Miguel de Unamuno

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sergio.T
00mercoledì 9 gennaio 2008 11:06
Miguel de Unamuno y Jugo (Bilbao, 29 settembre 1864 – Salamanca, 31 dicembre 1936) è stato un filosofo, scrittore, drammaturgo e politico spagnolo di origini basche che, rinnovandoli, ha portato sul piano filosofico i motivi più tipici dell'ispanismo, seppure in opere non sistematiche e quasi sempre di carattere letterario. Canonicamente, viene fatto rientrare nel movimento letterario chiamato Generazione del '98, espressione del modernismo letterario spagnolo.

Il suo pensiero nasce dal contrasto fra le istanze della ragione e quelle della vita in una visione di tragica lotta, senza tregua e senza pace. Così il suo modello ideale è la figura di Don Chisciotte, cui dedica il famoso Vita di Don Chisciotte e Sancho (1903). L'eroe di Cervantes viene da lui inteso come suprema incarnazione dell'idealismo umano, che persegue una meta, ricercata ed amata non come termine di possesso, ma come miraggio.

Personalità controversa e contraddittoria, aderisce al movimento franchista dopo aver sopportato sei anni di esilio (dal 1924 al 1930) per le sue idee repubblicane, ed essersi più volte scagliato contro il militarismo, da lui considerato sofisticatore del genuino concetto di patria.

Essendo una personalità importante della cultura internazionale, nonché filosofo e grecista, Unamuno mantiene il suo ruolo di rettore dell'Università di Salamanca, la più prestigiosa di Spagna, anche sotto il franchismo, nonostante appoggiasse in modo tiepido il regime.

Al centro della sua tormentata tematica si pone il problema religioso, di cui parla in La mia religione (1910), Del sentimento tragico della vita (1913), L'agonia del cristianesimo (1925). Svuotando il cristianesimo di ogni struttura dogmatica, Unamuno si accanisce contro la "casta sacerdotale", monopolizzatrice del dogma e mortificatrice del genuino spirito cristiano.

Sempre in relazione con questa tematica è anche il suo romanzo Nebbia del 1914: Augusto Pérez, il protagonista di quello che Unamuno si rifiuta di chiamare romanzo e per cui inventa il nome nivola, deve infatti alla fine affrontare Unamuno stesso, il suo creatore. Da qui la concezione dello scrittore come dio dei suoi personaggi che si trasponde al concepire l'umanità come un sogno di Dio. Augusto però si ribella, affermando che è in funzione di lui che, in realtà, il suo creatore esiste.

Unanumo fu anche poeta di un lirismo rude ed efficace: celebri sono le sue Poesie (1907) e Il Cristo di Velásquez (1920).
sergio.T
00mercoledì 9 gennaio 2008 11:08
Nebbia : un capolavoro
Pubblicato nel 1914, Nebbia racconta la vita del giovane e benestante Augusto Pérez, gran passeggiatore e giocatore di scacchi, che conduce un’esistenza dolcemente oziosa, perennemente avvolto nella nebbia delle sue fantasticherie. Anche l’incontro con Eugenia, la graziosa fanciulla insegnante di pianoforte, non sarà sufficiente a riportare il protagonista con i piedi per terra. Più che dal suo sogno d’amore, Augusto è infatti tormentato dal fantasma di verità e bellezza che la sua fantasia gli ha dipinto nel segreto del cuore. Ma il sognatore Augusto a sua volta scoprirà di essere solo il sogno di uno scrittore, Unamuno stesso, dal quale Augusto si recherà a chiedere del suo destino di personaggio; a questo punto, le sorti dell’autore e del suo povero personaggio non sono ancora chiare, e il continuo gioco di specchi rivela un’identità tutta sospesa tra realtà e sogno… Anche l’incontro con Eugenia, la graziosa fanciulla insegnante di pianoforte, non sarà sufficiente a riportare il protagonista con i piedi per terra. Più che dal suo sogno d’amore, Augusto è infatti tormentato dal fantasma di verità e bellezza che la sua fantasia gli ha dipinto nel segreto del cuore. Ma il sognatore Augusto a sua volta scoprirà di essere solo il sogno di uno scrittore, Unamuno stesso, dal quale Augusto si recherà a chiedere del suo destino di personaggio; a questo punto, le sorti dell’autore e del suo povero personaggio non sono ancora chiare, e il continuo gioco di specchi rivela un’identità tutta sospesa tra realtà e sogno…
sergio.T
00mercoledì 9 gennaio 2008 11:09
Sara' la prossima rilettura.
Da rileggere, rileggere, e ancora rileggere.
Consigliatissimo.
sergio.T
00giovedì 24 gennaio 2008 09:04
Augusto: solo un sogno o qualcosa d'altro?
sergio.T
00venerdì 25 gennaio 2008 09:04
Augusto: l'altro, l'altro, l'altro.
L'altro sono io, o e' un lui: e quella ragazza e' la stessa che vedo o e' un altra.
Augusto vive un mondo di sogno: un mondo di nebbia dove ogni tanto qualcosa si vede.
Ma cosa affiora nel chiaro scuro?
sergio.T
00venerdì 25 gennaio 2008 09:55
Augusto gioca a scacchi, gioco che unisce creativita', scienza, e matematica.
Come si conciliano queste tre discipline?

