Note sul libro dell’ESODO

Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:05
CAPITOLO 20
Capitolo 20
È importantissimo capire il carattere e l’oggetto della legge morale, come ci è presentata in questo capitolo. C’è una tendenza, nell’uomo, a confondere i principi della legge con quelli della grazia, di modo che né la legge né la grazia possono essere ben comprese; la legge è spogliata della sua austera e inflessibile maestà, e la grazia delle sue attrattive divine. Le sante esigenze di Dio rimangono senza risposta; e il sistema anomalo, creato da quelli che vogliono, così, mescolare la legge e la grazia, non tocca né soddisfa gli svariati e profondi bisogni del peccatore. In realtà, la legge e la grazia non possono unirsi, poiché sono due cose completamente distinte. La legge è l’espressione di ciò che l’uomo dovrebbe essere, la grazia mostra ciò che Dio è. Come potrebbero esse costituire insieme un solo sistema? Come potrebbe il peccatore essere salvato in parte dalla legge, in parte dalla grazia? È impossibile. Bisogna che lo sia o da una o dall’altra.

Qualche volta è stato detto che la legge è l’espressione del pensiero di Dio. Questa definizione è assolutamente falsa. Se dicessimo che la legge è l’espressione del pensiero di Dio riguardo a ciò che l’uomo dovrebbe essere, saremmo più vicini alla verità. A chi volesse vedere i dieci comandamenti come l’espressione del pensiero di Dio, domando se, nel pensiero di Dio, può non esserci altro che «farai» e «non farai». Non c’è dunque per niente grazia, per niente misericordia, per niente bontà? Dio potrebbe non manifestare ciò che è? Potrebbe non rivelare i profondi segreti di amore di cui è pieno il suo cuore? Non vi sono forse, nel carattere di Dio, altro che rigide esigenze e severe proibizioni? Se così fosse bisognerebbe dire «Dio è legge» invece di dire «Dio è amore»! Ma, sia benedetto il suo nome, nel cuore di Dio vi è molto più di ciò che possono esprimere i dieci comandamenti promulgati sulla montagna in fiamme. Se voglio sapere ciò che Dio è, non ho che da guardare a Cristo nel quale abita corporalmente «tutta la pienezza della Deità» (Colossesi 2:9). La legge è stata data da Mosè, la grazia e la verità sono venute da Gesù Cristo. Certamente, nella legge c’è una misura di verità; essa contiene la verità su ciò che l’uomo dovrebbe essere. Come tutto ciò che emana da Dio, essa era perfetta nella sua misura, perfetta per lo scopo in vista del quale era stata data; ma lo scopo non era per nulla quello di rivelare la natura e il carattere di Dio di fronte a dei peccatori colpevoli.

Nella legge non c’era né grazia, né misericordia. «Uno che abbia violato la legge di Mosè muore senza misericordia» (Ebrei 10:28). «L’uomo che farà quelle cose vivrà per esse» (Levitico 18:5; Romani 10:5). «Maledetto chi non si attiene alle parole di questa legge per metterle in pratica» (Deuteronomio 27:26; vedere anche Galati 3:10). Non era quella la grazia. Il monte Sinai non era il luogo dove la si potesse trovare. Dio vi si mostra circondato d’una maestà terribile, in mezzo all’oscurità e alle tenebre, alla tempesta, ai tuoni e ai lampi. Non sono quelle le circostanze che accompagnano un’economia di grazia e di misericordia, ma s’accordavano bene con un’economia di verità e di giustizia; la legge ci da quello e nient’altro.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:05
Nella legge Dio dichiara ciò che l’uomo dovrebbe essere e, se non è tale, lo maledice. Quando l’uomo si esamina alla luce della legge, s’accorge di essere proprio ciò che la legge condanna. Come dunque potrebbe ottenere la vita per mezzo di essa? La legge propone la vita e la giustizia come fini a chi la osserva; ma fin dal primo momento, ci mostra che siamo in uno stato di morte e di iniquità e che, fin dal principio, abbiamo bisogno delle cose che la legge ci propone di raggiungere. Cosa fare? Per compire la legge, devo avere la vita; e per essere quello che la legge vuole che io sia, devo possedere la giustizia; e se non ce l’ho tutte e due, sono «maledetto»; infatti, io non possedo né l’una né l’altra. Ma cosa fare? Ecco la domanda! Rispondano quelli che vogliono essere «dottori della legge» (1 Timoteo 1:7); rispondano in modo da soddisfare una coscienza retta, curva sotto il duplice sentimento della spiritualità e dell’inflessibilità della legge, e dell’impossibilità a correggere la propria natura carnale.

