Note sul libro dell’ESODO

Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:15
CAPITOLO 26
Capitolo 26
Abbiamo qui la descrizione dei teli e delle coperte del tabernacolo nei quali lo sguardo spirituale discerne le ombre dei vari tratti e delle varie fasi del carattere di Cristo. «Farai poi il tabernacolo di dieci teli di lino fino ritorto, di filo color violaceo, porporino e scarlatto, con dei cherubini artisticamente lavorati». Sono questi i differenti aspetti sotto i quali appare «Cristo Gesù uomo» (1 Timoteo 2:5). Il «lino fino ritorto» rappresenta la perfetta purezza del suo cammino e del suo carattere così come il violaceo, la porpora e lo scarlatto ce lo mostrano come il «Signore dei cieli» che deve regnare secondo i consigli divini, ma soltanto dopo aver sofferto. Noi abbiamo in Lui un uomo puro e senza macchia, un uomo celeste, un uomo re, un uomo sofferente. I diversi materiali, menzionati qui, non dovevano servire soltanto per «i teli» del tabernacolo, ma essendo impiegati anche per «il velo» (vers. 31), per la «portiera all’ingresso della tenda» (vers. 36), per «la portiera della porta del cortile» (cap. 27:16), per i «paramenti cerimoniali e i paramenti sacri di Aaronne» (cap. 39:1). In una parola vi era Cristo dappertutto, Cristo in tutto, null’altro che Cristo (*).

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(*) L’espressione splendente e puro (Apocalisse 19:8) dà una forza e una bellezza particolari alla figura che lo Spirito Santo ci presenta nel «lino fino». In effetti non vi potrebbe essere emblema più giusto della natura umana pura e senza macchia.
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«Il lino fino ritorto», figura dell’umanità pura e senza macchia di Cristo, offre all’intelligenza spirituale una sorgente preziosa e abbondante di meditazione. La verità riguardante l’umanità di Cristo, dev’essere ricevuta con l’esattezza che ce ne dà l’insegnamento delle Scritture. È una verità fondamentale; se non è accettata, mantenuta, difesa e confessata così come l’ha rivelata Dio nella sua santa Parola, tutto l’edificio che deve basarsi su di essa è inevitabilmente corrotto. Se siamo nell’errore su un punto così capitale, non possiamo essere nella verità su altre cose. Non c’è nulla di più deplorevole dell’incertezza che sembra predomini nei pensieri e nelle espressioni di molti su una dottrina di una tale importanza. Se si avesse più rispetto per la Parola di Dio, la si conoscerebbe certamente meglio e si eviterebbero certe dichiarazioni erronee e non riflettute, che contristano lo Spirito Santo, il cui compito è di rendere testimonianza di Gesù.

