo santo dinanzi all’Eterno e quando ne uscirà, s’udrà il suono ed egli non morrà» (v. 31-35). Il tessuto violaceo dell’efod è l’emblema del carattere celeste del nostro gran Sommo Sacerdote. È andato nei cieli, al di là della portata della vista umana; ma per la potenza dello Spirito, c’è una testimonianza resa alla verità ch’egli è vivente nella presenza di Dio; e non solo una testimonianza ma anche del frutto: «Un sonaglio e una melagrana». È questo il meraviglioso ordine. Una testimonianza fedele alla grande verità che Gesù è sempre vivente per intercedere per noi sarà inseparabilmente legata a un fruttuoso servizio. Ci sia data una intelligenza più profonda di questi preziosi misteri!
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:22
«Farai anche una lamina d’oro puro e sovr’essa inciderai, come s’incide sopra un sigillo: Santo all’Eterno. La fisserai ad un nastro violaceo sulla mitra e starà sul davanti della mitra. Starà sulla fronte di Aaronne, e Aaronne porterà le iniquità commesse dai figliuoli di Israele nelle cose sante che consacreranno, in ogni genere di sante offerte; ed essa starà continuamente sulla fronte di lui, per renderli graditi nel cospetto dell’Eterno» (v. 36-38). Questa è una verità importante. La lamina d’oro, sulla fronte d’Aaronne, era un tipo della santità del Signore Gesù, nella sua essenza. «Essa starà continuamente sulla fronte di lui per renderli graditi nel cospetto dell’Eterno». Che riposo per il cuore fra tutti i mutamenti e la instabilità di cui facciamo l’esperienza! Ma il nostro grande Sommo Sacerdote è continuamente davanti a Dio per noi. Noi siamo rappresentati da Lui e in Lui resi accettevoli. La santità ci appartiene. Più conosciamo la nostra indegnità personale e la nostra debolezza, più facciamo l’esperienza di questa umiliante verità: in noi non abita nessun bene; allora benediremo con più fervore l’Iddio d’ogni grazia per questa verità consolante: «essa starà continuamente sulla fronte di lui per renderli graditi nel cospetto dell’Eterno».

Se il mio lettore fosse frequentemente tentato e sconvolto da dubbi e timori, da alti e bassi della sua vita spirituale, con la tendenza a guardare continuamente dentro di sé, nel suo povero cuore freddo e incostante, non ha che da appoggiarsi con tutto il cuore su questa preziosa verità, che questo gran Sommo Sacerdote lo rappresenta davanti al trono di Dio; non ha che da fissare i suoi occhi sulla lamina d’oro e leggervi la misura della sua eterna accettazione presso Dio. Che lo Spirito Santo gli dia di gustare la dolcezza e la potenza di questa divina e celeste dottrina!

«E per i figliuoli di Aaronne farai delle tuniche, farai delle cinture e farai delle tiare come insegne della loro dignità e come ornamento. E ne vestirai Aaronne, tuo fratello, e i suoi figliuoli con lui; e li ungerai, li consacrerai, li santificherai perché mi esercitino l’ufficio di sacerdoti. Farai anche loro delle brache di lino per coprire la loro nudità; esse andranno dai fianchi fino alle cosce... Le porteranno quando entreranno nella tenda di convegno o quando s’accosteranno all’altare per fare il servizio nel luogo santo affinché non si rendan colpevoli e non muoiano» (v. 40-43). Qui Aaronne e i suoi figli rappresentano in figura Cristo e la Chiesa nella potenza di una sola giustizia divina ed eterna. Gli abiti sacerdotali di Aaronne sono espressione delle qualità intrinseche, essenziali, personali ed eterne di Cristo; ma le «tuniche» e le «tiare» dei figli di Aaronne rappresentano le grazie di cui la Chiesa è rivestita, in virtù della sua associazione col capo supremo della famiglia sacerdotale.

Così, tutto ciò che si è presentato davanti a noi, ci mostra con quale cura l’Eterno misericordioso provvedeva ai bisogni del suo popolo, permettendo che i suoi vedessero colui che si preparava ad intervenire in loro favore e a rappresentarli davanti a Dio, rivestito di tutti i paramenti che corrispondevano direttamente alla condizione del popolo, come Dio la conosceva. Nulla era dimenticato di ciò che il cuore poteva desiderare o di cui poteva aver bisogno. Il popolo di Israele, considerando Aaronne dalla testa ai piedi, poteva vedere che in lui tutto era completo. Dalla santa tiara che copriva la sua fronte fino alle melagrane e ai sonagli d’oro al bordo del suo vestito, tutto era come doveva essere, perché tutto era conforme al modello mostrato sul monte, secondo la stima che l’Eterno faceva dei bisogni del suo popolo e delle sue proprie esigenze.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:22
Ma c’è ancora un punto, a proposito dei paramenti di Aaronne, che richiama l’attenzione del lettore: è il modo con cui l’oro è introdotto nella confezione dei vestiti. È un soggetto sviluppato al cap. 39, ma l’interpretazione può trovar posto qui: «E batteron l’oro in lamine e lo tagliarono in fili per tesserlo nella stoffa violacea, porporina, scarlatta e nel lino fino e farne un lavoro artistico» (cap. 39:3). Abbiamo già fatto notare che il violaceo, la porpora, lo scarlatto e il fino lino rappresentano i vari caratteri dell’umanità di Cristo e che l’oro rappresenta la sua natura divina. I fili d’oro erano intrecciati in modo meraviglioso con gli altri materiali tanto da essere uniti ad essi inseparabilmente, pur restando tuttavia perfettamente distinti. L’applicazione di questa immagine al carattere di Gesù è piena di interesse. Negli episodi che il racconto degli Evangeli ci riporta è facile discernere, in un caso o in un altro, il carattere distinto o la misteriosa unione dell’umanità e della divinità.