La verità, come ce l’insegna l’apostolo, è che «la legge è intervenuta affinché il fallo abbondasse» (Romani 5:20): è questo il vero scopo della legge. Essa è venuta per dimostrare che il peccatore è estremamente peccatore (Romani 7:13). In un certo senso la legge era come uno specchio perfetto, mandato sulla terra dal cielo per rivelare all’uomo il suo decadimento morale. Se mi metto davanti a uno specchio con un vestito in disordine, lo specchio mi fa vedere il disordine ma non lo rimedia. Se lascio cadere un piombo lungo il tronco tortuoso di un albero esso mi mostra le deviazioni dell’albero ma non lo raddrizza. Se esco in una notte oscura con una lampada, la luce mi fa vedere gli ostacoli e le difficoltà che si trovano sulla mia via, ma non li toglie. Né lo specchio, né il piombo, né la lampada producono i mali che evidenziano; né li producono né li tolgono: non fanno altro che manifestarli. Così è della legge; essa non produce il male nel cuore dell’uomo e nemmeno lo toglie; non fa altro che metterlo a nudo con un’esattezza infallibile.

«Che diremo dunque? La legge è essa peccato? Così non sia; anzi, io non avrei conosciuto il peccato, se non per mezzo della legge; poiché io non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non concupire» (Romani 7:7). L’apostolo non dice che l’uomo non avrebbe avuto la concupiscenza, ma che non avrebbe avuto coscienza della concupiscenza. La concupiscenza era in lui, ma la ignorava finché la lampada dell’Onnipotente (Giobbe 29:3), rischiarando gli anfratti tenebrosi del suo cuore, non manifestò il male che vi si trovava. Così un uomo in una camera oscura può essere circondato da polvere e da disordine senza rendersene conto; ma se entra un raggio di sole subito distinguerà ogni cosa. Non è certamente il raggio di sole a creare la polvere; esso non fa altro che scoprirla e manifestarla. È questo l’effetto che la legge produce. Essa giudica il carattere e la condizione dell’uomo, dimostra che è un peccatore e lo rinchiude sotto la maledizione; giudica ciò che l’uomo è, e lo maledice se non è com’essa dice che dev’essere.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:05
C’è dunque una evidente impossibilità per l’uomo di ottenere la vita e la giustizia da qualcosa che non può fare altro che maledirlo. E, a meno che la condizione del peccatore e il carattere della legge non siano completamente cambiati, la legge può solo maledire il peccatore; non è indulgente verso le infermità e non s’accontenta di un’ubbidienza sincera ma imperfetta; se si accontentasse, cesserebbe d’essere «santa, giusta e buona» (Romani 7:12). Proprio perché la legge è così, il peccatore non può ottenere la vita per mezzo suo. Se lo potesse, o la legge non sarebbe perfetta o l’uomo non sarebbe peccatore. È impossibile che un peccatore acquisti la vita con una legge perfetta che, in quanto tale, lo condanna.

La sua assoluta perfezione manifesta la rovina e la condanna dell’uomo e vi mette un suggello. «Poiché, per le opere della legge nessuno sarà giustificato nel suo cospetto; giacché mediante la legge è data la conoscenza del peccato» (Romani 3:20). L’apostolo non dice «a causa della legge è venuto il peccato», ma è data «la conoscenza del peccato». «Poiché fino alla legge il peccato era nel mondo, ma il peccato non è imputato quando non v’è legge» (Romani 5:13). Il peccato c’era; mancava solo la legge per trasformarlo in trasgressione. Se dico a mio figlio «non toccare quel coltello», la mia proibizione manifesta le tendenze del suo cuore. La proibizione non produce la tendenza ma la manifesta.

