Mistero nel Regno

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BrightBlade
00martedì 7 settembre 2010 17:11
Quella mattina, Fedrick si svegliò più presto del solito. Lanciando un'occhiata agli stipiti accostati, il giovane scultore si accorse che il cielo stava appena iniziando a rischiararsi e il sole era ancora lungi dal sorgere.
Accanto a lui, Diane dormiva ancora, il volto reclinato parzialmente nascosto dai lunghi capelli color nocciola che lo avevano fatto innamorare perdutamente due anni prima.
Lo scultore scostò una ciocca dei capelli e sfiorò la fronte della moglie con le labbra, quindi si alzò senza far rumore ed indossò le brache e una tunica leggera.
La casa, disposta su due piani, non era molto grande. Secondo lo schema classico, il piano terra era interamente occupato dalla bottega dello scultore, mentre il piano di sopra contava appena tre stanze: la loro camera, il ripostiglio e la stanza del focolare, che fungeva da cucina, soggiorno e sala da pranzo.
Fedrick scese silenziosamente le scale senza neanche accendere la candela, trovò senza fatica i sandali lasciati al solito posto, e uscì.
Mentre scendeva lungo Via delle Querce, il giovane si mise a guardarsi attorno, vagamente disorientato. C'era qualcosa di diverso nell'aria, ma Fedrick non capiva cosa fosse. Del resto, già il fatto stesso che si fosse svegliato prima del tempo, proprio lui che conduceva una vita regolare come un cronografo creliano, era inspiegabile.
Nella semi oscurità che precede l'alba, Fedrick attraversò Viale Gran Massiccio, fermandosi per scrutare il grande castello dimora del Sommo.
Oltre le mura irte di merli, si scorgeva appena nel cielo ancora buio la sagoma un po' più nera del Gran Massiccio, che da secoli e secoli vegliava sul Regno come un grande guardiano di roccia.
A parte il regolare incedere delle torce sugli spalti, segno di altrettante sentinelle che vigilavano senza sosta anche in quell'epoca di pace relativa, tutto era immobile.
Non un uomo camminava per strada: quasi tutti gli abitanti del Regno dormivano e solo i fornai erano già al lavoro, come testimoniava l'odore fragrante del pane appena sfornato.
Quella piacevole sensazione olfattiva ebbe l'inspiegabile potere di risvegliare un altro senso fino a quel momento assopito, e cioè l'udito. Improvvisamente, Fedrick si accorse che nell'aria c'era un tenue tramestio del tutto indecifrabile.
Poiché i rumori sembravano provenire dal Quartiere dei Grifoni, lo scultore imboccò Via dell'Unicorno, facendosi poi guidare dalle sue orecchie attraverso il dedalo di case e botteghe variopinte.
Quella zona gli era ben nota, in quanto lì vicino si trovava il famoso Quartiere del Peryton, dove abitavano i migliori artigiani del Regno e dove anche lui sognava di poter comprare, un giorno, una casa più grande per Diane e il bamino che avevano appena scoperto di aspettare.
Dopo essere passato all'ombra della Cattedrale e aver rivolto una silenziosa preghiera affinché i suoi sogni si realizzassero, Fedrick si ritrovò a costeggiare le mura del Forte dei Guerrieri. In quei pressi l'attività era maggiore che altrove: da oltre gli spalti si sentiva già la cadenza irregolare dei cadetti in corsa sciolta nel cortile interno.
Infine, il motivo del trambusto che lo aveva probabilmente svegliato si palesò ai suoi occhi.
Poco lontano dal Forte dei Guerrieri, si ergeva una massa bianca, dal cui interno giungeva una vasta gamma di rumori attutiti. Guardando meglio, Fedrick intuì che ciò che stava guardando era una grande impalcatura, completamente avvolta da teli in modo da impedire a chiunque di capire cosa si stesse realizzando al suo interno.
Lo scultore iniziò a girare attorno alla struttura, cercando di capire qualcosa. Le dimensioni della zona chiusa erano davvero impressionanti: si trattava all'incirca di un rettangolo lungo almeno centocinquanta metri e largo un centinaio, e i teli si alzavano in alcuni punti anche per più di venti metri. E la cosa più incredibile era che dell'immane struttura non vi era stata traccia fino alla sera prima: sembrava che tutto fosse stato partorito dalla terra in poche ore, e Fedrick pensò che sicuramente i misteriosi inquilini delle cinque torri dei Collegi di Magia avevano avuto una parte in quella losca faccenda.
Mentre finiva di fare il giro, domandandosi quale diavoleria si stesse fabbricando in quel cantiere, lo scultore girò l'angolo e si fermò di soprassalto.
Un lembo del misterioso telo si era appena scostato, e due figure incappucciate ne erano uscite, confabulando fra loro. A giudicare dalla stazza, doveva trattarsi di guerrieri: ma, trovandosi nel Quartiere dei Grifoni, questo era del tutto normale.
I due uomini rimasero a parlare per qualche istante, quindi si salutarono. Mentre il primo rientrava nella misteriosa struttura, il secondo si allontanò, dirigendosi proprio verso l'angolo dietro cui era nascosto Fedrick. Lo scultore non era sicuro di star commettendo qualcosa di sbagliato. Dopo tutto, lui era solamente un onesto abitante del Regno che passeggiava nella sua città: tuttavia, il mistero di tutta quella faccenda aveva confuso la mente semplice dell'artigiano, che decise così di accovacciarsi dietro due casse sistemate nell'ombra accanto ai teli.
Dopo qualche secondo, lo sconosciuto oltrepassò il precario nascondiglio del giovane e proseguì oltre. Fedrick stava per tirare un sospiro di sollievo, quando improvvisamente l'uomo si voltò e si diresse deciso verso di lui.
Lo scultore si irrigidì e poi, quando fu certo che lo straniero lo aveva individuato, si alzò in piedi tremando leggermente.
«Holux!» lo apostrofò lo sconosciuto.
«Ho... hol... lux» balbettò lo scultore, indietreggiando di fronte all'interlocutore.
Ora che lo vedeva così da vicino, Fedrick si rese immediatamente conto che i suoi sospetti erano fondati. Quell'uomo alto e slanciato, dal fisico asciutto e scattante di un atleta, era decisamente un guerriero, e lo scintillio dell'armatura istoriata e l'inquietante bagliore dell'elsa di una grande spada non lasciavano spazio a dubbi.
«Io... mi dis... cioè... stavo...»
«Ma voi non siete quello scultore che ha bottega in Via delle Querce?»
Sono spacciato, pensò l'artigiano.
«Sì...»
«Come va il lavoro?»
«Be... bene, non mi lamento... ho... ho aperto da poco...»
«Già, in effetti vi ho notato proprio per quello... sapete, prima in quella casa abitava un mio conoscente... Ma ditemi, giovanotto, quanti anni avete?»
«Ventun'anni, signore»
Fedrick si rilassò un poco: la sua esecuzione sulla pubblica piazza non sembrava più così certa. Inoltre, ora che il cielo si stava rischiarando e ci si vedeva un po' meglio, quell'uomo barbuto aveva un volto vagamente familiare...
«Caspita, da quel che ho visto siete bravo per essere così giovane!» esclamò lo sconosciuto.
«Faccio quel che posso, signore...»
«E così si deve fare. Avete famiglia?»
«Mi sono sposato otto mesi fa... mia moglie si chiama Diane... ha lavorato anche alla Locanda...»
«Ah, forse ho capito... sapete, non sono un grande amante degli alcolici... Ma perdonatemi, non mi sono ancora presentato! Io sono...»
Ma certo!
«Ah! Scusate, signore, non vi avevo riconosciuto! Sono terribilmente desolato!»
«Suvvia, non lusingatemi!»
«Altroché signore... io sono Fedrick, Fedrick Garland. Mio padre era Jeoff Garland, di Vetoio»
«Molto piacere, Fedrick. Sono stato di recente a Vetoio, di ritorno dal mio ultimo viaggio. Anche vostro padre fa lo scultore?»
«Nossignore. Ha la bottega da carpentiere proprio nella piazza principale...»
«Ma certo! E se non vado errato, ci sa fare anche con gli animali, dico bene? Se non mi sbaglio, è proprio lui che mi ha ferrato il cavallo l'ultima volta. Un ottimo lavoro... Ma perdonatemi, forse avete da fare...»
«Nossignore! Ero solo uscito a fare due passi, e questa... questa cosa mi ha incuriosito... che cos'è?»
L'altro tacque per un istante.
«Beh – disse infine – diciamo che è una cosa segreta... però mi è venuta un'idea. Stavate andando da qualche parte in particolare?»
«Beh, volevo tornare a casa, signore. Non vorrei che Diane si preoccupasse...»