Considerate, ad esempio, Cristo sul mare di Galilea. Era in mezzo alla tempesta e dormiva su un guanciale (Marco 4:38) ; preziosa manifestazione della sua umanità! Ma, un momento dopo, la maestà della sua divinità appare in tutta la sua grandezza; e, come il governatore supremo dell’universo, fa tacere il vento e impone la calma al mare. Qui non c’è sforzo né precipitazione, né preparazione preliminare. Il riposo dell’umano è tanto naturale quanto l’attività del divino. Cristo è nel suo elemento naturale nell’uno e nell’altro caso. Consideratelo ancora quando quelli che riscuotevano le dramme si rivolgono a Pietro; come l’Iddio onnipotente, padrone del cielo e della terra, sovrano, pone la sua mano sui tesori dell’oceano e dice: Sono miei (Salmo 50:12; 24:1; Giobbe 41:2); e, dopo aver dichiarato che «suo è il mare perch’egli l’ha fatto», cambia linguaggio e manifestando la sua perfetta umanità si associa al suo povero servo con quelle commoventi parole: «Prendilo e dàllo loro per me e per te» (Matteo 17:27). Parole piene di grazia soprattutto qui, davanti a un miracolo che manifestava in un modo così completo la divinità di colui che si associava così, in una accondiscendenza infinita, ad un povero e debole verme della terra. Poi ancora alla tomba di Lazzaro (Giovanni 11) freme e piange; queste lacrime provengono dal profondo di una perfetta umanità, da quel cuore umano che sentiva, come nessun altro poteva farlo, che cosa significasse trovarsi in mezzo a una scena in cui il peccato ha prodotto i suoi terribili frutti. Ma allora, come Risurrezione e Vita, come Colui che tiene nella sua mano onnipotente le chiavi della morte e dell’Ades (Apocalisse 1:18) grida: «Lazzaro, vieni fuori» e la morte e il sepolcro, alla voce di Gesù, aprono le porte e lasciano uscire il loro prigioniero.

Vi sono molte altre scene degli Evangeli che illustrano questa unione dei fili d’oro col «violaceo, la porpora, lo scarlatto e il fino lino ritorto», cioè l’unione della divinità con l’umanità nella persona misteriosa del Figlio di Dio. Non è un pensiero nuovo; è stato rilevato spesso da chi ha studiato con cura il Vecchio Testamento. Ma è tuttavia utile per le nostre anime essere occupati del Signore come di Colui che è vero Dio e vero Uomo. Lo Spirito Santo ha unito insieme divinità è umanità con un’«opera d’arte» e le presenta allo spirito rinnovato del credente perché le ammiri e ne goda.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:23
Prima di lasciare questa parte del libro, esamineremo un poco il cap. 29. Abbiamo già rilevato che Aaronne e i suoi figli rappresentano Cristo e la Chiesa; ma qui Dio dà ad Aaronne la precedenza. «Farai avvicinare Aaronne e i suoi figliuoli all’ingresso della tenda di convegno e li laverai con acqua» (v. 4). Il lavaggio dell’acqua rende Aaronne ciò che Cristo è in se stesso, cioè santo. La Chiesa è santa in virtù della sua unione con Cristo in una vita di risurrezione; Cristo è la definizione perfetta di ciò che essa è davanti a Dio. L’atto cerimoniale di lavare con acqua raffigura l’azione della Parola di Dio (vedere Efesini 5:26). «E per loro io santifico me stesso, affinché anch’essi siano santificati in verità(*)» (Giovanni 17:19). Egli santificava se stesso per Dio nella potenza di un’obbedienza perfetta, essendo, come uomo, condotto e diretto in ogni cosa dalla Parola di Dio, dallo Spirito eterno, affinché coloro che gli appartengono fossero interamente santificati dalla potenza morale della verità.