L’apostolo Giovanni dice che «il peccato è la violazione della legge» (1 Giovanni 3:4) o, più esattamente, è «uno stato, un cammino senza legge». La versione «violazione della legge», infatti, non rende il vero pensiero dello Spirito; perché vi sia trasgressione bisogna che sia stata posta una regola, una linea di condotta; trasgredire significa varcare una linea proibita. Queste sono le proibizioni della legge: «non uccidere», «non commettere adulterio», «non rubare». Una regola è davanti a me, ma scopro d’avere in me stesso i principi contro i quali queste proibizioni sono dirette; anzi, il fatto stesso che mi sia vietato d’uccidere dimostra che l’omicidio è nella mia natura (vedere Romani 3:15). Sarebbe inutile proibire una cosa quando non c’è la tendenza a commetterla; ma la rivelazione della volontà di Dio, riguardo a ciò che dovrei essere, manifesta chiaramente la tendenza della mia volontà a essere ciò che non dovrei. Questo è chiaro e perfettamente conforme all’insegnamento dell’apostolo.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:06
Molti, tuttavia, pur ammettendo che non possiamo ottenere la vita per la legge, sostengono nello stesso tempo che la legge è la regola della nostra vita. Ma l’apostolo dichiara che «tutti coloro che si basano sulle opere della legge sono sotto maledizione» (Galati 3:10). Poco importa la loro condizione individuale; se sono sul terreno della legge, sono necessariamente sotto maledizione. Qualcuno potrà dire: io sono rigenerato, quindi non sono esposto alla maledizione. Ma se la rigenerazione non trasporta l’uomo fuori dal terreno della legge, non può porlo al di là dei confini della maledizione. Se il cristiano è sotto la legge, necessariamente è esposto alla maledizione della legge. Ma la legge ha forse a che fare con la rigenerazione? Dove troviamo la rigenerazione in questo capitolo 20 dell’Esodo? La legge ha una sola domanda da fare all’uomo; una domanda breve e seria: «Sei come dovresti essere?». Se la risposta è negativa, la legge non può che lanciare i suoi terribili anatemi e uccidere l’uomo. E chi riconoscerà più profondamente di essere all’opposto di ciò che dovrebbe, se non l’uomo veramente rigenerato? Così, se è sotto la legge, è sotto la maledizione. Non è possibile che la legge diminuisca le proprie esigenze e neanche che si mescoli con la grazia.

Gli uomini, sentendo di non poter pervenire a elevarsi fino alla misura della legge, cercano di abbassarla fino a loro; invano. La legge resta ciò che è in tutta la sua purezza, la sua maestà, la sua austera inflessibilità; non accetta altro che un’ubbidienza perfetta, assolutamente. E qual è l’uomo, rigenerato o no, che possa pensare di obbedire così? Si dirà: Noi abbiamo la perfezione in Cristo. È vero; ma per grazia, non per la legge; non possiamo confondere le due economie. La Scrittura ci insegna a lungo e chiaramente che non siamo giustificati dalla legge; ma la legge non è nemmeno la regola della nostra vita. Ciò che può solo maledire non può mai giustificare e ciò che può solo uccidere non può essere una regola di vita. Nessuno potrebbe cercare di far fortuna con un bilancio che lo dichiara in fallimento.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:06
La lettura del cap. 15 degli Atti ci insegna come lo Spirito Santo risponde a ogni tentativo che vorrebbe porre i credenti Gentili sotto la legge come regola di vita. «Ma alcuni della setta dei farisei, che avevano creduto, si levarono dicendo: Bisogna far circoncidere i Gentili e comandar loro di osservare la legge di Mosè» (v. 5). Questa oscura e penosa insinuazione dei legalisti dei primi tempi del Cristianesimo non è altro che l’insinuazione del serpente antico. Ma la potente energia dello Spirito Santo e la voce unanime dei dodici apostoli e di tutta la Chiesa, risposero come leggiamo ai versetti 7 e 8: «Ed essendone nata una gran discussione, Pietro si levò in pie’, e disse loro: Fratelli, voi sapete che fin dai primi giorni Iddio scelse fra voi me, affinché dalla bocca mia, i Gentili udissero... — che cosa? Forse le esigenze e le maledizioni della legge di Mosè? No, sia benedetto Dio! Non era quello il messaggio ch’egli voleva far udire ai poveri peccatori senza forza — ... la parola del Vangelo e credessero». Ecco ciò che si addiceva al carattere e alla natura di Dio, e quei Farisei che si levavano contro Barnaba e Paolo non erano inviati da lui; non portavano buone novelle, non proclamavano la pace; i loro piedi erano tutt’altro che belli agli occhi di Colui che si compiace solo nella misericordia.

