Nel Corno d’Africa si rischia di fare a pezzi il futuro

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vanni-merlin
00venerdì 30 novembre 2007 23:14
INCOMBE UNA NUOVA ESCALATION BELLICA TRA ETIOPIA ED ERITREA

Nel Corno d’Africa si rischia di fare a pezzi il futuro

GIULIO ALBANESE
Inutile nasconderlo: le rivalità tra Etiopia ed Eritrea sono sempre più aspre. Lo sa bene chi ha modo di seguire le vicende che riguardano le relazioni tra questi due Paesi. Ma chiunque può rendersi conto che esse rappresentano un fattore altamente destabilizzante per l’intero Corno d’Africa ed esigono un maggiore coinvolgimento, a livello negoziale, da parte della Comunità internazionale. Mai come nel contenzioso in questione – tra due nazioni storicamente 'sorelle' e che la stessa geografia chiama alla convivenza – sarebbe tuttavia inappropriato schierarsi, nel senso che le responsabilità ricadono palesemente su ambedue i governi.
L’affermazione degli interessi personali e di parte, coltivati all’ombra di nazionalismi oligarchici, hanno in questi anni drammaticamente radicalizzato il confronto. Ecco che allora, perdendo il bandolo della matassa e quello della ragionevolezza, cioè di un dialogo fattivo proteso alla promozione del bene comune, la tensione e i rancori rischiano di perpetuare le sofferenze dei civili.
Martedì scorso, a soli tre giorni dalla scadenza del termine internazionale per la demarcazione dei confini tra Etiopia ed Eritrea, il premier etiopico Meles Zenawi ha riferito in Parlamento ad Addis Ababa, affermando di non aver alcun piano per combattere contro il vicino di casa. Precisando poi, però – ed è questo il punto – che il proprio esercito è sempre in stato di massima allerta per contrastare qualsiasi tentativo di «invasione» da parte delle forze nemiche. Una dichiarazione, a detta degli analisti, che non stempera minimamente la minaccia di un nuovo conflitto, essendo accompagnata dalla decisione di aumentare del 16,7 per cento il bilancio della difesa. Sta di fatto che entrambi i governi hanno ammassato truppe lungo la frontiera, secondo una 'logica di deterrenza' che terrorizza la gente da una parte e dall’altra del confine.
Dal canto loro, le autorità dell’Asmara continuano a foraggiare uomini e donne di armi e munizioni, con il sostegno di poteri legati al fondamentalismo islamico di matrice salafita. E tutto questo avviene, paradossalmente, in un Paese estremamente povero dove ogni voce dissidente viene soffocata con brutalità dal regime del presidente Isaias Afwerki. Da questo punto di vista, le Chiese cristiane – Chiesa cattolica in particolare – sono fortemente osteggiate perché contrarie all’intervento militare.
Una cosa è certa, il gioco incrociato della propaganda, sia in Etiopia che in Eritrea, è pesante e tende sempre e comunque a demonizzare l’avversario.
La disputa risale al 2002 e riguarda l’applicazione di una decisione presa da una commissione indipendente internazionale che aveva assegnato all’Eritrea la città frontaliera di Badmè.
Si trattava in sostanza di passare alla fase attuativa degli accordi di pace, siglati ad Algeri nel 2000, che avevano messo fine al sanguinoso conflitto, esploso due anni prima, e combattuto in trincea con scenari terrificanti da prima guerra mondiale. Addis Abeba, dopo essersi a lungo rifiutata di accettare la decisione della commissione, recentemente si è detta disponibile ad applicarla a condizione che Asmara accetti ulteriori colloqui. Il governo eritreo, però, rifiuta a questo punto caparbiamente qualsiasi forma di dialogo.
Di fronte a questo scenario, è indispensabile un maggiore coinvolgimento in tempi brevi della diplomazia internazionale, quella italiana in primis, non foss’altro perché la precedente guerra tra i due Paesi ha dimostrato che nessuno mai vincerà, armi in pugno, questo conflitto. Zenawi e Afwerki lo sanno bene: devono imparare a convivere, evitando di fare a pezzi il futuro della loro gente.



da: www.avvenire.it/
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