«Allora bisogna sbrigarsi. Ascoltatemi, vorrei farvi una proposta, ma per spiegarvi tutta la faccenda ci vorrebbe un po' di tempo... vi dispiace se vi accompagno verso casa?»
«Ma certo che no!»
«Eccellente. Allora, dovete sapere...»
@Jekyll@
00domenica 14 novembre 2010 18:35
Erano passate già tre settimane dall’incontro di Fedrick con il guerriero barbuto. Come tutti gli addetti ai lavori, anche a lui era stato imposto il vincolo della segretezza e questa era decisamente la cosa che più lo turbava: non riusciva a capire, con il suo semplice spirito, il motivo di tanto riserbo e perché non potesse parlarne nemmeno con sua moglie. Il possente cantiere, dalla sua improvvisa apparizione, aveva destato la curiosità degli abitanti del Regno, per cui venne disposto un cordone di Guardmen che impedisse a chiunque di sbirciare tra i grandi teli bianchi.
Più il tempo passava, più Diane diventava raggiante nella sua gravidanza sempre più evidente e sapere che, conclusi quei misteriosi lavori, la sua attività avrebbe avuto una visibilità maggiore, faceva ben sperare a Fedrick di poter, in breve, dare alla moglie ed al bambino una dimora più comoda ed una maggior serenità per il futuro.
Quando aveva iniziato ad andare in quel monumentale cantiere, celato da candidi teli, Diane lo aveva interrogato sul suo lavoro: trovava strano o quanto meno insolito che il marito avesse improvvisamente preso l’abitudine di andare a lavorare prima ancora che il sole sorgesse e tornasse a casa giusto in tempo per la cena, prima di crollare stremato.
«Amore mio, mi hanno affidato un lavoro importante e quando sarà tutto concluso, potrà essere ammirato da alcuni degli abitanti più illustri del Regno... forse persino i Sommi ammireranno la mia opera!» rispondeva Fedrick tutte le volte, mentre lo sguardo gli si illuminava di gioia; poi, posando delicatamente la sua mano già callosa, nonostante la giovane età, sul ventre prominente della moglie, aggiungeva:
«Vedrai, Diane, con questo lavoro potrò dare a te ed a nostro figlio una sistemazione più decorosa!»
La giovane donna, vedendo il marito così entusiasta, smetteva di fare domande: si fidava di lui e sapeva quanto fosse bravo nel suo lavoro.
Dal canto suo, Fedrick non faceva che pensare giorno e notte al lavoro che gli era stato commissionato: tutte le mattine, prima che il sole diffondesse la sua luce sul Regno, passava sotto i lenzuoli bianchi che nascondevano quell’opera gigantesca ed ogni volta si sorprendeva di quanto quei semplici teli potessero attutire il rumore dei lavori: di certo i Maghi del Regno avevano dato il meglio di sé.
Le sue giornate erano frequentemente lunghe e monotone; il guerriero, il giorno dopo il loro primo incontro, gli aveva fornito un tavolo di legno ben levigato ed un semplice sgabello oltre ad una nutrita pila di fogli di pergamena e dei carboncini e lì il giovane artigiano passava ore di febbrile lavoro a disegnare le bozze del lavoro che avrebbe dovuto realizzare. Gli era stato spiegato molto bene quello che si voleva da lui e quali dovessero essere i sentimenti che la sua opera avrebbe dovuto suscitare nel cuore di chi avesse avuto modo di guardarla... e non era cosa da poco riuscire ad essere all’altezza di ciò che ci si aspettava da lui. Spesso credeva di aver avuto l’idea giusta, si gettava con passione sulla pergamena, faceva uno schizzo a carboncino rapidamente, ma poi si fermava a contemplare il disegno e, deluso, accartocciava il foglio e lo lanciava a terra.
In cerca di ispirazione, Fedrick di tanto in tanto si alzava, faceva quattro passi all’interno del cantiere ed osservava gli altri lavoranti: ebbe così modo di osservare i potenti maghi all’opera, gli scalpellini, i falegnami ed i due Cavalieri. Uno di loro era quello che lo aveva ingaggiato: tutti lo chiamavano l’Architetto poiché presiedeva ai lavori ed a lui si rivolgevano per ogni problema relativo al progetto, mentre l’altro veniva indicato come lo Scrittore. Questo secondo Cavaliere era un tipo abbastanza solitario, sedeva su uno scranno tutto il giorno, chino su dei fogli e passava quasi tutto il suo tempo a scrivere: sembrava fosse preda di una sorta di fuoco sacro e, a differenza di Fedrick, non pareva aver bisogno di essere ispirato. Il giovane scultore non riusciva, nelle sue passeggiate, ad avvicinarsi molto allo Scrittore, ma da quel poco che era riuscito a vedere anche quell’uomo aveva un viso noto, pur non sapendolo riconoscere esattamente. Lo Scrittore si alzava solo di rado, quando qualche operaio gli rivolgeva domande specifiche su alcune zone del cantiere o quando l’Architetto gli si avvicinava: i due uomini discutevano, in quelle occasioni, molto a lungo, ispezionavano i lavori insieme e, in quelle rare occasioni in cui si lasciavano andare ad una risata tra loro, appariva evidente che fossero legati da un’intensa amicizia e da un profondo rispetto reciproco.
Devono averne passate tante insieme, pensò Fedrick, osservandoli ed iniziando a fantasticare sulle mille avventure dei due Cavalieri.
Più i giorni passavano, più l’Architetto e lo Scrittore incuriosivano la vivace mente di Fedrick e, un giorno, vedendoli camminare fianco a fianco, assorti in una fitta conversazione, decise di alzarsi per una delle sue camminate ispiratrici e di avvicinarsi, facendo finta di nulla, per sentire di cosa stessero parlando.
«Giunge ormai il momento che si inizi a pensare alle sfere ed a colui che dovrà custodirle ed usarle, amico mio!» stava dicendo l’Architetto.
L’amico rimase silenzioso, annuendo.
«Avete ragione! Gli operai mi hanno informato che il luogo della loro collocazione è ormai pronto!» la voce dello Scrittore era bassa, riflessiva.
«Infatti! – annuì l’Architetto – Mancano solo alcune rifiniture! E non escludo che, se il giovane Fedrick riuscisse a finire il proprio lavoro per tempo, si potrebbe chiedere a lui di occuparsene!»
Fedrick fu sorpreso e deglutì a disagio: non immaginava che il suo nome potesse essere compreso nella conversazione dei due Cavalieri.
«Quel ragazzo mi sembra molto promettente! – assentì lo Scrittore – Mi sono preso la briga di dare un’occhiata ad alcuni degli schizzi che ha eliminato...alcuni mi sembrano decisamente validi! Se continuerà così, presto troverà la soluzione giusta e noi ne saremo pienamente soddisfatti!»
Il giovane si sentì avvampare dall’imbarazzo, dal momento che non riusciva a credere che il suo lavoro, ancora provvisorio, potesse essere già così ben considerato.
«Sono d’accordo con voi! – il primo dei Cavalieri sorrise – Ma Fedrick ora ha compiti più importanti che pensare alle decorazioni per le sfere! Avete trovato un nome?»
Lo Scrittore tacque per alcuni minuti, lasciando vagare lo sguardo sui possenti muri di roccia che stavano sorgendo davanti a lui, grazie all’incessante lavoro degli operai.
«Sì... – rispose, dopo qualche istante – Valer l’Eclettico!»
«Chi?!» esclamò l’Architetto tra il meravigliato ed il perplesso, fermandosi a guardare l’amico.
Fedrick non aveva mai sentito nominare Valer, ma giudicare dalla reazione dell’uomo barbuto doveva essere qualcuno di noto.
«Non accetterà mai! Ascoltatemi, è meglio pensare a qualcun altro!» disse l’Architetto, con convinzione.
Lo Scrittore sorrise e posò la mano destra sulla spalla del primo Cavaliere.
«Voi mi sottovalutate! – scherzò lo Scrittore – Ho avuto modo di parlarne con i Sommi ed ammetto che le vostre perplessità sono state parzialmente condivise, tuttavia nella loro magnanimità mi hanno dato il permesso di provare!»
«Ascoltate...Valer manca dal Regno da moltissimi anni, i Sommi stessi gli concessero il congedo dal servizio attivo, dopo che venne ferito gravemente durante l’ultima perlustrazione della parte meridionale del Continente Occidentale, senza contare che, ormai, avrà oltre quattrocento anni!»
«Che non è certamente un’età molto avanzata per un elfo! Non vi pare? – chiosò lo Scrittore – Non riuscirò mai a convincervi, giusto?»
Lo Scrittore esplose in una delle sue rare risate e Fedrick rimase sorpreso di sentirla allegra e spensierata.