L’apostolo continua: «Perché dunque tentate adesso Iddio mettendo sul collo dei discepoli un giogo che né i padri nostri né noi abbiam potuto portare?» (v. 10). Parole gravi e serie. Dio non voleva che si mettesse un giogo sul collo di coloro i cui cuori erano stati affrancati dall’evangelo della pace; voleva piuttosto esortarli a rimanere fermi nella libertà di Cristo e a non lasciarsi «di nuovo porre sotto il giogo della schiavitù» (Galati 5:1). Quelli che aveva ricevuto nel suo seno non voleva mandarli alla montagna «che si toccava con la mano» per essere terrificati dalla caligine, dalla tenebria e dalla tempesta (Ebrei 12). Come potremmo accettare l’idea che Dio volesse governare con la legge quelli che aveva ricevuti in grazia? «Noi crediamo d’essere salvati per la grazia del Signore Gesù, nello stesso modo che loro», dice Pietro (Atti 15:11). I Giudei che avevano ricevuto la legge e i Gentili che non l’avevano ricevuta dovevano ormai essere salvati per grazia. E non solo dovevano essere «salvati per grazia», ma dovevano stare saldi nella grazia e crescere nella grazia (Romani 5:1-2; Galati 5:1; 2 Pietro 3:18). Insegnare diversamente era tentare Dio. Questi Farisei capovolgevano i fondamenti stessi della fede del cristiano ed è ciò che fanno quelli che cercano di mettere il credente sotto la legge. Agli occhi del Signore non c’è male o errore più abominevole del legalismo. Ascoltate il linguaggio energico e gli accenti della giusta indignazione di cui lo Spirito Santo si serve riguardo a questi dottori della legge: «Si facessero pur evirare quelli che vi conturbano» (Gelati 5:12).
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:07
I pensieri dello Spirito Santo sono forse mutati su questo soggetto? Non è sempre «tentare Dio» mettere il giogo della legge sul collo del peccatore? È forse secondo la sua volontà di grazia che la legge sia presentata ai peccatori come espressione del pensiero divino a loro riguardo? Il lettore risponda a questa domanda alla luce del cap. 15 del libro degli Atti e dell’epistola ai Galati. Questi due passi della Scrittura basterebbero da soli, se non ve ne fossero altri, a provare che l’intento di Dio non è mai stato che «le nazioni dovessero udire le parole della legge». Se questa fosse stata la sua intenzione, avrebbe di certo scelto qualcuno per proclamarla. Invece no; quando Dio proclama la sua legge terribile, parla in una sola lingua: «tutto quello che la legge dice lo dice a quelli che son sotto la legge» (Romani 3:19); ma quando proclama la buona novella della salvezza per mezzo del sangue dell’Agnello, parla la lingua «d’ogni nazione di sotto il cielo». Parla in modo tale che ciascuno nella sua propria lingua possa udire il dolce racconto della grazia (Atti 2:1-11).

Quando Dio proclamò, dall’alto del Sinai, le dure esigenze del patto delle opere si rivolse a un popolo solo; la sua voce fu udita solo negli stretti limiti del popolo giudeo. Ma quando Cristo risorto inviò i suoi messaggeri della salvezza, disse loro: «Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo a ogni creatura» (Marco 16:15; Luca 3:6). L’impetuoso fiume della grazia di Dio, il cui letto era stato aperto dal sangue dell’Agnello, doveva, con l’energia irresistibile dello Spirito Santo, straripare oltre la stretta cinta di Israele e spandersi su un mondo contaminato dal peccato. Bisogna che ogni creatura oda, nella sua propria lingua, il messaggio di pace, la parola dell’Evangelo, la novella della salvezza per mezzo del sangue della croce. Infine, affinché nulla mancasse per dare ai nostri poveri cuori legalisti la prova che non era il monte Sinai il luogo della rivelazione dei segreti di Dio, lo Spirito ha detto per bocca di un profeta e d’un apostolo: «Quanto sono belli sui monti i piedi del messaggero di buone novelle» (Isaia 52:7; Romani 10:15). Ma il medesimo Spirito dice, di quelli che vogliono essere dottori della legge: «Si facessero pur anche evirare quelli che vi mettono sottosopra».
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:07
È evidente, quindi, che non è la legge il fondamento della vita del peccatore e nemmeno la regola della vita per il cristiano. Cristo è l’una e l’altra. È la nostra vita e la nostra regola di vita. La legge non può che maledire e uccidere. Cristo è la nostra vita e la nostra giustizia; è stato fatto maledizione per noi essendo appeso al legno. Discese nel luogo dove il peccatore giaceva, nella morte e nel giudizio; e, con la sua morte, ci ha liberati da tutto ciò che è contro di noi o poteva esserlo, divenendo, in risurrezione, la sorgente della vita e il fondamento della giustizia per quelli che credono nel suo nome.

