Note sul libro dell’ESODO

Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 18:05
CAPITOLO 1

Note sul libro dell’ESODO

Charles Henry Mackintosh

Li condusse per la diritta via.” (Salmo 107:7)


1. Capitolo 1

Il soggetto principale del libro dell’Esodo è la Redenzione.

I primi cinque versetti ricordano le ultime scene del libro precedente. I prescelti dal favore di Dio sono posti dinanzi a noi; in seguito, l’autore ispirato ci pone immediatamente fra gli avvenimenti che co­stituiscono il soggetto dell’insegnamento di questo libro,

Abbiamo visto, meditando la Genesi, che il comporta­mento dei fratelli di Giuseppe, riguardo a quest’ultimo, finì per portare in Egitto la famiglia di Giacobbe. Questo fatto può essere visto sotto due aspetti: prima, il so­lenne insegnamento che troviamo nel modo di agire di Israele nei confronti di Dio, e poi, la lezione piena di incoraggiamento data dallo spiegamento delle vie di Dio verso Israele.

È davvero solenne seguire fino alla fine i risultati della malvagità con cui i figliuoli di Israele agirono verso colui nel quale l’occhio spirituale discerne una figura sorprendente del Signore Gesù. Indifferenti all’angoscia di cui era ricolma l’anima sua, essi consegnano Giuseppe nelle mani degli incirconcisi: e quale ne è, per loro, la conseguenza? Sono costretti ad andare in Egitto per attraversare profondi e dolorosi esercizi di cuore, dipinti in modo semplice ma commovente negli ultimi capitoli della Genesi. Ma c’è di più: alla loro pro­genie, in quello stesso paese dove Giuseppe trovò una prigione, è riservato un lungo periodo di prova.

Ma, in tutto questo, c’era Dio così come c’era l’uo­mo: ed è la prerogativa di Dio di trarre il bene dal male. I fratelli di Giuseppe potevano venderlo agli Ismaeliti e questi a Potifar e Potifar può cacciarlo in prigione, ma l’Eterno (*) è al di sopra di ogni cosa e com­pie i suoi grandi e meravigliosi disegni. «Il furore degli uomini ridonderà alla tua lode» (Salmo 76:10). Non era ancora venuto il tempo in cui gli eredi erano pronti per l’eredità e l’eredità per gli eredi. La discendenza di Abrahamo doveva passare per la dura scuola del lavoro dei mattoni in Egitto nell’attesa che l’iniquità degli Amorrei giungesse al colmo nel «paese di monti e di valli» della terra promessa (Genesi 15,:16 e Deuteronomio 11:11).

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(*) In Ebraico: Yhwh o Jahveh, cioè «Colui che è».

Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 18:06

Tutto ciò è molto interessante e istruttivo. Nel go­verno di Dio una ruota è attraversata da un’altra ruota (Ezechiele 1:16). Dio si serve di vari mezzi per compire i suoi disegni. La moglie di Potifar, capitano delle guardie del Fa­raone, il sogno di Faraone, Faraone stesso, la prigione, il trono, i ceppi, l’anello del re, la carestia, tutto è a sua completa disposizione ed Egli fa concorrere ogni cosa per l’adempimento dei suoi meravigliosi piani. L’uomo spirituale si diletta a meditare queste cose; si diletta a percorrere con lo spirito il vasto dominio della creazione e della provvidenza e a riconoscere, ovunque, come l’Iddio onnisapiente e onnipotente ordini e sistemi tutto per sviluppare i disegni del suo amore redentore.

Si scoprono, è vero, molte tracce del serpente, molte impronte dei piedi del nemico di Dio e degli uomini, profonde e ben marcate; cose che non possiamo spiegare, nemmeno comprendere: l’innocenza che soffre e la malvagità che prospera possono offrire ai ragiona­menti increduli degli scettici un apparente fondamento di verità; ma il vero credente riposa con fiducia sulla certezza che «il giudice di tutta la terra farà giustizia » (Genesi 18:25). Egli sa che la cieca incredulità non può che errare, e che scruta invano le vie di Colui che, egli solo, è l’interprete di se stesso.

Benediciamo Dio per la consolazione e l’incoraggia­mento che l’anima nostra attinge nelle riflessioni su questa natura. Ne abbiamo bisogno continuamente nell’attraversare questo iniquo mondo in cui il nemico ha introdotto un male e un disordine spaventosi, in cui le concupiscenze e le passioni producono dei frutti così amari e in cui il cammino del discepolo fedele è così scabroso che la natura umana, ridotta a se stessa, non potrebbe mai percorrerlo.

La fede sa, in modo assolutamente certo, che dietro la scena c’è Qualcuno che il mondo non vede e del quale non si cura; e, in questa certezza, può dire con calma «tutto va bene» e «tutto andrà bene».