«Amico mio, dove pensate che si possa trovare Valer ora?»
«I Sommi mi hanno aiutato in questo! Loro sanno che l’ultima volta che Valer ha lavorato e prodotto una delle sue meraviglie si trovava a nord di Crelia!»
«Interessante...»
«Appunto! E quale miglior posto riuscite ad immaginare, per un Vassallo in congedo, stanco delle miserie del mondo, che voglia sparire dagli occhi di tutti e vivere isolato a meditare, che i ghiacci eterni?
Con il permesso dei Sommi e con il vostro, partirò questa notte stessa! I testi sono pronti, qui non avrei più molto da fare... e abbiamo bisogno che l’Eclettico si rimetta al lavoro quanto prima!»
«Forse avete ragione voi! – assentì, rassegnato il primo Cavaliere – E come pensate di convincere Valer a tornare nel Regno dopo tutti questi anni di assenza?»
«Il Regno, ora, ha nuovamente bisogno di lui... mi basterà trovare la chiave giusta per riaccendere in lui l’orgoglio di essere un Vassallo del Sommo Blue Dragon!»
L’Architetto squadrò l’amico, perplesso.
«Ascoltatemi... Valer è un elfo, e come tutti gli elfi è giustamente orgoglioso della qualità superiore del suo lavoro. Per quanto i lunghi anni di esilio volontario e solitudine lo possano aver cambiato, non credo che potrà resistere a lungo alla tentazione di tornare a creare per i Sommi, per il nostro Regno e poter tornare a mostrare al mondo intero il pregio unico delle sue opere!»
«Va bene, va bene! – rise il Cavaliere, grattandosi la barba sporcata dalla polvere del cantiere – Se continuate così, riuscirete a convincere sicuramente me!»
Lo Scrittore regalò all’amico un sorriso divertito.
«Per me va bene, partite pure quando sarete pronto!! E... in bocca al Drago, amico mio!!!»
I due Cavalieri si strinsero la mano e si voltarono per tornare sui loro passi; Fedrick si voltò di scatto e finse di ammirare la superficie di un’enorme lastra di marmo posata lì accanto, trattenendo il fiato. Quando i due uomini lo superarono senza fermarsi, svuotò silenziosamente i polmoni, felice di non essere stato scoperto ad origliare: non poteva sapere che per quanto fosse stato veloce e pronto, non aveva potuto ingannare due Vassalli.
L’Architetto e lo Scrittore si lanciarono una rapida occhiata alle spalle per osservare il giovane scultore e sorrisero indulgenti per la sua ingenuità.

...alcune settimane dopo...

Un uomo avanzava nella spessa coltre di neve, spazzata da gelido vento tagliente, senza nessuna apparente fatica. Indossava un pesante mantello, ma nessuna pelliccia si intravedeva per difenderlo dal freddo acuto di quelle terre inospitali.
Crelia era ormai lontana ed anche l’ultimo centro abitato prima del deserto bianco di nevi e ghiacci perenni era scomparso dietro le spalle del viandante e quei pochi uomini che lo incrociavano sulla pista, ormai cancellata dal vento teso, lo esortavano a tornare indietro dal momento che, davanti a loro, stava per scatenarsi una grande bufera.
Salutando e ringraziando con un gesto distratto della mano, il viandante tirava dritto per la sua strada: sapeva dove stava andando e, cosa ancora più importante, sapeva quello che faceva.
Finalmente a casa!, pensò, sollevando il volto ed offrendolo alle gelide folate di vento.
In una fatiscente taverna aveva saputo, qualche giorno prima, di un elfo enorme che viveva isolato in una caverna nel cuore della Piana dei Ghiacci Sottili: l’uomo conosceva bene quel posto e pensava di sapere altrettanto bene chi fosse quell’elfo.
Il sordo rumore di una lastra di ghiaccio che si incrinava sotto il suo peso, strappò il Cavaliere dalle sue riflessioni: si bloccò immediatamente e abbassò lo sguardo. Una fitta ragnatela di crepe si irradiava dal punto in cui il suo piede si era appoggiato.
«Il ghiaccio inizia ad assottigliarsi!» disse tra sé e sé, richiamando alla mente il suo addestramento e ciò che, in quegli anni, aveva appreso sulla Piana dei Ghiacci Sottili: nonostante il gelo estremo che in ogni stagione flagellava quella regione lontana, il ghiaccio non riusciva ad acquisire spessore poiché, in realtà, ricopriva un vasto lago, alimentato da una fonte di acqua calda che permetteva solo agli strati più superficiali, in contatto diretto con l’aria, di raggiungere le basse temperature necessarie alla formazione delle lastre di ghiaccio.
Forte degli insegnamenti che aveva ricevuto in gioventù, il Cavaliere si avventurò sulla fragile superficie gelata del lago, badando a distribuire correttamente il proprio peso per evitare di sprofondare. Tutto sommato, si divertì... gli sembrò di essere tornato un ragazzo e, in poco tempo, raggiunse la montagna che sorgeva nel centro della Piana, unica parte visibile di una piccola isola.
Fu quando posò i piedi su un appoggio stabile e sicuro che, per la prima volta, avvertì un’aura potente... Valer l’Eclettico era lì vicino, ora ne era assolutamente sicuro: solo un Vassallo poteva contenere in sé una tale energia.
Il vento gelido cessò all’improvviso: una breve pausa prima di riprendere, ma in quei pochi istanti il viandante intravide l’ingresso della caverna e vi si diresse a passo spedito.
Accadde tutto in un attimo: un sibilo d’aria avvertì l’uomo dell’arrivo di un dardo ed il Cavaliere ebbe appena il tempo di buttarsi su un lato per evitarlo che gli piombò addosso un uomo dalla statura imponente, avvolto da uno spesso mantello di pelliccia bianca e con il viso coperto da un ampio cappuccio.
Il Cavaliere cercò di parlare, ma l’uomo gli si avventò contro, rapido come un fulmine: ebbe appena il tempo di evitarlo.
«Cosa ci fate qui, straniero?!» la voce dello sconosciuto suonò stranamente morbida e chiara nel fragore della bufera.
«Temo che la cosa non vi riguardi, considerando il vostro caloroso benvenuto!»
«Allora, questi ghiacci saranno il luogo del vostro ultimo riposo!» l’uomo si scagliò sul Cavaliere, liberando un lampo di energia bianca.
«Sono stati la mia casa per moltissimi anni, ora ben venga che siano la mia tomba, ma vi avverto che non sarà facile per voi... troverete pane per i vostri denti!»
I due uomini duellarono per un giorno intero, senza parlare più tra loro.
Quest’uomo è potente!! Non posso svelare la mia identità in queste terre, ma non mi posso nemmeno permettere di perdere tutto il mio tempo a combattere!!, pensò il Cavaliere, rialzandosi dopo un violento colpo in pieno petto.
«Ora mi sono davvero stancato, messere! Poniamo fine a questa perdita di tempo!» sentenziò il Cavaliere, lasciando esplodere l’aura che, per ragioni di prudenza, aveva fino ad allora tenuto sopita.
Lo sconosciuto rimase stupito davanti alla potenza dell’uomo che lo stava fronteggiando.
«Cosa siete venuto a fare qui?» chiese nuovamente, ma questa volta con fare molto più conciliante: con sorpresa di entrambi, le due auree di equivalevano.
«Possiamo combattere per l’eternità! – concluse il Cavaliere – La nostra energia si equivale!»
«Forse... ma io ho il vantaggio del terreno!» ghignò lo sconosciuto, sistemandosi il grande mantello di pelliccia.
«Fossi in voi non ne sarei tanto sicuro... questi ghiacci sono stati la mia palestra ed il clima rigido di questa regione la tempra del mio corpo! Ve l’ho già detto... qui sono come nella mia casa...Valer detto l’Eclettico, Vassallo del Sommo Blue Dragon!»
Nel sentire pronunciare il suo nome, lo sconosciuto sbiancò in viso.
«Quel nome non viene pronunciato da molto, molto tempo! Come fate a conoscerlo?»
«Nel Regno si parla ancora molto di voi!»
«Me lo immagino!» rispose, amaro, Valer l’Eclettico.
«Si parla di voi con stima e rimpianto per il vostro esilio volontario... mancate al Regno ed ai Sommi!»
«Dunque, anche voi venite dal Regno di Blue Dragon?» chiese lo sconosciuto, lasciando cadere il cappuccio che ne celava il volto, rivelando le lunghe orecchie a punta da elfo.
Il Cavaliere annuì.
«Sono qui perché vi stavo cercando! Il Regno ha nuovamente bisogno di voi e delle vostre opere, Vassallo!»
«Non chiamatemi così!! Non sono più un Vassallo!!!»