Possedendo così la vita e la giustizia in Lui, siamo chiamati a camminare non solo come ordina la legge ma «nel mondo ch’Egli camminò» (1 Giovanni 2:6). È quindi superfluo affermare che uccidere, commettere adulterio, rubare, sono atti direttamente opposti alla morale cristiana. Ma se un cristiano regolasse la propria vita in base a quei comandamenti o a tutto il decalogo, come potrebbe produrre quei preziosi e delicati frutti di cui ci parla l’epistola agli Efesini? I dieci comandamenti indurrebbero forse un ladro a non rubare più ma a lavorare per averne da dare agli altri? Trasformerebbero il ladro in un uomo laborioso e onorevole? Certamente no. La legge dice: «Non rubare» ma non dice: Va, da’ a chi è nel bisogno; da’ da mangiare al tuo nemico, dagli da vestirsi, benedicilo. Rallegra con la tua benevolenza e coi tuoi atti di bontà il cuore di chi ha sempre cercato di farti del male. Eppure, se io fossi sotto la legge come regola, essa non potrebbe fare altro che maledire e uccidermi. Come si può spiegare questo se la santità cristiana è così di tanto più elevata? Perché io sono debole e la legge non mi dà nessuna forza, non mi dimostra nessuna misericordia. Essa esige forza da chi non ne ha e maledice chi non può mostrarne. L’Evangelo dà forza a chi non ne ha e benedice, nella manifestazione di questa forza. La legge presenta la vita come il risultato dell’obbedienza; l’Evangelo dà la vita come solo vero fondamento dell’obbedienza.

Ma, per non stancare il lettore con tutte queste argomentazioni, vorrei chiedergli se in qualche parte del Nuovo Testamento ha trovato la legge presentata come regola di vita. L’apostolo non aveva certo quest’idea quando scriveva: «Poiché tanto la circoncisione che l’incirconcisione non sono nulla; quel che importa è l’essere una nuova creatura. E su quanti cammineranno secondo questa regola siano pace e misericordia, e così siano sull’Israele di Dio» (Galati 6:15-16). Quale regola? La legge? No, ma la nuova creazione. Ora, nel capitolo 20 dell’Esodo, non è mai parlato di «nuova creazione», anzi questo capitolo si rivolge all’uomo nel suo stato naturale che è della vecchia creazione e lo mette alla prova per sapere ciò che è veramente in grado di fare. Se dunque fosse la legge la regola secondo la quale i credenti devono camminare, come mai l’apostolo pronuncia una benedizione su coloro che camminano secondo una regola completamente diversa? Perché non dice: E a quanti cammineranno secondo la regola dei dieci comandamenti? È evidente che la Chiesa di Dio ha una regola ben più elevata in base alla quale deve camminare. Benché i dieci comandamenti facciano incontestabilmente parte dei libri ispirati, non possono mai essere la regola di vita per colui che, per infinita grazia, è stato introdotto in una nuova creazione e ha ricevuto una nuova vita in Cristo.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:07
Ma qualcuno domanderà: Non è perfetta la legge? Se lo è, cosa volete di più? La legge è divinamente perfetta. Anzi, proprio per questa perfezione maledice e uccide quelli che non sono perfetti e cercano di sussistere dinanzi ad essa «...La legge è spirituale; ma io sono carnale» (Romani 7:14). È assolutamente impossibile farsi una giusta idea della perfezione e della spiritualità della legge. Ma quando questa legge perfetta è messa a contatto con l’umanità decaduta, quando, questa legge spirituale, incontra «il pensiero della carne» (*), non può produrre altro che «inimicizia» e «ira» (vedere Romani 4:15; 8:7). Perché? Forse perché non è perfetta? Al contrario, proprio perché lo è e l’uomo è peccatore. Se l’uomo fosse stato perfetto, avrebbe adempiuto la legge in tutta la sua perfezione spirituale. L’apostolo stesso ci insegna che, quanto ai veri credenti, benché abbiano ancora una natura corrotta, il comandamento della legge è «adempiuto in noi che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito» (Romani 8:4). «Chi ama il prossimo ha adempiuto la legge... L’amore non fa male alcuno al prossimo; l’amore, quindi, è l’adempimento della legge» (Romani 13:8-10; Galati 5:14,22,23). Se amo una persona, non le rubo certo ciò ch’è suo, anzi cerco di farle tutto il bene che posso. Questo è chiaro e facile da capire per un’anima spirituale e confonde chi vuol fare della legge il principio della vita per il peccatore o la regola della vita per il credente.