Sono state le prime righe del libro dell’Esodo a suggerirci le riflessioni precedenti. «Il mio piano sus­sisterà e metterò ad effetto tutta la mia volontà» (Isaia 46:10). Il nemico può opporsi ma Dio si mo­strerà sempre più forte di lui e, quanto a noi; ciò di cui abbiamo bisogno è la semplicità e lo spirito di un fanciullo che si riposa con fiducia su Dio e sui suoi disegni.

L’incredulo guarda agli sforzi che fa il Nemico per contrastare i piani di Dio piuttosto che alla potenza divina che li compie. La fede ha gli sguardi rivolti sulla potenza di Dio e riporta così la vittoria, godendo di una pace costante. Essa ha a che fare con Dio e con la sua fedeltà che non viene mai meno; non si appoggia sulle sabbie mobili delle umane cose e delle influenze ter­rene, ma sulla «rocca» immutabile della Parola di Dio. Questa Parola è il santo e sicuro rifugio della fede; qualunque cosa capiti, il credente abita questo santuario di forza. «Giuseppe morì come moriron pure tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione»; ma che importa? Potrà la morte nuocere ai consigli dell’Iddio vivente? Certamente no. Dio aspettava solo il momen­to stabilito, il tempo adatto, per piegare al servizio dello sviluppo dei propri disegni, anche le circostanze più ostili.

Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 18:06

«Or sorse sopra l’Egitto un nuovo re che non ave­va conosciuto Giuseppe. Egli disse al suo popolo: Ecco, il popolo dei figliuoli d’Israele è più numeroso e più potente di noi. Orsù, usiamo prudenza con essi; che non abbiano a moltiplicare e, in caso di guerra, non abbiano a unirsi ai nostri nemici e combattere contro di noi e poi andarsene dal paese» (v. 8-10).

È questo il ragionamento d’un cuore che non ha imparato a far entrare Dio nei propri calcoli. Un cuore non rigenerato non può tener conto di Dio, di modo che, quando si tratta di Lui, i suoi ragionamenti cadono nel nulla; al di fuori di Dio, indipendentemente da lui, i suoi piani e i suoi calcoli possono sembrare molto saggi; ma da quando entra in scena Dio, la loro com­pleta follia è manifestata.

Perché dunque ci lasceremo noi influenzare da ragionamenti la cui apparente verità si basa sulla totale esclusione di Dio? L’agire così è, in linea generale, dell’ateismo pratico. Faraone poteva calcolare con esat­tezza le diverse eventualità degli affari umani: l’aumen­to numerico del popolo, la probabilità d’una guerra, la possibilità che gli Israeliti facessero alleanza col ne­mico, la loro fuga dal paese; poteva, con insolita abilità, pesare tutte quelle circostanze, ma non gli è mai ve­nuto in mente, neanche per un istante, che Dio poteva avere qualcosa da fare in tutto ciò. Questo solo pen­siero, se gli fosse salito in cuore, avrebbe capovolto tutti i suoi ragionamenti e messo a nudo la follia di tutti i suoi piani.

Bisogna, dunque, che ci persuadiamo che è sempre così: i ragionamenti dello spirito incredulo dell’uomo escludono Dio, in modo assoluto; non solo, ma la loro verità e la loro forza si basano su questa esclusione. L’introdursi di Dio sulla scena dà il colpo di grazia ad ogni scetticismo e incredulità. Se, fino a quel momento, possono glorificarsi sfoggiando la loro abilità, da quando l’occhio intravede il più pallido riflesso del beato Iddio, essi si trovano spogli del loro manto e messi a nudo in tutta la loro deformità.

Nel caso del re di Egitto si può ben dire che «er­rava grandemente» non conoscendo Dio né i suoi im­mutabili consigli (confr. Marco 12:24-27). Egli igno­rava che da secoli, prima che lui stesso venisse al mondo, la Parola e il giuramento di Dio, queste due cose immutabili, avevano assicurato la liberazione com­pleta e gloriosa di quel popolo che lui, Faraone, si proponeva di distruggere. Faraone non sapeva nulla di tutto ciò; i suoi pensieri e i suoi piani si basavano sull’ignoranza di questa grande verità, fondamento di ogni verità: che Dio è. Egli immaginava, follemente, di poter impedire con la sua saggezza e il suo potere, l’incremento di quel popolo, riguardo al quale Dio aveva detto: «Io moltiplicherò la tua progenie come le stelle del cielo e come la rena ch’è sul lido del mare» (Genesi 22:17): per questo tutti i suoi piani e la sua sag­gezza non erano che follia.