«Nel cuore dei Sommi lo siete sempre rimasto! Il dono di Blue Dragon non può essere tolto a chi ancora lo merita! Ed è solamente una vostra convinzione che voi non ne siate più degno!»
Valer tacque, mentre un velo di lacrime rabbiose iniziava ad offuscargli la vista.
«Tutti, nel Regno, conoscono la vostra storia, Valer! – continuò il Cavaliere – Essa appartiene ormai alle leggende del Regno! Molti giovani che desiderano diventare Aspiranti Vassalli e Vassalli sono stati ispirati dai racconti delle vostre gesta e hanno in voi un esempio da seguire! Il vostro nome è pronunciato con rispetto, riconoscenza ed orgoglio da tutti!»
«Ma io fallii... fui ferito gravemente... e fui costretto a lasciare le armi!» le lacrime, finalmente, traboccarono e solcarono la faccia rugosa del vecchio Vassallo.
«A tutti è capitato di fallire o, quanto meno, di non riuscire sempre nelle proprie imprese! Anche i Vassalli più potenti hanno conosciuto l’amaro sapore della sconfitta, ma non per questo si sono esiliati dal Regno!»
«Voi non capite!» gridò l’elfo.
«Capisco meglio di quanto pensiate! – il Cavaliere si avvicinò lentamente al gigantesco elfo, gli pose le mani sulle spalle e continuò – Se veramente pensate di esservi coperto di disonore venendo sconfitto, tornate con me nel Regno e riscattate il vostro nome come meglio credete! Per conto mio, vi posso garantire che nessuno dei Sommi pensa male di voi e nemmeno tra le fila dei Vassalli e degli Aspiranti c’è chi non vi ritenga degno del titolo che vi è stato donato dai nostri Re!»
«Dite che il Regno ha nuovamente bisogno di me...» mormorò Valer, mentre il Cavaliere si stupiva di come la sua voce continuasse a risultare limpida nonostante il peggiorare della tempesta.
«Ho detto così, è vero! Nel Regno sono in corso molti cambiamenti e voi siete necessario... se ancora nutrite amore per i Valori su cui i Sommi hanno creato il Regno e per cui tanti Aspiranti e Vassalli hanno rischiato e continuano a rischiare la vita, dovete tornare indietro con me!»
«Certo che credo ancora nei Valori del Regno! Cosa mai vi siete messo in testa!! Me ne andai proprio perché non potevo sopportare il peso di aver fallito, dopo aver dato tanto per loro!» esclamò, offeso, l’elfo.
«Beh... sappiate che non siete stato perdonato, perché nessuno ha mai pensato che voi aveste bisogno di perdono! Il vostro fallimento non è stato considerato una colpa o un torto, quanto, piuttosto, l’esito possibile di un’impresa di guerra!»
Valer piantò scuri occhi profondi nello sguardo dell’uomo.
«Come posso essere utile ancora al Regno ed ai miei Re?» chiese, quasi timidamente: le parole di quello sconosciuto avevano toccato corde profondamente nascoste nel suo cuore, corde che pensava si fossero spezzate tanti anni prima.
Il Cavaliere sorrise.
«Conducetemi nella vostra dimora e, asciutti ed al caldo, vi spiegherò tutto!»
Il gigantesco elfo condusse l’uomo nella parte più profonda e riparata della caverna in cui abitava e lì, davanti ad uno stentato focolare e seduti intorno ad un fragile tavolo di legno, seppe ciò che era accaduto nel Regno dalla sua partenza.
I due parlarono per tre giorni e tre notti, Valer era avido di sapere, i suoi occhi erano tornati a brillare, il progetto di cui gli stava parlando quell’uomo era qualcosa di meraviglioso... finalmente avrebbe potuto tornare nel Regno e riprendere le sue vecchie mansioni.
«Una forgia?!» Valer sembrava stupito.
«Proprio così... e sarà alimentata dalle energie estratte dal cuore di due Vassalli del Regno! Queste energie saranno plasmate a formare due sfere e conterranno quanto di più caldo e di più gelido possa essere presente al mondo, perché le vostre opere possano essere ancora più resistenti! Vostro compito sarà custodirle in un luogo segreto che sarà noto solo a voi ed ai Sommi ed utilizzarle per il vostro lavoro!»
Quando il Cavaliere ebbe terminato di raccontare e Valer di porre domande, la tempesta di ghiaccio si era esaurita ed un pallido sole illuminava l’uniforme coltre di nevi eterne intorno alla Piana.
L’elfo chiese di poter rimanere solo qualche minuto, si alzò, stiracchiò le membra intorpidite dalla lunga immobilità ed uscì dalla sua caverna ad ammirare lo spettacolo della Piana dei Ghiacci Sottili.
Dopo un tempo che al Cavaliere parve interminabile, Valer rientrò sorridente.
«Questo gelido angolo di mondo mi ha fatto da casa per moltissimi anni e credo mi mancherebbe molto!»
«Sarà così, manca anche a me!»
«Ma se i Sommi ed il Regno di Blue Dragon hanno davvero bisogno di me... beh, non posso fare altro che accettare! – il sorriso di Valer si allargò ancora di più – Verrò con voi, cavaliere!»
In poco tempo il Vassallo raccolse le sue poche cose e raggiunse il Cavaliere fuori dalla caverna, si voltò come per guardarla un’ultima volta e mormorò parole incomprensibili.
«Giusto per evitare che alcuni animali possano entrarmi in casa, durante la mia assenza!» si giustificò l’elfo, mentre una piccola frana precipitava davanti alla caverna, nascondendone l’ingresso.
«Mi pare giusto!» sorrise l’uomo.
E così i due compagni intrapresero insieme il viaggio di ritorno.
In poche settimane giunsero ai Cancelli e lì Valer apprese che anche il Cavaliere era un Vassallo del Sommo Blue Dragon.
«Ecco perché siete riuscito a tenermi testa mentre combattevamo!»
«Non volevo che il conoscermi troppo a fondo potesse creare dei pregiudizi capaci di compromettere la vostra decisione!»
Valer annuì, silenzioso, mentre con sguardo avido cercava di notare tutti i cambiamenti che erano avvenuti durante la sua assenza.
Lo Scrittore condusse l’elfo al grande cantiere, ancora nascosto dai candidi teli, e lì davanti vide l’Architetto che li attendeva.
«Ho sentito le vostre aure, quando siete arrivati ai Cancelli!» sorrise loro, mentre gli andava incontro.
I tre rimasero a parlare per qualche istante, poi l’Architetto invitò Valer ad entrare nel cantiere per osservare i lavori.
«Lo farò più tardi... prima devo andare a salutare due vecchi amici che non vedo da tanto tempo!» si congedò il Vassallo, incamminandosi verso il Castello.
Nella sala del Triplice Trono, Valer ne era sicuro, i Sommi Ostri e Palank lo stavano già aspettando.
BrightBlade
00venerdì 24 dicembre 2010 02:34
Quella mattina, gli abitanti del Regno furono svegliati da un insolito clamore. Chi in abito da notte, chi indossando rapidamente tunica e calzari, in molti scesero in strada e si lasciarono guidare dalla folla in movimento, incuriositi da tutto quel tumulto di prima mattina.
Coloro che si gettarono in quel fiume umano scoprirono che esso conduceva proprio di fronte alla grande struttura avvolta dai teli che era sorta misteriosamente qualche tempo addietro. Immediatamente, la gente iniziò a riunirsi in gruppetti in cui ognuno esponeva la propria teoria su cosa fosse celato all’interno delle gigantesche impalcature. Se fosse stato presente un cronista, avrebbe scoperto che non vi erano due versioni uguali in tutta la piazza, ma ognuno aveva sviluppato un’ipotesi diversa. A quanto pareva, il riserbo dei lavoratori di quello strano cantiere era stato totale.
In ogni caso, buona parte delle fantasiose ricostruzioni venne scartata qualche minuto dopo, quando nella piazza antistante la misteriosa opera giunse BrightBlade. Il cavaliere salì in fretta i gradini di pietra antistanti il cantiere, quindi si voltò e si rivolse alla folla:


Vi ringrazio per essere intervenuti, e chiedo venia se ho interrotto le vostre attività. So che molti di voi si sono chiesti che cosa stia avvenendo dietro questi grandi teli, e da quanto ho sentito alcuni di voi non sono molto lontani dalla verità.
Tuttavia, prima di svelare questo piccolo mistero, vi chiedo di pazientare ancora un po’, in modo da dare a tutti il tempo di arrivare. Mentre aspettiamo, vorrei condividere con voi alcune mie riflessioni su questa nostra grande casa che è il Regno.