Quando l’angelo le annunziò la bella notizia della nascita del Salvatore, Maria gli disse: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Luca 1:34). La sua debole intelligenza non era capace di afferrare, e tanto meno di approfondire, il prodigioso mistero di «Dio manifestato in carne» (1 Timoteo 3:16). Ma ascoltate attentamente la risposta dell’Angelo, non a uno spirito incredulo ma a un cuore pio, seppure ignorante. «Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà dell’ombra sua; perciò ancora il santo che nascerà sarà chiamato Figliuolo di Dio» (Luca 1:35). Maria immaginava, certamente, che quella nascita sarebbe avvenuta secondo i principi ordinari della natura, ma l’angelo corregge il suo errore e, correggendolo, enuncia una delle più grandi verità della Rivelazione. Le dichiara che la potenza divina avrebbe formato un vero uomo: «Il secondo uomo è dal cielo» (1 Corinzi 15:47). Un uomo la cui natura era divinamente pura e assolutamente incapace di ricevere o trasmettere qualche contaminazione. Questo Essere santo fu formato «simile a carne di peccato», senza peccato nella carne (Romani 8:3). Partecipò a una reale carne e a un vero sangue senza un solo atomo o un’ombra di male che invece contaminava la creazione in mezzo alla quale Egli veniva.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:16
Come già abbiamo detto, è questa una verità di prim’ordine alla quale non ci sapremo sottomettere mai completamente e che non si riesce a ritenere con sufficiente fedeltà e fermezza. L’incarnazione del Figlio, seconda persona della Trinità eterna, la sua entrata misteriosa in una carne pura e senza contaminazione, formata dalla potenza dell’Altissimo nel seno della vergine, è il fondamento del «grande mistero della pietà» (1 Timoteo 3:16) il cui apice è un Dio-uomo, glorificato nel cielo, il capo, il rappresentante e il modello della Chiesa riscattata da Dio. La purezza essenziale della sua umanità rispondeva perfettamente alle esigenze di Dio; la realtà di questa umanità rispondeva ai bisogni dell’uomo. Egli era uomo, perché solo un uomo poteva rispondere a tutto ciò che la rovina dell’uomo esigeva e rendeva necessario; ma era un uomo che poteva soddisfare a tutte le esigenze della gloria di Dio. Egli era vero uomo ma puro e senza macchia; Dio poteva trovare in lui il suo piacere, perfettamente, e l’uomo poteva appoggiarsi su lui senza riserve.

Non è necessario ricordare al cristiano che tutto questo, separato dalla morte e dalla risurrezione, è per noi senza frutto. Abbiamo bisogno non solo di un Cristo incarnato ma di un Cristo crocifisso e risuscitato. È vero che per essere crocifisso doveva essere fatto carne; ma sono la sua morte e la sua risurrezione a rendere efficace, per noi, la sua incarnazione. Credere che nell’incarnazione Cristo si sia unito all’umanità peccatrice è addirittura una bestemmia; era una cosa impossibile. Egli stesso ci insegna a questo riguardo: «In verità, in verità io vi dico che, se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore produce molto frutto» (Giovanni 12:24). Non poteva esservi alcuna unione tra una carne di peccato e quest’Essere santo, nato da Maria; tra una carne mortale e corruttibile e Colui in cui Satana non aveva nulla (Giovanni 14:30) e sul quale la morte non aveva alcun potere di modo ch’egli ha potuto «dare» la propria vita (Giovanni 10:18). La morte ch’egli ha sofferto volontariamente è la sola base d’unità fra Cristo e i suoi membri eletti. «... Siamo divenuti una stessa cosa con lui per una morte somigliante alla sua... Il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato» (Romani 6:5-6). «In lui voi siete anche stati circoncisi d’una circoncisione non fatta da mano d’uomo, ma dalla circoncisione di Cristo che consiste nello spogliamento del corpo della carne: essendo stati con lui sepolti nel battesimo nel quale siete anche stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio che ha risuscitato lui dai morti» (Colossesi 2:11-12). Al capitolo 6 dei Romani e al capitolo 2 dei Colossesi, troviamo una espressione particolareggiata dell’importante verità che ci occupa. È solo come morti e risuscitati che Cristo e i suoi possono diventare «uno» (confr. Efesini 1:20 e 2:8). Bisognava che il vero granello di frumento cadesse in terra e morisse perché una spiga piena potesse formarsi ed essere raccolta nel granaio celeste.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:16
Ma, mentre questa verità è chiaramente rivelata nelle Scritture, queste Scritture ci insegnano anche che l’incarnazione formava, per così dire, il primo fondamento del glorioso edificio; e i teli di fine lino ritorto ci presentano in figura la purezza morale dell’«uomo Cristo Gesù». Abbiamo già visto in che modo fu concepito e in che modo nacque (Luca 1:26-38) e se lo seguiamo in tutta la sua vita quaggiù vediamo sempre e ovunque, in lui, questa stessa irreprensibile purezza. Egli passò quaranta giorni nel deserto tentato dal diavolo ma non c’era, nella sua pura natura, nulla che rispondesse alle vili suggestioni del tentatore. Cristo poteva toccare i lebbrosi senza essere contaminato; poteva toccare la salma di un morto senza prendere l’odore della morte. Poteva passare «senza peccato» in mezzo alla corruzione. Era perfettamente uomo ma perfettamente unico nella sua origine, nello stato e nel carattere della sua umanità. Egli solo ha potuto dire: «Non permetterai che il tuo santo vegga (veda) la fossa» (*) (Salmo 16:10). Questo si riferiva alla sua umanità che, in quanto perfettamente santa e pura, poteva portare il peccato. «Egli che ha portato egli stesso i nostri peccati nel suo corpo, sul legno» (1 Pietro 2:24); non «al legno», come qualcuno vorrebbe insegnarci, ma «sul legno». È sulla croce che portò i nostri peccati, e là soltanto, poiché «colui che non ha conosciuto peccato Egli l’ha fatto essere peccato per noi affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui» (2 Corinzi 5:21).