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(*) Nella versione italiana: «ciò a cui la carne ha l’animo».
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Se consideriamo la legge nei suoi due grandi comandamenti, vediamo che ordina all’uomo di amare Dio con tutto il suo cuore, con tutta l’anima sua e con tutta la mente sua e il suo prossimo come se stesso. Questo è il riassunto della legge. La legge vuole quello e niente di meno. Ma qual è il figliuolo decaduto di Adamo che abbia mai risposto a questa duplice esigenza della legge? Quale uomo potrebbe dire di amare Dio e il suo prossimo così? «Ciò a cui la carne ha l’animo è inimicizia contro Dio perché non è sottomesso alla legge di Dio e neppure può esserlo» (Romani 8:7). L’uomo odia Dio e le sue vie. Dio è venuto nella persona di Cristo. Si è manifestato all’uomo non nello splendore terribile della sua maestà ma in tutta la bellezza e la dolcezza di una grazia e una condiscendenza perfette. Quale fu il risultato? L’uomo odia Dio. «Ma ora le hanno vedute (le opere fatte tra loro) e hanno odiato e me e il Padre mio» (Giovanni 15:24). Qualcuno dirà: Ma l’uomo doveva amare Dio; certamente, e se non lo ama merita morte e perdizione eterna. Ma può la legge produrre questo amore nel cuore dell’uomo? È quello il suo scopo? Certamente no. La legge produce ira; mediante la legge è data la conoscenza del peccato. Essa fu aggiunta a motivo delle trasgressioni (Romani 4:15; 3:20; Galati 3:19). La legge trova l’uomo in uno stato di inimicizia contro Dio e, senza modificare questo stato, poiché non è il suo compito, ordina all’uomo d’amare Dio con tutto il suo cuore e lo maledice se non lo fa. Non è in potere della legge il cambiare o migliorare la natura dell’uomo; non può nemmeno dargli la capacità di rispondere alle sue giuste esigenze. Essa dice: «Fa’ questo e vivrai». Quando ordinava all’uomo d’amare Dio non rivelava ciò che Dio era per l’uomo nella sua colpa e rovina: diceva all’uomo ciò che doveva essere lui per Dio. Che terribile ministero! Non era la manifestazione delle potenti attrattive del carattere di Dio che produce nell’uomo un vero pentimento verso Dio, fondendo il suo cuore di ghiaccio ed elevando l’anima sua a una affezione sincera e ad una vera adorazione. La legge era un comandamento perentorio d’amare Dio; e, invece di creare questo amore, produceva l’ira, non perché Dio non dovesse essere amato, ma perché l’uomo era un peccatore.
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:08
Poi «ama il prossimo tuo come te stesso». L’uomo naturale può forse amare il suo prossimo come se stesso? È forse questo il principio dominante nel commercio, nelle banche, alla borsa, nei mercati del mondo? Ahimè, no! L’uomo non ama il suo prossimo come ama se stesso; dovrebbe farlo, senza dubbio; se la sua condizione fosse buona, lo farebbe. Il suo stato è totalmente rovinato e, a meno che non sia nato di nuovo (Giovanni 3:3,5), con la Parola e lo Spirito di Dio, non può né vedere il regno di Dio, né entrarvi. La legge non può produrre questa nuova nascita. Essa uccide l’uomo vecchio ma non crea né può creare un uomo nuovo. Sappiamo che il Signore Gesù riunisce, nella sua gloriosa Persona, Dio e il nostro prossimo, dato che era, secondo la verità fondamentale della dottrina cristiana, «Dio manifestato in carne» (1 Timoteo 3:16). Come ha l’uomo trattato Gesù? L’ha forse amato con tutto il suo cuore e come se stesso? Al contrario, lo crocifisse fra due briganti dopo aver preferito un ladro e omicida a questo Essere benedetto che era andato di luogo in luogo facendo il bene (Atti 10:38); che era sceso dalle eterne dimore della luce e dell’amore essendo, egli stesso, la personificazione vivente di quell’amore e di quella luce; il cui cuore era pieno della più pura simpatia per i bisogni dell’umanità, la cui mano era sempre stata pronta ad asciugare le lacrime del peccatore, ad alleviarne le sofferenze. Così, contemplando la croce di Cristo, vediamo la irrecusabile dimostrazione che non è in potere della natura umana l’osservare la legge.