Come sapete, io sono originario dell’isola di Atlantide, dunque il Regno non è sempre stato la mia casa. La mia prima casa è stata l’Isola Bianca, un piccolo lembo di terra agli estremi confini dell’arcipelago di Atlantide. Di quella terra ho un vago ricordo, poiché fui subito portato al Tempio dei Paladini per essere addestrato, come avveniva a tutti i bambini nati in quel particolare periodo dell’anno. Credo di esserci stato solamente due volte, entrambe quando avevo meno di quindici anni, e ormai è passato troppo tempo perché io riesca a richiamare alla mente immagini definite. Tutto ciò che ricordo sono i volti dei miei genitori: mio padre, medico, e mia madre, insegnante. Di loro non ho mai saputo neppure il nome, poiché così vuole il rigido addestramento a cui sono stato destinato.
Dopo gli anni dell’addestramento al Tempio, giunse per me il momento di partire per il mondo. Così, un giorno dovetti salutare per sempre la mia patria e salpare alla volta di un mondo sconosciuto. Quando raggiunsi la terra ferma e seppi della caduta di Atlantide, piansi come mai ho più pianto da allora. Perdere la propria patria è un dolore indescrivibile e io posso soltanto tentare di rievocarlo.
Così, solo e disperato, mi incamminai in quelle terre a me ignote in cerca di fortuna. Attraversai molte terre e affrontai molti nemici, rischiando la vita ad ogni passo. Furono anni duri in cui il mio spirito fu temprato. Eppure, per quanto mi sforzassi di essere stoico, il mio cuore era ferito, perché ero un uomo senza casa, l’ultimo superstite di una stirpe ormai finita.
Credevo che sarei morto da solo, ucciso in uno scontro in qualche angolo dimenticato di quel vasto mondo, ed in cuor mio tremavo al solo pensiero. Più che temere la morte, ero ossessionato dall’idea che tutto il sapere del mio popolo, la sua storia, le sue tradizioni… tutto questo sarebbe scomparso con me. Soprattutto, ero terrorizzato dall’idea che non avrei mai più avuto una casa.
Poi, un giorno, giunsi nel Regno. Ne avevo sentito parlare durante i miei viaggi, e mi ero convinto che forse in quel luogo avrei trovato la risposta al mio dilemma. Non perché le descrizioni udite fossero particolarmente esaltanti: ma gli occhi di coloro che me ne parlavano brillavano di una luce diversa, una luce che non avrei mai potuto ignorare. Badate, io non credo nel destino in senso stretto. Piuttosto, sono convinto che ognuno di noi abbia un compito, una missione da svolgere nella sua vita. Per cui, non credo di poter affermare che “era destino” che giungessi qui nel Regno. Avrei potuto ignorare quei segni, fingere di non sentire quel “richiamo”: per fortuna, non l’ho fatto.
Molti uomini ignorano la propria “chiamata” perché non rientra nei loro piani, salvo poi condurre vite infelici. Spesso siamo portati a pensare che la vita sia complicata o difficile, ci struggiamo senza saper decidere cosa fare del nostro destino, e invece la vita stessa ci sta suggerendo – spesso a gran voce – qual è la strada giusta per noi. Ma quella strada, magari, non ci piace, e così ignoriamo quei chiari segnali e aspettiamo invano altri segnali, più appetitosi ai nostri occhi.
Come dicevo, io sono stato fortunato. Ho avuto la forza di ascoltare quel messaggio e mi sono messo in cammino: e non crediate che la strada sia stata facile. Quando si viaggia verso il Regno, si compiono due strade, una interiore e l’altra esteriore; e per quanto lunga e difficile quella esteriore è senza dubbio la più breve e la meno tortuosa. Chi infatti si vuole accostare alla luce, scopre ben presto che più si avvicina ad essa, e più i suoi difetti vengono illuminati, resi visibili, cosicché non si hanno che due alternative: correggere i propri difetti, oppure ritrarsi dalla luce. E’ proprio ciò che dice il detto “il traguardo non sta alla fine del viaggio, ma è il viaggio stesso”, e il viaggio verso la luce è un viaggio che non si può affrontare se non si è disposti a soffrire e a cambiare.
Ebbene, a distanza di tanti anni, sto ancora viaggiando. Mi sono avvicinato alla luce, e sto ancora combattendo contro le ombre che inevitabilmente scopro di proiettare. E così voi, amici miei: anche voi state viaggiando. Forse non ne siete consapevoli o forse volutamente ve ne volete scordare. Voi, come me, siete chiamati a intraprendere il cammino verso la luce. È questo, non altro, il significato del Regno.
Non crediate di poter chiamare “casa” il Regno solo perché vivete fra le sue mura, frequentate le sue piazze e le sue botteghe! Non crediate di poter chiamare “casa” il Regno solo perché ne portate qualche titolo, o conoscete i suoi abitanti o vi passate del tempo! Un uomo potrebbe benissimo trovarsi al centro di queste mura, nella possente Rocca del Sommo: ma sarebbe ugualmente lontanissimo dal Regno, se non si sforzasse costantemente di applicare i Valori nella vita di tutti i giorni, se non fosse convinto di poter e dover migliorarsi costantemente, se si accontentasse o si illudesse di essere già arrivato.
Nessuno, amici, può chiamare “casa” il Regno se il suo spirito non è perennemente in viaggio, completamente dedito al cammino di miglioramento che è esso stesso, come ci insegna il Sommo, il vero traguardo.
In cammino, dunque!
@Jekyll@
00domenica 26 dicembre 2010 00:02
Jekyll si era svegliato presto quella mattina, il sole aveva appena iniziato a fare capolino all'orizzonte...come molte mattine da un po' di tempo a questa parte, a dire il vero. Si diede una rinfrescata ed indossò una semplice tunica di lino ed un corpetto di cuio borchiato, poi, insieme ad Eoden raggiunse le stalle della Gilda, sellò il possente Fendor e si lanciò in una folle galoppata per raggiungere i Cancelli. Il Cavaliere del Nord passò davanti all'enorme cantiere ancora avvolto nei teli bianchi e gli lanciò un'occhiata veloce. Quando i Guardmen di sentinella lo videro arrivare gli rivolsero un saluto ed osservarono il Vassallo ed il suo enorme lupo bianco lanciarsi nei boschi fuori dalle mura.
Da diverse settimane, Jekyll aveva preso l'abitudine, prima di affrontare le incombenze quotidiane, di effettuare un veloce pattugliamento dei territori circostanti le mura, ben sapendo che in quel periodo di relativa calma, difficilmente avrebbe potuto incontrare avversari od oscure creature; tuttavia, pensava, non abbassare mai la guardia era una buona idea.
Dopo circa un paio d'ore di perlustrazione, il Vassallo ricondusse Fendor ed Eoden verso il regno.
<<Holux, Cavaliere del Nord!>> lo salutò, rigido e formale, una delle sentinelle che piantonava i Cancelli.
<<Holux!>> gli rispose, sorridendo il Paladino.
Eoden, dal canto suo, non perse l'occasione di andare a recuperare qualche coccola dagli uomini armati che difendevano l'ingresso al Regno.
In pochi minuti, Jekyll raggiunse la Gilda, strigliò ed accudì Fendor e, prima di lasciare le stalle, gli procurò un'abbondante dose di fieno.
<<Ora, Eoden, andiamo a fare un po' di colazione anche noi!>> propose il Cavaliere del Nord al lupo che, soddisfatto dell'offerta, iniziò a saltellare intorno alle gambe del padrone fino alla taverna.
Dopo che entrambi si furono rifocillati, Jekyll ed Eoden tornarono nel loro alloggiamento all'interno della Gilda e ì il Paladino iniziò ad indossare la sua armatura d'argento per affrontare la giornata davanti a sè.
Quando ormai era pronto, qualcuno bussò violentemente contro la sua porta.
<<Avanti!>> ordinò Jekyll.
<<Holux, Paladino!>> lo salutò un ragazzo smilzo e dall'aspetto un po' trasandato.
<<Holux, ragazzo! A cosa devo questa irruenza?>>
<<Signore, venite a vedere! Le strade del Regno si stanno affollando!! Tutti gli abitanti si stanno recando verso quello strano cantiere coperto da teli che è sorto diverso tempo fa all'improvviso!>>
<<Ma non mi dite!>> sorrise il Vassallo, intenerito dall'apprensione dipinta sul volto del giovane <<Sono certo che non ci sia alcun motivo per temere qualcosa, figliolo! Comunque, andate pure a vedere, se la curiosità vi brucia a tal punto! Io vi raggiungerò non appena sarò pronto!>>
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e sparì, rapido come un fulmine, precipitandosi fuori dall'edificio per unirsi alla folla.