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(*) Il testo originale dice: «..vegga (veda) la corruzione».
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Il colore «violaceo» (o meglio, come altri traducono, il «blu») è il colore del cielo e indica il carattere celeste di Cristo che, sebbene fosse realmente uomo e fosse entrato in tutte le circostanze di una vera e reale umanità «a parte il peccato», era tuttavia il Signore venuto «dal cielo» (1 Corinzi 15:17). Benché fosse «vero uomo» camminò nella coscienza ininterrotta della sua alta dignità, come straniero celeste; non dimenticò mai, un solo istante, da dove era venuto, dov’era, e dove andava. La sorgente della sua gioia era in alto. La terra non poteva renderlo né più ricco né più povero; ha sperimentato che questo mondo era «una terra arida, che langue, senz’acqua» (Salmo 63:1) e, di conseguenza, l’anima sua non poteva abbeverarsi che in alto, nutrirsi solo di ciò che era celeste. «Nessuno è salito in cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figliuol dell’uomo che è nel cielo» (Giovanni 3:13).

Il colore «porporino» è il segno della regalità e ci fa vedere Colui che era nato per essere re dei Giudei (Giovanni 18:37), che si presentò come tale alla nazione giudea e fu rigettato; davanti a Ponzio Pilato fece una bella confessione, confessando che era re, quando, umanamente parlando, non v’era in lui alcuna traccia di regalità. «Tu lo dici; io sono re» (Giovanni 18:37). «Vedrete il Figliuol dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nuvole del cielo» (Marco 14:62, vedere anche Daniele 7:13). Infine, l’iscrizione sulla croce in «ebraico, in latino e in greco», le lingue della religione, del governo e della scienza, diceva ch’egli era «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei» (Giovanni 19:20-21). La terra rinnegò i suoi diritti, per sua propria disgrazia, ma non fu così del cielo: là i diritti di Cristo furono pienamente riconosciuti; Egli fu accolto come un vincitore nell’eterna abitazione della luce; là fu coronato di gloria e di onore, e si sedette, fra le acclamazioni degli eserciti celesti, sul trono della Maestà nei cieli, in attesa che i suoi nemici siano ridotti a sgabello dei suoi piedi. «Perché tumultuano le nazioni, e meditano i popoli cose vane? I re della terra si ritrovano e i principi si consigliano insieme contro l’Eterno e contro il suo Unto, dicendo: Rompiamo i loro legami e gettiamo via da noi le loro funi. Colui che siede nei cieli ne riderà; il Signore si befferà di loro. Allora parlerà loro nella sua ira, e nel suo furore li renderà smarriti: Eppure, dirà, io ho stabilito il mio re sopra Sion, monte della mia santità. Io spiegherò il decreto: l’Eterno mi disse: Tu sei il mio figliuolo, oggi io t’ho generato. Chiedimi, io ti darò le nazioni per tua eredità e le estremità della terra per tuo possesso. Tu le fiaccherai con uno scettro di ferro, tu le spezzerai come un vaso di vasellaio. Ora dunque, o re, siate savi; lasciatevi correggere, o giudici della terra. Servite l’Eterno con timore e gioite con tremore. Rendete omaggio al figlio, che talora l’Eterno non si adiri e voi non periate nella vostra vita, perché d’un tratto l’ira sua può divampare. Beati tutti quelli che confidano in lui!» (Salmo 2).
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:17
Lo «scarlatto» richiama Cristo che versa il suo sangue. «Cristo ha sofferto nella carne» (1 Pietro 4:1). Senza la morte tutto sarebbe stato inutile. Possiamo ammirare il «violaceo» (o blu) e il «porporino», ma senza lo «scarlatto» i caratteri più importanti del tabernacolo sarebbero mancati. È con la morte che Cristo ha distrutto colui che aveva l’impero della morte. Ponendo dinanzi a noi un’immagine di Cristo, vero tabernacolo, lo Spirito Santo non avrebbe potuto omettere questo lato del suo carattere che costituisce il fondamento della sua unione col suo corpo che è la Chiesa, del suo diritto al trono di Davide e della sua signoria su tutta la creazione. In altre parole, in questi teli pieni di significato, lo Spirito Santo ci presenta il Signore Gesù, non solo come uomo puro e senza macchia o come uomo re, ma anche come un uomo che muore; come uno che, con la sua morte, ha acquistato un diritto a tutto ciò che, come uomo, i consigli divini gli avevano destinato.