Ma di piu' ancora: e se la vita fosse un gioco di " rimando"?
sergio.T
00venerdì 25 gennaio 2008 14:41
Unamuno e' un passionale: il conflitto esteriore/interiore, realta'/sogno, veita'/menzogna, e' alla base della sua opera che ricalca soprattutto l'uomo.
Unamuno e' uno scrittore non conosciutissimo perche', in un certo senso, e' uno scrittore che s'incontra quasi sempre per caso.
Nebbia e' forse uno dei primi romanzi davvero surrealisti, un romanzo comunque indimenticabile, per struttura, per storia, per capacita' di confondere realta' e sogno.
Sembrano un tutt'uno.
sergio.T
00lunedì 28 gennaio 2008 10:26
Io sono io.
Augusto afferma assolutamente questo concetto. E lo ripete infinite volte per tutto il libro, per tutta la sua storia.
Io sono io: ma poi arriva l'autore che dice: guarda, Augusto, che tu sei solo una finzione, non esisti e nel momento che io decidero' di farti morire tu non sarai piu'.
Augusto dunque e' solo un'idea come sono soltanto idee il suo amore, la sua sensazione, la sua felicita', la sua infelicita'.
Meno idea e' la sua risposta: gurda Unamuno che potrebbe essere vero l'esatto contrario: e' la tua finzione di essere scrittore che ti da' la sensazione di scrivere storie. Tu non scrivi, ma credi di scrivere storie: tu non muovi Augusto, ma credi di muovermi come attore di una tua storia.
Anche tu sei solo 'un'idea e hai bisogno della menzogna idealista.

mujer
00mercoledì 23 luglio 2008 09:26
Sono quasi alla fine di Nebbia e ne sono affascinata.
L'ente finzione apre una porta che dà su un mondo in cui tutto diventa niente; mi piace la visione del Sig. Michele - come lo chiama Augusto -.

Mi mancano pochissime pagine, scriverò una riflessione luuuuunga appena lo avrò finito.
mujer
00venerdì 25 luglio 2008 09:05
“Tutto è fantasia e nient’altro che fantasia. L’uomo, quando parla, mentisce, e quando parla a se stesso, ossia quando pensa, sapendo che pensa, mentisce. Non vi è altra verità che la vita fisiologica. Le parole, questo prodotto sociale, sono state fatte per poter mentire. Ho udito dire dal nostro filosofo che la verità è, come la parola, un prodotto sociale, ciò a cui tutti credono, e proprio perché vi credono, s’intendono. Uno dei prodotti sociali è la menzogna…”.
Sentendosi leccare la mano esclamò: “Ah, sei qui Orfeo? Tu, siccome non parli, non menti, e credo persino che non ti sbagli perché non mentisci a te stesso. Tuttavia, come animale domestico, avrai appreso qualcosa dall’uomo… Non facciamo che mentire e sentirci importanti. La parola fu fatta per esagerare ogni nostra sensazione ed impressione… Forse per crearla. La parola, e qualsiasi altro genere d’espressione convenzionale, come il bacio e l’abbraccio… Ciascuno non fa altro che rappresentare la sua parte. Tutti personaggi, tutti maschere, tutti comici! Nessuno soffre e gode ciò che dice ed esprime, ma piuttosto crede di godere o di soffrire; se non fosse così, non si potrebbe vivere. In fondo siamo tranquilli, come me ora, qui, mentre mi rappresento da solo la mia commedia, nello stesso tempo attore e spettatore. Soltanto il dolore fisico uccide. L’unica verità è l’uomo fisiologico, quello che non parla, quello che non mentisce”.