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(*) Cioè: nella potenza della verità.
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«Poi prenderai l’olio dell’unzione, glielo spanderai sul capo, e l’ungerai» (v. 7). Qui si tratta dello Spirito Santo; ma bisogna notare che Aaronne fu unto prima che il sangue fosse sparso perché ci è presentato come figura di Cristo che, grazie a ciò che era nella sua propria persona, fu unto di Spirito Santo molto tempo prima che l’opera della croce fosse compiuta. D’altro lato, i figli di Aaronne furono unti dopo che il sangue fu sparso. «Scannerai il montone, prenderai il suo sangue e lo metterai sull’estremità dell’orecchio destro di Aaronne e nell’estremità dell’orecchio destro dei suoi figliuoli e sul pollice della lor mano destra e sul dito grosso del loro pie’ destro, e spanderai il sangue sull’altare tutto all’intorno. E prenderai del sangue che è sull’altare e dell’olio dell’unzione e ne aspergerai Aaronne e i suoi paramenti e i suoi figliuoli e i paramenti dei suoi figliuoli con lui. Così saranno consacrati lui, i suoi paramenti, i suoi figliuoli e i loro paramenti con lui» (vers. 20 e 21). Per ciò che concerne la Chiesa il sangue della croce è il fondamento di ogni benedizione. La Chiesa non poteva ricevere l’unzione dello Spirito Santo prima che il suo Capo risuscitato fosse salito in cielo e avesse deposto sul trono della Maestà la testimonianza del sacrificio che aveva compiuto. «Questo Gesù, Iddio l’ha risuscitato, del che noi tutti siamo testimoni. Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso ha sparso quello che ora vedete e udite» (Atti 2:32-33; Giovanni 7:39; Atti 19:1-6). Dal giorno di Abele fino ad ora vi sono state anime rigenerate dallo Spirito Santo, anime che hanno subito la sua influenza, sulle quali egli ha agito, qualificandole per il servizio; ma la Chiesa non poteva essere unta di Spirito Santo prima che il suo Signore vittorioso fosse salito al cielo e avesse ricevuto la promessa del Padre. Questa dottrina è insegnata direttamente in tutto il Nuovo Testamento; era già prefigurata, in tutta la sua integrità, nella figura che meditiamo, dal fatto che, sebbene Aaronne fosse unto prima che il sangue venisse sparso, i suoi figli non potevano esserlo se non dopo (vers. 7 e 21).
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:23
Ma l’ordine seguito qui per l’unzione ci insegna altre cose, oltre l’opera dello Spirito e la posizione della Chiesa. Ci è anche presentata la preminenza personale del Figlio. «Tu ami la giustizia e odii l’empietà. Perciò Dio, l’Iddio tuo, ti ha unto d’olio di letizia a preferenza dei tuoi colleghi» (Salmo 45:7; Ebrei 1:9). Bisogna che i figli di Dio serbino sempre questa verità nelle loro convinzioni e nella loro esperienza. La grazia di Dio, è vero, è manifestata dal fatto meraviglioso che peccatori colpevoli e degni dell’inferno si son trovati ad essere chiamati i «colleghi» del Figlio di Dio; non dimentichiamo mai, però, l’espressione «a preferenza» (o «al di sopra»). Per quanto quest’unione sia stretta, ed essa lo è perché tale è stata resa dagli eterni consigli della grazia, bisogna tuttavia che «in ogni cosa abbia il primato» (Colossesi 1:18). Dev’essere così. Egli è capo su tutto, capo della Chiesa, capo della creazione, capo degli angeli, Signore dell’universo. Gli astri che si muovono nello spazio gli appartengono tutti ed egli ne dirige i movimenti; non uno solo dei vermi che camminano sulla terra sfugge al suo sguardo. Egli è «sopra tutte le cose Dio» (Romani 9:5), «il primogenito d’ogni creatura», «il primogenito dai morti» (Colossesi 1:15-18; Apocalisse 1:5), «il principio della creazione di Dio» (Apocalisse 3:14). «Ogni famiglia nei cieli e sulla terra» (Efesini 3:15) deve schierarsi sotto di lui. Il credente spirituale riconosce questa verità con gratitudine; la sola enunciazione di queste cose fa esultare il cuore del cristiano; chi è condotto dallo Spirito si rallegra a ogni nuova acquisizione sulle glorie personali del Figlio di Dio e non sopporterebbe nulla di ciò che potrebbe intaccare queste glorie. Quando la Chiesa sarà innalzata fino alle più elevate regioni della gloria, la sua gioia sarà di prostrarsi ai piedi di Colui che si abbassò per elevarla fino al punto di associarsela, grazie al sacrificio ch’egli ha compiuto e che, avendo risposto pienamente a tutte le esigenze della giustizia di Dio, ha soddisfatto le affezioni divine, unendo a sé la sua Chiesa in modo inseparabile, come giusto oggetto dell’amore del Padre e nella sua gloria eterna di uomo risuscitato. «Egli non si vergogna di chiamarli fratelli» (Ebrei 2:11).
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