Ma queste coperture del tabernacolo non sono solo l’espressione delle svariate perfezioni del carattere di Cristo; esse mettono anche in evidenza l’unità e la fermezza di questo carattere, ogni aspetto del quale è perfetto e al posto giusto. L’uno non usurpa l’altro né ne sminuisce la bellezza. Allo sguardo di Dio tutto era perfetta armonia, e così fu presentato nel modello che Mosè vide sul monte (Esodo 25:40; Ebrei 8:5; Atti 7:44) e nella copia che venne rizzata nel deserto. «Tutti i teli saranno di una stessa misura; cinque teli saranno uniti assieme e gli altri cinque teli saran pure uniti assieme» (v. 3). Era questo l’accordo e la giusta proporzione che regnava in tutte le vie di Cristo, uomo perfetto che cammina sulla terra, in qualunque situazione lo consideriamo. Quando agisce in base a uno dei suoi caratteri, non vediamo mai che ciò che fa sia in disaccordo con la divina perfezione di un altro dei suoi caratteri. In ogni tempo, ovunque e in ogni circostanza, egli fu l’uomo perfetto. Non v’era nulla, in lui, che usciva da queste belle e perfette proporzioni che lo caratterizzavano in tutte le sue vie. «Tutti i teli saranno di una stessa misura...».

Al di sopra dei teli che coprivano il tabernacolo, di cui ci siamo occupati, ce n’era un altro di «pelo di capra» (v. 7-14), una tenda che nascondeva la bellezza dei primi a quelli che erano fuori e che rappresentava la separazione rigorosa dal male circostante. Chi era dentro non vedeva quest’ultima tenda. Chi aveva il privilegio di entrare nel luogo santo vedeva solo il violaceo, il porporino, lo scarlatto e il fino lino ritorto, immagine delle virtù e delle perfezioni svariate, ma legate assieme, di questo divino tabernacolo nel quale Dio abitava al di là della cortina; e attraverso questo velo (la carne di Cristo) i raggi della natura divina brillavano così dolcemente che il peccatore poteva contemplarli senza essere atterrato dal loro glorioso splendore.

