Nel linguaggio profetico di Ildegarda di Bingen

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Cattolico_Romano
00sabato 13 giugno 2009 18:55
Nel linguaggio profetico di Ildegarda di Bingen

La luce al di là della forma


Il 13 e il 14 giugno si svolge a Bagnoregio il LVII convegno di studi bonaventuriani organizzato dal Centro studi bonaventuriani e dalla Pontificia Facoltà Teologica "San Bonaventura" di Roma. Uno dei relatori ha sintetizzato per "L'Osservatore Romano" i temi del suo intervento.

di Marta Cristiani
Università di Roma Tre

La personalità straordinaria della benedettina Ildegarda di Bingen (1098-1179) è stata oggetto di interessi storiografici di varia natura, dal femminismo all'ecologismo al new age. L'edizione critica delle tre grandi opere teologico-profetiche (Scivias, Liber vitae meritorum, Liber divinorum operum) e della ricchissima corrispondenza colloca questa produzione nell'enciclopedia del sapere della cultura cristiana del XII secolo. La pubblicazione della traduzione italiana dell'opera che costituisce la sintesi conclusiva del suo pensiero, Il libro delle opere divine (Mondadori, 2003), risponde alla finalità di rendere storicamente comprensibile la logica interna di un linguaggio profetico, che definisce una nuova, forte idea di natura.

"Quel che non vedo, non lo conosco", scrive Ildegarda in una lettera indirizzata al suo biografo Ghiberto di Gembloux, in cui illustra il senso profondo di un'ispirazione mediata, come affermano le due biografie contemporanee, dall'esperienza della visione, secondo i codici dell'Antico e del Nuovo Testamento:  "Qualsiasi cosa avrò visto o appreso in questa visione, ne conservo memoria per lungo tempo... E insieme vedo e ascolto e conosco... Ciò che non vedo non lo conosco, perché sono priva di dottrina... E le parole che vedo e ascolto in questa visione non sono come le parole che risuonano proferite da bocca umana, ma come fiamma corrusca e come nube in movimento in un'aria pura. Tuttavia la forma di questa luce non posso in alcun modo percepirla, come non posso fissare lo sguardo nella sfera del sole" (Epistolae, cIII recto).



Oggetto del "vedere" è la luce al di là della forma, fonte dell'illuminazione che, agostinianamente, apre la mente alla contemplazione del divino nell'ordine creato. Più raramente, all'interno della luce trascendente si manifesta la lux vivens, luce incarnata che sola può rendere trasparente, quindi leggibile, l'oscurità della materia e della corporeità, purificando la memoria:  "E in questo stesso lume talvolta, e non frequentemente, osservo un'altra luce, che mi è designata con il nome di luce vivente... E mentre immergo lo sguardo in essa, ogni tristezza e ogni dolore mi è sottratto dalla memoria, e allora mi trovo nella condizione di innocente fanciulla e non di vecchia".

L'esperienza delle prime visioni è attribuita a Ildegarda dai suoi biografi fin dall'età infantile. Nei racconti agiografici, il dono della visione può significare, più che il fatto miracoloso, la densità di valori spirituali che ogni vita esprime. Poiché il Libro delle opere divine commenta il testo del prologo giovanneo a conclusione della prima parte, il biografo di Ildegarda può evocare il volo dell'aquila, già evocato nell'Omelia sul prologo di Giovanni Scoto Eriugena:  "Con le penne della contemplazione interiore è volata nei segreti stessi della visione celeste, dove ha appreso il vangelo di Giovanni" (Vita sanctae Hildegardis, II, 6).

Mentre sant'Agostino, nel libro XII del Genesi alla lettera, considera esaurita l'età delle visioni profetiche - di cui solo l'apostolo Paolo è stato gratificato dopo la pienezza della rivelazione - una diversa prospettiva è delineata da un autore come Gregorio Magno:  nelle Omelie su Ezechiele, pur limitando all'antica Legge il valore proprio della nozione di profezia, aveva implicitamente invocato i doni divini di un sapere che legge i segni dei tempi all'interno dell'istituzione ecclesiale. Il biografo di Ildegarda, citando Origene, sottolinea da parte sua che senza distinzione di sesso è il dono della profezia attribuito a Debora.