Nebbia di M. de Unamuno è un bel percorso letterario. Un cammino a spirale lo definirei, dall’esterno verso l’interno, per giungere al centro della vita e della morte.
Grande profondità esistenziale ha voluto rappresentare il filosofo scrittore lasciandoci in eredità una delle risposte più convincenti: la nebbia si dissipa con la morte.

Quanta paura abbiamo noi uomini di parlare della morte! Siamo nati in un’epoca in cui si mentisce sulle emozioni che il pensiero della non esistenza può scatenare.
E si finge, si è infedeli e ci si nasconde persino.

Finchè non cade l’ente finzione che ci vuole spogli, esseri fisiologici con un corpo finito.

Eppure c’è un senso di infinito in questa opera letteraria, quella creazione che la potente mano dello scrittore/filosofo ha reso immortale. Un Augusto Pérez “ricordo”.

La nebbia si dissipa e il pensiero cade, eppure Augusto Pérez è reso immortale dalla raffigurazione della sua esistenza. E reinventa un Unamuno prima creatore e poi mortale, un rimando alla esistenza/non esistenza che fa di lui un altro Augusto Pérez che è destinato a vivere nella nebbia per poi morire.

Orfeo, nome con simbologia che dà al cane del protagonista, impersonerà alla fine dell’opera il senso della morte limpida e benaccetta: dopo una vita senza menzogne si muore per fedeltà al proprio padrone.
Quel sacrificio che il Sig. Miguel de Unamuno ha chiesto al suo personaggio.

Grazie Sergio per avermi donato questo bellissimo libro.
sergio.T
00venerdì 25 luglio 2008 09:46
belle riflessioni le tue.
Il pezzo che riporti e' spunto per infiniti pensieri: l'esistenza e la vita appartengono ad un soggetto? oppure proprio queste due dimensioni costituiscono il soggetto che crede di viverle?
L'esistenza e' la cruda e nuda oggettivita' dell'esserci come qualcosa; la vita ha il connotato fisiologico ( corpo); il pensare ( la ragione) e' l'idealismo del soggetto che si crede tale.
I temi toccati da Unamuno sono talmente profondi da trasformare questo romanzo in un mini trattato filosofico: Augusto Perez c'e' o non c'e'? e cosa intende per menzogna o verita?
Nietzsche sosteneva l'indispensabilita' della menzogna per la vita; i greci la ritenevano ( nella tragedia) come unica possibile rappresentazione umana. ( il tragico come inevitabilita' e ineluttabilita del destino umano ; la menzogna e' l'esorcismo per vivere in modo tollerabile questa tensione esistenziale vita/morte)
sergio.T
00venerdì 25 luglio 2008 10:05
Ho scoperto anni fa Unamuno grazie a Sarte e ad Heidegger, guarda caso, due dei miei piu' adorati filosofi.
Vita morte, verita' menzogna, essere e nulla , sono le strutture antinomie che cercano di interpretare il fenomeno dell'esistenza.
E' un errore pensare che queste contrapposizioni siano una frattura rigida: questo appartiene ad un'interpretazione sbagliata che crede erroneamente che una neghi l'altra.
In realta' e' naturale nell'idealismo ( il soggetto) porre delle cose " fisse" come uniche cose vere, quando e' l'esatto contrario.
Il tutto del divenire e' l'unica profonda paura dell'uomo perche' il divenire fa si che anche il soggetto divenga altro da se: morire significa dunque non essere piu' quello che si era e l'io detesta questo tipo di possibilita'.
L'io e' un " fisso determinante": io sono io e io rimango . Questa equazione da' sicurezza, da conforto, protegge, rassicura: avere paura di morire significa in ultima analisi non essere piu' determinato come un "chi" autocosciente.
La menzogna e' dunque la difesa necessaria alla vita stessa per sopportare l'abissale pensiero del divenire in un eterno ritorno.

