Non vi lascerò orfani

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T@li@
00mercoledì 10 giugno 2009 21:32


di Daria Bignardi

Questo libro, pur raccontando una morte, parla della vita. E ci dice che è sempre meglio dare che non dare, anche quando si sbaglia. Perché in una famiglia l'unica cosa che fa davvero male è l'assenza, è il non dare, mentre il caos e il calore delle esperienze condivise rafforzano le nostre radici e la nostra identità. Attraverso il lessico famigliare, quel codice privato di parole e modi di dire che rende ogni famiglia unica, Non vi lascerò orfani racconta come può essere intensa una vita anche quando è segnata dall'ansia e dall'insicurezza.
La morte è quella di Giannarosa, la madre irruente e apprensiva: è lei l'insuperabile latinista che nel 1944, sotto i bombardamenti, incontra il giovane Ludovico. Tra loro è subito furentismo, un entusiasmo amoroso travolgente. Vico è del 1914: un uomo d'altri tempi che ama andare a caccia e fare il galante con le signore. Ed è innamorato delle due figlie femmine: la più piccola, Daria, e la maggiore Donatella, complici e sempre alleate. Poi c'è Micione, il fratello- gatto, che dorme sul televisore e sul più bello lascia cadere la coda davanti allo schermo, suscitando cori di proteste da parte della famiglia: Micione, la coda!
Daria Bignardi scava nella memoria, dove nulla va perduto e si rivelano legami inattesi: i nonni repubblicani, i parenti fascisti, lo zio santo, la casa di Castel San Pietro senza acqua calda, e ancora Ferrara, Bologna, Cingoli. Tutto - persone e luoghi - ha lasciato qualcosa. La nebbia della pianura padana, Jesus Christ Superstar, Contadin Fortunato, lo scheletro del soldato tedesco in cantina, il gatto Alonzo, i fantasmi che alzano i materassi, l'occupazione della scuola e l'antenato Corrado Govoni. Persino Bengasi e Massaua hanno lasciato qualcosa, e forse è per questo che Ludovico non ne parla volentieri. E anche i Devo, Fabrizio De André e i Supertramp. Tutto è storia individuale, di una famiglia, di un'epoca: tutto ha lasciato un segno e ci ha resi ciò che siamo.
Ma ogni cosa gira intorno al rapporto complicato tra madre e figlia, che - come spesso accade - è fatto di trasporto e identificazione ma anche di bisogno di separarsi, di quella necessità di scrivere il proprio destino che spesso sta alla base dei conflitti. Come nella canzone di Claudio Lolli: "Bisogna andare fino in fondo, in fondo a tutto, in fondo a noi, in fondo agli argini del mondo, alla paura che mi fai".
Con appassionata nostalgia, in equilibrio tra commozione e divertimento, Daria Bignardi racconta una vicenda dolce e ironica, affascinante come una foto in bianco e nero, viva come un abbraccio: una storia proiettata all'improvviso sullo schermo della memoria quando la protagonista scompare. La storia di un amore più forte dell'assenza, un racconto in cui sarà inevitabile per chiunque, pur nell'assoluta singolarità della voce narrante, riconoscersi.
=Ereandil=
00mercoledì 10 giugno 2009 22:49

Sicuramente sarà bellissimo e pieno di sentimento e psicologia, in un crescendo di malinconia e semplicità di racconto, ma.....l'unica autrice italiana che mi abbia mai fatto realmente impazzire è Bianca Pitzorno...sinceramente, a parte un fantasy o un libro per bambini, da autrici italiane non leggerei mai niente...
Io stessa quando (e se) scrivo, mi ispiro alle autrici straniere...hanno "quel qualcosa in più" che mi attira...
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