Jekyll terminò di indossare la sua armatura, si fissò l'ampio mantello bianco e blu, cinse ai fianchi la Spada di Acciaio Azzurro e la Sciabola d'Argento, prese sotto braccio l'elmo argentato dal lungo pennacchio bianco ed uscì diretto al misterioso cantiere.
Quando il Vassallo giunse ai grandi teli bianchi ormai gran parte della popolazione del Regno si era radunata davanti al cantiere ed una voce amica stava parlando alla gente, spiegando la sua storia ed il giusto modo di capire e vivere il Regno.
Mentre attraversava la calca per raggiungere la base del cantiere ed essere in prima fila, Jekyll pensò che se ci fossero state più persone capaci di spiegare il Regno come stava facendo BrightBlade in quel momento, probabilmente nel mondo le cose sarebbero state decisamente migliori.
Quando arrivò davanti al suo Gran Maestro, Jekyll udì distintamente l'ultima parte del suo discorso:

<<...Non crediate di poter chiamare “casa” il Regno solo perché vivete fra le sue mura, frequentate le sue piazze e le sue botteghe! Non crediate di poter chiamare “casa” il Regno solo perché ne portate qualche titolo, o conoscete i suoi abitanti o vi passate del tempo! Un uomo potrebbe benissimo trovarsi al centro di queste mura, nella possente Rocca del Sommo: ma sarebbe ugualmente lontanissimo dal Regno, se non si sforzasse costantemente di applicare i Valori nella vita di tutti i giorni, se non fosse convinto di poter e dover migliorarsi costantemente, se si accontentasse o si illudesse di essere già arrivato.
Nessuno, amici, può chiamare “casa” il Regno se il suo spirito non è perennemente in viaggio, completamente dedito al cammino di miglioramento che è esso stesso, come ci insegna il Sommo, il vero traguardo.
In cammino, dunque!>>


Poi il Gran Maestro dei Paladini tacque e sorrise all'amico la cui armatura d'argento sfolgorava nella limpida luce del sole di quel giorno.
Odius
00domenica 26 dicembre 2010 23:39
Nello stesso periodo in cui Jekyll era dedito alla ricerca e all’opera di persuasione del Vassallo Valer, nelLo Regno, sotto l’enorme telone bianco il cantiere andava avanti spedito, seppur dovesse affrontare normali intoppi, comuni a tutti i cantieri: piccoli infortuni, piccole imperfezioni che costringevano gli addetti a rimettervi mano e così via.
La stessa notte in cui Jekyll cercò di convincere Valer, a centinaia di miglia di distanza il giovane Musner attendeva al trasporto ai piani superiori di un grande cesto pieno di piastrelle di terracotta ad opera di un sistema di carrucole che i suoi compagni stavano usando:
-Bene ragazzi basta così, facciamo una piccola pausa. Ci rivediamo tra qualche minuto- disse con la sua voce altisonante non appena il cesto fu issato all’altezza di quello che sarebbe stato il secondo piano dell’edificio e posato sull’ancora grezzo pavimento.
Sedutosi sovrapensiero rivisse gli eventi di quelle ultime settimane: dalla inattesa richiesta di lavorare come manovale ad una nuova opera all’interno del Regno, all’improvvisa malattia del suo supervisore che, seppur non grave, gli aveva permesso, assieme alla sua voce che gli permetteva di sovrastare i forti rumori del cantiere, di farsi nominare come supplente sorvegliante scavalcando molti colleghi più anziani di lui, ma fortunatamente senza suscitare in alcuno invidie e malumori.
Il tempo però della pausa era finito ed alzandosi si preparò a richiamare i propri uomini; si stava dirigendo verso il punto in cui operava la sua compagnia quando all’improvviso udì: -ATTENTI!!!- ed un forte schiocco sopra la sua testa, alzando in un attimo lo sguardo vide un’immensa trave di legno che stava precipitando proprio sopra di lui e si gettò a terra, ben consapevole di essere ormai spacciato.
Un lampo bianco, ecco cosa vide, un lampo bianco e subito dopo la trave trasformarsi in due tronconi e cadere innocui, con un tonfo, ai suoi lati.
Alzatosi, ancora tremante per lo spavento, vide in lontananza un uomo ammantato di bianco che, camminando tranquillamente, si allontanava da lui ponendo nel fodero appeso alla schiena un grande spadone a due mani.
Voleva ringraziarlo, ma appena provò a fare un passo verso l’uomo cadde nuovamente poiché i suoi nervi non erano ancora pronti a sorreggerlo; alzato subito lo sguardo non fu più in grado di vedere il suo salvatore in mezzo alla folla di lavoratori che accorreva verso di lui per sincerarsi delle sue condizioni.
Riavutosi chiese ad uno dei suoi uomini: -Chi era quell’uomo? Volevo ringraziarlo, ma è sparito…-
-Quello è l’Ombra…- rispose il manovale, Musner venne così a sapere che fin dalla prima notte del cantiere era comparso un uomo che interveniva per impedire incidenti, aiutare coloro che si imbarcavano in lavori più grandi di loro e per sedare le normali piccole incomprensioni che si creavano tra lavoratori, mentre per tutto il resto del tempo sembrava quasi svanire: ecco perché veniva chiamato dai manovali l’Ombra.
Varie volte l’ombra si era fatta vedere, generalmente avvolta in un mantello blu scuro, altre in quello bianco che lui stesso aveva veduto e bene presto Musner si rese conto che sotto quel mantello doveva esserci un Aspirante se non addirittura un Vassallo del Sommo Blue Dragon.

Qualche settimana dopo fu egli stesso spettatore della comparsa dell’Ombra: ancora una volta era scoppiata una lite tra due gruppi di lavoro a causa dei turni di riposo e i due gruppi si stavano affrontando l’uno di fronte all’altro. I due uomini più grossi si stavano preparando a darsele di santa ragione ciascuno incitato dal proprio gruppo di appartenenza quando l’Ombra comparve all’improvviso; la sua sola presenza fu sufficiente a zittire tutti i lavoratori, probabilmente intimiditi dal peso dello sguardo di quell’uomo, che sentivano su di loro seppur non potessero vederlo nell’ombra delle falde del cappuccio bianco.
Solo i due energumeni parevano indifferenti alla comparsa dell’Ombra, ma il primo si calmò non appena sentì sulla spalla una pressione e vide con la coda dell’occhio una mano guantata di mithril, l’altro fu a sua volta soggiogato da quello sguardo invisibile che aveva già zittito i suoi compagni, e fu allora che l’Ombra disse la sua prima ed unica parola ai lavoratori in tutto il periodo in cui restò aperto il cantiere -Fratellanza…-
Il richiamo ad uno dei Valori più importanti del Regno servì e bastò per spegnere ogni residua scintilla di malumore ed ogni volta che, nelle settimane seguenti, nasceva inevitabilmente una disputa la sola parola “fratellanza” sussurrata piano tra i lavoratori era sufficiente per ripianare la situazione, mentre l’Ombra continuava a vegliare, ma da allora sempre nascosta.

Erano passate alcune settimane dall’evento e Musner aveva appena sentito terminare l’intervento dell’Architetto, quelle parole gli avevano dato nuova energia e lo avevano fatto sentir fiero di partecipare al progetto: “L’Architetto, lo Scrittore e l’Ombra con questi uomini all’interno del cantiere, che hanno così tanta cura per l’opera…che persone straordinarie…il risultato finale non potrà essere nientemeno che magnifico…”
BrightBlade
00sabato 1 gennaio 2011 03:06
Mentre il Paladino di Atlantide parlava, giunsero gli ultimi ritardatari. In breve tempo, la prima fila fu occupata dai Paladini del Regno: quasi ubbidendo ad un ordine silenzioso, Claudium, Drago, Eruner, Jekyll e gli altri si fecero avanti contemporaneamente. Subito dopo, un mormorio di stupore accompagnò l’entrata nella piazza di Valer: il ritorno dell’antico Vassallo aveva destato molto scalpore e molti erano ansiosi di vedere con i propri occhi quella specie di leggenda vivente. L’elfo, intanto, aveva raggiunto Jekyll e gli aveva stretto la mano, dando le spalle alla folla. Visto che il brusio non cessava, l’Eclettico si voltò di scatto e scoccò una burbera occhiata ai presenti. Non servì altro: immediatamente, il silenzio regnò sovrano, e i più vicini al vecchio Vassallo riuscirono persino a udire un suo commento appena bisbigliato sui giovani troppo irrequieti.
Accanto all’elfo, si erano timidamente avvicinati anche un giovane artigiano e quella che doveva essere sua moglie; la ragazza era evidentemente incinta e più bella che mai. Il giovanotto aveva gli occhi incollati sull’elfo alla sua sinistra e se ne teneva un po’ discosto, quasi avesse timore di importunarlo con la sua vicinanza, finché quello non si voltò, prendendolo sotto braccio e tirandoselo vicino con un sorriso divertito.