Agire senza tener conto di Dio è l’errore più grande in cui possa cadere un uomo. Presto o tardi, il pensiero di Dio si imporrà al suo spirito e allora tutti i suoi piani e i suoi calcoli saranno annientati. Ciò che l’uomo intraprende, con indipendenza da Dio, può durare tut­t’al più per il tempo presente. Tutto ciò che è umano, per quanto solido, brillante e attraente possa essere, è destinato a diventare preda della morte e a divenire polvere nelle tenebre e nel silenzio della tomba. Tutta la gloria e la magnificenza dell’uomo saranno sepolte sotto le «zolle della valle» (Giobbe 21:33). L’uomo ha in fronte il marchio della morte e tutti i suoi progetti svaniscono perché sono passeggeri. Al contrario, tutto ciò che si riferisce a Dio e che si basa su lui, durerà in eterno. «Il suo nome durerà in eterno, il suo nome sarà perpetuato finché duri il sole» (Salmo 72:17).

Quanto è grande, dunque, la follia del debole mortale che si innalza contro l’Eterno Iddio, che gli si slancia «audacemente contro sotto il folto dei suoi scudi con­vessi»! (Giobbe 15:26).

Per il re d’Egitto sarebbe stato più facile tentare di fermare, con la sua debole mano, il movimento delle acque del mare, che voler impedire l’aumento di questo popolo, oggetto degli eterni disegni di Dio. E così, anche quando «stabilirono sopra Israele dei soprastanti ai lavori che l’opprimessero con le loro angherie» (v. 11), «più l’opprimevano e più il popolo moltiplicava e si estendeva» (v. 12). È sempre così. «Colui che siede nei cieli ne riderà; il Signore si befferà di loro» (Salmo 2:4). Sarà eternamente confusa ogni opposizione d’uomini e di demoni. Questa sicurezza dà riposo al cuore in un mondo in cui tutto è così contrario a Dio e alla fede.

Gian-
00giovedì 21 aprile 2011 18:07
Se non avessimo la ferma fiducia che «il furore degli uomini ridonderà alla lode di Dio» (Salmo 76:10), saremmo spesso abbattuti di fronte alle circostanze e alle influenze fra le quali ci troviamo in questo mondo. Ma, sia benedetto Dio, i nostri sguardi sono intenti «non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono son solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne» (2 Corinzi 4:18). Con, una tale certezza possiamo ben dire: «Sta’ in silenzio dinanzi all’Eterno e aspettalo; non ti crucciare per colui che prospera nella sua via, per l’uomo che riesce nei suoi malvagi disegni» (Sal­mo 37:7). Come brilla chiaramente, nel racconto che ci occupa, la veridicità di queste parole sia per gli oppressi che per gli oppressori! Cosa vedeva Israele se guardava alle cose che si vedono? L’ira di Faraone, gli esattori di imposte, un servizio rigoroso, una dura schiavitù, argilla e mattoni; ma quali erano le «cose che non si vedono»? L’eterno disegno di Dio, la sua infallibile promessa, l’aurora vicina del giorno di sal­vezza, la fiaccola di fuoco di l’Eterno liberatore. Che con­trasto meraviglioso! Solo la fede poteva coglierlo, così come per la fede soltanto un povero Israelita oppresso poteva distogliere lo sguardo dal forno fumante del­l’Egitto per rivolgerlo sulle verdi campagne e sui ricchi vigneti della terra di Canaan. Solo la fede era capace di riconoscere in quegli schiavi oppressi e costretti al duro lavoro dei forni e dei mattoni in Egitto, gli oggetti dell’interesse e del favore speciale del cielo.

Oggi è come allora: «camminiamo per fede e non per visione» (2 Corinzi 5:7): «non è ancora reso manife­sto quel che saremo» (1 Giovanni 3:2). Quaggiù siamo «assenti dal Signore mentre abitiamo nel corpo» (2 Corinzi 5:6).

Se, in effetti, ci troviamo in Egitto, in ispirito tut­tavia siamo nella Canaan celeste: La fede pone il cuore nella potenza delle cose celesti e invisibili rendendolo così capace di elevarsi al di sopra di tutto ciò che è di quaggiù, dove regna l’ombra della morte.

Come non avremo noi questa fede infantile che si siede presso la sorgente pura ed eterna della verità, dissetandosi a lunghi sorsi a quelle acque ristoratrici che rilevano l’anima abbattuta e trasmettono all’uomo nuovo la forza necessaria per proseguire la corsa verso il cielo?

Gli ultimi versetti di questo capitolo ci offrono una lezione edificante nel modo di agire di Scifra e di Pua, donne timorate di Dio. Eludendo la collera del re, esse non vollero fare ciò che Faraone ordinava, «e Dio fece prosperare le loro case». «Io onoro quelli che m’ono­rano e quelli che mi sprezzano saranno avviliti» (1 Samuele 2:30).

Ricordiamocene sempre e agiamo per Dio in ogni circostanza!
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