Al di là di interpretazioni vagamente irrazionalistiche, il "vedere" di Ildegarda esprime la consapevolezza di una nuova coscienza nel rappresentare la verità del mondo e dei suoi fondamenti, come afferma il Rhythmus de incarnatione Christi di Alano di Lilla, sintesi di una teologia dell'immagine che attraversa la cultura del XII secolo:  Omnis mundi creatura, / Quasi liber et pictura, / Nobis est et speculum. Allo speculum Ildegarda rinvia nella sua lettera, per affermare l'analogia strutturale fra "lo specchio in cui si vedono tutte le cose" (1 Corinzi, 13, 12), posto innanzi a chi è "vaso" dell'ispirazione divina (Atti, 9, 15), e l'anima razionale che è immessa nel "vaso di creta" del corpo (2 Corinzi, 4, 7), perché contempli "per fede" le cose celesti:  "Queste parole non le dico da me... Ma le proferisco come le ho apprese in una visione dall'alto. O servo di Dio, grazie allo specchio della fede nel quale attendi di avere conoscenza di Dio... Ascolta ciò che dice la luce che non viene meno, poiché, allo stesso modo in cui lo specchio nel quale si vedono tutte le cose è posto innanzi al vaso della sua ispirazione, così l'anima razionale è immessa nel corpo come in un vaso di creta, affinché nel vivere sia governato da essa e l'anima contempli per fede le cose celesti. L'uomo è celeste e terrestre... e quanto più si conosce nelle cose buone, tanto più ama Dio. Se avrà visto nello specchio il suo volto cosparso di impurità e di polvere, si preoccuperà di detergerlo e purificarlo".

Per fornire all'anima razionale uno specchio, in cui riconoscere la propria impurità, e tornare alla originaria purezza, Ildegarda dispiega la complessità e la sacralità dello "specchio nel quale si vedono tutte le cose", cioè l'imago mundi, che meravigliosamente si riflette nella sua anima razionale, secondo un itinerario già indicato nel De meditatione da Ugo di San Vittore:  "Tre sono i generi di meditazione. Uno consiste nella considerazione della vita morale, l'altro nello sguardo ai compiti che ci sono affidati, il terzo nell'investigazione delle opere divine". Ugo di San Vittore, nelle sue lezioni di esegesi sul tema dell'arca di Noè, "figura" dell'universo creato destinato alla salvezza, formula il programma di un itinerario che segue nella stessa misura la guida della ratio e dell'auctoritas. Per Ugo di San Vittore la proiezione visiva e la contemplazione delle strutture tridimensionali dell'arca e delle figurazioni di cui i diversi livelli sono decorati, costituiscono una via didatticamente e spiritualmente efficace per entrare nel segreto del cuore e contemplare in esso il tabernacolo divino. Affine a questa ascesi contemplativa, l'esperienza estatica di Ildegarda ha la sua fonte nell'atto di libertà, che solo il dialogo con lo Spirito e il suo dono di grazia rendono possibile. Nel Liber vitae meritorum (II, 30), Ildegarda descrive il dono della conoscenza come grazia che attribuisce al profeta il dono di trasmettere agli altri la vita, a similitudine del soffio divino:  "Dunque, quella radice dalla quale, assieme al fango, Dio fece sorgere l'uomo, lo Spirito di Dio la animò del suo respiro e diede a essa la vita... L'anima che non ha fine:  con la sua ispirazione lo Spirito Santo produsse nei profeti tanta luce, che essi trasmisero nella vita altrui, come uscendo da se stessi, i miracoli di Dio, per cui anche il fango si è trasformato in un'altra vita di carne e di sangue".

La cosmologia ildegardiana, con il suo inesauribile repertorio simbolico - non esiste fenomeno celeste, o fisiologico, che non sia suscettibile di una lettura simbolica - costituisce una grandiosa teologia dello Spirito. La visione della Trinità creatrice da cui inizia il Libro delle opere divine - folgorante sulla pagina del manoscritto 1942 della Biblioteca statale di Lucca - è dominata dalla figura alata dello Spirito, in veste sacerdotale, con il volto, le mani e i piedi di fiamma, che tiene fra le braccia l'Agnello, sovrastata dalla testa canuta del Padre. Nella seconda visione lo Spirito creatore si fa mondo:  la stessa figura si dilata nel cerchio di fuoco che contiene e trasmette la vita all'universo, secondo un modello affine al modello del Timeo di Platone.

Lo Spirito che si fa mondo sarà protagonista della grande filosofia tedesca, forse conservando la luce delle accensioni estatiche di Ildegarda.



(©L'Osservatore Romano - 14 giugno 2009)
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