Mentre il Signore Gesù ha attraversato questo mondo, quanto poco l’hanno realmente conosciuto! Quanto poco hanno avuto gli occhi unti di collirio celeste per penetrare e apprezzare il mistero profondo del suo carattere! Quanto poco seppero vedere il «violaceo, il porporino, lo scarlatto e il lino fino ritorto»! Quando la fede spingeva un uomo alla sua presenza, Gesù permetteva che lo splendore di ciò ch’egli era si manifestasse e che la sua gloria squarciasse le nubi. Per l’occhio naturale potrebbe sembrare che vi fossero nella sua persona riserbo e la severità che erano rappresentate dal «telo di pel di capra» e che erano il risultato della sua separazione profonda e del suo allontanamento non dai peccatori, personalmente, ma dai pensieri e dalle massime degli uomini. Non aveva niente in comune con gli uomini come tali; e non era una capacità della semplice natura umana comprenderlo e gioire di lui. «Niuno può venire a me se non che il Padre, che mi ha mandato, lo attiri» (Giovanni 6:44). E quando uno di quelli che erano attirati confessava il suo nome, egli gli dichiarava: «Non la carne e il sangue t’hanno rivelato questo» (Matteo 16:17). Egli era «come un rampollo, come una radice che esce da un arido suolo», non avendo forma né bellezza da attirare gli sguardi o soddisfare il cuore degli uomini. Le ondate della popolarità non potevano riversarsi su colui che, mentre attraversava così velocemente la scena di questo mondo vano, si avviluppava di «un telo di pel di capra». Gesù non è stato popolare. La moltitudine l’ha seguito per un momento perché, per essa, il suo ministero era connesso ai pani e ai pesci che rispondevano ai loro bisogni, ma era pronta a gridare: «Toglilo di mezzo, crocifiggilo» (Giovanni 19:15), così come: «Osanna al Figliuolo di Davide» (Matteo 21:9). Se ne ricordino i cristiani, i servitori di Cristo e tutti i predicatori dell’Evangelo. Non dimentichiamo mai questo «telo di pel di capra».
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:17
Ma se le pelli di capra esprimevano la rigorosa separazione di Cristo dal mondo, le «pelli di montone tinte in rosso» (v. 14) rappresentavano la sua intera consacrazione e la sua ardente devozione per Dio, nella quale perseverò fino alla morte stessa. Fu il solo servitore perfetto che lavorò nella vigna di Dio. Ebbe un solo scopo e lo perseguì senza deviare dalla mangiatoia alla croce: glorificare il Padre e compiere l’opera che gli aveva dato da fare. Il suo cibo era di fare la volontà di Colui che l’aveva mandato e di compiere l’opera sua (Giovanni 4:34). «Le pelli di montone tinte in rosso» rappresentano un lato del suo carattere, come lo rappresenta la tenda di «pel di capra». La sua perfetta devozione a Dio lo separava dalle abitudini degli uomini.

Le «pelli di tasso» (*) (v. 14) mi sembra che designino la santa vigilanza con la quale il Signore Gesù stava in guardia perché non gli si avvicinasse nulla di ciò che era ostile allo scopo da cui l’anima sua tutt’intera era pervasa. Prese la sua posizione per Dio e la mantenne con una tenacia che nessuna influenza di uomini o di demoni, della terra e dell’inferno, avrebbero potuto sormontare. La coperta di pelli di tasso era al disopra e questo ci mostra che la caratteristica più pronunciata, nel carattere dell’«uomo Cristo Gesù», era un’invincibile determinazione d’essere un testimone di Dio sulla terra. Egli era il vero Naboth, che dava la sua vita piuttosto che rinunciare alla verità di Dio o abbandonare ciò per cui aveva preso posto in questo mondo.