Dopo che tutti si furono sistemati, BrightBlade si avvicinò e abbracciò uno per uno tutti i Paladini presenti alla cerimonia, quindi si fermò davanti all’elfo e lo salutò allo stesso modo, continuando poi con il giovane artigiano e sua moglie, con la quale ebbe anche un rapido scambio di battute. Fatto ciò, tornò a rivolgersi ai presenti:
«Bene, direi che possiamo cominciare. Jekyll, a voi l’onore!»
Il Cavaliere del Nord arrossì un poco, quindi si decise e avanzò verso la grande struttura coperta, fermandosi a pochi passi dal candido telo.
Gli occhi di tutto il Regno erano fissi sul Cavaliere e nessuno osava fiatare. Jekyll rimase immobile per qualche istante, immerso in chissà quali pensieri. Poi, senza alcun preavviso, sguainò la spada e colpì il telo con un possente fendente. La folla si ritrasse, mentre una vampa d’aria gelida sollevò i mantelli e spazzò i cappelli a tesa larga. Sotto lo sguardo dei presenti, il grande telo iniziò a coprirsi di una sottile trama iridescente, simile a una ragnatela di cristallo. Il fenomeno proseguì per quasi un minuto, fino a quando tutto il telo non fu avvolto in quel ricamo sfolgorante.
Subito dopo, si udì un boato provenire da poco lontano. La gente si voltò allarmata e i bambini si strinsero alle gonne delle madri. Poi, una voce iniziò a diffondersi fra la gente:
«La Gilda dei Paladini è crollata!»
La folla iniziò a disperdersi, ma ecco che un nuovo prodigio fece ammutolire di nuovo tutti quanti. Dalla direzione del palazzo della Gilda si alzò in cielo una sfera luminosa, simile a un gigantesco globo fiammeggiante, sebbene non producesse alcun rumore. L’astro si alzò fino a oscurare persino il sole con la sua lucentezza, eppure guardarlo non dava alcun fastidio. Raggiunto il suo apogeo, la sfera iniziò una lenta discesa verso la piazza. Dopo essere planata sopra le teste dei presenti, andò a sfiorare la tela iridescente. Nel punto di contatto, i fili di cristallo presero ad accendersi come micce sfavillanti, e in un attimo l’intero telo prese a brillare come il sole, mentre la sfera scompariva in pochi istanti.
Vi fu un potente lampo di luce e questa volta tutti dovettero ripararsi gli occhi. Quando li riaprirono, il telo e l’impalcatura che lo sosteneva erano scomparsi. Al suo posto, sorgeva una grande fortezza di pietra, le cui mura possenti brillavano ancora debolmente.
Il castello era a pianta quadrata e comprendeva un grande cortile; su due lati si estendevano altrettanti grandi edifici e nell’angolo fra i due si innalzava una grande torre merlata, sormontata da un tetto spiovente.
Proprio di fronte a Jekyll, le mura della fortezza si aprivano in un grande portone sormontato da una trifora: dalla finestra pendevano tre lunghi stendardi, sui quali campeggiava uno stemma che alcuni riconobbero come quello della Gilda dei Paladini, mentre altri sostenevano che fosse diverso. Nell’arcata vi era anche un’iscrizione: «Honor Virtusque In Omnibus Rebus».
Tutti erano così presi dall’osservare la fortezza che nessuno all’inizio si accorse dell’arrivo di un’altra persona, finché questa non raggiunse il Paladino di Atlantide e il Cavaliere del Nord. I due Vassalli si inginocchiarono, imitati da tutti i Paladini, e fu allora che tutti videro che il Sommo Ostri in persona era arrivato. Lo Re restò in silenzio, mentre lentamente tutti si inginocchiavano. Ancora una volta, fu BrightBlade a prendere la parola:
«Questa è la Rocca della Fenice, sorta dalle ceneri della Gilda dei Paladini. E questi – proseguì indicando i suoi compagni – sono i Sacri Paladini di Blue Dragon, riuniti in un nuovo Ordine per la difesa del Regno e del Sommo Blue Dragon. Insieme abbiamo lavorato a lungo per rinnovare la nostra Fratellanza e insieme offriamo al Sommo e a tutto il Regno il frutto del nostro lavoro. Che questa Rocca possa essere rifugio per i bisognosi, riparo per i poveri e baluardo per gli innocenti!»
Il Sommo Ostri sorrise, facendo cenno ai presenti di rialzarsi.
«Ed ora, amici, – proseguì il Paladino di Atlantide – entrate e visitate la fortezza: più tardi, vi invito a raggiungerci nella Sala dell’Adunanza, dove continueremo questa cerimonia».
Non appena il Vassallo ebbe smesso di parlare, le porte della fortezza si spalancarono, rivelando il grande cortile alle loro spalle, e lentamente la folla varcò i grandi cancelli, addentrandosi nella rocca.

OT:
per visitare la Rocca della Fenice, seguite questo link oppure entrate nel sito dell'Ordine direttamente dalla pagina delle Gilde del sito del Regno!
BrightBlade
00sabato 1 gennaio 2011 23:17
OT:
Dimenticavo: chiunque voglia può inserire il racconto della propria "visita" nella Rocca.
L'unica cosa che vi chiedo - per facilitare al massimo le cose a Otrebmu - è non inserire nei vostri interventi alcun riferimento alla cerimonia o a qualunque altro evento/racconto/qualsiasi cosa. In altre parole, scrivete come se, un giorno qualunque, vi trovaste ad entrare nella Rocca della Fenice per la prima volta. In questo modo, gli interventi potranno essere posizionati nella Cronologia "dove capita" e quindi Otrebmu non avrà alcun problema con la Cronologia (sostanzialmente, potrà metterli dove vuole); allo stesso tempo voi potrete farmi sapere che ne pensate del nuovo sito dell'Ordine dei Paladini.
@Jekyll@
00venerdì 7 gennaio 2011 21:15
Accanto al lato destro del portone, Jekyll, le braccia incrociate sul petto, osservava la folla che, lentamente, fluiva all'interno della Rocca della Fenice.
<<Sono proprio curioso di vedere questo prodigio!>> lo salutò Drago, i cui occhi brillavano per la meraviglia e l'orgoglio di appartenere alle fila dei Paladini.
<<Sono certo che ne rimarrete soddisfatto, amico mio!>> sorrise Jekyll.
BrightBlade si era spostato sulla sinistra del portone, lasciando il Cavaliere del Nord alla destra: i due amici, ogni tanto, si scambiavano occhiate soddisfatte dal momento che l'inizio della cerimonia si era svolto nel migliore dei modi possibili.
Ora che la Rocca della Fenice è illuminata dalla luce del sole, sembra essere ancora più imponente pensò con soddisfazione il Vassallo dall'armatura d'argento.
Mentre era perso in questi pensieri, Jekyll venne richiamato alla realtà dall'imprecazione di una voce conosciuta.
Claudium, l'amico e compagno di molte avventure, aveva una mano racchiusa in un sottile strato di brina.
<<Non imparerò mai!!>> boffonchiò tra sè il Paladino, scuotendo la mano congelata, poi tornado ad osservare l'amico sorrise <<Jekyll, sono assolutamente allibito!! Questo edificio è grandioso e vedo alle vostre spalle un cortile vastissimo nel quale potremo esercitarci!>>
<<E non avete ancora visto nulla, amico mio!! Entrate e vedrete il resto!!>>
<<Perfetto! Ci vediamo dentro allora!!>> lo salutò Claudium.
Jekyll osservava felice uomini e donne, semplici viandanti, Aspiranti e Vassalli entrare nella Rocca della Fenice; salutò con un cenno della mano Sir Madhead e Joe Commoner che si erano intrattenuti con BrightBlade ed il Sommo Ostri.
<<Allora! Direi che per ora questa Rocca stia avendo un grandissimo successo!!>> la voce di Valer sorprese il Cavaliere del Nord.
<<Valer, vi credevo già dentro!>> rispose Jekyll, sorridendo <<Comunque avete ragione! Ci sono quasi tutti...anche amici che mancano dal Regno da molto tempo sono venuti per la cerimonia!>> continuò il Paladino, osservando DragonKnight che passava sotto il portone e la trifora che lo sormontava, dopo aver salutato il Gran Maestro dei Paladini.
<<Ci scommetto! Purtroppo non riconosco tutti!>> commentò con un velo di malinconia l'elfo.
<<Non temete, amico mio, avrete tempo per conoscere coloro che non erano ancora qui, quando voi già combattevate sotto i vessilli del Regno e scommetto che alcuni Paladini vi ossessioneranno con le loro richieste!>>
<<Non crederete di spaventarmi con così poco, Jekyll! Troveranno tutti pane per i loro denti! Nessuno è mai rimasto scontento delle opere di Valer l'Eclettico!!>> un moto di orgoglio aveva gonfiato il petto del vecchio Vassallo.