Dopo tutta questa esposizione c’è un particolare interesse per l’uomo spirituale a considerare la posizione relativa di Dio e del peccatore alla fine di questo memorabile capitolo. «E l’Eterno disse a Mosè: Di’ così ai figliuoli di Israele: ...fammi un altare di terra; e su questo offri i tuoi olocausti, i tuoi sacrifici di azioni di grazie, le tue pecore e i tuoi buoi; in qualunque luogo dove farò che il mio nome sia ricordato, io verrò a te e ti benedirò. E se mi fai un altare di pietre, non lo costruire di pietre tagliate; perché, se tu alzassi su di esse lo scalpello tu le contamineresti. E non salire al mio altare per gradini, affinché la tua nudità non si copra sovr’esso» (vv. 22-26).
Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 20:08
Qui non vediamo l’uomo nella posizione di uno che fa le opere ma in quella dell’adoratore; tutto questo alla fine del capitolo. È evidente che non è l’atmosfera del Sinai che Dio vuole fare respirare all’uomo e che non è al Sinai che Dio e l’uomo possono incontrarsi. «In qualunque luogo dove farò che il mio nome sia ricordato, io verrò a te e ti benedirò». Come è diverso dai terrori della montagna in fiamme questo luogo in cui l’Eterno fa sì che il suo nome sia ricordato, in cui viene per benedire il suo popolo di adoratori!

Ma Dio vuole incontrare il peccatore su un altare di pietre non tagliate e senza gradini, in un luogo di culto che, per essere eretto, non richieda all’uomo nessun lavoro e non implichi nessuna fatica per salirvi sopra. Le pietre tagliate dal lavoro dell’uomo avrebbero contaminato l’altare; i gradini avrebbero scoperto la nudità umana. Che bella figura del centro del radunamento nel quale Dio si incontra ora col peccatore, cioè la persona e l’opera del Suo Figliuolo Gesù Cristo, nel quale trovano una completa soddisfazione di tutte le esigenze della legge, della giustizia e della coscienza! In ogni tempo e ovunque, l’uomo è sempre stato incline a prendere in mano lo scalpello per erigere il suo altare e a salire su esso con dei gradini di sua fabbricazione. Ma il risultato di questi tentativi è stato la «contaminazione» e la «nudità». «Tutti quanti siamo diventati come l’uomo impuro e tutta la nostra giustizia come un abito lordato; tutti quanti appassiamo come una foglia» (Isaia 64:6). Chi oserebbe avvicinarsi a Dio in veste «contaminata», sporca? O presentarsi per adorare nella completa «nudità»? Non si può pensare di avvicinarsi a Dio in un modo che implichi necessariamente contaminazione e nudità. Eppure è ciò che si verifica ogni volta che il peccatore con i propri sforzi vuole aprirsi una via per arrivare a Dio. Non soltanto questo sforzo è inutile ma porta il suggello della contaminazione e della nudità. Dio si è talmente avvicinato al peccatore, fin nelle profondità della sua rovina, che non c’è nessun bisogno di adoperare lo scalpello del legalismo o di salire i gradini della propria giustizia; il farlo è manifestare contaminazione e nudità.

Sono questi i principi coi quali lo Spirito Santo conclude questa considerevole porzione del libro ispirato. Si imprimano essi in modo incancellabile nei nostri cuori affinché comprendiamo più chiaramente e più completamente la differenza che c’è fra la legge e la grazia!
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