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(*) Alcune versioni traducono «pelli di delfino» ma non è esatto (N.d.T.)
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La capra, il montone, il tasso devono essere considerati come figure di certe caratteristiche naturali così come di certe qualità morali, e bisogna tener conto di ambedue questi lati nelle applicazioni di queste immagini al carattere di Gesù. L’occhio umano non poteva discernere che i caratteri naturali. Non poteva vedere né la grazia, né la bellezza, né la dignità morale che erano nascoste sotto la forma esteriore di Gesù di Nazareth, umile e disprezzato. Quando i tesori della saggezza divina uscivano dalle sue labbra, la gente si chiedeva: «Non è costui il falegname?» (Marco 6:3); «Come mai s’intende costui di lettere senza aver fatto studi?» (Giovanni 7:15). Quando dichiarava d’essere il Figlio di Dio e affermava la sua eterna divinità gli rispondevano: «Tu non hai ancora cinquant’anni», e una volta «presero delle pietre per tirargliele» (Giovanni 8:57-59). In poche parole, la confessione dei Farisei «quant’è a costui non sappiamo di dove sia» (Giovanni 9:29), era quella di tutti gli uomini in generale.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:18
I limiti del nostro lavoro non ci permettono di seguire qui lo sviluppo di questi preziosi caratteri di Gesù, nei racconti degli Evangeli. Ciò che si è detto è sufficiente per aprire al lettore una sorgente di meditazione spirituale e per dargli un’idea dei rari tesori che sono racchiusi nelle immagini dei teli e delle coperte del tabernacolo. Il mistero della persona di Cristo, i suoi segreti moventi, le sue perfezioni, la sua apparenza esteriore priva di tutto ciò che piace agli uomini; ciò ch’egli era per se stesso, ciò che era verso Dio e verso gli uomini; ciò ch’egli era a giudizio della fede e a giudizio della natura, tutto era presentato sotto la figura dei teli di fino lino ritorto, nel violetto, nello scarlatto, nella porpora e nelle coperture del tabernacolo.

«Le assi» per il tabernacolo (v. 15) erano fatte dello stesso legno dell’arca del patto. A sostenerle c’erano delle basi d’argento proveniente dall’offerta (cap. 30:11-16); anche i loro chiodi e i loro capitelli erano in argento (cap. 33:25-28). Tutta l’intelaiatura del tabernacolo posava su ciò che parlava di redenzione e i chiodi e i capitelli riproducevano lo stesso pensiero. I basamenti erano sepolti nella sabbia, i chiodi e i capitelli erano in alto. Qualunque sia la profondità alla quale arriviamo o l’altezza che riusciamo a raggiungere, questa gloriosa ed eterna realtà è dipinta dinanzi a noi: «Ho trovato il riscatto» (Giobbe 33:24). Sia benedetto Iddio che «non con cose corruttibili, con argento o con oro siete stati riscattati... ma col prezioso sangue di Cristo come d’agnello senza difetto né macchia» (1 Pietro 1:18).

Il tabernacolo era diviso in tre parti distinte: il luogo santissimo, il luogo santo, il cortile. Le coperture che chiudevano l’ingresso di ognuna di queste parti erano fatte con gli stessi materiali del padiglione cioè il violetto (o blu), la porpora, lo scarlatto e il lino fino ritorto (cap. 26:31-36 e 27:16). Cristo è la sola porta per la quale si possa entrare nelle differenti regioni della gloria che devono ancora essere manifestate sia nella terra sia nel cielo, sia nei cieli dei cieli. «Ogni famiglia nei cieli e sulla terra» (Efesini 3:15) sarà posta sotto la suprema autorità di Cristo così come ogni famiglia sarà introdotta nella felicità e nella gloria eterne in virtù dell’espiazione che Cristo ha compiuta. Tutto questo è chiaro e per essere capito non richiede nessuno sforzo di immaginazione. La verità è quella e, quando è conosciuta, la rappresentazione è facilmente afferrata. Se i nostri cuori sono ripieni di Cristo non rischiamo di sviarci lontano nelle nostre interpretazioni del tabernacolo e dei suoi accessori. Non è la scienza né la critica che ci sono utili in questo studio, ma un cuore pieno d’amore per Gesù e una coscienza che ha la pace per il sangue della croce.

Che lo Spirito di Dio ci renda capaci di studiare queste cose con un interesse e un’intelligenza maggiore! Che sia Lui ad aprire i nostri occhi perché contempliamo le meraviglie della sua legge (Salmo 119:18).
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