sergio.T
00venerdì 25 luglio 2008 10:36
Nel romanzo di Unamuno ogni soggetto rivendica la sua verita'; Augusto dice e grida io sono io; Unamuno rivendica invece una paternita' :" tu sei un mio personaggio perche' io ti creo in queste pagine" L'altro risponde: " e' grazie a me che tu sei scrittore"
In questo ping pong ognuno fissa la propria realta', perche' la realta' intesa in questo modo asserisce come vero e unica verita' l'esserci in una determinata forma.
Ma essere una cosa o un chi non pone nessuna verita', tranne la verita' di un errore grossolano quanto psicologico: sembra che un esserci debba essere per sempre e oltretutto come causa di se'.
Luce e ombra( nebbia).
Se una cosa fosse una fonte assoluta di luce per sempre, quella cosa non sarebbe visibile; una luce violentissima rende cieco colui che cerca di vederla.
Si ha invece bisogno dell'ombra , del gioco chiaro e scuro; solo cosi' noi potremmo determinare quello che vediamo (siamo).
L'ombra ( lo scuro) si ritrae laddove sorge la luce; la luce si ritrae a sua volta laddove arriva l'ombra e il buio. Un po' come il tramonto e il sorgere del sole; quando ad occidente arriva il giorno, la notte si sposta in oriente e quando ad oriente arriva il nuovo giorno in occidente cala lo scuro.
Il tutto diviene dunque in un gioco di possibilita': non e'affatto detto che quello che e' sempre sara' ( Hume) ma proprio nel suo essere e non essere si manifesta l'unica cosa reale: il diveniente sempre in altro da se , ma sempre medesimo nel suo ripetersi.

La menzogna della vita e' " fissare" ( idea) il divenire in un sistema logico e immutabile. (vita eterna)

Nietzsche disse: "Diffido di tutti i sistematici e li evito. La volontà di sistema è una mancanza di onestà."
sergio.T
00venerdì 25 luglio 2008 10:50
La vita vive a spese di altra vita, cosi' il grande Nietzsche sentenzio' su questo punto.
E non solo in senso fisiologico.

Unamuno vive il suo romanzo a spese di Augusto; gli fa fare quello che vuole come narratore di una storia non sua.
Augusto vive a spese di Unamuno facendogli scrivere la sua storia per essere uno scrittore.

La dialettica non e' mai un'idea fissa come l'esitenza non e' mai unica in se'. E' un altalena e qui' riposa l'unico tutto possibile.
E' quando ci si " fissa" su un'idea o su una parte di essa che incomincia il travisamento, l'errore, l'imbroglio.
Guarda a caso in Bourget , parlando di scrittura, si legge che la decadenza incomincia laddove si vede solo una parte.

sergio.T
00venerdì 25 luglio 2008 10:54
Da che cosa è caratterizzata ogni décadence letteraria? Dal fatto che la vita non risiede più nel tutto. La parola diventa sovrana e spicca un salto fuori dalla frase, la frase usurpa e offusca il senso della pagina, la pagina prende vita a spese del tutto, - il tutto non è più tutto. Décadence: una parola che tra gente come noi, s'intende, non giudica ma definisce."

Bourget.
lo riporto anche in questa stanza.

Il tutto non e' piu' tutto dove una parte di esso diventa sovrana.
Perche' l'io deve essere il vero e unico?
L'io e' solo un incidente di percorso, una necessaria menzogna.
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