<<Lo credo bene! Ed è per questo che siete stato chiamato, amico mio!>>
<<Bene! Sarà meglio che entri anch'io! Voglio accaparrarmi un posto in prima fila nella Sala dell'Adunanza per gustarmi il resto di questa cerimonia!>> Valer salutò Jekyll e si diresse verso il Gran Maestro ed il Sommo Ostri.
Dopo un rapido scambio di battute, il sovrano e l'elfo varcarono insieme il portone della Rocca.
Mentre Eruner si avvicinava al Gran Maestro per salutarlo, Jekyll vide che persino Otrebmu Ittoram era uscito dalla Biblioteca Arcana per ammirare la Rocca della Fenice.
I due Vassalli si scambiarono un saluto alzando la mano destra e mentre il Cronologo del Regno varcava l'imponente portone, Jekyll pensò che, dovendo documentare tutto quello che avveniva nel Regno, Otrebmu non poteva trovarsi in un posto diverso.
Ormai la folla stava diminuendo, tutti o quasi erano entrati nella Rocca; Jekyll si avvicinò a BrightBlade che aveva appena congedato l'allievo.
<<Gran Maestro, credo che sia giunto il momento...>> disse il Cavaliere del Nord, porgendogli una chiave d'oro.
I due Vassalli si guardarono per un istante, poi il Paladino di Atlantide annuì, prese la chiave dalle mani dell'amico e varcò il portane della Rocca della Fenice.
Drago.89
00mercoledì 14 dicembre 2011 10:42
Era una giornata un po'insolita per la Guardia Reale, da tempo aveva notato i teloni su di una grande struttura. Persino a lui gli era stato nascosto tutto. Ma ora, in quell'istante in cui aveva assistito al notevole discorso tenuto dal suo Maestro di Gilda, ovvero messer BrightBlade non gli sembrava vero... la Rocca della Fenice era stupenda ed imponente, quasi come se volesse incutere timore, ma al tempo stesso sprizzava una strana luce da tutte le sue angolature.
Gli veniva da pensare che quella visione da rimanere incantati era frutto, fra i tanti che ci avevano lavorato, anche del suo amico Fedrick. Sin da quando era bambino conosceva quel simpatico ed umilissimo artigiano... ed anche la bella Diane. Da quando era arrivato alLO Regno per la prima volta si era stupito di ritrovare Fedrick proprio all'interno di quella favolosa ed immensa città di luce. Ultimamente aveva fatto visita ai due nella loro umile casa ed inoltre era venuto a sapere che ben presto avrebbero avuto un figlio addirittura. Il giorno prima che l'artigiano venisse ingaggiato segretamente, Drago era stato invitato a casa sua per bere qualcosa come i vecchi tempi. Raramente indossava vestiti comodi, ma la situazione lo richiedeva e quindi decise di fare a meno della sua Sacra Armatura del Bastione… oltre che sarebbe stato leggermente più lento e poi non ci sarebbe neanche passato per la porta! Indossò quindi un semplice indumento di lino, dei comodi pantaloni trapuntati, degli stivali di pelle ed un candido mantello bianco tenuto fermo da due fermagli argentati a forma di drago simboli del Regno. Ultimamente indossava spesso quel mantello, secondo lui quel colore era simbolo di umiltà e devozione verso una causa giusta. Dopo essersi assicurato che la sua preziosissima armatura era su di un manichino ben fissata ed aver preso una misteriosa bisaccia, lasciò la Locanda. Ben presto si ritrovò per la Via delle Querce e non molto dopo arrivò innanzi alla casa del suo buon amico.
<<Holux carissimi!>> disse il giovane Drago salutando Fedrick e Diane che erano venuti ad aprirgli la porta.
<<Drago che piacere, allora avete accettato, accomodatevi pure e perdonate il disordine della mia bottega!>> disse poi l'artigiano invogliandolo ad entrare.
<<Per carità amico mio! E' già un grande onore essere invitati a casa vostra!>> disse entrando la Guardia Reale, facendo sentire lusingato l'amico.
Non c'è che dire, erano veramente due personalità umili a confronto.
<<Vi ho portato un regalo che ho avuto modo di comprare nelle terre che ho visitato!>> disse poi Drago porgendo una grossa bisaccia sul tavolo con dentro delle piccole bambole di pezza ed in legno, svariati gingilli in oro di terre lontane, un bel paio di spezie e profumi del regno orientale ed un fermaglio col simbolo di Blue Dragon.
<<Siete troppo gentile... ma alcune cose sono addirittura in oro! Non vi servono per il vostro sostentamento?>> disse la moglie dell'artigiano felice di quel gesto, ma al tempo stesso preoccupata per il giovine.
<<Non vi preoccupate... ho da parte altro per me e poi ben presto avrete un bimbo o una bimba, prendetelo come un regalo! Ora vorrei proprio parlare un po'con vostro marito è da tanto che non scambiamo due chiacchiere!>> rispose Drago sorridendo e facendo cenno a Diane di non preoccuparsi minimamente.
Come da invito, i due bevvero un bicchierino in memoria dei vecchi tempi e discussero molto, seduti ad un modesto tavolo al piano di sopra, con la moglie presente.
<<Ma quindi avete intenzione di ritornare a Vetoio prima o poi… ho… ho sentito bene?>> chiese Fedrick colta un po'alla sprovvista dalle parole dell’amico.
<<Sì, vedete mi manca molto il nostro villaggio, ormai ne ho passate tante, ho vissuto splendide avventure con moltissimi amici ed amiche che ho conosciuto qui... inoltre ho pensato anche al voler formare una famiglia anche io e tutto questo tempo, tutti i momenti in cui sono stato quasi in fin di vita mi hanno portato a pensare che è ora di ritirarsi. Devo ringraziare di tutto cuore il Sommo per questo, ma mi sento legato a Vetoio e spero che mi capiranno sia Ostri, Palank, BrightBlade ed Otrebmu… ho il desiderio di tornare a vivere lì e di ritrovare anche Michaela… Potrò rivedere anche il vecchio capomastro!>> a queste parole al giovane Guardiano Reale gli si inumidirono gli occhi, poi dopo un po’aggiunse <<Rimarrò sempre un'Aspirante di Blue Dragon questo è certo e chiunque mi vorrà saprà sempre dove cercarmi, voi siete il primo a cui ne parlo proprio perché mi state molto a cuore… non siate triste amico mio, voi avete una famiglia a cui pensare!>> finì di spiegare Drago.
Alle parole del Guardiano Reale una lacrima solcò il volto di Fedrick, segno di due emozioni contrastanti, la prima era pura felicità per il compagno che sentiva di dover ritornare in un posto che lo rendeva felice, la seconda era tristezza perché si sarebbe allontanato dal Regno, divenuta ormai casa dell’artigiano.
<<Suvvia non preoccupatevi, non ho ancora parlato con il Sommo e poi ci sarò sempre fin quando questo corpo avrà vita>> disse infine la Guardia Reale essendosi accorto della reazione, mostrando poi un largo ed ampio sorriso che evocò qualcosa nella mente dell'amico artigiano.
Non c'è dubbio... è la copia esatta di suo padre... ormai ha deciso e non cambierà idea… mi mancherete molto... furono gli ultimi pensieri dell'artigiano, parole che non ebbe modo di venir fuori dalla bocca, poiché in quel momento entrambi si esprimevano con gli occhi, nulla vi era di più sincero che un ultimo sguardo intenso tra amici.
Ora che erano passati giorni e la Rocca della Fenice era innanzi a lui vivida più che mai, i pensieri su quello che era accaduto a casa di Fedrick rimasero vividi in lui. Sì, prima o poi avrebbe parlato con i Sommi. Presto. Sarebbe tornato a Vetoio e avrebbe rivisto la bella Michaela. E così con questi pensieri che gli solcavano le meningi, varcò lo stupendo portone della Rocca e si diresse insieme a Fedrick, Diane, il leggendario Valer l'eclettico e Claudium suo grandissimo amico verso la Sala dell'Adunanza, ove si sarebbe continuata la cerimonia. Mentre attraversavano quella grandiosa Rocca il giovane Guardiano Reale non potè fare a meno di rimanere estasiato di fronte agli arazzi, le volte, gli archi a tutto sesto e le meravigliose raffigurazioni che costituivano la nuova sede dei Paladini di Blue Dragon.

OT- Mi son permesso di inserire anche un mio intervento nell'entrata alla Rocca, se non va bene ditemelo o cancellatelo [SM=x92702] -OT
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